di Nigel Mansell – 17-18 agosto 2024
In bicicletta, ci sarà sempre qualcuno che andrà più forte di te, che farà più chilometri o produrrà più Watt. Si allenerà meglio, magari farà più salite e forse peserà pure meno di te.
Incontrerai sempre qualcun altro che al racconto entusiastico del tuo giro, ti dira: embè, tutto qua?
Se usi la mountain bike, scuoteranno la testa: ci vuole quella da strada, magari da corsa, oppure la gravel; può essere invece che ti proporranno il perfetto contrario.
Ma troverai anche chi affermerà con sicurezza che è indispensabile quella elettrica, anzi, assolutamente no, si contraddirà: solo quella muscolare!
Ti consiglieranno di alzare, ma forse, perché no, di abbassare la sella; di mettere o non mettere il casco; di indossare questo giubbotto o quel tal altro; di usare gli sganci rapidi, ma forse è meglio di no. Sussurreranno poi confidenzialmente: sai, forse è meglio avere più cambi e meno corone, ma qualcuno disseterà, è meglio il contrario. Continueranno, è preferibile pedalare agile… ma no, devi tirare i rapporti più duri. E poi, mangia questo e bevi quell’altro, perché così correrai di più e avrai maggiore resistenza, ecc. ecc. …
Ecco, la bici, tolto chiaramente la pratica agonistica sportiva, è tutt’altro.
La bicicletta è darsi degli obiettivi, del tutto personali, e cercare di superarli. È godere nel visitare luoghi nuovi, o riscoprirli. È poter girare per il nostro pianeta senza inquinare o congestionare i centri abitati, senza fare danni o troppo rumore. È il potersi guardare in giro proprio perché si viaggia lentamente, ma pur sempre più velocemente dell’andare a piedi, così si può andare più lontano e in minor tempo.
La bicicletta è libertà, buonumore e salute, ed è pure democratica! Ma tutto questo riesce ancora meglio se si pedala in compagnia.
Sveglia alle cinque, ho passato una notte abbastanza agitata: continuavo a rimuginare sul nostro viaggio. Partiamo poi di casa giusto in tempo per non mancare il tragetto delle sette. È quasi vuoto, ci siamo solo noi due, con le nostre biciclette cariche e altre due o tre macchine. Il personale della Navigazione è stranamente molto gioviale e gentile. Ha appena iniziato il turno ed è quindi ancora fresco e ben disposto, avrà poi tutta la giornata per innervosirsi e inacidire. Appoggiamo le bici a prua, dove solo una catena tirata trasversalmente ci separa dal lago. E nell’acqua vediamo il riflesso di questo bellissimo, sole rosso del mattino.
Il nostro progetto è ambizioso, arrivare a Genova, cioè al mare, partendo da casa nostra. Il punto di partenza è Cambiasca, in provincia di Verbania: il tutto in due tappe. Si tratta di quasi 250 chilometri. (Inutile dirlo, le nostre bici sono ancora di quelle che si muovono solo con la forza delle gambe).
Da quando ho iniziato più o meno seriamente a pedalare, almeno quarant’anni fa, è stato sempre il mio sogno arrivare al mare in bicicletta.
Questo itinerario poi, sono almeno due o tre anni che lo studio. Alla fine, ho convinto Vanessa, anche se è spaventata, soprattutto dal caldo, che in questi giorni è vicino ai quaranta gradi. Ho scelto però questo periodo perché piove poco e se proprio prendi l’acqua, la puoi sopportare, non sarebbe così fredda come in primavera o in autunno. Ho fissato poi per giorni di sabato e domenica, perché c’è meno traffico. Le date, infine, sono quelle che coincidono con le nostre ferie, c’è bisogno poi di qualche giorno per riprendersi.
Una volta scesi dal traghetto a Laveno Mombello, costeggiamo il Lago Maggiore sino a Sesto Calende, passando per tutti quei bei borghi lacustri come Leggiuno, Ispra, Angera, ecc.
È sabato, ed essendo ancora presto, c’è pochissimo traffico, così pedaliamo su strade quasi sgombre con un clima ideale intorno ai 25 gradi.
Nei pressi di Monvalle ci siamo fermati per una ricca colazione e per riempire le due borracce che ognuno di noi ha in dotazione. Assolutamente non bisogna disidratarsi o andare in crisi di fame, sarebbe la fine.
Avendo due MTB con ruote tassellate, abbiamo realizzato che un’andatura media ideale dovrebbe essere intorno ai venti chilometri orari. Un’andatura tranquilla, che non ti tira il collo, ma che ti permette comunque, in cinque ore di pedalata, di fare un centinaio di chilometri. Poi è chiaro, guardando il contachilometri, la media reale effettiva si aggirerà su circa quindici chilometri orari. E poi ci sono anche da mettere in conto le pause per rifocillarsi, soprattutto per rifornirsi di acqua e per riposare le terga, che non si abituano mai alla sella, nonostante quanto ci si possa allenare.
A Sesto Calende seguiamo il Ticino sino alla Diga del Panperduto. Da lì prendiamo il Canale Villoresi sino alla diga di Vizzola Ticino e poi, ancora più avanti, raggiungiamo il Ponte di Oleggio dove inizia, seppur non ancora ufficialmente, il Naviglio Grande.
Ecco la futuristica Centrale di Turbigo, che con le sue ciminiere si erge dalle campagne e prende a prestito buona parte delle acque del Naviglio per raffreddarsi.
Per strada incontriamo molti ciclisti, qualche agonista a testa bassa, altri più gioviali che ci chiedono informazioni riguardo la nostra destinazione. Quando gli diciamo che stiamo andando a Genova, ci guardano con espressioni che vanno dall’incredulo all’ammirato.
Un ciclista si affianca per parlare, anche lui ci chiede informazioni in merito al nostro itinerario e poi ci racconta del suo recente viaggio sino a Santiago di Compostela. Poi, gentile, saluta e si mette a tirare, lasciandoci ai nostri venti chilometri orari di crociera.
Ora fa un caldo incredibile, siamo intorno ai 35 gradi, l’acqua del Naviglio e la rigogliosa vegetazione che ogni tanto ci fa ombra, aiutano, ma fino a un certo punto.
Per risposarci e per non andare in debito, ci fermiamo a mangiare a Bernate Ticino. È mezzogiorno. Lasciamo le bici legate fuori, (ma siamo sempre e comunque in apprensione per le nostre due ruote), e ci sediamo sotto il pergolato nel retro del locale. Dividiamo un antipasto che si rivelerà enorme, soprattutto una marea di salumi, e io ci aggiungo pure le patatine fritte. Facciamo passare in tutto un’oretta, ne abbiamo bisogno.
Torniamo a pedalare, è diventato ancora più caldo, ma per fortuna incontriamo anche molta ombra: qui il Naviglio è contornato da molta più vegetazione che riesce a schermare questo sole assassino.
Mi sono comunque legato una Bandana gialla al capo, come faceva il grande Pirata Pantani, e pedalo a petto nudo con i pantaloncini arrotolati il più possibile per far prendere aria alle gambe: probabilmente sono uno spettacolo indegno!
Arriviamo finalmente ad Abbiate Grasso, qui dobbiamo abbandonare il Naviglio Grande e prendere il Naviglio Bereguardo: destinazione Pavia.
Verso la metà del Bereguardo, nonostante il divieto perentorio, ci immergiamo nel canale. Stiamo ben attenti a non mollare i mancorrenti della banchina. La corrente è molto forte, potrebbe trascinarci sino a uno dei tanti salti che il Naviglio compie in rigogliose cascatelle. Ce n’è proprio uno qualche metro più avanti.
È tremendamente piacevole, riusciamo a rinfrescarci e ad abbassare la temperatura corporea, non vorremmo più uscirne.
Finito il Bereguardo in un’atmosfera bucolica, ci fermiamo in un bar a Torre d’Isola, poi ancora qualche chilometro di noiosa campagna sino a Pavia. Arriviamo in città alle cinque di sera, per un totale di 120 chilometri percorsi.
Doccia nel nostro B&B e usciamo per la cena in una Pavia rovente. Siamo preoccupati, domani danno pioggia ininterrotta. Guardiamo mille siti, i radar, ecc. ma il risultato è sempre quello, domani ci saranno pioggia e temporali sino a Genova: che disdetta! Mi sfiora quasi l’idea di prendere il treno e mollare tutto…
Ma andiamo per piccoli obiettivi, vediamo di fare il pieno di carboidrati per domani. È presto, quindi pensiamo di fare l’aperitivo, ma ci ingabbiano in una strana formula che propongono, e così ci ritroviamo ancora davanti a un enorme piatto di affettati. Non è nostro uso mangiarne così spesso e ora ci escono dalle orecchie! Poi ci aggiungiamo anche una carbonara e ce ne andiamo a dormire.
Anche oggi ci svegliamo alle cinque. Come da previsioni piove, è buio e noi non siamo del migliore umore. Le previsioni purtroppo confermano le piogge e i temporali.
Dobbiamo trasportare le biciclette giù dal secondo piano ma non entrano nell’ascensore: quindi forza e coraggio! Il padrone ci ha autorizzato a metterle sul balcone, perché non aveva un luogo custodito dove poterle riporre per la notte.
E allora in sella, oggi dovrebbero essere 130 chilometri per arrivare a Genova. Però c’è una cosa molto positiva: per ora non piove più. Sembra che abbia smesso solo per poter ricominciare con più intensità. In cielo vediamo solo tante minacciose nuvole nere.
Dopo una ventina di chilometri ci fermiamo per la seconda colazione a Lunga Villa, un paesino immerso nella campagna. Appena fuori da Pavia abbiamo attraversato solo risaie. L’avventore, come se non lo sapessimo, ci dice di stare attenti, perché danno pioggia. Quando gli diciamo da dove arriviamo e dove stiamo andando, rimane sconcertato.
Piano piano iniziamo a scalare gli apennini. Sembravano così lontani, quando a Pavia li vedevo all’orizzonte, ma poi velocemente ci siamo arrivati.
E le nubi, sempre più arrabbiate, rimangono tutte intorno a noi. Ma ci lambiscono solamente, per fortuna non stiamo prendendo acqua. Sembra quasi che un’aurea di alta pressione si sia posizionata sopra le nostre teste per poi seguirci e proteggerci. Il gatto nero che ci ha attraversato la strada, subito dopo la colazione, è stato di buon auspicio. Del resto, se penso al nostro stupido e goffo gattone nero che ci aspetta a casa, mi chiedo: ma come può un gatto melanico essere portatore di sventura?
E arriva Tortona, non ci posso credere! Stamattina guardandola su Google Maps sembrava così lontana… La Madonna dorata ci guarda dalla cima della cupola, mentre io scopro di aver bucato, una micro-perdita per fortuna. Gonfio la ruota anteriore e ripartiamo.
Tortona era già stata protagonista di un’altra nostra impresa, quando con una piccola Vespa ET4 125 eravamo andati in Liguria, a Recco. I gestori del bar, dove ci eravamo fermati, non potevano crederci e neanche quanto ci eravamo rifermati al ritorno dal mare.
E il tempo continua a graziarci, ma abbiamo paura che le piogge ci aspettino al varco per castigarci, proprio quando valicheremo gli apennini per scendere a Genova. Intanto continuiamo a passare su strade bagnate, dove deduciamo che ci siano appena stati abbondanti scrosci. Ma la cosa veramente positiva è che la temperatura non supera i 20 gradi, non osiamo pensare come sarebbe stato pedalare sotto i quasi 40 gradi di ieri.
Passiamo Serravalle Scrivia ma non ci fermiamo, vogliamo mangiare ad Arquata Scrivia. Quando ci arriviamo però troviamo tutto chiuso, aperto c’è solo qualche bar di second’ordine. Il vicino Outlet ha distrutto la piccola economia locale, ora pare tutto come dimesso, abbandonato e in decadenza. E allora tiriamo avanti, ma siamo stanchi, affamati e forse disidratati.
Il tempo continua a tenere, inizia pure a uscire qualche raggio di sole e la strada piano piano inizia a salire.
Siamo partiti dai 290 metri di altitudine di Cambiasca per scendere ai 77 di Pavia e ora stiamo salendo inesorabilmente, fino ai 472 metri che saranno quelli della “Cima Coppi”: il Passo dei Giovi.
Intanto scorrono i paesini e noi non troviamo dove fermarci, procediamo quasi per forza di inerzia.
Ma poi, per fortuna, all’ingresso di Isola del Cantone, troviamo una Trattoria aperta. Ci fiondiamo dentro. Scelgo una saletta appartata perché mi vergogno di come siamo conciati, così discinti e sudati non dobbiamo essere un bel vedere. Solo quando mi siedo al tavolo, mi rendo conto di quanto fossi al limite. Ho uno strano senso di nausea, mi gira leggermente la testa, e vorrei buttarmi giù per dormire: era arrivato proprio il momento di fermarsi.
Per farci contenti, il gestore ci porta qualcosina per ingannare l’attesa: un piatto di salame! No, ancora! Non ne possiamo più di salumi.
Non ci lamentiamo per l’attesa e mangiamo con calma. Ne approfittiamo per riposarci, così quando ripartiamo e come se fossimo rinati.
Ora il sole inizia a scaldare davvero, e pensare che ci avevano convinti che allo scollinare avremmo preso l’acqua. E nonostante il miglioramento, comunque da quando siamo entrati in Liguria, frequenti cartelli luminosi ai lati della strada, continuano a segnalare l’allerta gialla.
Nei pressi di Ronco Scrivia irrompo nell’autorimessa di una coppia che traffica con della legna e chiedo una pompa per gonfiare la bici. Non voglio perdere tempo nel fermarmi a sostituire la camera d’aria, poi temo che le brugole portatili non siano sufficienti per svitare il tubo passante della ruota: era così comoda la leva, ma perché si sono inventati sto barbatrucco?
Ma ecco finalmente il cartello che segnala il Passo dei Giovi, ci aspettano gli ultimi due chilometri di salita. Ce l’eravamo detti quando a casa pianificavamo il viaggio: arrivati ai Giovi avremmo ormai potuto dire di avere raggiunto il nostro obiettivo!
Quando finalmente raggiungiamo la cima siamo felicissimi, adesso davvero ce l’abbiamo fatta!
Ora, qui sul Passo, sta splendendo il sole. Tutto intorno invece, bellicose nuvolacce nere si rincorrono in cielo. Come se non bastasse, dalle valli circostanti sentiamo rimbombare i tuoni, temiamo per il prosieguo del nostro viaggio. Ma ci fermiamo comunque nell’unico bar che conosciamo bene per esserci già stati in occasione dei nostri giri in Vespa: no comment…
Risaliamo in sella, ora ci dovrebbe essere solo discesa, al massimo un falso piano con inclinazione a nostro favore, per circa venti chilometri sino a Genova. In uno dei primi tornanti ci fermiamo: si vede finalmente il mare.
È lunga però, esclusi i primi chilometri dove siamo andati giù a quaranta all’ora, ora tocca pedalare, ci frena il vento contrario che soffia dal mare.
Finalmente Genova, il nuovo ponte dell’autostrada sul Polcevera, poi il quartiere di Sampierdarena, il Matitone e il Porto Antico dove ci fermiamo per qualche foto che testimoni la nostra “impresa”.
Continuiamo ad attraversare longitudinalmente Genova per andare a fare il bagno in uno dei nostri posti del cuore: Boccadasse.
Una volta in spiaggia, dopo il bagno e gustandoci un gelato, tiriamo le somme: 260 km. totali. Sono appena passate le diciassette.
Guardiamo il cielo, ancora la solita nuvolaglia scura che ora si sta addensando nuovamente nei cieli di Genova. Sono sicuramente quelle nubi che ci hanno seguito dagli Appennini. Pare si stiano unendo a quelle che hanno incontrato qui, provenienti dal mare. Ma in tarda serata, come sono apparse, si dissolveranno tutte, riusciremo così ad arrivare al nostro albergo e poi uscire per cena, senza prendere neanche una goccia d’acqua.
E poi tornare è forse più probante. Pur avendo dormito a Brignole, il treno per il ritorno dobbiamo prenderlo alla Principe. Per essere sicuri che ci carichino la bici, dobbiamo scegliere il nostro treno tra i regionali, quindi almeno due cambi.
Su internet ho trovato qualcuno che mi cambierà la camera d’aria, nonostante sia un lunedì di agosto. È un personaggio curioso, né vecchio né giovane, ma forse giovane non lo è mai stato. Opera in un locale sulla strada, forse un ex alimentari o fruttivendolo. Si arrabatta tra un sacco di rumenta, come si dice qui. Non ha la camera d’aria, ma glie la do io, e gli devo anche tenere la bici perché non ha un cavalletto… ma è fatta, ora sono più tranquillo.
Dentro la stazione si scende e si sale sollevando le bici per superare i frequenti e ripidi scalini. Cosa quasi impossibile per una donna con la bici carica: ma Vanessa, dopo tutta la piscina che facciamo, se la cava egregiamente.
Il treno, come poteva essere altrimenti, è il solito carro bestiame. Per fortuna siamo tra i primi a salire e riusciamo così ad appendere le bicilette sugli unici tre stalli esistenti. Dopo non ci saremmo riusciti, sarebbe stato impossibile far spostare tutta questa gente che si è stipata l’una sull’altra. Una comitiva di asiatici, che vedo aspettare pazientemente sulla banchina per salire con le bici, non so se ce la farà: non li vedrò più.
Cosa ridicola, se non tragica, sul convoglio c’è un solo bagno, ma è fuori uso. Lo speaker annuncia che ci si fermerà per la Toilette nella Stazione di Tortona e sottolinea che il capo treno permetterà, e soprattutto aspetterà, chi desidera scendere per i suoi bisogni: sembra di essere in gita scolastica.
Dai finestrini, tra una galleria e l’altra, ripercorriamo a ritroso la nostra pedalata.
Arriviamo a Milano Garibaldi, ma naturalmente abbiamo perso la coincidenza, riusciamo però a prendere un altro Malpensa Express che era in ritardo. Qui non è previsto posto per le biciclette e ci arrangiamo come possiamo.
A Saronno aspettiamo il treno per Laveno Mombello, quando arriva scopriamo che tutti i posti per le bici sono occupati. Avevo pensato che la formula treno più bici fosse utilizzata da turisti e sportivi, in realtà scopro che è il sistema di viaggio più usato dagli africani e dagli asiatici: oltre a noi, ci sono solo loro con le loro bici scalcagnate.
E allora, volenti e nolenti, con le biciclette in mano, in questo lentissimo locale, fermiamo in tutti i paesini del Varesotto, sino al lago. Mi sembra di essere ritornato bambino, quando facevo il chierichetto e davo assistenza al parroco. Come ora, si sostava in tutte le interminabili quattordici Stazioni, per recitare le litanie.
A Laveno condividiamo il traghetto con due enormi autoarticolati delle giostre, non so neanche come riescano a salirci su questa piccola imbarcazione.
Un gelato nello splendido imbarcadero Liberty di Intra e poi pedaliamo i quattro chilometri scarsi per salire a casa, in quel di Cambiasca.
Chilometri finali, più o meno 270, o forse qualcosa di più, ho azzerato per sbaglio il conta chilometri.
Uno splendido viaggio, soprattutto il primo giorno, quando abbiamo percorso le alzaie dei navigli, completamente fuori dal traffico. Il secondo giorno, invece, abbiamo dovuto fare più attenzione alle auto, ma dopo Arquata, la strada è diventata molto poco trafficata e i paesaggi, abbandonata la pianura, molto più belli e suggestivi. Poi, chettelodicaffare, Genova e il mare…
Ciao, ciao.
Nigel Mansell