Americhe

Viaggio in Patagonia

di Stefano Delmastro –
Volevo fare un viaggio, non una vacanza. Un’esperienza che mi rimanesse dentro. Lontano dal pazzo turismo. Pensai così che la Patagonia potesse darmi quelle emozioni di cui sentivo il bisogno: libertà, spazi immensi, silenzio, avventura. Avrei lasciato l’estate italiana per il tardo inverno australe. L’equipaggiamento e i bagagli sarebbero stati quelli classici di un Backpacker (Mochilero, come dicono loro): zaino, sacco a pelo e sacca da portare a mano con dentro le cose più ingombranti. E, naturalmente, tanta curiosità.
Così, il 31 agosto sono partito, da solo, alla volta di Buenos Aires, passaggio obbligato per raggiungere il sud dell’Argentina. Se nella capitale federale ci capitate di domenica non perdetevi il mercato di San Telmo nel quartiere omonimo. Caratteristico labirinto di bancarelle d’antiquariato che ben si accostano ai ristori e bar nelle viuzze caratteristiche e ai ballerini di tango che qua e là, danno spettacolo. Tutto sembra uscire da una cartolina in bianco e nero degli anni ’40.
Ma la vera avventura doveva ancora iniziare. Da Buenos Aires, con un volo di linea interno, ho raggiunto la cittadina di Trelew nella regione del Chubut, Patagonia del Nord, parte costiera. All’aeroporto mi aspettava l’auto (una Fiat Palio, ne troverete molte in Argentina) con cui avrei percorso circa 600 km, fino a Comodoro Rivadavia. Ma andiamo con ordine.
Caricati i bagagli, firmati i documenti e pagato in anticipo, mi sono immesso sulla Ruta 3, forse la più importante strada asfaltata (e anche una delle poche) che, tagliando la Patagonia da nord a sud, attraversa idealmente lo Stretto di Magellano ed il Canale di Beagle e prosegue nell’Isola Grande della Terra del Fuoco per “morire” nel Parco Nazionale, sul confine argentino/cileno.
La carrettera è lunga e diritta, a perdita d’occhio. E ai lati un deserto di arbusti e terra rossastra. Un vento che porta via e, al contrario di quanto pronosticato, un sole ed un cielo terso da fare invidia alle più belle estati mediterranee. Attenzione alla velocità da mantenere con l’auto: è frequente la presenza sulla carreggiata di animali (guanacos, pecore, cavalli) che attraversano, brucano o semplicemente vi osservano incuriositi. Ricordate: siete ospiti nella loro terra.
Risalendo di un centinaio di km, da Trelew verso nord, sono entrato nella Penisola Valdès. Qui le strade diventano di terra battuta, di ghiaia e di fango. Da Puerto Piramide in poi gli incontri con altri veicoli diventano rari. Le poche estancias (fattorie) sono quasi impercettibili alla vista, si confondono con l’orizzonte. Qui ho avuto il primo “faccia a faccia” con i lobo marini, simili a otarie ma più grandi, e con le balene. Esperienza fantastica. Un paio di giorni di viaggio mi sono bastati per ritornare a Puerto Piramide e proseguire verso la mia prima meta on the road: la città di Comodoro Rivadavia, sul confine tra la regione del Chubut e Santa Cruz. Il paesaggio era diventato più collinare e la giornata piovigginosa stendeva un velo di tristezza e malinconia momentanei. Ma la strada era ancora lunga e, devo dire la verità, alquanto imprevedibile. Qui ho consegnato l’auto all’aeroporto. La mia avventura on the road finiva e ricominciava quella fatta di sale d’attesa, check-in e carte d’imbarco. Purtroppo ci sono stati dei “tempi morti” dovuti appunto alle coincidenze dei vari voli interni che, comunque, ho riempito scrivendo le doverose cartoline, il diario di viaggio, leggendo le guide turistiche sui luoghi ancora da visitare. Arrivato a Rio Gallegos, città di passaggio, centro triste e alquanto anonimo della regione Santa cruz, ho continuato il mio viaggio sul bus che in circa tre ore e mezza porta a El Calafate, piccolo gioiellino ai piedi delle Ande, punto strategico, logistico e turistico da cui si possono effettuare varie escursioni, tra le quali le più importanti sono al ghiacciaio Perito Moreno e alla catena montuosa del Fitz Roi. Il paesino è tranquillo, silenzioso, caratteristiche comuni anche alla gente del posto. Mi ricordava un po’ i nostri centri turistici alpini, con le loro strade polverose, i negozietti carini e i ristoranti tipici della zona. Turismo sì, ma discreto e gradevole. Chi cerca la mondanità…beh, ha sbagliato parallelo. E poi l’escursione al Parco de Los Glaciares, con l’imponente padrone di casa, il grande ghiacciaio da cui si staccano pezzi di ghiaccio alti venti, trenta metri e cadono nelle acque con frastuono di bomba. Oppure i vari uccelli marini di cui El Calafate è riserva naturale. Le varie specie di piante e muschi. La Natura in Patagonia non ha riservato proprio niente per stupire chi la ammira e la sa apprezzare. Forse è proprio questo il segreto: saperla apprezzare fino in fondo.
Ultima meta del viaggio la Terra del Fuoco con Ushuaia, la cittadina più australe del mondo, non per questo priva di comodità, servizi turistici e cordialità. Qui ho potuto ammirare ed immergermi nel bosco subaustrale del Parco Nazionale. Ho navigato sul Canale di Beagle costeggiando l’Isola Navarino. Mi sono concesso una giornata sportiva sciando sulle nevi del Cerro Castor (ottimi impianti tra l’altro). E l’ultimo giorno, il quattordicesimo, mi sono seduto sul lungomare, abbracciato dal vento, a ripensare alle emozioni passate (ed erano molte), ai luoghi visitati e alla gente cordiale che ho incontrato sul mio cammino. Ho rivisto le loro facce, ho ricordato i loro discorsi. Il taxista di Buenos Aires, il ragazzo brasiliano mio compagno d’escursione, il gestore del pub… Come posso scordare il silenzio dei boschi, il rumore sordo del vento, gli spazi immensi dei deserti. A tutto questo va il mio saluto. Anzi, il mio arrivederci.

Ringraziamenti non dovuti ma voluti:
Patagonia Trekking e Lorenzo, Aereolinas Argentinas per l’efficienza, Edizioni Fuori Tema per la guida turistica “Patagonia e Terra del Fuoco”, Libreria “il Giramondo”, le barrette ai cereali CerealFort, il dolce di latte, il mio zaino (fedele nei miei viaggi) e, naturalmente, la Natura perché spettacolare.

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Marco

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