di Aldo –
YUCATAN
LONTANO DAGLI OCCHI
VICINO AL MIO CUORE
E’ TUTTO CALDO COME IL SOLE
COLORE, CALORE
LA QUIETE NON E’ UN ILLUSIONE
ENTRO DENTRO IL RITMO LENTO;
ORA CREDO DI CAPIRE….
PER TROPPI GIORNI HO IMMAGINATO
I POSTI DOVE ADESSO HO CAMMINATO.
SEGNI DI TEMPI PASSATI, IMMERSI IN AMPI SPAZI SENZA VOCE,
OCCHI DI BAMBINI FELICI DI TRISTEZZA,
PRIMA ACQUA, DOPO SOLE
SENTO INTENSO L’ODORE
FORTE IL SAPORE, COME LA PASSIONE…
AMIGOS LONTANO DAGLI OCCHI
……MA NON DAL MIO CUORE
HASTA LUEGO CHICOS !!!
Prologo
Era da tanti anni che viaggiavo con la fantasia alla ricerca di luoghi solari nel senso più ampio del termine. Era da tanti anni che immaginavo l’odore di quei posti, così lontani da me e dalla mia realtà. Sono sempre stato curioso di sapere quale sarebbe stata la sensazione che avrei provato, assaggiando un ananas o una noce di cocco, all’ombra di una palma. Che sapore avrebbe avuto la tequila laggiù dove era di casa. Ho sempre immaginato un hombre dal baffo pronunciato, che mi riempiva un vasito con la bevanda national de mexico. Pancho Villa, Emiliano Zapata, la rivoluzione dei campesiños, Carlos Santana, Don Diego de la Vega in arte Zorro, il peyote di Puerto Escondido e di Carlos Castaneda, i maya, gli aztechi e chissà quant’altro.
Solo pronunciare la parola “Mexico” li in Messico da un’altra sensazione, la stessa che si ha dicendo Caraibi o ancora meglio Caribe, mentre stai beatamente lasciandoti cullare dal dolce movimento delle onde di quel mare, che ti accarezza delicatamente dandoti la sensazione di esserti immerso in una grande piscina colma di latte.
Credo che il segreto consista nel riuscire a vivere intensamente quegli attimi, purtroppo fuggenti, ma forse impagabili proprio per questo motivo. Riuscire ad entrare dentro quello che stai vivendo, è il massimo che si possa chiedere nel momento che si decide di andare a toccare con mano ciò che si è sempre letto sui libri, o visto alla televisione. Così facendo è difficile rimanere delusi, ed è molto facile arricchirsi dentro.
Aldo Gallizzi
Primo capitolo
Era un caldo pomeriggio d’agosto…
Era un caldo, caldissimo pomeriggio d’agosto, quando decidemmo quella che sarebbe stata la meta del nostro viaggio. Non è stato facile trovare un posto ideale, la nostra era una voglia di evadere, cercare di staccare dalla solita routine quotidiana, che tende a schiacciarti a soffocarti, annientando l’istinto, che forse è una delle poche cose vere e sincere rimaste nella psiche dell’uomo del duemila.
Tanta voglia di rilassare il corpo ma soprattutto la mente, ridere, divertirsi, osservare, e riscoprirsi…
Nella nostra città ci sono molti spacciatori di viaggi legalmente autorizzati, ma alla fine tutti ti offrono le stesse mete. Capitali europee, Tunisia, Grecia e via discorrendo. La mia idea di viaggio era abbastanza vaga, ma di una cosa ero certo; la distanza minima da casa mia doveva essere di almeno dieci ore di volo. I contrasti all’inizio furono inevitabili, anche se le discussioni rimanevano entro una soglia di rumore accettabile. Io sono sempre andato molto d’accordo con gli aerei, Rossy un pò meno. Il solo pensiero di dover stare ad undicimila metri oltre il livello del mare da mezzogiorno a mezzanotte, ovvero per dodici interminabili e noiosissime ore, era per lei fuori da ogni logica.
Ma io sapevo che sarei riuscito a farla salire su quel benedetto aereo, e sapevo anche che con l’andar delle ore altre sensazioni ben più piacevoli avrebbero preso il sopravvento sulla paura.
Quel pomeriggio di agosto entrammo in una delle tante agenzie disseminate al centro.
C’era molta confusione, le impiegate muovevano vertiginosamente le loro delicate dita sulle tastiere dei computer; “Voi avete fatto un’ottima scelta signori, gli Stati Uniti sono stupendi, il pacchetto che avete scelto è molto interessante e….bla…bla…bla…bla”; “Cuba e’ bellissima, non avrete problemi a trovare ciò che state cercando, io ci sono stato e posso garantirvelo in prima persona”. Ma bravo, dillo anche ad alta voce in maniera che ti sentano tutti, questo è quello che pensai sentendo i discorsi fieri ed orgogliosi del titolare dell’agenzia, fatti a due giovani tronfi e spavaldi, alla ricerca di momenti “caldi” sotto il sole dell’isola dei Caraibi.
Per un attimo il mio sguardo incrociò quello di uno dei due aspiranti trompeteros e non riuscii a trattenere una espressione del viso che lasciava trasparire un leggero dissenso, per ciò che avevo appena visto e sentito, anche se non voglio sembrare un esagerato moralista. Il ragazzo mi guardò per un attimo negli occhi, e si allontanò gongolante insieme al fido compare di sventura.
Finalmente era arrivato il nostro turno;
Nel frattempo grazie anche al consiglio di alcuni conoscenti, la nostra idea di viaggio stava prendendo corpo. Il sole ed il mare della Repubblica Dominicana, sarebbero potuti essere la meta prescelta per la nostra avventura. Dopo vari cambiamenti di data e di programmi sembravamo essere giunti alla decisione definitiva. Ma guardandoci negli occhi appariva evidente che per nessuno dei due quella che si stava prospettando fosse la soluzione ideale. Un istante più tardi il vaso traboccò. La gentilissima e paffuta signorina, al terminale, pronunciò una frase alquanto infelice ed inopportuna per le mie orecchie, ma soprattutto per le mie tasche.;” Nel prezzo del pacchetto non è compresa la polizza assicurativa (stranamente saltata fuori solo un attimo prima che mettessimo nero su bianco) . Non esitai, mi voltai verso Rossy e con un cenno del capo la invitai ad alzarsi. A quel punto mi tolsi lo sfizio di pronunciare la fatidica frase, che spesso dati i miei trascorsi di venditore di rumore,( così un amico definiva il mio negozio di dischi ) dei simpatici pseudo clienti rompicoglioni mi rivolgevano: “Sono indeciso, la scelta è difficile….ehm…guardi…al limite ripasso!!! Uscii dall’agenzia sufficientemente alterato, e per un istante pensai che forse avremmo dovuto ridimensionare le nostre ambizioni, accontentandoci di una vacanza in una scontatissima e fredda capitale europea. Per carità niente contro Praga, Madrid o Atene, ma sinceramente non credo che possano essere così tanto diverse dalla mia realtà quotidiana, tali quindi da farmi sentire realmente fuori dal mio mondo ed in grado perciò di farmi provare sensazioni profondamente diverse, almeno in questo periodo della mia vita.
Facemmo due passi, che servirono per riflettere e far sbollire la rabbia. Quasi per caso capitammo di fronte ad una piccolissima agenzia spaccia viaggi, fatta su misura per due plebei come noi. Entrammo, e ci bastarano pochi istanti per capire di essere nel posto giusto. Il titolare, mi aveva subito ispirato un immensa fiducia, sarà forse per la sua sbadataggine, o per la sua totale assenza di formalità. Bastò una breve chiacchierata perchè lui capisse le nostre esigenze,…. si allontanò per pochi secondi.
Quando ci si ripresentò davanti teneva fra le mani un fax pressochè illeggibile. Ce lo mostrò.Dopo avergli dato un’occhiata, rimasi per un po’ interdetto. No,…non era possibile…non poteva essere così…questo fu il mio primo pensiero. Lo mostrai a Rossy, che spalancò gli occhi, allora lo ripresi in mano ed andai a cercare il trucco, ero sicuro che da qualche parte seminascosto lo avrei trovato. Ma con mio grande stupore ed immensa gioia ebbi la conferma che con circa la metà dei soldi che avremmo dovuto spendere per Santo Domingo saremmo potuti andare in Messico. Sentii dentro di me un sussulto, poteva essere un sogno che si avverava……il Messico……Era decisamente il massimo che io potessi chiedere. In trenta secondi mi passarono per la mente milioni di immagini che avevo sognato di poter un giorno vedere con i miei occhi. Io e lei ci guardammo e capimmo immediatamente che quello doveva essere il nostro viaggio. Prenotammo e da quel giorno iniziò, per così dire un autentico calvario. Ovvero i trentacinque giorni che ci separavano dalla partenza. Lunghi….interminabili….ma, finalmente……….arriviamo agli ultimissimi attimi che precedono l’ora “x”.
Io non vedo l’ora di salire su quell’aereo, ormai ci siamo quasi, mancano solo 48 ore al decollo. E’ tutto pronto, ho rinnovato il mio passaporto che stava nel cassetto da ben quattro anni. L’ultima volta lo avevo utilizzato per far avverare un altro dei miei sogni, un bel coast to coast negli States, da Miami a Los Angeles, in macchina con altri tre amici. Bè il ricordo di quella splendida avventura, è sempre vivo dentro me, assolutamente indelebile, incancellabile, nessuno me lo porterà mai via. E’ una grande ricchezza che ho conquistato con dei sacrifici, ma ne è valsa la pena ed è per questo che attendo con impazienza questo nuovo viaggio, perchè so’ gia cosa mi darà.
Anche Rossy ha una voglia matta di partire, per lei è la prima attraversata intercontinentale, è un momento molto importante.
Mancano sempre meno ore, ormai le conto quasi una per una. Ho gia iniziato a riempire la mia valigia, come al solito ci metto dentro un sacco di cose che alla fine non utilizzerò, ma questo è un problema che si presenta sovente, lo so già in partenza ma non posso farci assolutamente niente, saprò solo al mio ritorno quali saranno state le cose superflue. Facciamo l’ultimissimo controllo, foglietti alla mano, e dopo aver verificato singolarmente le singole voci presenti nel blocchetto degli appunti possiamo finalmente chiudere la valigia.
Adesso sarà meglio andare a dormire, domani ci attende una giornata dura e faticosa.
Secondo capitolo
Il giorno tanto atteso e’ arrivato
L’atteso giorno è arrivato. Abbiamo un appuntamento con una coppia di amici ai quali abbiamo cortesemente chiesto di accompagnarci all’aeroporto. Loro sono puntualissimi, noi ancora di più. La distanza da percorrere è molto breve, una quarantina di chilometri. Noi abbiamo una gran voglia di parlare del nostro ormai imminente viaggio, ed i nostri due friends, si calano perfettamente nella parte. Ci ascoltano con attenzione, con delle espressioni del viso che lasciano trasparire il loro giustificato sentimento di invidia. Anche per il mio amico Frehley la tierra della siesta e’ una sorta di mito viscerale, mi sarebbe piaciuto tantissimo dividere la mia esperienza anche con lui e con la sua fidanzata . I chilometri passano velocemente, e noi continuiamo la nostra conversazione incrociata. Pochi minuti più tardi giungiamo a ridosso della stazione aeroportuale. Una stretta di mano con Frehley e corrispettiva e la promessa di un piccolo souvenir, da esporre nella loro casetta di campagna, un ultimo saluto e ci avviamo verso la zona riservata al check in. Come spesso accade nel nostro paese l’aereo è in ritardo di circa due ore. Ci rassegniamo immediatamente, anche perchè in questi casi c’e poco altro da fare. Tra le altre cose questo è il primo dei due aerei sui quali dovremo salire, questa può essere considerata la tappa di avvicinamento, verso il volo vero, quello che durerà 13 orette.
Dopo circa centoventi minuti saliamo sul primo aereo, che non è molto grande, tutt’altro. Ricordo l’espressione di Rossy quando lo vide; “E quel cosetto lì sarebbe un aereo….non ci salirò mai!” Cercai di tranquillizzarla, ironizzando sulla faccenda, non so se ci riuscii, ma ugualmente lei salì sul piccolo bimotore ad elica.
Il viaggio fù breve e molto buono. Il tempo era bello, il cielo limpido, ed in un’ora circa arrivammo a Milano.
Era sera, il nostro aereo per il Messico sarebbe partito l’indomani, allora decidemmo di cercare un posto dove passare la notte. Un odioso tassista brontolante ci accompagnò all’hotel prescelto. Il percorso fu molto breve, poco più di cinque minuti. Scaricò le nostre valige prese i soldi ed andò via senza neanche salutare. Un attimo dopo realizzai che ci era stato così tanto ostile perchè senz’altro non eravamo stati sufficientemente redditizi per lui. Aveva dovuto percorrere soli quattro chilometri, guadagnando due soli deca. Cazzo, per noi erano tanti, per lui meno di zero. Dopo esserci rinfrescati, decidemmo di andare a fare un giro, per il paese, bere un paio di birre e rientrare. Così facemmo, ma il posto non offriva gran chè, o per meglio dire assolutamente niente. Di fatti la nostra passeggiata fu molto breve, e decidemmo di rientrare subito in albergo.
Addormentarsi non fu facilissimo, l’adrenalina era sempre maggiore, ed i pensieri si rincorrevano nella mente a velocità vertiginosa. La mattina dopo, ci svegliammo di buon ora, facemmo una tonificante doccia e ci preparammo per uscire. Per arrivare all’aeroporto era necessario riprendere il taxi, lo facemmo chiamare dal direttore.
Per un attimo pensai di rivedere il brontolone del giorno prima, ma fortunatamente non fu così. Qualche istante più tardi il taxi arrivò e con un po’ di stupore mi accorsi che alla guida c’era una donna. Ehi un momento, non sono assolutamente un classista o un maschilista e non voglio assolutamente dare un impressione sbagliata, ma semplicemente mi stupii perchè dalle mie parti i tassisti sono tutti uomini, perciò la situazione mi pareva un tantino fuori dalla norma. In pochi minuti giungemmo a destinazione. Erano solo le 10.30 del mattino, la partenza era inizialmente prevista per le 14.00, ma dopo un rapido controllo degli orari dei voli, capimmo che la nostra giornata sarebbe stata interminabile. Il nostro aereo sarebbe partito alle 17.30. Pensai ad un ritardo ma dopo aver chiesto delucidazioni, all’ufficio informazioni mi dissero che l’orario di partenza era sempre stato alle ore 17.30, l’errore era stato dell’agenzia alla quale ci eravamo rivolti. Feci un rapido flash back, e mi venne da sorridere, pensando alla grande fiducia che avevo riposto nel titolare dell’agenzia nella quale avevo fatto il biglietto.
Impotenti, ci rassegnammo, ed incominciammo a vagare disperatamente da una parte all’altra dell’aeroporto, che per fortuna era sufficientemente ampio, anche se abbastanza monotono e prevedibile. Tra un caffè ed una coca cola, il tempo scorreva, quando finalmente sentiamo la voce robotica della signorina nascosta dietro l’altoparlante chiamare il check in per il volo PE02318 diretto a Cancun. Finalmente ! era ora ! queste furono le nostre prime parole. Ci avvicinammo nella zona di controllo e ci mettemmo in fila. Era una lunga, lunghissima fila che però sboccava poi in due diversi sportelli di check in relativi a due diverse destinazioni. Bè..in quei venti minuti scarsi di fila indiana abbiamo occupato il tempo a controllare prima di tutto i biglietti, i passaporti e via dicendo. A dire il vero abbiamo anche scrutato cercando di capire quali fossero le altre persone con le quali avremmo di li a poco condiviso oltre una decina di ore della nostra vita. Le hostess tolgono il cordone che blocca il tunnel di collegamento, i passeggeri raccolgono le loro borse.
Terzo capitolo
Quando toccheremo terra saremo in Messico
L’aereo è grande, anche se mi era capitato di viaggiare in altri ben più spaziosi. Entriamo in fila indiana e sbirciando il biglietto andiamo alla ricerca dei nostri posti. Le teorie sulla posizione migliore , sono tante. C’è chi dice che il posto migliore sia quello delle file laterali in corrispondenza delle uscite di sicurezza, perchè si possono allungare le gambe, però solitamente c’è vicino la toilette, il che potrebbe rompere un pò le scatole. Qualcun altro dice che si sta’ meglio nella prima fila centrale, sempre perchè è possibile distendere le gambe che in undici ore potrebbero anchilosarsi, ma lì c’è lo schermo gigante ad un metro…che tortura ragazzi! Tutti però sono generalmente concordi che le file da evitare sono le ultime, in prossimità della coda, perché solitamente li si concentrano i tabacco dipendenti che in un volo internazionale data la noia per la lunghezza del viaggio sono capaci di aspirarsi dalle quaranta alle sessanta sigarette. Se poi si ha la sfortuna di essere proprio nell’ultimissima fila, dove anche i sedili sono più scomodi perchè meno reclinabili degli altri..be’ allora!!! Alla fine della nostra ricerca trovammo le nostre postazioni, guarda caso la gentilissima compagnia Air Europe ci aveva riservato due splendide poltrone proprio a ridosso di una parete , per giunta le ultime di una fila poco oltre le ali. Risultato; il bagno proprio dietro le nostre teste ed i sedili meno reclinabili degli altri. Nonostante tutto accettiamo il nostro destino, cercando di farcene una ragione. Le teorie si sprecano ed in due non riusciamo a formularne una credibile. Bah è un caso, noi non siamo stati mai particolarmente fortunati, ma non possiamo lamentarci, siamo pur sempre su un aereo che ci porterà in Messico ficchiamocelo bene in zucca! Il sangue, che era salito in quantità industriale alla testa, incomincia lento la discesa verso il resto del corpo, fortunatamente ci rilassiamo, e ci convinciamo a vicenda che alla fine ognuno ha ciò che merita.
Sistemiamo i bagagli a mano nei contenitori sopra le nostre teste e cerchiamo di prendere immediatamente confidenza con le nostre poltrone, guardandoci intorno, e toccando tutto ciò che c’è da toccare.
Qualche istante più tardi butto l’occhio fuori dal finestrino, e vedo il grigio della pista che comincia a scorrere.
L’idea è quella di dormire, almeno per un paio d’ore, ma l’emozione e l’adrenalina sono nettamente superiori al sonno, che ci sarebbe anche, ma è sopraffatto dalla frenetica agitazione mentale. Dopo qualche ora di volo e dopo aver mangiato qualcosa lo schermo luminoso ci dice che ci troviamo a sorvolare l’oceano, qualcosa si intravede ma siamo troppo in alto per capire realmente cosa c’e’ sotto di noi. Per ammazzare il tempo parliamo del più e del meno, soffermandoci in maniera particolare su quello che ci attenderà nelle prossime ore.
Nell’aereo ci sono quasi trecento passeggeri, e con un po’ di sorpresa notiamo molti nostri coetanei, quasi tutti alla ricerca di forti emozioni nella terra dei Maya. Andiamo avanti tra un giornale, un po’ di musica, un film e la lettura vaga di una guida sullo Yucatan. Superate le otto ore di volo inizia il conto alla rovescia, dallo schermo luminoso noto che stiamo sorvolando le coste del Canada, abbiamo superato St. John, ed in linea d’aria siamo in parallelo con New York. Dopo un’altra ora e mezza circa dando una sbirciata dal finestrino vedo chiare le luci di Miami, immensa bellissima ed affascinante città. Inevitabilmente vengo per un attimo sopraffatto dai ricordi che ho di questa città a cui sono particolarmente affezionato dal momento che fu la prima che visitai nel mio viaggio negli States di quattro anni fa. All’interno della nostra casa volante si inizia a respirare un’aria diversa. Le espressioni del viso dei passeggeri, incominciano a rianimarsi, ricolorirsi. Facce stremate e scure lasciano spazio a visi luminosi ed impazienti, consapevoli che la sofferenza sta per terminare. Anche le hostess, spesso colpite durante il viaggio da attimi di acidità convulsa si lasciano contagiare dal rinnovato entusiasmo dei “viajantes” distribuendo sorrisi anche alle poltrone ed ai finestrini.
Prima di arrivare a Cancun è previsto uno scalo a Merida, antica città coloniale, dove scenderanno alcuni passeggeri. Dopo aver sorvolato l’Avana si inizia la discesa. Dando un occhiata dall’alto mi stupisce la precisione geometrica di Merida ed il suo apparente ordine.
L’atterraggio è salutato con un’ autentica ovazione da parte di tutti noi viaggiatori, ed un doveroso e fragoroso applauso all’indirizzo del comandante. Un attimo dopo veniamo avvertiti che per formalità doganali i passeggeri diretti a Cancun devono scendere per il timbro nel passaporto con relativo visto d’ingresso nel Messico. Appena metto piede nella scaletta dell’aereo sento la stessa identica sensazione che avevo avvertito qualche anno prima sbarcando a Miami. Una gran vampata di caldo che mi si appiccica addosso in maniera inesorabile, in tre secondi mi ritrovo con le mani grondanti di sudore ed ho bisogno di alcuni minuti per riuscire a far pace con l’affanno del mio respiro. La stessa identica cosa capita a Rossy che scende un attimo dopo di me. Mentre attraversiamo la pista diretti all’aerostazione, entrambi incominciamo a guardarci intorno, curiosi, alla ricerca di particolari od immagini che possano in qualche modo farci dire “Si siamo proprio arrivati in Messico”. Pochi secondi dopo incrocio lo sguardo sorridente e simpatico di un uomo della securitad, basso, panciuto, e fornito di immancabile baffo. D’istinto mi volto verso Rossy, anche lei lo ha visto, una sincera risata si impadronisce di noi…”Non ci sono più dubbi, siamo in Messico”. Dopo pochi minuti di attesa ci disponiamo in doppia fila indiana e riusciamo a farci timbrare il passaporto. Dopodichè veniamo indirizzati in una sala d’aspetto, con l’aria condizionata che ci massacra le vie respiratorie. Chiedo una sigaretta ad un individuo losco e scorbutico che mi guarda con la coda dell’occhio ricordandomi per un attimo John Wayne pochi istanti prima di un duello in una strada polverosa del vecchio west. Riesco ad ottenere la sigaretta, mentre un pensiero mi avvolge la mente.” Con tutte le persone apparentemente tranquille che ci sono, dovevo andare a dar noia proprio ad un loffio simile?”
Il pensiero però svanisce subito e dopo dodici ore di astinenza cerco di godermi in santa pace la sigaretta. Faccio appena in tempo a dare l’ultima boccata che il simpatico uomo della securitad panciuto e baffuto ci dice che possiamo risalire sull’aereo. Passandogli davanti noto che mi guarda con un sorriso stampato in quel suo faccione tondo e abbronzato, rispondo con un gesto di saluto che lui ricambia immediatamente.
La stanchezza incomincia ad impadronirsi di noi, fortunatamente solo un’ora di volo ci separa da Cancun . Anche l’atterraggio nella principale città turistica dello Yucatan è buono e viene sottolineato con un applauso di liberazione. C’è molto caldo e cade qualche goccia di pioggia.
Appena scesi dall’aereo andiamo a ritirare i bagagli. L’ansia si impadronisce di me, quando mi accorgo che tutte le valigie mi sono passate davanti tranne la mia. Sono disperato, ma finalmente la vedo, anche lei lenta e stanca adagiata sul tapis roulant scivola verso il suo legittimo proprietario. Il nostro albergo è a circa un’ora da Cancun in una località balneare chiamata Playa del Carmen. Dopo aver individuato il pullman della nostra compagnia, raccogliamo i bagagli saliamo gli scalini e ci accomodiamo in due poltroncine a metà del corridoio. Il caldo è incredibile, faccio veramente fatica a respirare fino a quando l’autista non aziona l’aria condizionata. Vorrei guardarmi intorno per scorgere il paesaggio circostante, ma l’oscurità è inesorabile, per di più lungo la strada non c’è traccia ne di illuminazione ne di segnaletica orizzontale e verticale che sia. Qualcuno si fa’ sopraffare dal sonno, qualcun altro chiacchiera animatamente, qualche altro ancora, come me, fissa l’oscurità con la speranza di intravedere qualcosa.
Il tragitto fortunatamente è breve, la ragazza dell’agenzia accende il microfono, ed incomincia a darci qualche dritta. Ben presto si accorge che nessuno, o quasi la sta’ a sentire . Spegne il microfono lo ripone nell’apposito scomparto e lascia che il silenzio invada la corriera.
Alle tre del mattino arriviamo a Playa del Carmen. Il nome dell’Hotel è tutto un programma, Club Bananas Balcones de Caribe. Come mettiamo piede giù dalla corriera troviamo un accoglienza particolare. Ci era stata preparata una sorta di punzonatura. Ognuno di noi doveva presentare il biglietto di prenotazione a due simpatici paffutelli discendenti Maya, che avrebbero provveduto a registrarci e ad affibbiarci il marchio dell’Hotel, ovvero un braccialetto azzurro che avremmo dovuto portare al polso per tutta la durata del nostro soggiorno. Ultimata la fase della marchiatura, un altro Maya si offre gentilmente di accompagnarci in camera. Si carica sulle spalle i nostri due valigioni e parte come un mulo verso l’alloggio che ci era stato riservato. Mi offro di prendere io una delle due valigie, ma lui non ne vuole sapere. Attraversiamo una parte del giardino, avvicinandoci ad una serie di appartamentini. Facciamo due rampe di scale ed eccoci arrivati. Il nostro e’ il numero 509 b. Ringrazio il gentilissimo Pedro e gli elargisco la prima “propina”, non ho pesos e gli do’ un dollaro. E’ una banconota che mi aveva dato mia sorella prima di partire, le era avanzata da un suo precedente viaggio in Venezuela e Brasile.
L’appartamento è molto bello, un corridoio con due poltrone davanti ad un finestrone che da’sul giardino, un piccolo salottino con un comodo divano, il bagno e la stanza da letto. Tutto molto vivace e colorato, proprio come me lo ero immaginato. Sistemiamo le valige in fretta e furia, ci diamo una bella rinfrescata e senza perdere troppo tempo collaudiamo l’immenso letto a tre piazze.
QUARTO CAPITOLO
BUENOS DIAS MEXICO !!!
L’appiccicosa notte Messicana passa lenta, perchè non riesco a prendere sonno tanta è la stanchezza, ma allo stesso tempo passa veloce, perchè proprio quando sto per abbandonarmi in un sonno profondo la luce filtra dalle fessure della finestra suggerendomi di mettermi immediatamente in posizione verticale. Non ricordo che ora fosse, anche perchè sinceramente credo di aver fatto un po’ di confusione con il fuso orario, comunque di una cosa sono sicurissimo, penso di aver dormito non più di un’ora, forse due. Troppo poco, dopo aver viaggiato per due giorni. Comunque ricordo che i venti minuti passati sotto la doccia furono dei momenti indimenticabili.
La voglia di scoprire il Messico è talmente grande che tutto il resto passa in secondo piano, poco importa se sono stanco morto, in certe situazioni non è possibile lamentarsi. Anche Rossy non ha una bella cera, ma vale lo stesso discorso fatto per me.
Un paio di calzoncini ed una magliettina sono l’abbigliamento più consono al clima caldo umido del settembre Messicano. Sia io che Rossy non ci facciamo pregare, anzi per dirla tutta, almeno per quanto mi riguarda io vestirei sempre così, peccato che da noi sia impossibile farlo. Ma vi immaginate che bella cosa sarebbe, (beh si certo in estate) andare a lavoro con i calzoni corti e le scarpe aperte senza calze? Se ne avessi il potere penso che una delle prime cose che cambierei nel nostro “Bel Paese” sarebbe proprio questa. Già!….. Io condannerei a morte giacche, cravatte doppiopetti e simili. Ci lasciamo dietro le due rampe di scale per avviarci nella zona dove si farà colazione, a proposito….. la fame brulica!!! Per arrivare alla grossa cabanas dove viene servita la colazione, compiamo un breve tragitto attraversando lo splendido giardino tropicale del villaggio.Il cinguettio delle miriadi di uccelli da una sensazione di natura incontaminata, di libertà o qualcosa del genere. Finalmente ecco la cabanas. Stupenda, molto caratteristica. Una enorme capanna di legno con il tetto di foglie di palma essicate. Una costruzione tipica del Messico, ma di un po’ tutta la zona del centroamerica caraibico. Immediatamente dinanzi a noi si presenta una simpatica e gentilissima signorina di cui non ricordo più il nome, che ci chiede il numero della stanza e ci fa accomodare. La colazione è abbondante e varia. Latte, frutti tropicali, caffè lungo, tè, marmellata, tortillas, un’infinità di succhi di frutta, prosciutto eccetera eccetera. Io non faccio complimenti e sistemo subito il conto in sospeso con il mio stomaco. Finita l’abbondante colazione, faccio conoscenza con George, uno dei camerieri del villaggio. Subito il simpaticone vuole mettere alla prova la mia resistenza all’alcool preparandomi un bicchierone di pina colada. Sinceramente ci penso un pò prima di berla…..sono solo le 10.30 del mattino non posso iniziare così la giornata!!! Ma il buon George insiste e mi sento quasi costretto. Mi era capitato altre volte di bere la pina colada, ma in nessun caso era come questa. Il miscuglio che mi aveva offerto il mio primo “vero”amico Messicano era incredibilmente buono, chi poteva pensare che sarebbe stato la mia droga per una settimana?
Tra una pina colada e l’altra c’è il tempo ed il modo per fare un primo superficiale studio sui nostri compagni di viaggio. Ci sono un paio di coppiette ,dalla parlata molto delicata ed elegante si direbbe siano Venete, c’è un gruppetto di quattro ragazzotti spavaldi con il viaggio ed il soggiorno interamente offerto dal paparino.
Ci sono anche altri tre giovani, abbastanza strani. Non danno assolutamente confidenza, forse cercano di ambientarsi un po’ come tutti noi, la cosa che non capisco è il loro dialetto. E’ letteralmente incomprensibile, non ha mezza parola di italiano, non avevo mai sentito una cosa simile. Poi c’e’ una coppia di sposini, e qualche altro gruppetto di vacanzieri avventurosi. Non ci resta ormai molto della mattina a disposizione, ma comunque io e Rossy decidiamo di fare un salto in paese, stiamo fremendo dalla voglia di assaggiare il nostro primo pezzetto di vita e cultura Messicana.
Per raggiungere il vicino centro abitato abbiamo due possibilità. Un taxi o i piedi. Considerato l’entusiasmo optiamo per la seconda possibilità anche per aver modo di vedere e toccare con mano le varie situazioni paesaggistiche e non, che ci dividevano da li al paesotto. Sono circa le 11.00 del mattino e già il caldo è terrificante, ma questo non basta assolutamente a placare la mia esaltazione del turista che va a scoprire i suoi miti. Il cammino non ci riserva particolari situazioni a parte qualche curioso personaggio e le insegne dei negozi o delle bodeguitas, coloratissime e rigorosamente fatte a mano. Ricordo di aver incrociato un signore anzianotto con un faccione scuro , seminascosto dai baffoni che mi guarda ed immediatamente mi saluta, con un grande sorriso mi dice “Ola amigo!! Bella Italia”. Inizialmente un po’ mi sono sorpreso, non tanto per la gentilezza e l’ospitalità dei messicani, cosa risaputa, quanto per il fatto che avesse individuato subito, solo con un mezzo sguardo quale fosse la mia nazionalità. Io mi sorpresi, be!! Quello fu solo l’inizio…
Quinto capitolo
Playa Del Carmen
Dopo circa 30 minuti di cammino finalmente arriviamo nella zona del centro. Si incomincia ad intravedere il vero Messico, il centro di Playa è un autentico tourbillion di colori, odori, aromi. Ci dirigiamo verso la Quinta avenida una lunghissima strada costeggiata da botteghe di artigianato locale ed un’infinità di ristoranti, bar, locali, dove già dalle nove del mattino la “cerveza” e il “margarita” scorrono a fiumi, un vero paradiso per chi ama sentire el sabor tropical. Chicos e chicas che tentano di accallappiare il turista proponendo un’aragosta intera più gustosissimi ed abbondantissimi antipasti Messicani, innaffiati da qualche litro di pura cerveza locale per 200 pesos, equivalenti a 20 dollari a loro volta corrispondenti a poco più di trentacinquemila lire italiane. Inoltre dappertutto si possono trovare due drinks al prezzo di uno, ovvero la cosiddetta “happy hour”, che in Messico non dura un’ora ma circa 24. Per percorrere interamente la Quinta avenida occorrono quasi due ore. Ma non perchè sia effettivamente così tanto lunga, piuttosto perchè ogni due metri sei quasi costretto a fermarti, attratto da qualcosa o da qualcuno. Percorrendo l’avenida in direzione della stazione dei pullmann si arriva in un’ incantevole piazzetta affollata da turisti in cerca di ombra e refrigerio. Li a pochi passi, appunto la stazione dei pullmann, che merita una citazione a parte. Iniziamo dagli stessi mezzi. Vecchissimi, fatiscenti ma comunque ricchi di fascino quelli di linea, ovvero quelli in qualche modo controllati dallo stato. Bellissimi, e dotati di tutti i comfort quelli privati, nei quali per lo più viaggiano i turisti o gli uomini d’affari. Una cosa che comunque colpisce inevitabilmente è la povertà che regna da quelle parti, ma è una povertà diversa da quella che un'”occidentale globalizzato” può immaginarsi. I Messicani come tutte le popolazioni centroamericane hanno una filosofia di vita troppo diversa dalla nostra, povera ma ricchissima di dignità e di valori , che da noi sono scomparsi da tempo immemorabile o forse non sono mai esistiti. I colori delle cose in Messico sono i colori dei Messicani, del loro animo. Il colore delle case rispecchia e rappresenta il carattere. A parte tutto questo, sono stato favorevolmente colpito da alcune cose. Vivendo in Europa, ovvero nella società del consumismo più sfrenato, dell’essere a tutti costi al passo con la tecnologia, che ti fa pensare e ragionare in maniera tale da condizionare il tuo vivere quotidiano, rincoglionito dalla tv dai mass media dai computer da internet, dai cellulari, non si possono non notare delle radicali differenze che ti fanno sentire superficiale e troppo schiavo del progresso che uccide la fantasia e la creatività, oltre a far crescere notevolmente la pancia. E’ incredibile come noi italiani diamo così tanto peso a queste cose. Non riusciamo a vivere senza i comfort. A volte penso che il mondo non sia uno solo , ma che ce ne siano tanti diversissimi tra loro, il cui destino è comunque legato e collegato. Invece il mondo è uno solo ma è diverso a seconda della posizione da cui lo osservi. Una cosa è certa; E’ praticamente impossibile sentire un cellulare squillare nel profondo Messico, e se mai dovesse capitare sarà senz’altro quello satellitare di un ricco turista nordamericano o europeo.
Tornando alla stazione dei pullmann, ricordo di esserci entrato, spinto dalla mia curiosità alla ricerca di immagini da imprigionare dentro la mia macchina fotografica. Una volta all’interno non seppi veramente da che parte iniziare. Il vecchio Messicano mezzo addormentato sulle enormi panche di legno, chicos che giocano, la signora che vende agua purificada, la ragazza che lentamente pulisce il pavimento, un’autista che fa una sosta e si rifocilla con una mega tortilla imbottita con tanto di quel companatico che preso singolarmente avrebbe dato battaglia ad un menù completo in ristorante. E poi un piccolo televisore a colori posto in un angolo in alto nella sala d’aspetto, rigorosamente all’aperto ma protetta da una precaria tettoia, e molti degli abitanti del paese li sotto a guardare attentamente. Due più due fa quattro e rapidamente, compresi che tutti coloro che stavano li a guardare a bocca aperta la tv, purtroppo non ne possedevano una, ed ogni giorno si recavano alla stazione per poter seguire, chi le ultime notizie, chi la partita di baseball o i cartoni animati. Tutto questo va ricollegato al discorso che ho fatto qualche riga fa’, il nostro consumismo contro la loro essenzialità che comunque non è una scelta ma una costrizione. Ad occhio e croce 25-30 anni di ritardo rispetto all’Europa o al Nord America, un ritardo che però ha i suoi lati positivi, rappresentati da ciò che ho detto in precedenza riguardo ai valori ed ai sentimenti, ancora incontaminati. Non credo comunque che questo possa durare per molto, l’occidente sta invadendo con i suoi modi di fare prepotenti e fini a se stessi, questo mondo, che pian piano si sta adeguando, o per meglio dire occidentalizzando. Se le cose in qualche modo dovessero mutare, credo che andrebbe a scomparire una fetta di paradiso, il lato positivo potrebbe essere rappresentato dal fatto che salirebbe il tenore di vita di gran parte dei Messicani, anche se la mia sensazione non è esattamente questa. Fondamentalmente credo che i poveri rimarrebbero poveri ed i ricchi diventerebbero ancora più ricchi.
Si !!!, la stazione dei pullman mi ha fatto riflettere, pensare e ripensare. E’ strano che ancora adesso a distanza di tempo io mi ricordi le sensazioni provate. Per decenni Playa del Carmen è stata soltanto un semplice villaggio di pescatori, sulla costa di fronte all’isola di Cozumel, ma con la costruzione di Cancun, il numero di turisti che percorrono questa parte dello Yucatan è aumentato in maniera considerevole. Adesso molte cose nel centro del villaggio sono fatte a regola d’arte per i turisti. La Quinta avenida è bellissima ma forse, è ancor più bello spingersi nelle zone secondarie. Gironzolando oltre i confini strettamente turistici, è bello vedere le Cocinas, ovvero quei piccoli e simpatici ristorantini spartani gestiti a livello familiare, dove è facile trovare indigeni, ma pressochè impossibile vedere un turista, che non viene attratto in maniera particolare. Effettivamente dando una sbirciatina all’interno di una “cocina”, l’ambiente non risulta affatto attraente. Cinque, sei tavolini, con tovaglie unte dalle miriadi di salse e salsette facenti parte della tradizione Yucateca, caldo torrido reso ancora più pesante dagli effluvi che giungono dalle “parrillias”. L’asado che si trova nelle “cocinas” è pero’ il più buono in assoluto. Arrostito secondo la tradizione e offerto a prezzi non da turista, ma da abitante del posto. Insomma spendendo circa la metà si può mangiare meglio ed in maniera più abbondante: Come ho detto l’unico aspetto poco invitante è rappresentato dal fatto che questo tipo di locali non sono particolarmente accoglienti ed in alcuni casi non hanno nemmeno un tavolo, si deve mangiare appoggiati al bancone. Ricordo che nella nostra ispezione , alla ricerca di aspetti non turistici, ma tradizionali, trovammo tanti piccoli spunti di riflessione. Ad un certo momento la mia curiosità fu attratta da un autosalone. Mi avvicinai alla vetrina e rimasi sorpreso nel vedere in vendita, alcuni modelli di auto e di moto che in Europa non fabbricano più da almeno vent’anni, e li rappresentavano le ultimissime novità. Certo è strano vedere determinate cose, si ha la sensazione di vivere una storia raccontata in fumetto, un sogno, o qualcosa del genere. Ci si sente veramente lontani, dalla routine, è una cosa ai limiti della nostra immaginazione, ma è una cosa bellissima. Nel frattempo la nostra camminata proseguiva ed il caldo si faceva sempre più opprimente, adocchiai nell’angolo di una strada un venditore di “bebidas” e presi una bottiglietta di agua purificada. Rossy voleva a tutti i costi chiamare l’Italia, perciò ci mettemmo alla ricerca di una “caseta de larga distancia” ovvero un posto dove poter effettuare chiamate interurbane e internazionali. Non la trovammo e dal momento che il sole era diventato incredibilmente pungente decidemmo di rientrare in hotel per poi andare a fare un tuffo nel Mar dei Caraibi. Non era il caso di rientrare a piedi, allora cercammo un taxi. Quello dei taxi e dei tassisti, è un capitolo a parte, come del resto la stazione dei pullman. Avreste dovuto vederli!!! Auto fatiscenti, con sedili iperconsumati, tassametro inesistente, amuleti appiccicati da tutte le parti. Mini ed in certi casi maxi ventilatori chiodati nelle capote o nei cruscotti, rivestimenti in pelle e pelo di qualche strano animale della jungla. Ma la vera ciliegina sulla torta era rappresentata da loro…..i tassisti. In nove giorni di permanenza nello Yucatan, posso garantire di averne visto e conosciuto tanti, una media di due, tre al giorno. Sono incredibili!!! Trasandati, sudatissimi, panciuti gentilissimi e disponibili. Il mestiere di tassista da quelle parti è molto diffuso. L’avvento del turismo ha permesso a molti abitanti del posto di lavorare appunto con i turisti. A Playa del Carmen non esistono trasporti urbani oltre ai taxi, e questo non è casuale. Gli amministratori della cittadina hanno interesse a far lavorare i tassisti, che come vi ho detto prima sono un’infinità. Inoltre avere la licenza è molto semplice. Il più delle volte è sufficiente avere un mezzo. Tra l’altro le corse non sono care, è però importantissimo, anzi fondamentale, stabilire il prezzo prima della partenza, onde evitare discussioni. I messicani sono gentili e disponibili, ma tutto il mondo è paese e quindi anche da queste parti si può rimanere fregati.
Trovato il nostro taxi ci facciamo portare all’hotel. Qualcuno conosciuto in precedenza mi aveva avvertito riguardo al prezzo che avrei dovuto pagare per farmi portare in albergo. La tariffa utilizzata, tramite accordi sulla parola tra tassisti era di quindici pesos.
Nonostante il gran caldo ne io ne Rossy siamo riusciti ad espellere una sola goccia di sudore. Capiamo che quello era l’effetto che il caldo umido aveva deciso di fare su di noi. Non è prestissimo ma abbiamo una voglia matta di farci un bel bagno in mare. Ci mettiamo il costume e via. Andiamo a prendere la navetta, e li un’altra sorpresa. Un pullmann anch’esso fatiscente, quasi completamente scassato, con finestrini senza i vetri. Era stupendo ,un pezzo da museo degli anni 50′. Ricordo il simpaticissimo autista, che non smetteva mai di sorridere. Un ,due, tre si parte verso “la playa”, sembriamo dentro un film. Il pullman (?) mette in moto a stento e singhiozzando copre i circa duecento cinquanta metri che ci separano dal mare. Appena arrivati l’autista prende in mano un blocchetto ed annota i problemi che a suo avviso ha il mezzo. Mi capita casualmente di sbirciare, e non riesco a trattenere un vistosissimo sorriso quando vedo che l’elenco dei pezzi da sostituire e’ pressochè infinito, un ‘intera pagina di block notes formato A4……vi rendete conto!!!!!!!!!!!
Sesto capitolo
Il primo bagno nel mare dei Caraibi
Scendiamo dal pullmino, e camminiamo nella finissima e accecante sabbia della “playa”. La sensazione che sto provando è naturalmente indescrivibile, per uno come me il cui sogno di tutta una vita si stava avverando. Rossy era contentissima, anche per lei quello era un momento atteso, anche se ho la certezza che lo fosse molto di più per me. Facendo una rapida panoramica, rimango esterrefatto dalla bellezza del posto, ombrelloni fatti di legno con al posto della tela le foglie di palma essiccate che danno un gradevolissimo tocco selvaggio al paesaggio ,barchette coloratissime dai nomi caratteristici addormentate qua e la sulla battigia, personaggi bizzarri e allegrissimi che distribuiscono sorrisi a tutti, pescatori che ogni venti minuti circa arrivano con il loro barcone sulla spiaggia e scaricano due tre piccoli tonni pinne gialle ( si proprio quelli della pubblicita’) ,chioschi disseminati in tutta la spiaggia a trenta metri l’uno dall’altro. Due enormi casse da almeno 500 watt l’una sparano musica ad alto volume, creando unitamente a tutto il resto un’atmosfera idilliaca di colori, allegria, spensieratezza e semplicità incredibili. Insomma il primo approccio è decisamente positivo, anche se avrei senz’altro gradito la presenza di qualche palma in più. A dire la verità proprio li sulla spiaggia di palme non c’era proprio traccia, qua e la si vedeva qualche piccolo alberello che probabilmente era stato messo li a regola d’arte. A parte questo piccolo particolare il resto andava più che bene. Sistemati i nostri teli da mare sulle sdraio fornite dal ragazzo del chiosco del bar dell’hotel, arriva il momento di andare a conoscere di persona il mare dei Carabi.
I venti passi o poco più che separano le sdraio dall’acqua diventano lunghissimi. Tradotti in termini di tempo corrispondevano a circa 17- 18 secondi, nell’arco dei quali tutti i miei pensieri , sia quelli diurni fatti in stato di veglia (perlomeno apparente), che quelli notturni fatti in stato di incoscienza , ma a volte più logici di quelli diurni , ebbero il tempo di scorrere ai margini della mia mente. Si, per me anche i sogni possono far parte dei pensieri, credo che la notte la nostra mente esca e vada a divertirsi. Alla ricerca di un pò di svago dopo tutta la staticità e lo stress che gli abbiamo offerto durante la nostra giornata. Certo è vero che la nostra mente se esce senza di noi la maggior parte delle volte esagera un pochino, e magari quando rientra, fa casino e ci sveglia, chiedendo aiuto perchè si è cacciata nei guai, però è anche vero che non sempre va a finire così . In numerose circostanze , dopo che l’abbiamo lasciata sfogare ,la mattina dopo ci da degli utili suggerimenti per rendere la nostra quotidianità un po’ meno prevedibile. Il problema è capire ciò che ci vuol comunicare, carpire l’essenza del messaggio. Il difficile è proprio interpretare ciò che ci rivela ogni mattina. Ecco, forse mi stò addentrando in masturbazioni mentali troppo personali, anche se penso realmente ciò che ho detto……già credo proprio che sia così!.
Fantastico!!, semplicemente fantastico!!!. Questa è stata la mia prima espressione dopo aver annegato i miei due 43 nella caldissima e densa acqua caraibica. Già….. calda e densa, un vero piacere immergervisi. Una sensazione strana, sembrava quasi di farsi un bagno in una piscina di latte. Non ricordo esattamente quanto tempo sono stato a bagno, rigogliandomi e sorridendo come un bambino al quale è stato regalato un nuovo gioco, e dal quale non vorrebbe mai più staccarsi. Ricordo solo che il tempo fu sufficiente per aggrinzirmi notevolmente i palmi delle mani. La mia compagna fece il bagno insieme a me, ma uscì dall’acqua dopo pochi minuti, preferendo le botte da orbi date dal sole fortissimo e luminosissimo, alle dolci carezze delle leggere onde del mare.
Uscito dall’acqua incominciai a fare la spola tra il mio ombrellone ed il chiosco delle bibite. Tra una coca cola in bottiglietta formato gigante (da quelle parti le bottigliette sono più grandi perchè c’è più caldo e viene più sete) ed una cerveza locale, trascorriamo un paio d’ore in perfetto relax, pensando al programma per la sera.
Settimo capitolo
La tarde messicana
Una bella doccia ristoratrice è quanto di meglio si possa chiedere dopo essere stati picchiati dal sole. In verità devo dire che la maggior parte dei nostri compagni di viaggio, quasi tutti provenienti dal nord Italia ha decisamente avuto la peggio rispetto a noi dopo aver fatto a botte con il sole. Siamo a settembre, ed io e Rossy abbiamo già una certa confidenza con la grande palla rossa che ci ha ormai dato da tempo la sua benedizione regalandoci un certo colorito piuttosto scuro. In Sardegna, il posto da dove veniamo, il sole è altrettanto forte e noi lo abbiamo visto per circa tre mesi almeno due volte alla settimana perciò, come ho appena finito di dire siamo già diventati amici.a differenza degli altri personaggi che ci stanno facendo compagnia in questa avventura. Hanno tutti la carnagione bianchissima, ed inoltre nessuno di loro, o quasi, è andato al mare in Italia…..vi lascio immaginare, in che condizioni fisiche potessero trovarsi dopo aver passato circa quattro, cinque ore in spiaggia!?!
Dopo la doccia , ci prepariamo ed usciamo dal nostro appartamento dirigendoci verso la zona ristorante. Il cibo è abbondante, come avevamo già potuto verificare a pranzo, a livello di pietanze c’è qualche leggerissima differenza, ma la sostanza cambia poco. Ceniamo rapidamente e ci dirigiamo verso la reception per chiamare un taxi. Qualche istante più tardi, il nostro autista si presenta nei pressi dell’hotel, saliamo in macchina, concordiamo il prezzo e ci dirigiamo verso il paese.
Il tassista ci lascia ai margini della Quinta che è affollatissima, e rumorosissima.
ECCO QUESTO SI CHE E’ IL MESSICO!!! Queste sono le parole di Rossy, quando mettiamo piede nella strada più importante di Playa del Carmen. “Italiano, vieni aqui, prende regalo per la suocera….prezzo baratto!”, “Italiano, Agnelli,Ferrari, Mafia!!!”. A questi poco convincenti tentativi di approccio da parte dei Messicani venditori di tutto di più dovemmo per forza di cose fare il callo. Era il loro modo di attirare l’attenzione, verso i tanti turisti che circolavano. Per la maggior parte italiani, americani e tedeschi . Entrando dentro le botteghe di souvenir e scambiando quattro chiacchere con i venditori, (quasi sempre giovanissimi, a occhio e croce tra i nove ed i quindici anni) scopriamo alcune cose, riguardo ai tipi di avventori .
Gli italiani erano considerati ricchi ma parsimoniosi o per dirla alla genovese “legna verde”. I termini di paragone come ho scritto in precedenza sono dati da ciò che in Messico arriva dell’Italia e degli italiani. La Ferrari, Gianni Agnelli il campionato di calcio e la mafia.. Tutte cose che fanno apparire l’Italia e gli Italiani un paese estremamente ricco e benestante. Gli Italiani però tendono a non spendere molto, e soprattutto a cercare di trattare abbassando il prezzo di qualunque cosa. Per questo motivo vengono considerati esche che abboccano difficilmente. Allora i venditori Messicani per ovviare a questo inconveniente da qualche anno cercano di fare i furbi e quando stabiliscono il prezzo di un oggetto partono da molto in alto, in certi casi anche quattro volte in più del reale valore, questo per avere poi a disposizione un certo margine di trattativa che permetta comunque di guadagnare qualcosa. Lo stesso oggetto può infatti essere venduto a prezzi drasticamente diversi, dipende da quanta voglia si ha di trattare. La cosa forse più difficile è capire il reale valore dell’oggetto in questione . Il metodo che ho usato io è stato molto semplice e scontato, ma devo dire che ha avuto la sua efficacia. Ho semplicemente rapportato in lira italiana il valore attribuito dai venditori, ed in base a quello ho condotto le trattative. In alcuni casi sono riuscito ad acquistare al prezzo che io avevo proposto, ma in altri non c’è stato niente da fare. Questo sta a significare due sole cose. O il valore da me attribuito era realmente troppo basso, quindi inferiore a quello effettivo, oppure era giusto, ma il venditore preferiva non dare a me l’oggetto, aspettando un altro cliente magari più fesso o arrendevole, in maniera tale da poter ricavare di più dalla vendita del pezzo. A volte capita che il turista non sia informato e soprattutto i primi giorni prenda delle cantonate terrificanti. Gli americani invece, hanno il dollaro!!! Sono tutti benestanti e non badano a spese, e con loro i nostri amici yucatechi vanno a nozze. Per quanto riguarda i tedeschi, che comunque sono in nettissima minoranza, si avvicinano più agli americani che agli Italiani.
Tornando al nostro giretto notturno, ci ambientiamo rapidamente al ritmo della noche ed a tutto ciò che ci circonda. Si cammina, si guarda, si beve una birra qua e la e ci si cala completamente nell’atmosfera vacanziera del ridente paese. Tra le altre cose abbiamo un piccolo problema. Non abbiamo fatto in tempo a cambiare i dollari in pesos, perciò ci dobbiamo limitare molto nelle nostre spese, per il momento ci guardiamo intorno ed incominciamo a farci un ‘idea dei prezzi.
Ottavo capitolo
Chichen Itza’
La nottata è trascorsa liscia, il risveglio è buono nonostante l’ora. Abbiamo deciso di prendere parte all’escursione collettiva della giornata. Oggi in scaletta c’è il piu’ famoso sito Maya dello Yucatan… Chichèn Itzà. Be forse il nome in se stesso vi dirà ben poco. Avete presente la pubblicità della Fanta!!! Si l’aranciata! Il ragazzo che scale i gradini di una piramide e proprio quando arriva in cima gli sfugge di mano la lattina che rotolando arriva sin giù? Be ! quella piramide è Chichèn Itzà.
Per arrivarci ci vogliono tre ore di pullman, ed altrettante per rientrare alla base. E’ una vera sfacchinata, ma sono sicuro che ne vale la pena.
Dopo la colazione aspettiamo che il pullman venga a prenderci scambiando quattro chiacchiere con Guido e Silvia, una coppia di sposini milanesi con i quali avevamo fatto conoscenza la sera prima. I due sono sicuramente i più simili a noi, in tutto o quasi, perciò andare d’accordo non è assolutamente un problema…. anzi!!! Credo fossero le sette del mattino, e gia il caldo era notevole. Dopo qualche minuto di attesa vediamo arrivare il pullman, a bordo oltre all’autista c’è un ragazzo che sarà la nostra guida. David, questo il suo nome, ha poco più di vent’anni, ed è alle sue prime esperienze come guida turistica. Il suo italiano non è certamente dei migliori, ma è simpatico e cerca di farsi capire in tutti i modi.
Ci attende un lungo e noioso viaggio, David tiene banco per una ventina di minuti, poi accorgendosi del sonno che brulica all’interno del pullman, decide sapientemente di staccare la spina lasciandoci riposare e riposandosi a sua volta. I 270 chilometri di strada scorrono via in un paesaggio decisamente monotono. Strade dritte e lunghissime, e verde dappertutto. Dopo quasi due ore di viaggio arriviamo a Valladolid. David ci dice che non è prevista alcuna sosta, la faremo al ritorno. Una ventina di chilometri più avanti però, il nostro pullmann si ferma. Siamo arrivati a Kaua. E’ un villaggio Maya caratteristico, o meglio, un rifacimento di un caratteristico villaggio Maya, fatto a regola d’arte per l’ingenuo turista. Una grande piazzuola con tutt’attorno delle palapas . Per carità tutto molto bello, non c’è che dire, il fatto è che persino un bambino si rende conto che il villaggio o per meglio dire il centro commerciale non è altro che un’operazione creata apposta per far sostare i pullman che trasportano i turisti a Chichèn Itzà, alleggerirli un po’ e farli andar via felici e contenti. Le palapas sono stracolme di oggetti, oggettini, cianfrusaglie, idoli Maya, coltelli, tappeti, amache, amuleti e via discorrendo. Per di più i prezzi sono da capogiro, ed è molto difficile portare a conclusione delle trattative. Tra le altre cose la maggior parte degli oggetti in vendita è per così dire “bigiotteria” cioè di poco valore, a parte qualche pezzo che perlomeno da l’impressione di essere fatto con materiali pregiati. Il morbo del souvenir è pero’ in agguato, ed anche noi seppur minimamente, finiamo col farci coinvolgere nelle febbrili trattative che ci valgono due mini totem raffiguranti il dio della pioggia ed un altro oggetto non meglio identificato. Anche i nostri due amici sposini si fanno ingabbiare, ma loro molto più di noi. La sosta dura circa venti, trenta minuti, dopodichè si riparte, direzione Chichèn. La strada si fa stretta e l’autista sembra aver appena visto il film Duel, corre come un pazzo, sinceramente non sappiamo se ridere o toccare ferro. La situazione è singolarmente tragicomica. La zona che stiamo attraversando è molto caratteristica. Dopo tanti posti turistici ed artificiali, mi sento veramente nel vero Messico. Le immagini che scorrono fuori dal finestrino sono incredibili!!! Finalmente un vero piccolo villaggio Maya. Da queste parti hanno proprio lasciato il segno ed ancora oggi i discendenti vivono in maniera perlomeno simile a quella dei loro avi. La povertà ed il minimalismo la fanno da padrone. Le palapas sono scarnissime, all’interno si possono intravedere esclusivamente delle amache, nulla di più. La vita vera e propria si svolge al di fuori, dove le donne svolgono le loro mansioni tra le quali quella di preparare il cibo per la famiglia. La fonte di sostentamento maggiore anche qui è il turismo. Dappertutto è possibile vedere delle bancarelle improvvisate con tappeti e amache, o lavori in legno fatti dalle sapienti mani di questi artigiani che ancor oggi si tramandano l’arte di generazione in generazione. Anche i bambini fanno questo lavoro, e molto spesso sono proprio loro che affrontano in prima persona il turista. Già da piccoli hanno il fiuto per gli affari. Il pullman non si ferma, rallenta soltanto e dopo qualche minuto arriviamo a Chichèn Itzà.
Chichèn è considerata la capitale dell’impero tolteco, e raccoglie una vastissima area di rovine, sia Maya che Tolteche. Il monumento più bello ed imponente è senza dubbio quello che gli spagnoli chiamarono “El Castillo” il castello, nome che affibbiarono spesso a monumenti di questo genere, presenti in varie parti del Messico e del Guatemala.
Una volta scesi dal pullman ci avviamo quasi subito verso l’ingresso delle rovine. Come avremmo constatato anche qualche giorno più tardi, oltre a pagare il prezzo per il normale ingresso, da quelle parti, come del resto in molte altre zone del mondo si paga un piccolo supplemento per poter riprendere con una telecamera. La nostra visita inizia subito con un avvertimento da parte di David la nostra giovane guida: “Ragazzi mi raccomando, state attenti…ha piovuto da poco e quindi potreste tranquillamente imbattervi in qualche serpente, se dovesse succedere state immobili e non fiatate, vi lascerà vivere!”. David era molto simpatico perciò molti di noi perlomeno inizialmente pensarono ad uno scherzo. Ci scherzammo su, lui stette al nostro gioco, ma poi ci confidò che ciò che aveva appena detto era una possibilità che realmente si sarebbe potuta verificare, e se per caso il serpente ci avesse morso ci sarebbero rimasti più o meno quindici, venti minuti di vita. La cosa fu abbastanza scioccante per molti, anche per Rossy che sbiancò immediatamente. Il risultato fu che per circa dieci minuti abbondanti, ovvero il tempo necessario per superare la prima parte di sentiero immerso nel verde della foresta, calò il silenzio totale e la truppa camminò a testa bassa controllando e passando al setaccio ogni centimetro di terra nel raggio di tre, quattro metri intorno a noi. Dopo aver superato il breve tratto di giungla incominciamo a scorgere qua e la le antichissime rovine. L’atmosfera che regna è strana, carica di un’energia misteriosa. E’ tutto così incredibile, ricordo di aver provato una sensazione veramente particolare, un posto fantastico, dove credo che ognuno di noi dovrebbe andare almeno una volta nella vita.
Il nostro cammino prosegue in un caldo torrido, al limite della sopportazione, tra l’altro è praticamente l’ora di punta , manca poco a mezzogiorno, il sole è a picco sulle nostre teste. Non vedo l’ora di ammirare con i miei occhi la famosa piramide che io chiamavo della “fanta”. El Castillo, come ho gia detto prima o Tempio di Kukulcàn, una delle maggiori divinità Maya il cui culto fu introdotto dagli invasori Toltechi che lo chiamavano “Quetzalcoatl”. Non era altro che un serpente piumato, era un Re biondo con grandissimi poteri che secondo gli studiosi fu cacciato dal suo regno, gli altipiani centrali , per poi essere esiliato nel sud est del Messico. La leggenda diceva che egli sarebbe riapparso e avrebbe dato vita ad un epoca straordinaria. La cosa che io ho trovato semplicemente incredibile è il fatto che la piramide contiene nella sua struttura numerosi riferimenti alla misurazione del tempo di cui i Maya erano maestri.
La piramide ha chiaramente quattro lati, con una scalinata per parte. I gradini che compongono ognuna di esse sono 91. Se facciamo il totale includendo anche la piattaforma superiore che si trova in cima otteniamo 365, esattamente i giorni che compongono un anno. Inoltre su ogni facciata della piramide vi sono 52 pannelli lisci che rappresentano il ciclo cosmico di 52 anni, al termine del quale i due calendari, quello religioso e quello secolare, coincidevano, ed il tempo finiva, per poi ricominciare da capo. Un’altra caratteristica sorprendente la si può notare il 21 marzo ed il 21 settembre, durante gli equinozi di primavera e di autunno. Purtroppo noi siamo arrivati con qualche giorno di anticipo, e non siamo stati testimoni dell’evento ma abbiamo avuto modo di farcelo raccontare. Il gioco di ombre creato dal sole, sulla balaustra della facciata nord della piramide , crea l’illusione di un serpente che striscia verso il basso, fino a raggiungere, congiungendosi, la sua grande testa scolpita ai piedi della piramide. I sacerdoti Maya sostenevano che questo fenomeno era il segno con cui Kukulcàn indicava che era giunto il periodo della semina. Viceversa nell’equinozio autunnale, il serpente da la sensazione di arrampicarsi sul lato della piramide, annunciando così il tempo del raccolto.
Una cosa semplicemente fantastica, che ha davvero dell’incredibile se pensiamo che tutto ciò è stato architettato tra il 550 ed il 900 dopo Cristo, più di mille anni fa.
Ma oltre a questo, tante, tantissime altre cose mi hanno letteralmente lasciato a bocca aperta, cose inspiegabili, che ancora oggi rimangono dei misteri irrisolti per tutti i più grandi studiosi del pianeta. E’ il caso dello “Sferisterio”.Uno spazio molto grande di forma rettangolare, con tutto attorno un muro molto alto. Li si svolgeva il gioco della pelota, cosi ribattezzato in seguito dagli spagnoli. Ma non era certamente un gioco come intendiamo noi, piuttosto un rituale, per giunta macabro, anzi macabrissimo!!! Secondo le ricostruzioni, elaborate anche in base a ciò che veniva scolpito nelle pareti che racchiudevano il campo, due squadre che indossavano pesanti imbottiture si disputavano una palla fatta presumibilmente con degli stracci, senza l’ausilio delle mani e dei piedi, solamente con le anche e le spalle. Due anelli in pietra posti lateralmente sul muro all’altezza del centro del campo erano il bersaglio da colpire, o meglio da centrare a mo’ di pallacanestro, anche se erano posti verticalmente e non di piatto o orizzontalmente come appunto nel basket. Secondo me la cosa era difficilissima, quasi impossibile. Ma il particolare più assurdo e’ che secondo ciò che è scolpito nella roccia il capitano della squadra vincente finiva piuttosto male. Veniva decapitato dal capitano della squadra sconfitta, con grande disonore del perdente che il più delle volte poi si suicidava e viceversa, grande onore del vincente. Un’altra cosa, questa decisamente meno tragica ma egualmente misteriosa era il fatto che sempre li al sferisterio, proprio all’altezza della metà del campo, all’incirca in corrispondenza dei due grossi canestri verticali in pietra si verifica una stranissima e misteriosa forma di eco. In sostanza battendo le mani per una volta, si sentirà l’eco per sette volte, come pure urlando. Sette volte, non una di più non una di meno……ma come cazz….facevano stì Maya. La giornata caldissima non invogliava certamente a stare li a far chilometri sotto il sole, ma era tutto così incredibile che ne valeva veramente la pena. Dopo aver visto altri monumenti, piramidi, templi e rovine sparse qua e la ci dirigiamo verso il “cenote”, un’immensa e profonda pozza d’acqua scurissima che i genietti Maya utilizzavano un tempo come unica fonte d’acqua, ma in questo caso specifico, (i cenotes sono diffusissimi nello Yucatan) veniva usato per scopi rituali e sacrifici umani al dio della pioggia “Chaac” . In buona sostanza vi venivano gettate dentro delle persone, e secondo alcune fonti, pare abbastanza attendibili, chi riusciva a stare a galla ed a sopravvivere per un certo periodo di tempo veniva salvato, perchè considerato un prescelto da parte del Dio.
Insomma un posto ricco di magia e mistero, che da veramente sensazioni forti. Sia io che Rossy rimanemmo entusiasti di Chichèn Itza, sarebbe stato veramente un suicidio non andarci, il nostro viaggio avrebbe perso almeno il 30% di interesse, ne sono sicuro, quel luogo non me lo dimenticherò mai, certo abbiamo faticato e sudato 3 magliette, (le altre le avevo lasciate in albergo), siamo stati secchi e pesti nel pullman per sei ore, certo tutto vero…assolutamente tutto vero, ma se potessi lo rifarei già domani.
Nono capitolo
E il viaggio continua!
Un bel giorno di mare , sole e relax e’ esattamente quello che ci vuole dopo un’intera giornata passata in pullmann e sotto il calore ineguagliabile di Chicken Itza.
La spiaggia e la piscina dell’hotel sono perfette per le nostre esigenze, quindi il programma è presto fatto. La serata la passiamo ancora una volta dalle parti della quinta avenida, sempre palpitante e colorata, il vero cuore pulsante della piccola Playa del Carmen. E così tra una pina colada un margarita e le note di un’orchestrina locale entriamo totalmente nel ritmo messicano lento, lento, lento…….
La sveglia suona presto la mattina dopo, in programma un’escursione al sito archeologico di Tulum, accompagnata da una visita con mega bagno nell’acquario naturale di Xchel-ha. Dopo circa un’ora e mezza di pullmann arriviamo nella splendida Tulum. L’unico sito Maya costruito sul mare. Una vera e propria fortezza, un porto con ad alcune centinaia di metri dalla riva la barriera corallina che lo proteggeva dalle insidie del mare e dei bucanieri. Un’immagine che avevo visto un centinaio di volte in libri, giornali o riviste sui viaggi. Sembra molto strano poi avere la possibilità di vederla realmente, con i tuoi occhi.
Tra le altre cose c’è un mare splendido con due, tre piccole spiagge invoglianti, ma il tempo a nostra disposizione è poco, dobbiamo andare via . Dopo pochi chilometri, sulla strada del ritorno arriviamo all’acquario naturale. Un paradiso, un labirinto di canali e piccoli laghetti semplicemente stupendi, dove è possibile fare snorkeling, ovvero noleggiare pinne, maschera e boccaglio e nuotare sul pelo dell’acqua osservando gli splendidi fondali ricchi di vegetazione e pesci tropicali coloratissimi di ogni taglia e dimensione.
Be’… io ricordo di aver sguazzato felice insieme a Rossy per circa due ore, senza sentire la stanchezza, estasiato come un bambino circondato dalla nutella per tutto ciò che mi si parava davanti. Ricordo molto chiaramente di aver incrociato due pesci pappagallo, enormi e coloratissimi. Devo confessare di aver avuto anche un pizzico di timore quando stavano a non più di due metri da me. Anche li nel parco naturale però la visita e’ stata decisamente breve. Troppo poco tempo a disposizione per poter affermare di aver visto bene quel posto. Diciamo che ci siamo fatti un’idea. Ma questi sono gli inconvenienti delle escursioni guidate. Purtroppo la nostra eccellente Cicerone di cui non ricordo più il nome, ci aveva richiamato. Vamos!, Vamos! Chicos! E allora tutti sul pullmann con negli occhi ancora quello splendido paradiso tropicale.
Il tragitto per rientrare a Playa è piuttosto breve, tra le altre cose è abbastanza presto perciò decidiamo di rilassarci un pochino dalle parti della piscina e del bar. Ora che ricordo, forse……. un po’ più dalle parti del bar. Dopo esserci rigogliati per benino, andiamo a mettere qualcosa sotto i denti, la fame incomincia a brulicare ferocemente. Dopo cena incominciamo ad assaporare le varie specialità del nostro amigo barista. Be’ è la fine!! Nel senso che si sta cosi tanto bene, sotto la palapa con il bicchiere sempre pieno che la serata può concludersi anche cosi, vasito, sobra vasito. Per di più sono pienamente coadiuvato da Guido che dopo la prima mezzoretta ha il sorriso stampato e fisso sulla faccia. Pensate com’era dopo la quarta e ultima mezzoretta!!!
Decimo capitolo
Cozumel
La serata si è conclusa in maniera decisamente festosa, ma nonostante tutto abbiamo trovato il tempo e la voglia di preparare il programma per il giorno successivo. Cozumel o Isla Mujeres? Dopo aver dato una rapida occhiata alle guide di cui siamo in possesso optiamo per la prima. Cozumel è un ‘isola proprio di fronte a Playa del Carmen. La sua caratteristica principale è che risulta assolutamente piatta. Osservandola dalla spiaggia di Playa del Carmen si ha la sensazione che le costruzioni poggino direttamente sul mare, la terra non si vede assolutamente. Dopo aver fatto i biglietti ci mettiamo in coda ed aspettiamo di salire sulla motonave. Dopo circa 15 minuti arriva il nostro turno. L’imbarcazione è abbastanza accogliente. Una trentina di file di sedili, tutti al chiuso e rigorosamente con l’aria condizionata al massimo. Ricordo di essermi dovuto arrangiare con un telo da mare, usato a mo’ di coperta, il freddo era esagerato. Sull’isola c’è praticamente un solo centro abitato, San Miguel, un agglomerato che in precedenza viveva esclusivamente dalla pesca. Oggi la risorsa principale e’ rappresentata dal turismo, soprattutto quello nord americano. Storicamente l’isola di Cozumel dopo il 900 divenne un importante snodo commerciale ed un centro del culto della dea Ixchel. Le donne giungevano qui chiedendone l’intercessione in materia di amore e fertilità. Ci sono ancora tracce di una decina di siti Maya che dovevano essere mete di pellegrinaggi. Dopo l’arrivo degli spagnoli la popolazione fu decimata dalle malattie, l’isola divenne quasi disabitata per essere colonizzata una seconda volta dagli indios dopo la Guerra delle Caste. Via via la popolazione crebbe, e si scoprì un’altra risorsa presente nel piccolo territorio; gli alberi dai quali si ricava la gomma da masticare. Dopo l’esplosione turistica di Cancun anche Cozumel è diventata meta di visitatori. A San Miguel è possibile trovare sistemazioni in alberghetti economici ma anche il confort ed il lusso dei grandi hotels. Fondamentalmente l’attrazione principale è la barriera corallina, considerata dagli esperti la più bella del mondo. E’ quindi facile vedere la piccola isola invasa da appassionati di “diving” o “snorkeling”. Dopo questa parentesi tratta dal nostro libricino guida torniamo a noi! Appena sbarcati nel piccolo porto di San Miguel veniamo accolti da una fortissima pioggia tropicale che ci fa sentire la famiglia Fantozzi. Fortunatamente dopo dieci minuti la pioggia cessa, le nuvole spariscono ed il sole fa la sua comparsa, più caldo che mai. Il nostro prossimo obiettivo è quello di noleggiare un mezzo, possibilmente una jeep. Non facciamo in tempo a metter piede giù dal battello che ci si parano davanti decine di rappresentanti di “rent a car” che ci propongono le loro jeep ed i loro scooter. Mi fermo a parlare con uno di loro che mi fa vedere la foto di una jeep dicendomi che per 40 dollari è mia per tutto il giorno. Mi consulto con Guido e decidiamo che per noi è ok. Il giovane allora ci accompagna nel posto in cui la macchina è posteggiata, il tempo di registrare i documenti prendere le chiavi e via!!! Dopo aver messo nel serbatoio lo stretto necessario per compiere il periplo dell’isola incominciamo l’avventura. Chi può andare alla guida se non Guido!! ( forse potevo risparmiarmela!?). I primi cinque minuti servono per orientarsi e prendere confidenza con la quasi inesistente segnaletica messicana. Qualche automobilista indigeno ci manda platealmente a quel paese, ma è chiaro che non ce ne può fregare di meno, anzi la situazione è assolutamente esilarante . L’isola è molto piccola e le cose da veder non sono tantissime. La prima sosta la facciamo nel versante est quello che da sul mare aperto. E’ uno spettacolo bellissimo, il vento è piuttosto forte ed agita il mare che si infrange sulle rocce e sulla sabbia bianchissima creando uno spettacolo molto eccitante. Proseguendo nel percorso obbligato ci imbattiamo nel coloratissimo “Paradise cafe’and Rasta’s”un grande chiosco sulla spiaggia che sa tanto di caraibi con i suoi colori accesi ed i suoi riferimenti ad una delle più forti tradizioni musicali e culturali del centroamerica, il reggae. Facciamo una piccola sosta e proseguiamo per fermarci ancora nella bellissima spiaggia di Palancar. Li, troviamo una coppia di giovani sposini italiani con i quali scambiamo impressioni e consigli sui posti visti o da vedere. La chiaccherata è cordiale e non sarebbe potuto essere altrimenti. Quando si è in un paese straniero fa piacere incrociare dei connazionali e condividere anche solo per un attimo le sensazioni che si stanno provando. Risaliamo sulla nostra jeep decapottabile e riprendiamo la strada. Qualche foto qua e la, agli angoli caratteristici lungo la strada, una bancarella con in vendita coloratissime amache il cui venditore ha con se al guinzaglio una piccola scimmietta usata come esca per i turisti occidentali che non possono resistere al fascino di una foto insieme al giocoso animale. Si fermano e via il gioco è fatto. Il nostro caro amico sarà lieto di offrirvi la povera scimmietta per due o tre scatti e nel frattempo cercherà di rifilarvi le sue cianfrusaglie. E state certi che pur di farlo stare zitto magari comprerete un portachiavi, una statuetta Maya un telo con i colori tipici del folklore messicano o altre cosette. Qualche chilometro più avanti svoltiamo sulla destra seguendo un cartello che indica la presenza di un sito Maya. Arriviamo in un piccolissimo agglomerato. Quattro o cinque case, una piccolissima chiesetta, un patio e l’immancabile negozietto di souvenir (sempre le stesse quattro cianfrusaglie). Non abbiamo neanche il tempo di spegnere il motore che vediamo avvicinarsi un vecchietto con la faccia da Maya. Ci guardiamo in faccia e capiamo immediatamente quali sono le sue intenzioni. Dopo pochi secondi è li davanti a noi, ci saluta ci dice che li dove abbiamo posteggiato, le macchine stanno benissimo (ci mancava solo il contrario, non c’era anima viva) e ci dice di seguirlo, perché lui sarà la nostra guida. ( si…ma chi cazz glielo ha chiesto!!!) Il giro e’ brevissimo, ci soffermiamo in una piccolissima grotta, che sembra un ripostiglio e lui ci dice che quello è un resto dei Maya. Subito dopo è la volta della chiesa. A dire il vero molto caratteristica anche se abbandonata e assolutamente fatiscente. Il nostro Cicerone ci tiene a rimarcare che i cinque banconi che ci sono all’interno della minuscola chiesetta sono stati donati dal comune di Monterrey (mmm…..vvvabbè). Dopo mezzora circa di “visita guidata” decidiamo che è il caso di mettere in moto, non prima di aver lasciato una piccola mancia o “propina” come dicono loro, al gentilissimo vecchietto armato di buona volontà. A questo punto il giro dell’isola è pressochè terminato. Diamo un’occhiata alla guida dei ristoranti, dal momento che la fame si fa sentire. Purtroppo quello che abbiamo scelto non esiste più. Già, la guida è stata stampata due anni fa e nel frattempo quel ristorante è scomparso, ciò che resta è qualche sedia, due tavolini e mezza insegna. Qualche metro più avanti troviamo una specie di Mc Donald mexicano. Non è caratteristico ma va bene lo stesso. Okay lo ammetto non è stato un pranzo eccezionale, ma non faceva neanche schifo. Abbiamo un’oretta di tempo per gironzolare tra i negozietti del centro di San Miguel, e la sfruttiamo per fare qualche piccolo acquisto. Ormai ci siamo assolutamente assuefatti al modo di fare dei commercianti messicani che con noi non hanno per niente vita facile. Non facciamo grandi acquisti ma tutto sommato ciò che portiamo via è carino, caratteristico e soprattutto lo paghiamo veramente poco. Si è fatto tardi, Rossy e Silvia vanno verso la motonave, mentre io e Guido andiamo a restituire la jeep. Arrivati nell’ufficio del noleggio i peones cercano di fregarci. Be’ a dire il vero un po’ ce lo aspettavamo e non ci siamo fatti di certo cogliere impreparati. Già la mattina al momento di prendere in consegna la jeep avevamo notato il cattivo funzionamento della lancetta del serbatoio che si bloccava, indicando la riserva. Lo abbiamo fatto notare all’impiegato di turno che con un dito ha fatto pressione in un punto ben preciso del tachimetro e come di incanto la lancetta era salita fermandosi a metà del serbatoio. Dopodichè ci aveva detto, “okay non c’e’ alcun problema, è solo un piccolo difetto”. La sera noi avremmo dovuto consegnare la jeep con la stessa quantità di benzina. In realtà poi durante la marcia, la lancetta saliva e scendeva in continuazione e questo ci aveva indotto a pensare che erano stati proprio loro, volutamente, a manipolarla. Un modo come un altro per gabbare il turista facendogli credere che aveva consumato tutta la benzina. Probabilmente questo trucchetto a loro è riuscito parecchie volte ed ho ragione di credere che le vittime principali siano stati gli americani. Al momento della riconsegna non c’è l’impiegato della mattina, al suo posto una giovane ragazza che fa finta di non sapere assolutamente niente e che con fare sicuro e deciso fa un giro intorno alla jeep, per addebitarci eventuali danni alla carrozzeria e poi controlla il livello della benzina. Accende il quadro e la lancetta guarda caso rimane inchiodata sullo zero. La dolce signorina ci addebita immediatamente ciò che secondo lei manca, ma è proprio quello che sospettavamo ed in un certo qual modo aspettavamo. Loro sapevano benissimo che la benzina era dentro il serbatoio, e noi sapevamo benissimo che loro stavano facendo finta di non saperlo. Abbiamo cercato , in un primo momento con le buone maniere di spiegare che la lancetta era difettosa e che il collega al momento della consegna dell’auto aveva dovuto percuotere il tachimetro facendo pressione sulla plastica all’altezza della lancetta. La chica volpes però continuava a dire “no gasolina, no gasolina”. A quel punto non nego che sia io che Guido ci siamo sentiti presi per il culo e con le dovute maniere lo abbiamo fatto capire alla signorina, che forse aveva bisogno di vedere in primissimo piano le nostre ugole , per capire che non le avremo mai e poi mai dato un centesimo in più di quanto pattuito. Ci aveva rotto a sufficienza i santissimi perciò il giochetto era finito. Turisti si, coglioni pure, ma fino ad un certo punto! Ecco, questo è uno dei problemi che potreste incontrare sull’isola di Cozumel. Se decidete di noleggiare un mezzo, controllatelo minuziosamente, ed occhio alla lancetta della benzina…loro ci tentano sempre!!!
La giornata nell’isola volgeva al termine, c’era spazio però per un’ultima emozione. Qualcuno (Rossy n.d.r.) aveva perso il biglietto del battello per il ritorno. Lo ha dovuto rifare spendendo praticamente il doppio!!!
Undicesimo capitolo
Tra una pina colada ed un salto nel “paradiso del turista”……
Una giornata bella e movimentata quella passata a Cozumel. Il sole, il vento, le emozioni che tuttavia al rientro nel villaggio non ci pesano più di tanto ( fisicamente parlando). Mettiamo in atto la solita routine che prevede, doccia, pina colada, cerveza, caipirina e dulcis in fundo un bel Italia-Resto del mondo di pallavolo in piscina. Ricordo che Guido aveva optato per la tribuna d’onore a bordo vasca, completamente circondato da bicchieri, cannucce e bottigliette. Io invece mi ero sentito fiero di rappresentare la mia nazione in terra straniera (non capita mica tutti i giorni). Di quella pseudo partita ricordo le terrificanti legnate di un corpulento biondo proveniente dall’Irlanda o dalla Scozia. Un pazzo furioso che sparava missili in tutte le direzioni accompagnandoli con urla lancinanti che creavano un notevole livello di inquietudine tra noi altri poveri pancettari. Il britannico era totalmente preso dal furore agonistico, incitava i compagni, ringhiava in continuazione….cazzo voleva vincere a tutti i costi. Ma dico io!… sei in vacanza a più di diecimila chilometri dalla tua casa, ma…..dove le trovi le motivazioni per incazzarti in questo modo? Eh..già questo per me rimarrà un mistero. Intanto Guido assumeva una posizione sempre meno eretta ed ogni sette minuti circa con la sua risatina contagiosa ed il naso completamente spellato attirava la mia attenzione con puri e semplici gesti ( emettere suoni sensati era diventato utopistico) e mi allungava cocktails ogni volta diversi. Dopo la partitina e gli aperitivi tutti a cena sotto la grande palapa. Il mattino seguente ci svegliamo un po’ più tardi del solito. Abbiamo i nostri motivi. Primo: per tutta la settimana siamo scesi dal letto all’alba perciò possiamo concederci il lusso di dormire un’ora in più. Secondo: Abbiamo aumentato il livello del condizionatore perciò non abbiamo sentito assolutamente il caldo appiccicoso che disturba il sonno. Terzo: I bicchieroni con dentro rum e coloranti vari si sono fatti sentire. Quarto: Non abbiamo fatto programmi e non abbiamo voglia di compiere escursioni particolari. Quinto: Sono ca.. nostri!
Con calma assoluta ci prepariamo ed andiamo a fare colazione. Tra un succo di papaia ed una tortilla alla marmellata stiliamo il nostro programmino. La mattina è dedicata al relax assoluto nella spiaggia a due passi dal villaggio, mentre nel pomeriggio si va a Cancùn.
Cancùn è senza dubbio la città più turistica dello Yucatan e forse di tutto il Messico. Ciò che fa riflettere è il fatto che venti anni fa era un piccolo villaggio nella giungla. In pratica il governo messicano ha voluto fare un vero e proprio investimento turistico. Ci si è accorti che la zona poteva essere interessante sotto questo aspetto (bella com’è) ed in due decenni è nato una sorta di paradiso per turisti. A Cancùn oltre lo spagnolo quasi tutti parlano inglese. E’ una città americanizzata, sembra di essere a Miami. D’altronde con la capitale della Florida ci sono molte similitudini. La zona strettamente turistica che a Miami è Miami beach a Cancùn si chiama zona hotelera. Nella zona hotelera è possibile trovare di tutto. Alberghi immensi, locali mondani di ogni genere per giovani e meno giovani, centri commerciali e via dicendo. Per arrivare nella cosiddetta capitale del turismo avremo potuto optare per un taxi, ma cinquanta dollari ci sono sembrati un po’ troppi. Molto meglio la corriera privata. Poco più di tre dollari, televisore con telenovela in lingua originale, una certa comodità, ma soprattutto la possibilità di stare a contatto di gomito con dei veri messicani. Chi prendeva il mezzo erano infatti per lo più dei lavoratori pendolari. Arrivati in città la cosa più difficile è stata orientarsi. Avevamo circa tre, quattro ore a disposizione. La stazione dei pullman era nella Ciudad Cancùn ovvero non nella zona turistica. Sarebbe stato bello avere il tempo di vedere entrambe le zone per potersi poi fare un’idea più precisa. Dopo lunghe consultazioni tra di noi scegliamo la linea di autobus che riteniamo giusta. Fortunatamente una signora molto gentile e premurosa capisce che siamo dei turisti fai da te e ci da la dritta giusta. Grazie al cielo!!! L’autobus che avevamo intenzione di prendere ci avrebbe portato in tutt’altra zona.
Il mezzo è decisamente affollato, anche se non c’è l’ombra di un turista. Dopo un paio di fermate si liberano due posti a sedere e noi logicamente ne approfittiamo. Le fermate si susseguono con un ritmo piuttosto inusuale per noi, ad occhio e croce c’è ne una ogni centocinquanta – duecento metri. In una delle tante sale sull’autobus un uomo completamente vestito di bianco che suscita la nostra attenzione. E’ una sorta di “mariachi” il tipico suonatore di chitarra messicano. Al posto della sei corde però ha con se il “tres” che per chi non lo sapesse è una piccola chitarra con tre sole corde, (da qui il nome) tipica del folclore messicano e cubano. Dopo pochi secondi l’individuo incomincia a far lavorare l’ugola con una canzone che sa tanto di nenia, accompagnandosi con lo strumento. Di quei momenti ricordo l’incrocio di sguardi tra me e Rossy. Non ci trovavamo di certo di fronte ad un grande artista e la sensazione fu che anche gli altri passeggeri la pensassero come noi, dal momento che nessuno (a parte noi unici turisti spinti dalla curiosità) degnò di uno sguardo e tanto meno di un pesos il coraggioso personaggio. Spinto da un latente senso di solidarietà verso la categoria, mi frugai le tasche e lasciai qualcosa all’uomo che ringraziò ed alla fermata successiva lasciò il mezzo capendo che avrebbe dovuto cercare di guadagnarsi il pane da un’altra parte, magari nell’autobus che ci stava a ruota. Alcuni chilometri più avanti decidiamo di scendere attratti da una fitta serie di insegne luminose, sulle quali troneggia quella del hard rock cafè, che ci indicano la zona con più movimento. E’ piuttosto presto, forse le cinque del pomeriggio, ancora i locali dormicchiano. Camminando scorgiamo un mercatino molto colorato e ci buttiamo a capofitto alla ricerca degli ultimi souvenir per parenti e amici. La delusione è grande quando ci accorgiamo che si tratta del solito specchietto per allodole per turisti. Magliette, gadget di ogni tipo, statuette maya, amache e tappeti di pessima qualità a prezzi sconcertanti. Decidiamo di lasciar perdere ed andiamo alla ricerca dell’uscita. Un impresa questa, non facile. Il mercatino è un vero labirinto ed inoltre i venditori cercano di accalappiarci in ogni modo. Fortunatamente troviamo lo sbocco ed abbandoniamo il postaccio. Dopo pochi metri mi si para davanti agli occhi una perfetta riproduzione di Gibson Les Paul alta trenta metri, facendoci intuire che siamo arrivati al hard rock cafè. Ne avevo già visti altri, a Londra, Madrid, Barcellona, Atlanta, Los Angeles, Miami e via dicendo, però l’emozione di visitarne uno nuovo c’era sempre e si faceva sentire. Per Rossy era una novità perciò a me spettava il compito di prepararla all’avvenimento. Una volta entrati, ho trovato il locale molto simile a quello di Miami anche per quanto riguarda la posizione, a pochi metri dal mare. In quelli dove ero stato in precedenza avevo consumato una sola volta, per giunta un bicchiere di coca cola e mi ricordavo di prezzi esorbitanti. Per non rischiare, considerato anche che oramai abbiamo i soldi contati, andiamo sul sicuro e ci accontentiamo di due bottigliette di coca. Uno dei ricordi più limpidi e gradevoli è senz’altro la cameriera che ci ha servito al tavolo. Nella mia settimana in Messico seppur con circospezione data la presenza di Rossy, mi sono guardato intorno per capire un po’ la situazione relativa alle muchachas. Mi interessava fare una sorta di indagine visiva. Insomma per dirla tutta volevo capire a che livello fosse lo standard messicano. Sarà stata la zona, lo Yucatan ricco di discendenti Maya (geniali ma decisamente brutti dal punto di vista fisico) o la generale poca cura di se che mi sembra di aver avvertito tra le donne del posto, così che l’opinione che mi sono fatto non è stata molto positiva. Forse proprio per questo motivo ricordo quasi con amore la giovane cameriera del hard rock. Molto, molto carina, oltre che gentilissima e piuttosto socievole. Alla vigilia della mia ultima noche messicana potevo così ritenermi soddisfatto, ero riuscito ad incontrare almeno un volto di ragazza da conservare in un angolo della memoria alla voce Caraibi. Dopo circa tre quarti d’ora lasciamo il locale e proseguiamo la nostra passeggiata dirigendoci verso il centro della città tra decine di insegne di bar, locali, ristoranti, fast food e così via. Stanchi di camminare prendiamo poi l’autobus e scendiamo proprio davanti alla stazione dei pullmann. E’ ancora presto perciò facciamo un giro nei dintorni per gustare la zona meno turistica che essendo più reale ci fa un impressione nettamente migliore. Tra le altre cose i prezzi sono molto più bassi considerato che in quella zona la maggior parte delle attività commerciali sono rivolte agli abitanti del posto. Tornati indietro alla stazione dei pullmann faccio i biglietti senza intoppi e saliamo sul mezzo pubblico. I biglietti sono numerati ed una volta salito sulla corriera mi accorgo che il posto è occupato da un’anziana signora. Penso di non disturbarla e mi accomodo nella fila successiva fino a quel momento libera. Dopo qualche istante però un messicano verace mi si para davanti dicendomi chiaramente di alzarmi perché sto occupando il suo posto. A quel punto sulla corriera non c’è più un sedile libero e mi trovo costretto ad andare per forza di cose dalla signora che occupa il mio posto. Tutto mi sarei aspettato ma non una reazione così indifferente della donna che al mio invito quasi no mi guarda neanche in faccia. A quel punto anche la persona più calma.
In un paese straniero in mezzo a pericoli sconosciuti…….si incazza!!! Vado immediatamente a fare le mie rimostranze al controllore che capisce subito la situazione nonostante il mio spagnolo, che già di base non è un gran che, in quel momento d’ira funesta era diventato un misto di italiano, sassarese, sardo e dulcis in fundo spagnolo. Dopo pochi istanti la situazione si chiarisce definitivamente con una serie di spostamenti degni del calciomercato estivo in Italia. La signora viene fatta accomodare in una altro sedile precedentemente occupato da un baffuto lavoratore del posto privo di biglietto numerato che viene spostato in un ‘altra zona non numerata. Io finalmente prendo possesso del mio posto, ma nonostante abbia fatto due biglietti uno dopo l’altro Rossy risulta immediatamente dietro di me. Dal momento che nella tv di bordo danno una telenovela in spagnolo, già vista nel viaggio di andata e comunque perlopiù incomprensibile per me dopo una giornata piuttosto dura, chiedo cortesemente al signore che ho a fianco di scambiare il posto con Rossy in maniera tale cha possiamo stare vicini, se non altro per chiacchierare un po’ nell’ora di viaggio che ci separa da Playa del Carmen. L’uomo capisce la situazione e si sposta immediatamente, lasciando il suo posto a Rossy.
Dodicesimo capitolo
Si torna a casa
L’ultima notte al Club Bananas passa velocemente, tanto che appena svegliati la sensazione è quella di aver dormito un paio d’ore. Forse l’entusiasmo sta scemando, l’adrenalina incomincia a tornare sui livelli standard e perciò la stanchezza si fa sentire un po’ più del solito. Non abbiamo molto tempo a disposizione, anche se la partenza è prevista per le dieci di sera dobbiamo organizzare i bagagli e fare ancora qualche acquisto quindi dopo la colazione ci organizziamo e raggiungiamo subito il centro abitato. Il solito giro nella Quinta avenida per spendere i pochi pesos che ci sono rimasti che vanno via in cianfrusaglie varie da distribuire al nostro ritorno. Verso l’ora di pranzo rientriamo nel villaggio. Nel primo pomeriggio, in piena digestione siamo costretti in tutta fretta a preparare le valige perché ci è stato comunicato che dobbiamo lasciare libera la stanza. Praticamente saremmo dovuti rimanere per cinque – sei ore sbattuti in un angolo del giardino o del bar in attesa dell’orario di partenza. Ho detto saremmo perché poi alla fine questo non è successo. Un momento è successo, ma non a noi, nel senso che i nostri due amici di viaggio Guido e Silvia che avevano (beati loro) un’altra settimana di soggiorno ci hanno concesso l’uso della loro stanza. Grazie a questo abbiamo potuto trascorrere la serata prima al mare e poi in piscina, prima di usufruire della loro doccia. Dopo aver a lungo chiacchierato con Julio l’animatore del villaggio, alle 22.00 è arrivata la chiamata. Ricordo i calorosi saluti a tutto il personale del “Bananas” cordiale e gentilissimo per tutta la durata del nostro soggiorno. Ricordo anche di aver pensato che nella mia vita non avrei mai più rivisto nessuna di quelle persone che per una settimana hanno condiviso con me questa fantastica esperienza. E qui mi riferisco ai compagni di viaggio. Ricordo di aver incrociato lo sguardo allegro ed al tempo stesso triste del barista George, che in quel momento per me ha rappresentato la faccia del Messico.
Durante il volo tra Cancan e Milano nella mia mente incominciano a scorrere i titoli di coda. Il viaggio sta per terminare, poche ore ci separano dall’arrivo in Italia. Le sensazioni che si avvertono non sono bellissime, rapidamente si lasciano scorrere le immagini più significative di queste giornate trascorse ad oltre diecimila chilometri da casa. Ciò che si percepisce è un totale senso di impotenza di fronte al tempo che è volato via velocemente e inesorabilmente. Un attimo dopo però si ha la forte e contrastante sensazione di essere in viaggio da mesi; Se si pensa alla propria casa, sembra così tanto lontano il giorno in cui si è partiti che si trovano difficoltà a ricordare chiaramente e nitidamente proprio ciò che si è fatto il giorno della partenza. Questo accade semplicemente perché in una settimana si sono provate tante e tali nuove emozioni che arricchiscono e riempiono il serbatoio della nostra mente, abituata ad andare avanti nella monotonia della vita quotidiana, con la spia della riserva perennemente accesa. Un indigestione, una full immersion, un overdose di sensazioni positive che nutrono la nostra fame di conoscenza e libertà ma che non la saziano; Per quanto mi riguarda anzi, è proprio il contrario. Il viaggio è il miglior stimolatore per la mente, il carburante più efficace Il pericolo, se così si può chiamare è quello di diventare un “viaggio – dipendente” e di vivere ogni giornata della propria vita sognando di partire qua e là. Be’…viaggiare è il sogno di tutti o quasi. Riuscire a farlo spesso è praticamente impossibile per la maggior parte di noi. I costi sono elevati, la vita è sempre più cara, il dollaro non fa altro che salire, c’è poi il problema della casa e quindi del mutuo, un debito vita natural durante o quasi, una cosa assurda, ma perché le case costano così tanto? Ciò che mi consola è che comunque, quando ne sento il bisogno posso usare il ricordo come ancora di salvezza. Con questo non voglio assolutamente dire che vivo di ricordi, ma che i bei ricordi aiutano a vivere. Tornare indietro con la memoria, proprio come ho appena fatto scrivendo queste righe, aprire il grande calderone e sollazzarmi ripensando ai viaggi che ho avuto la fortuna di fare nella mia vita. Tutto questo per colmare il vuoto che mi separa dal prossimo viaggio.
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