di Katia –
Avendo già scritto il nostro primo diario di viaggio l’anno scorso in Messico “Katia e Dani in giro per il messico”, ed avendoci preso gusto, abbiamo deciso di scrivere anche quest’anno. Ne approfittiamo per salutare i nostri compagni di viaggio Luigi e Daniele, Simona e Ignazio e tutti gli altri con i quali ci siamo divertiti un casino.
DOMENICA 22 agosto
Anche quest’anno la sveglia è all’alba, prendiamo l’aereo Airone per Roma, poi un aereo Lauda air per Vienna ed infine Austrian Airlines per New Delhi, e strano ma vero senza ritardi di alcun genere verso le mezzanotte e mezza locale (3 ore e mezza di fuso orario), dopo un giorno passato in aeroporto, arriviamo, ma solo noi senza le valigie, la sfortuna ci perseguita, e meno male che abbiamo avuto l’accortezza di mettere il carica batterie della videocamera e i rullini nel bagaglio a mano. Sembra si siano fermate per sbaglio in qualche aeroporto. Così ci tocca a fare la denuncia e dopo circa un’ora riusciamo ad uscire dall’aeroporto, dove ad aspettarci c’era la nostra accompagnatrice italiana Tiziana, che ci rassicura dicendo che se ne sarebbe occupata l’agenzia “Le Passage to India” e che l’indomani ci avrebbe portato a comprare qualcosa da metterci. Il resto del gruppo era già tutto in autobus, così siamo partiti alla volta del nostro Hotel “Il Marriott” e strada facendo abbiamo visto già uno scorcio d’india, gente che dormiva sui marciapiedi, mucche per strada, macchine (per la maggior parte tutte Ambassador), schizzare via.
LUNEDI’ 23 agosto 2004
Per il primo girono di tour la sveglia è alle otto, il cielo è un po’ coperto. Facciamo conoscenza con quella che sarebbe stata la nostra guida fino ad Agra cioè Anil, un simpatico indiano sposato con un’italiana, molto bravo tanto che aveva vinto anche dei primi a livello internazionale come migliore guida. Dopo un abbondante colazione partiamo per la prima visita al complesso del Kutub Minar, con un autobus che a detta loro era di gran lusso per l’india e che ci avrebbe accompagnato fino ad Agra per poi cambiarlo con un altro che altro che lusso……….. Un complesso che prende nome proprio dal minareto che si trova al suo interno e che con un diametro di 25 mt si erige per circa 73 mt. All’interno di questo, si erige un portale meraviglioso realizzato con pietra arenaria rossa tutta riccamente intarsiata a mano. Al centro di un cortile si innalza poi una colonna appartenuta ad un antico tempio indu eretto del IV-V secolo A.C., la cui particolarità sta nel fatto che questa è fatta da una particolare e misteriosa lega di ferro che nonostante il tempo non presenta alcuna traccia di ruggine. Sempre nelle vicinanze si notano pio i resti di un altro minareto mai stato completato che doveva, per dimensioni, essere il doppio del primo. Finita la visita per un pelo non ci siamo presi la pioggia così andiamo a pranzo in un ristorante di un hotel del centro di New Delhi e finito di pranzare e soprattutto di piovere andiamo a visitare un tempio Sikh. La guida ci avverte subito che per entrare ci saremmo dovuti togliere le scarpe e i calzini, la cosa non mi ha entusiasmato molto visto la grande affluenza di fedeli e soprattutto perché aveva appena finito di piovere e parte del percorso sarebbe stata all’aperto, ma stringo i denti e mi preparo insieme agli altri, scalza e con un fazzoletto copricapo giallo offertoci gentilmente da loro. Entriamo in un cortile, tutto bagnato naturalmente, e ci avviciniamo a vedere da dietro delle grade la zona dove i fedeli mangiano, infatti è usuale che all’ora di pranzo dei volontari sikh preparino da mangiare per la gente che viene, fedeli e non, rispecchiando proprio la loro filosofia. Infatti il pensiero di questa religione consiste nel vivere pratico, nel servire l’umanità e nel generare tolleranza e amore fraterno verso tutti. Il termine “Sikh significa “discepolo”, e un Sikh è qualcuno che crede in un Dio unico e negli insegnamenti dei Dieci Guru raccolti nel Guru Granth Sahib, la Sacra Scrittura sikh. I sikh non riconoscono il sistema delle caste e neppure credono nel culto degli idoli, nei riti e nelle superstizioni. Un Sikh si distingue dagli altri grazie a cinque simboli, conosciuti come i cinque K che sono: Kesha (capelli lunghi che non sono mai stati tagliati come la barba e che sono raccolti sotto un turbante) Kangha (pettine che si tiene nel turbante per sistemare capelli e barba), Kara (braccialetto di acciaio ), Kachha (mutande) e Kirpan (spada o pugnale per difendersi). Coloro che si tagliano o spuntano i capelli o la barba commettono una infrazione alle regole cardinali dell’ordine. Un Sikh senza questi simboli non è nessuno. Entriamo poi nella parte dedicata alla preghiera, diciamo che l’odore all’interno non era molto gradevole, così esco molto velocemente e ne approfitto per fare due foto con le guardie vestite in modo molto carino. Finita la visita ci rimettiamo le scarpe e partiamo alla volta della Moschea del Venerdì o Jama Masjid, nella parte vecchia di Delhi, una mosche all’aperto, la prima vista finora. Quello che ci aspetta al nostro arrivo è la vera india finalmente, stradine strette, piene zeppe di persone, auto e risciò carichi di ogni cosa, una fila interminabile di bancarelle di artigianato fino alla moschea che è la più grande di tutto il Paese. Questa si erige su una altura a cui si accede attraverso scalinate in arenaria rossa, ha tre grandi portali, tre cupole a cipolla come tutte le moschee, quattro torri angolari e minareti alti 40 mt. in marmo e arenaria rossa. L’ingresso orientale era riservato all’imperatore e si apre oggi solo il venerdì in occasione della preghiera dello Juma. Il grande cortile di circa 10.000 mq è in grado di ospitare fino a 25.000 persone. La moschea è caratterizzata da 11 archi di cui quello centrale in corrispondenza della mecca.
Mentre eravamo nel cortile ad ascoltare le spiegazioni di Anil, a poco poco siamo statti circondati da tantissimi giovani indiani che ci guardavano come fossimo stati marziani, ci stavano praticamente incollati addosso, guardano a bocca aperta le videocamere e le macchine fotografiche che avevamo in mano con uno stupore incredibile e il tutto in religioso silenzio. Finita la visita ha ricominciato a piovere, per fortuna il tempo ci ha graziati permettendoci di fare le visite in pace. Sulla strada del ritorno in hotel, ci siamo fermati per una breve sosta fotografica al forte rosso e poi sotto la pioggia siamo scesi a vedere il Raj Ghat, il memoriale eretto nel luogo dove è stato cremato il Mahatma Gandhi. “He Ram!”, oH Dio, sono le ultime parole pronunciate dal Mahatma colpito a morte da un fanatico indu e sono incise sulla lastra di marmo nero al centro del parco sulla quale ogni giorno visitatori di tutte le nazionalità e religioni depositano fiori. Il Mahatma Gandhi fu assassinato il 30 gennaio 1948 pochi mesi dopo aver compiuto la sua missione per la lotta d’indipendenza del popolo indiano.
Rientrati in albergo io Dani e Tiziana siamo usciti nuovamente in Taxi per andare a comprare qualcosa per noi e per andare in agenzia per vedere se c’erano notizie delle valigie. E’ stata un’avventura davvero incredibile, siamo stati nel traffico per circa un’ora, un traffico mai visto prima, macchine, risciò mucche motorini, etc. e tutti facevano a gara per chi suonava più forte e più a lungo il clacson. Nella zona dell’agenzia e dei negozi mancava la luce, a detta loro è una cosa normale, e avevano dei generatori di corrente a gasolio per rimediare la mancanza, fatte un po’ di spese siamo rientrati, abbiamo cambiato un po’ di euro in rupie alla reception (1 euro circa 55 rupie). Dopo cena siamo usciti tutti assieme con l’autobus per andare in un negozio di tessuti, dove abbiamo comprato diverse cose tra cui io un PUNJAB, un abito tradizionale molto bello composto da pantaloni e camicione lungo sopra, qualcuno ha anche comprato il sari, ma a me è sembrato troppo impegnativo.
Finito lo shopping tutti a letto. Cosa importante, per le prese di corrente, anche se sembrerebbe di si, non serve adattatore.
MARTEDI’ 24 agosto 2004
Il primo pensiero svegli, va alla nostra piccola cuginetta Sara, in Italia, alla quale oggi toglieranno le adenoidi e le tonsille.
Dopo colazione si parte alla volta di Jaipur, lungo una “autostrada” se così si può chiamare una strada a due corsie in alcuni tratti e ad una in altri dove a volte si incontrano carovane infinite di automezzi in coda. Auto, motori e camion stracolmi della qualsiasi. E proprio in questi momenti che bisogna armarsi di buona pazienza indiana. Infatti qui nessuno perde mai la calma, non si lamentano e non si chiedono il perché dell’attesa. A circa metà strada , all’ora di pranzo, facciamo una deviazione e raggiungiamo il villaggio di Samode dove si trova il palazzo del Maharaja, chiamato Samode Palace, ed è qui che pranziamo.Siamo entrati nella terra dei Maharaja, nel Rajasthan letteralmente “terra dei grandi re”, una terra di grandi ricchezze, di splendide dimore, palazzi, fortezze e leggendari tesori. Dopo pranzo abbiamo visitato il palazzo e in particolare la sala delle udienze private, davvero molto bella, piena di affreschi e decori, e poi siamo andati a farci un giro a piedi nel villaggio, proiettandoci in un’altra dimensione, come un salto indietro nel tempo, la gente che chiacchierava sull’uscio di casa o intenta a fare i lavori di casa, a preparare da mangiare, e tanti bambini che correvano per strada dietro le mucche e dietro a noi. Per strada qualcuno vendeva dei graziosi quadretti dipinti a mano su carta vecchia che li rendeva davvero particolari.
Poco dopo ci siamo rimessi in viaggio e per sera siamo arrivati a Jaipur, la città Rosa, che prende nome appunto dal colore dei suoi edifici. Nel 1727 fu il Maharja di allora a voler la nascita della città tanto che egli stesso la disegnò, con una pianta a scacchiera, divisa in quattro quartieri e larghe strade di circa 30 mt. La città doveva avere una pianta quadrata in quanto segno di stabilità e seguire una gerarchia nella disposizione delle case, che va dal centro (quelle più importanti) all’esterno (quelle meno importanti). Di fatto al centro della scacchiera si erige il Palazzo di città, la dimora del Maharaja.
MERCOLEDI’ 25 agosto 2004
Dopo colazione usciamo e la prima tappa la facciamo al Hawa Mahal, ovvero Palazzo dei venti per fare delle foto. Il palazzo costruito nel 1799 consiste in una facciata di cinque piani piena di centinaia di finestrelle dipinte di rosa, dietro alle quali si nascondevano le donne di corte per osservare, senza essere viste. la gente fuori sulla strada e nei bazar. Proseguiamo poi per il Forte di Amber dove all’arrivo ci sono ad aspettarci degli elefanti, “a quattro posti”, bardati a festa, che ci accompagneranno fino in alto al forte. Per strada come al solito ci sono dei sedicenti fotografi che ci scattano delle foto per poi vendercele alla fine del giro e mercanti di oggetti di ogni genere. Giunti al primo cortile scendiamo e proseguiamo a piedi lungo una scalinata che ci immette in un grande cortile ovvero la sala delle udienze pubbliche dalle cui balconate si gode di un’ottima vista sulla valle di Amber. A destra troviamo lo splendido portale che porta agli appartamenti reali: il Ganesh Pole o Porta di Ganesh. Nella tradizione induista il Dio con la testa di elefante, figlio di Shiva e Parvati, è il simbolo della fortuna e della prosperità e viene raffigurato davanti a tutti gli ingressi delle case, ed è forse per questo che è una delle divinità più venerate. La legenda racconta la storia di Parvati che da sola in casa intenta a lavarsi crea un piccolo uomo dallo sporco di una gamba e lo mette a guardia della casa. Shiva tornato da una battaglia torva questo sconosciuto sulla porta di casa che non vuole farlo entrare, così Shiva furioso gli taglia la testa, entra in casa e si imbatte in Parvati che lo accusa di aver uccisoli loro piccolo figlio. Così Shiva promette a sua moglie di ridar vita al piccolo e ordina ai suoi servitori di uscire in strada e prendere la testa ala primo essere vivente che passa. I servitori rientrano poco dopo in casa con una testa di elefante e Shiva la mette sul collo del bambino ridandogli vita. Il coraggio di Ganesh nel difendere la casa di Parvati è l’esempio di come i figli dovrebbero essere devoti ai genitori. Comunque dalla Porta di Ganesh si accede a un cortile a un giardino sul quale si affacciano palazzi riccamente decorati tra i quali uno completamente rivestito di specchi. Tutti i palazzi furono costruiti dopo un attento studio dei venti estivi e invernali in modo da garantire al Maharaja un piacevole fresco in estate e un riparo dalle correnti in inverno. La zona riservata alle moglie è quella che colpisce maggiormente per bellezza, ogni moglie aveva un appartamento con giardini e si dice che da ognuno di questi, dei tunnel segreti conducano direttamente alla residenza del Maharaja, tunnel di cui era a conoscenza solo il Maharaja stesso.
Scendendo verso il basso per andare via abbiamo appena fatto in tempo ad entrare nel piccolo tempio dedicato alla dea Shila manifestazione della Dea Kali, e a vedere la piccola cerimonia in suo onore. Ci siamo tolti scarpe e calzini abbiamo lasciato fuori apparecchiature elettroniche e oggetti in cuoio e siamo entrati. All’interno un suono assordante era prodotto da degli uomini con una specie di piatti e tamburini, la gente in ginocchio pregava davanti all’altare, poi si è aperta la tenda e da dietro di essa è comparso il sacerdote con al statua di Shila in mano. In pochi minuti è finito tutto così siamo scesi fini al cortile più basso del palazzo dove ad aspettarci per riportarci all’autobus c’erano delle Jeep, decisamente più comode degli elefanti.
Arrivata l’ora di pranzo ritorniamo in Hotel, e dopo una piccola siesta usciamo per andare a vedere dapprima il palazzo dell’attuale Maharaja dove si trova oltre la sua residenza anche un piccolo museo. Attorno al palazzo si estende un grande cortile all’interno del quale si trovano due delle quattro gigantesche giare d’argento utilizzate da un Maharaja nel 1901, quando dovendo andare in visita in Inghilterra non potendo utilizzare acqua non sacra per lavarsi e per fare le abluzioni portò con se 4 giare di 900 litri ciascuna, peccato che due andarono perse durante il viaggio in mare. Continuiamo poi con la visita dell’osservatorio astronomico che include numerosi e sofisticati strumenti per calcolare il calcolo delle eclissi, per la rilevazione di stelle e il calcolo degli ascendenti e due grandi meridiane per il calcolo dell’ora di Jaipur, una delle quali è in grado di calcolare l’ora fino a 2 secondi di precisione.
Usciti dall’osservatorio facciamo una passeggiata a piedi sotto i portici che ospitano i coloratissimi negozi e troviamo un posto per telefonare con sopra un insegna PCO STD ISD dove si poteva chiamare in Italia per poche rupie tenendo sott’occhio tranquillamente un contascatti digitale. Alla fine della strada che percorriamo a piedi ci troviamo poi in un quadrivio, ci fanno salire sul tetto di un edificio per guardare il traffico dall’alto ed è davvero impressionante, sembra una strada invasa dalle formiche, così ci dicono che avevano per noi una sorpresa cioè un giro in risciò proprio in quel groviglio. Montiamo su, foto di rito e si parte. E’ stato divertente il nostro autista faceva a gara con un altro risciò che portava ragazzi del nostro gruppo, davvero un’esperienza da non perdere. Ah dimenticavo, per sollevarsi dal dare la mancia a tutti quelli che te la chiedono, e credete sono davvero tanti, abbiamo imparato sotto consiglio di Tiziana a rispondere “Ciaci” che vuol dire “Guida” ovvero “la mancia te la da la guida”.
Prima di cena abbiamo avuto la piacevole sorpresa delle valigie che erano arrivate, holè finalmente ci cambiamo.
GIOVEDI’ 26 agosto 2004
Dopo colazione si parte alla volta di Agra, per strada facciamo sosta alla città abbandonata di Fatehpur Sikri, fatta costruire dall’imperatore Akbar, il più grande della Dinastia Moghul, tra il 1571 e il 1585 e definita la città ideale. Questa è costruita interamente in pietra arenaria rossa e conta numerosi palazzi privati, residenze per le concubine, padiglioni per la musica e le danze nonché edifici religiosi. Akbar salì al potere giovanissimo e nonostante fosse un grande condottiero capace di battaglie distruttive, era un uomo molto tollerante nei confronti delle differenti religioni presenti nel suo impero, tanto che sposò donne di tutte le religioni. La città perfetta di Fatehpur Sikri fu costruita nel luogo in cui viveva il Santone Salim che predisse ad Akbar, i cui figli maschi morivano in giovane età, la nascita di un erede degno del suo nome.Da lì a poco nacque un figlio maschio che venne chiamato Salim e in segno di gratitudine costruì il primo palazzo della città spostando la capitale da Agra a Fatehpur Sikri. La città venne costruita in una zona molto arida e nonostante un ricco sistema di canali per portare l’acqua, dopo solo 12 anni venne abbandonata. La città si presenta, nonostante i secoli, intatta e bellissima nel suo color rosso dovuto alla pietra arenaria, lasciando facilmente spazio all’immaginazione su come dovesse essere stato abitare in quel fantastico posto. Entrando nella zona delle residenze private ci troviamo in un grande cortile su cui si affacciano i palazzi più importanti e sul quale l’imperatore giocava a dama utilizzando come pedine delle cortigiane, su una scacchiera ancora oggi visibile al centro della piazza. E poi qua e la gli appartamenti delle regine costruiti secondo lo stile della terra di provenienza delle regine stesse, tutti corredati da ampi cortili e fontane che all’epoca venivano riempite di acqua colorata e profumata. Anche qui sistemi sofisticati per il caldo e il freddo erano stati studiati. Davvero tutto fantastico e troppo complesso da spiegare in due parole, è forse stato una delle cose più belle e affascinanti viste.
Dopo pranzo arrivati ad Agra andiamo finalmente a vedere quello che è diventato il simbolo dell’India, la perla architettonica dell’oriente islamico, il monumento all’amore e cioè il TAJ MAHAL. All’ingresso i controlli sono pazzeschi, ci dividono in uomini e donne e ci perquisiscono da capo a piedi accertandosi che non avessimo con noi oggetti elettronici, pile, trepiedi, forbicine, sigarette, accendini, etc. Ci troviamo in un ampio cortile e sulla desta troviamo la porta principale, un imponente edificio a due piani in arenaria rossa con torri ottagonali ai lati. Passato il grande portale ci troviamo di fronte spettacolo talmente bello da toglierci il fiato, lui il TAJ, in tutto il suo splendore, da sembrare quasi finto, una scenografia. Facciamo appena in tempo a fare delle foto e comincia a piovere, così ci ripariamo sotto un portico dove Anil ci racconta un po’ la sua storia. Fu fatto costruire dall’imperatore Shah Jahan della dinastia Moghul, nel 1632 per conservare le spoglie di sua moglie detta Mumtaz Mahal, il gioiello del palazzo, morta dando alla luce il suo 14esimo figlio all’età di 38 anni. Dopo un lungo periodo di isolamento e di dolore dopo la morte dell’amata consorte il sovrano decise di onorare la memoria della sua amata con un mausoleo sulle rive della Yamuna. Convocò gli architetti più esperti del regno, comperò i giardini del Maharaja di Jaipur, deviò il corso del fiume, arruolo schiere di artigiani maestri dell’intarsio e diede via a una delle opere più incredibili della storia dell’umanità. Nell’arco di vent’anni il Taj Mahal venne eretto e la legenda narra che l’imperatore fece tagliare le mani degli artigiani affinché non potessero ripetere in futuro un’opera simile. L’imperatore dedico la sua vita alla costruzione del mausoleo e si dice che stesse progettando sull’altra sponda del fiume una costruzione analoga in marmo nero per accogliere le sue spoglie mortali, ma il figlio prima che egli potesse avviare questo progetto, lo depose e lo rinchiuse nel Forte Rosso dove passò il resto dei suoi anni e da dove contemplò senza poterlo mai più raggiungere il Taj Mahal. La costrizione sorge all’estremità di un giardino diviso in 4 parti come vuole la tradizione islamica con i quattro minareti ai lati. Il giardino pieno di vasche, fontane, aiuole e piante è attraversato da canali e sul lato nord si erge il basamento in marmo bianco alto 7 mt. E lungo 100 mt per lato. Al centro del basamento si trova il mausoleo vero e proprio che ospita le tombe dell’imperatore e della sua amata. Ogni facciata dell’edificio misura 56 mt. Di lunghezza e alta 19 mt. Le decorazioni delle facciate sono tantissime: bassorilievi scolpiti sul marmo e intarsiati con pietre dure, mosaici di pietre semipreziose e preziose, finestre di marmo traforato perfette, intarsi in marmo nero che riportano versi del corano. Ai quattro angoli del basamento sorgono i minareti altri 41 mt. che fungono da cornice al Taj e lo esaltano nella sua bellezza. Nel frattempo ascoltando Anil finì di piovere e come ci aveva detto siamo stati fortunati ad avere la pioggia, infatti schiarendo il cielo e spuntando mano a mano il sole il Taj Mahal cambiava come per magia colore passando dal grigio, al bianco al rosa, uno spettacolo davvero bellissimo. Quindi tolte le scarpe e via macchina fotografica e videocamera siamo entrati dentro e abbiamo fatto il giro completo del complesso. Fatto buio siamo rientrati in hotel con gli occhi pieni di quello splendore che non sarà facile dimenticare.
VENERDI’ 27 agosto 2004
Altro giorno altra tappa e cioè il Forte Rosso di Agra un’altra delle meraviglie dell’arte Moghul. Anche questo sorge sulle rive del fiume Yamuna ma dal lato opposto del Taj Mahal. Il perimetro delle sue doppie fortificazioni, alte fino a 20 mt, misura 2 Km e mezzo e include un fossato largo 10 mt alimentato dalle acque del fiume. Una moltitudine di edifici uno più bello dell’altro in arenaria rossa e decorati internamente con specchi e splendidi intarsi. Attraversando il palazzo si arriva in cortile che si affaccia sul Yamuna, dove si trova una torre ottagonale con vista sul Taj Mahal da dove si dice che l’imperatore Akbar abbia passato il resto dei sui anni a contemplarlo durante la prigionia imposta dal figlio.
Di sera grande addio con Anil che secondo le regole dello stato indiano non può proseguire con noi oltre il Rajasthan, e deve tornare indietro, peccato c’eravamo affezionati; da domani in poi avremo delle guide locali di posto in posto visitato.
SABATO 28 agosto 2004
Finalmente proviamo brividi nuovi, ovvero si prende il treno. Ci portano alla stazione ferroviaria dove fuori tantissimi bambini ci chiedono penne e altro, nell’attesa a tradimento ragazzi “pulisci scarpe “ riescono a scroccare qualche rupia a qualcuno, così fatta l’ora entriamo, anche qui un casino che non vi dico, gente da tutte le parti che aspettava anch’essa di prendere il treno. Nell’attesa abbiamo visto un treno pronto per partire che faceva paura, da come era caricato, gente stipata come non so che, alle finestre niente vetri ma grade di ferro dalle quali uscivano visi, braccia e gambe, sembrava un treno diretto in un campo di concentramento, ma è normale qui dicono. Il nostro un Intercity, a detta loro di lusso, arriva in orario, saliamo e direi che non è proprio così male, ci sediamo e ci servono del te con dei biscotti, che quasi nessuno di noi accetta vedendo le caraffe dell’acqua. Dopo circa due ore di viaggio arriviamo a Jansi, nello stato dell’Uttar Pradesh al confine con il Madhya Pradesh, dove ad aspettarci c’è il nostro autobus che ci porta a visitare Orcha e in particolare il Jehangir Mahal, palazzo fatto costruire nel 1606 in occasione della visita dell’imperatore Jehangir per ospitarlo. Non so dire altro se non che era molto bello e interessante, infatti la guida che abbiamo trovato ad aspettarci sul posto diciamo che non era molto eloquente e quello che diceva facevo fatica a seguire. Dopo pranzo siamo ripartiti e siamo arrivati in serata nel piccolo villaggio di Khajuraho, patria del Kama Sutra, nello stato del Madhya Pradesh, il cui nome deriva dalla pianta del Khajur, palma da dattero, molto diffusa qui. L’Albergo non era il massimo ma tutto sommato andava.
DOMENICA 29 agosto 2004
Oggi faremo una delle visite forse tra le più belle del tour, i Templi di Khajuraho, scoperti immersi dalla vegetazione nel 1838 da archeologi inglesi. Questa zona fu la patria della dinastia Candela che rese Khajuraho, nel X secolo, uno dei centri più importanti del nord dell’india, dando via anche alla costruzione di questi bellissimi templi in pietra. Degli 85 templi costruiti allora ne rimangono oggi 22, tutti in ottimo stato di conservazione. Suddivisi in due gruppi, l’Occidentale, l’Orientale, i templi sono famosi per le figure scolpite nella pietra che riproducono la spiritualità dell’epoca: la musica, la danza, la caccia, le celebrazioni, nonché le emozioni umane quali la paura, il dubbio, la gelosia, l’amore e la passione. Insieme rappresentano una delle più belle espressioni dell’arte e dell’architettura dell’India medioevale. Eretti su alte piattaforme, i templi appaiono come masse slanciate di guglie di pietra culminanti in una serie di fregi e sculture complesse di sapore erotico. Gli scultori hanno voluto rappresentare i diversi aspetti della vita dell’India così come era mille anni fa: dei e dee, guerrieri e musicisti, animali reali e mitologici. Ma i due temi più ricorrenti sono “le donne e il sesso”: in ogni tempio sono presenti le figure delle “Apsara”, le fanciulle del cielo, che posano come modelle di “Playboy” davanti alla macchina fotografica. Gli interni dei templi sono altrettanto decorati quanto gli esterni. I templi si trovano in un bellissimo parco di quasi chilometri quadrati, ravvivato dai colori smaglianti dei cespugli di buganvillea.
Pranzo veloce in piscina e pomeriggio gita alle cascate di Rani Falls. In Jeep abbiamo percorso per circa mezz’ora delle strade di campagna, per poter arrivare al parco delle cascate ed è stato bellissimo vedere la gente dei villaggi intenta nei lavori domestici, i bambini che correndoci dietro gridavano “Hello! Hello!”, e quei puntini coloratissimi (le donne in sari) in mezzo ai campi verdi, tanto che sulla strada del ritorno ci siamo voluti fermare a visitare la casa di alcuni contadini ed è stato davvero molto bello.
Ritornati in albergo, prima di cena, siamo andati a vedere uno spettacolo di danze folk indiane, non vi dico che noia, anche se a qualcuno è piaciuto. Dopo cena tutti a letto.
LUNEDI’ 30 agosto 2004
Avendo la mattinata libera prima del volo per Varanasi, io e Luigi accompagnati da i due Danieli, siamo andati in un centro di benessere a fare il massaggio Ayurvedico, con gente qualificata proveniente proprio dal Kerala. Dapprima la ragazza assegnatami mi ha fatto spogliare completamente, messo un perizoma usa e getta e avvolta in un telo. Poi siamo entrati in una stanzetta e mi ha fatto stendere su un tavolo in legno ( simile ad un tavolo d’obitorio) mi ha spalmato i capelli di olio e ha cominciato a massaggiarmi la testa. Poi riempiendomi completamente d’olio mi ha massaggiata da capo a piedi per circa 45 minuti, davanti e dietro, rilassatissimo. Ricoperta con il telo siamo passati in un’altra stanza dove mi ha fatto sdraiare dentro un tunnel, tipo macchina da TAC, e ha cominciato a far uscire vapore. Dopo ciò mi ha accompagnata nelle docce, e mi ha cosparsa di una crema piena di granuli per togliere l’olio. Il tutto sarà durato circa un’ora ed è stata davvero un’esperienza interessante da provare dopo aver fatto anche il massaggio TAI a Bangkok.
Verso le undici siamo andati in aeroporto, e anche lì strazianti e interminabili controlli. Volo di 45 minuti circa e siamo a Varanasi o Benares, la Città Santa. All’aeroporto ci aspetta la nostra guida locale, un uomo tutto d’un pezzo, Sikh, con un turbate e la barba tutta untuosissima, si perché Tiziana ci ha detto che secondo gli indiani untarsi i capelli e la barba d’olio per loro è segno di pulizia e sistemazione.
Andiamo prima a sistemare i bagagli in Hotel e poi ci portano a Sarnath il luogo della prima predicazione del Budda, quando espose ai suoi 5 discepoli il Dharma, la dottrina delle quattro nobili verità e dell’ottuplice sentiero che porta al dissolvimento della sofferenza e conduce al Nirvana. Nel parco si trovano diverse rovine di templi e stupa, le cui statue meglio conservate si trovano all’interno del museo archeologico che si trova proprio lì accanto. La fortuna vuole che sia la festa delle sorelle e che quindi ci sono in giro molte persone e bancarelle, così ne approfittiamo per comprare delle simpatiche scatolette in pietra locale lavorate a mano. Dopo cena siamo andati a vedere una fabbrica di broccati di seta per cui è famosa Varanasi.
MARTEDI’ 31 agosto 2004
La svegli pazzesca alle 4.30 del mattino sarà pienamente ricompensata durante il corso della giornata.
Mi alzo con la febbre, ma il pensiero di quello che andremo a vedere mi fa star meglio. L’autobus ci lascia in una strada semi illuminata, a terra lungo i marciapiedi la gente dorme, qualcuno si è gia alzato e comincia a trafficare, mucche ovunque, camminiamo cinque minuti e arriviamo a uno dei Gat più grandini Varanasi, da dove ci imbarcheremo per navigare il mitico Gange.
Per continuare a raccontare di questa giornata è meglio spiegare prima qualche cosa che aiuterà a comprendere un po’ di più ciò che abbiamo visto.
Cominciamo col dire che tutta le fede induista si basa sulla legge del Karma.
Il Karma è l’insieme delle azioni buone o cattive che un uomo compie nella sua vita terrena e che influenzeranno la reincarnazione e la rinascita successiva. Ogni azione compiuta nella vita presente avrà conseguenze nelle vite future. L’anima è condannata a reincarnarsi di corpo in corpo nel ciclo infinito delle rinascite ovvero nel samsara; solo un buon Karma può avvicinare gli individui all’estinzione del samsara e ottenere il moksha o nirvana, la liberazione. Per ottenere la liberazione ogni induista segue la legge del dharma, l’insieme delle regole comportamentali che portano all’ottenimento di un buon karma. Per loro nulla è casuale ma tutti i fenomeni seguono una casualità che li lega l’un l’altro; ciò che avviene oggi è già avvenuto in passato e condizionerà il futuro.
Detto questo andiamo avanti dicendo che Varanasi è la città del mito degli dei e della felicità… la felicità almeno degli induisti. Essa è il luogo sacro da cui tutto ha origine e a cui tutto ritorna; dove è possibile espiare i peccati del Karma e dove si aprono le porte del moksha, ossia la liberazione dal ciclo infinito delle reincarnazioni che ci condanna a rinascere in questo mondo crudele. In poche parole chi muore a Varanasi va direttamente in “paradiso” e non è raro quindi che negli ultimi anni della vita, quando gli indiani devoti sentono avvicinarsi il loro appuntamento con la morte, decidano di stabilirsi in uno dei Dharamsala che offrono ospitalità in attesa del loro momento preparandosi spiritualmente. Gli indiani l’aspettano per tutta la vita e almeno una volta nella vita vi si recano. Alle primi luci dell’aurora ci imbarchiamo riusciamo a distinguere donne, uomini, bambini e anziani, santoni, sacerdoti che fanno dei particolari riti religiosi tutti intenti in acqua a compiere il bagno purificatorio, le puja e le abluzioni. Prendono l’acqua con le mani giunte, se la versano sul capo, si toccano gli occhi, la gola e il petto e la lasciano scorrere tra le dita per farla ricadere nel fiume, così facendo compiono un rito di preghiera per i loro antenati e per le divinità. Altri si immergono completamente nel fiume per pochi secondi per liberarsi dai peccati, oppure schizzano l’acqua verso il sole nascente in segno di saluto e riempiono i contenitori d’acqua per portarla più tardi in offerta al tempio.
Per gli indiani di Varanasi il Gange è la casa di Shiva, il tempio, la piscina delle domenica, la pattumiera, la dimora dei sadhu, il cimitero, il confessionale, il luogo della meditazione… e tante altre cose ancora.
Scendiamo poi dalla barca per andare a vedere il grande crematorio della città. Sulla piattaforma troviamo ancora cenere fumante che verrà buttata presto nel fiume. La guida ci spiega che quando qualcuno muore viene spogliato e ricoperto con un lenzuolo bianco o giallo e viene portato su una lettiga fino a qui in processione. Vengono bagnati i piedi del defunto nelle acque del Gange e poi viene sistemato sulla pira e coperto con della paglia dando inizio alla cerimonia. Colui che darà fuoco alla pira e il figlio maschio maggiore il quale dopo aver compiuto sette giri intorno alla pira, da fuoco al defunto partendo dalla testa. Passata qualche ora il figlio prende un bastone e rompe il cranio del defunto, all’altezza della fronte, dove si trova il terzo occhio. E’ questo il momento culminate della cerimonia, l’anima liberata dal corpo può salire in cielo verso gli dei. Lo so potrà sembrare tutto una follia ma è cosi che si vive a Varanasi.
Facciamo poi un giro per le strette viuzze del centro storico di Varanasi, dove le mucche e i topi la fanno da padrone; incontriamo un sedicente santone che per qualche rupia ti mette la mano sulla fronte e ti da una sorta di benedizione, naturalmente Dani si è sottoposto a tale rito.
Proseguiamo poi fino a una zona super protetta dai militari, in quanto uno dei possibili luoghi ad alto rischio attentato, dove si trova una grande moschea il cui ingresso è vietato ai turisti, continuiamo fino all’autobus che ci riporta in hotel a fare colazione in quanto sono ancora le 9 del mattino, anche se la giornata per la sua intensità sembra già alla fine, ma non è così infatti a mezzogiorno andiamo in aeroporto dove abbiamo un volo per Kathmandu. E sì il nostro giro in India è finito, cominciamo ora il giro in Nepal, o così credevamo che fosse.
Dopo 45 minuti di volo, scesi dall’aereo si sente già la differenza di temperatura, fa sempre caldo ma molto meno umido rispetto l’India. Piove, facciamo conoscenza con la nostra guida, andiamo in Hotel (Stupendo) a lasciare i bagagli e ci dirigiamo direttamente a fare la nostra prima visita in questo paese stupendo. Per strada ci accorgiamo l’idea che ci eravamo fatti sul Nepal era completamente sbagliata, infatti rispetto all’india è molto più civilizzato,le strade sono abbastanza funzionali il traffico è più nella norma, si vede meno gente povera in giro e Tiziana ci dice che è così perché ricevono tantissimi aiuti dai paesi occidentali, mentre l’India, “grande paese con una sua dignità”, che potrebbe riceverli anch’esso non li accetta. Dopo circa mezz’ora arriviamo allo stupa di Swayambounath che si trova su una collina un po’ fuori città. Per arrivarci bisogna fare una scalinata di 300 gradini, ma noi ne facciamo molti meno perché l’autobus ci lascia più sopra. Nonostante il tempo cupo la vista è stupenda, lo stupa gigantesco con quei colori stupendi, tutte le bandierine di preghiera che svolazzano, una vista su Kathmandu magnifica, sembra un sogno. Ci danno il benvenuto una schiera di simpatiche scimmiette; nella piazza si trovano una serie di tempietti e monumenti sparsi qua e la e alcuni negozi circondano lo stupa, negozi che espongono della roba davvero bella. Lo stupa è più grande di quanto immaginavamo. Ha una base a forma di semisfera bianca che simboleggia la madre terra, sopra, nella parte finale detta Toran, si trovano tredici anelli dorati che simboleggiano i tredici gradi della conoscenza che servono per poter raggiungere il nirvana, simboleggiato dal parasole posto sulla sommità. Le cappelle poste ai quattro punti cardinali contengono quattro Budda nelle varie pose meditative.
Ripreso l’autobus siamo poi andati in centro, abbiamo camminato un po’ e siamo arrivati nella piazza principale, dove si trovava un tempio che si dice sia stato costruito con un unico tronco d’albero, davvero molto bello nel classico stile nepalese che predomina sul resto delle costruzioni della zona. Siamo poi entrati nella casa della Kumari ovvero la Dea Bambina, una casa antica molto bella tutta in mattoni rossi e legno intarsiato. La guida chiede a un uomo se la Kumari si può far vedere da noi, ma risponde di no perché ha da fare, così ci racconta che una leggenda dice che una volta un re si innamorò della Dea Taleju, una manifestazione della Dea Kali, che si manifestava ogni sera a lui sotto sembianze umane. Avendo una volta fatto pensieri poco puri su di lei, questa si offese a tal punto che gli giuro che non l’avrebbe mai più rivista e che sarebbe ritornata in terra sotto le sembianze di una bambina casta e pura. Così da allora è cominciato il culto della “Dea Bambina”. La congregazione della Kumari ricerca la prediletta fra le bambine di 4/5 anni della casta degli orafi o degli argentieri e solo dopo una lunga serie di prove ultima tra cui quella di coraggio sentenzia che è lei la reincarnazione della Dea Taleju. Si porta a vivere in questa casa lontano dalla famiglia, si veste di rosso e viene trattata come una Dea. Non può piangere, ridere e vedere nessuno se non una volta l’anno durante la festa in suo onore. Tutto questo fino a quando non perde sangue o per infortunio o con la prima mestruazione e viene quindi sostituita con una nuova bambina. La vecchia torna a casa e riprende la vita di comune mortale, dovendo affrontare anche le stupidi superstizioni del luogo come quella che dice che sposare una ex Dea porti sfortuna, pensate un po’ voi…
Essendo già buio ritorniamo in hotel e dopo cena a letto.
MERCOLEDI’ 01 settembre 2004
Al risveglio ci accorgiamo dalla finestra che tra le case in lontananza si alzano dei nuvolosi di fumo, così dopo colazione arriva la nostra guida e ci informa che i nuvoloni di fumo che si vedono sono dei falò fatti in strada per protesta dalla gente in quanto sono stati uccisi 12 operai nepalesi in Iraq. Il traffico è quindi bloccato da queste manifestazioni e l’autobus non può arrivare, così si decide di cambiare programma non andare più a Patan ma uscire a piedi e andare al vicino stupa di Bodhnath. Ci fanno uscire dal retro dell’hotel, stile clandestini, e dopo un circa dieci minuti tra viuzze infangate, facciamo la prima tappa in un monastero buddista, gli edifici hanno dei colori molto allegri, e rispecchiano l’architettura tibeto-nepalese. Tutto attorno al tempio, che oltre luogo di preghiera è anche luogo di studio, e di ricreazione, si trovano le camere dei ragazzi (anche bambini) che studiano per diventare monaci, e che troviamo tutti fuori ad aspettarci incuriositi da noi occidentali. Proseguiamo e da dietro angolo, inaspettatamente spunta lo splendido Stupa di Bodhnath. Ancora più bello e più antico di quello di Swayambounath; alto circa 40 mt. è lo stupa più grande del Nepal e forse anche del mondo. E’ costruito su un terreno pianeggiante con intorno botteghe e case, qui vive la più grande comunità tibetana del Nepal scappati dal loro paese in seguito alla sconfitta contro gli invasori cinesi nel 1959. Facciamo un giro tutto intorno allo stupa e poi vi saliamo sopra da dove si gode di un’ottima vista, (si vede persino il nostro Hotel); il grande emisfero bianco poggia su tre terrazze concentriche a pianta ottagonale, una scalinata permette di raggiungere gli occhi del Budda dipinti sulle quattro facciate di un cubo ricoperto di lamine dorate. Anche qui come a Swayambounath è dipinto il terzo occhio ed il naso ossia il numero uno. Il toran ossia la parte finale, è di forma piramidale e termina anch’esso con un parasole. Anche qui a completamento del monumento ci sono tantissime bandierine di preghiera su cui sono stampati i testi sacri. La semisfera bianca ha delle colature gialle fatte di acqua e zafferano fatte dai fedeli in onore di Budda, e dopo ogni celebrazione viene ridipinta di bianco. Tutto intorno in un muro di mattoni vi sono 147 nicchie con all’interno le ruote di preghiera che contengono il famoso manta “om mani padme hum” (“Om, il gioiello è nel loto) I manta sono sillabe sacre che racchiudono determinate forme di potere cosmico, essi non hanno necessariamente un senso, l’importante è il suono e spesso vengono recitati senza che se ne conosca il preciso significato. Un devoto che recita le sillabe sacre ne assorbe il potere contenuto del suono delle parole. a esempio il mantra fondamentale “OM” è considerato il suono della vibrazione dalla quale è stato creato l’universo e nel recitarlo il devoto crede di condividere il potere della creazione, lo so è difficile da comprendere come molto altro del resto. Scesi dallo stupa abbiamo fatto un giro e là vicino, al coperto c’era una grandissima ruota di preghiera che sarà stata alta circa 3 mt. Essendo ora di pranzo siamo ritornati in hotel, e purtroppo abbiamo ricevuto un’altra brutta notizia da Tiziana, ossia che era stato indetto il coprifuoco a tempo indeterminato ma che non c’era niente di cui preoccuparsi. Infatti nella mattinata durante le manifestazioni di protesta qualche vandalo aveva distrutto gli uffici di una compagnia aerea araba ed erano stati fatti danni anche all’ambasciata egiziana, ma più grave ancora c’erano stati due morti, così per precauzione e per sedare questi movimenti era partito quest’ordine dallo stato essendo che che se ne dica uno stato militare e non una monarchia costituzionale come c’è scritto sulla carta, basti pensare che quello successo non è neanche minimamente paragonabile a quello successo qualche anno fa al G8 di Genova, a confronto il G8 è la 3° guerra mondiale. Così per non fare allarmare i parenti a casa che sentendo il telegiornale potevano immaginare chissà cosa abbiamo telefonato dall’hotel, (i telefoni tim in Nepal non funzionano) a casa ottenendo proprio il contrario di quello che volevamo e facendo allarmare i nostri. Abbiamo così passato la giornata in hotel nella speranza di qualche buona notizia ma niente, avevano perfino oscurato la televisione, l’unico canale chi si riusciva a vedere era la Tv di stato nepalese. Così tra un tuffo in piscina e una partita a scala quaranta abbiamo passato il resto della giornata.
GIOVEDI’ 02 settembre 2004
Dopo colazione incontriamo Tiziana alla reception nella speranza di buone notizia , ci dice che non ci sono novità se non che stamattina fino alle nove hanno tolto il coprifuoco per permettere alla gente a lavoro di tornare a casa e di darsi il cambio, così disperati facciamo una passeggiata fini all’ingresso dell’hotel, sono le 8.50 e per strada si vede ancora qualcuno che corre via in bici o auto e le camionette dei militari che con gli altoparlanti passano urlando chissà cosa, probabilmente di ritornare tutti a casa per le 9. Altra giornata passata a giocare a carte e in piscina . Verso le Sei del pomeriggio Tiziana ci chiama e ci dice che hanno tolto il coprifuoco per due ore e se vogliamo andare a fare due passi allo Stupa di Bodhnath visto ieri, e certamente siamo andati pur di uscire. La gente per strada era normale come il primo giorno che siamo arrivati, era intenta nel datarsi di tutti i giorni, i bambini giocavano fuori sereni, il tutto a dimostrazione dell’esagerazione dello Stato Nepalese. Ma il sogno è durato poco, infatti siamo dovuti rientrare presto in Hotel. Prima di andare a letto Tiziana ci ha detto che se domani mattina siamo fortunati e tolgono il coprifuoco potremo andare a fare la visita di Patan prima di andare in aeroporto, se no dovremo accontentarci della sola visita di Pashupatinath
VENERDI’ 03 settembre 2004
Tanto per cambiare riceviamo una cattiva notizia, cioè che toglieranno il coprifuoco fino alle nove del mattino e che quindi potremo vedere solo Pashupatinath, sulla strada dell’aeroporto. Così avviliti pù che mai partiamo e andiamo a avedre questo sobborgo di Kathmandu, famoso come la Varanasi del Nepal. Qui si trova il tempio indu più importante del Nepal dove non ci è concesso entrare, dedicato a Pashupati, una delle incarnazioni di Shiva, il cui simbolo è il Lingam ovvero il suo orgnao sessuale simbolo di energia e fertilità. Il tempio domina il fiume bagmati, un affluente del Gange che divide la zona sacra del tempio dall’altra cosparsa di piccoli tempietti dove si trovano i Lingam e da dove si va ad assistere ai riti giornalieri della cremazione dei corpi e dove noi andiamo. Mentre a varanasi non siamo riusciti a vedre questi riti, qui ne vediamo addirittura due e è stato davvero molto impressionante, sembrava di vedere un documentario. Per strada abbiamo incontrato tantissini sadhu o santoni che per qualche rupia si facevano fotografare assieme a noi, così Dani non ha perso occasione; Essi imitano la vita mitica del dio Shiva e la ricerca ascetica che lo condusse a distruggere le tre impurità (egoismo, azione con desiderio e maya cioè illusione) in poche parole i sadhu seguono una via di penitenza e ascesi per raggiungere l’illuminazione. I sadhu trascorrono i loro primi anni di rinuncia accanto ai loro Guru o maestri rasandosi la testa come segno di rinuncia e sottomissione a loro. A volte questi si allontano dai loro guru e cominciano a vagare lungo le strade e le foreste senza mai fermarsi a lungo in un posto e si lasciano crescere i capelli che portano annodati. Essi credono che il vagabondaggio mantenga la mente e il corpo attenti, mentre la sedentarietà induce torpore.. Gli asceti o sadhu si dividono in numerose sette , quelli che abbiamo visto noi erano dei Dandha; questi regalano quasi tutto ciò che possiedono conservando solo una ciotola per l’acqua, un perizoma e un bastone e sopravvivono mangiando con le mani il cibo che ricevono in dono.
Passate infretta le ore ed esendo quasi le nove ci siamo dovuti precipitare in aeroporto prima che scattasse il coprifuoco. A mezzogiorno abbiamo preso l’aereo per Dheli dove siamo rimasti tutto il pomeriggio e dopo cena siamo ritornati in aeroporto per tornare stavolta in Italia. Il volo per Vienna l’avevamo alle 2 di notte così dopo esserci salutati con la nostra accompagnatrice Tiziana che prendeva un altro volo ci siamo imbarcati.
SABATO 04 settembre 2004
E purtroppo anche questa vacanza è finita, a Vienna ci siamo divisi con il resto del gruppo che andano a Torino ed Ancona e ci siamo imbarcati per Roma dove alla una circa del pomeriggio abbiamo preso l’iltimo volo diretto questa volta a Palermo,e indovinate che sorpresa abbiamo avuto all’arrivo? Si proprio così , le valigienon sono arrivate erano andate a finire a Bologna, ma per fortuna sono arrivate l’indomani sera.
Bè che dire tirate le somme, forse che a parole l’india e il Nepal sono due paesi davveri indescrivibili e per poter capire bisogna proprio andarci e lasciando a casa la logica e ogni forma di pregiudizio per poter al meglio assaporare lavera essenza di questi posti.
La vita è un ponte, non costruitevi sopra alcuna dimora.
E’ un fiume, non aggrappatevi alle sue sponde.
E’ una palestra; usatela
Per sviluppare lo spirito,
esercitandolo sull’apparato
delle circostanze. E’ un
viaggio: compitelo e procedete!
Budda
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