di Eno Santecchia – Ho avuto il piacere di conoscerlo dopo aver acquistato, letto e recensito il suo volumetto “Giacomo Costantino Beltrami. Vita avventurosa di un italiano in America” (2022) sul marchigiano d’adozione che scoprì le sorgenti del Mississippi.
Autore di otto saggi, Cesare Censi è uno studioso civitanovese, esperto di ricerche d’archivio e genealogiche, che ha compiuto due viaggi in Nepal. Il primo nel novembre 1992, in solitaria, il secondo nel febbraio 1993 con la fidanzata Rossana, poi diventata moglie. Ad una mia domanda Cesare risponde che la sua donna si è bene adattata, perché già conosceva attraverso la letteratura la situazione economica e igienico- ambientale delle regioni visitate. Grande camminatrice, non si stancava facilmente … quindi un’ottima partner di viaggio.
Questi viaggi della durata complessiva di due mesi, di cui andremo ad accennare, hanno coinvolgimenti antropologici ed etnografici.
Il Nepal è una nazione incuneata tra l’India e la Cina, per l’estensione si piazza tra le nazioni (a noi vicine): Tunisia e Grecia. È diviso in tre regioni geografiche: la zona pianeggiante del Terai, fertile e tropicale, gli altipiani centrali coperti di pascoli e foreste e le vette più alte del mondo, appartenenti alla catena dell’Himalaya. Oggi ha circa 28 milioni di abitanti, l’unità monetaria è la rupia nepalese. Ha un clima subtropicale monsonico. A sud, la cittadina di Lumbini è meta di pellegrinaggi per aver dato i natali al Buddha Gautama.
Sono percorsi conosciuti e praticati dall’orientalista ed esploratore maceratese Giuseppe Tucci (1894-1984). Tucci ha spiegato anche com’era strutturata la società e come erano vissuti il buddismo e l’induismo. Da lui Cesare ha ripreso l’aspetto sociale e culturale della popolazione.
In questa sede si vorrebbe cogliere un po’ dello spirito del viaggio dal suo ben curato libro “Due viaggi in Nepal”. Come se lui – appena ritornato – attraverso le mie domande mi raccontasse a voce le sue vicissitudini.
Una volta pubblicato, ogni libro vive una vita propria … oggi lo possiamo dire (in parte) anche per i reportage di viaggio su Internet, almeno finché si paga per mantenere il dominio. È naturale che qui ci possa essere qualche riflessione nuova, non riportata nel suo volume. Spesso nei libri – almeno qualcuno lo fa, me compreso – non si scrive tutto quello che passa in mente.
Frequentava la seconda elementare quando fu molto incuriosito osservando la quarta di copertina di un quaderno dell’epoca, dove c’era la carta geografica, con alcune notizie sintetiche sul Nepal. Lo incuriosì anche la bandiera a forma di sigma.
Per tre decadi studiò il Nepal, i libri di Tucci li ha letti in ultimo, perché da bambino non ne conosceva l’esistenza. Oggi la biblioteca di Cesare Censi contiene circa duecento volumi sulla regione himalayana.
Continuò ad interessarsi e a cercare ulteriori notizie, finché, verso i 35 anni, nel 1987-88, iniziò a mettere da parte degli spiccioli in una scatola. Dopo cinque anni ritrovò in quel “salvadanaio” un milione e mezzo di lire, con il quale organizzò il viaggio e il soggiorno.
Nell’autunno del 1992 prenotò il volo con la compagnia aerea russa Aeroflot, partì da Roma e fece scalo tecnico a Mosca, diretto a Kathmandu. L’aereo era simile a un Boeing, aveva 200-300 passeggeri.
Sceso all’aeroporto internazionale, in taxi raggiunse l’hotel “Potala Guest House”. Era una buona struttura ricettiva gestita da tibetani che gli hanno dato il nome del palazzo del Dalai Lama a Lhasa.
Durante i due viaggi ha visitato anche: il Sikkim, il Bhutan, e il Bihar, nell’India settentrionale.
Dopo un paio di giorni dall’arrivo partì per recarsi nel Sikkim, a est del Nepal, in passato uno Stato autonomo con un suo monarca. Con la tipica corriera si recò nel Sikkim impiegando due giorni; alloggiò in una lodge (locanda). La prima impressione fu di tanta confusione, data dalla moltitudine di persone che camminavano in strada.
Conobbe un ragazzo che vendeva dei vestiti, insieme al quale si recò in una agenzia di viaggi per cambiare i traveller cheque, in rupie nepalesi. Con Shankar, titolare di quell’agenzia, divennero amici e restarono in contatto via posta elettronica.
Il Sikkim è a maggioranza buddista, ci sono innumerevoli monasteri. Cesare, ben documentato, ne ha visitati diversi, dialogando con i monaci. Visitò Darjeeling, la capitale mondiale del tè, dove ci si trova immersi nelle verdi piantagioni: vedendo le sorridenti ragazze intente alla raccolta delle pregiate foglie.
Ritornato a Kathmandu ripartì per Pokhara, verso ovest, dove si trovava un lago ai piedi dell’Annapurna, una delle più alte vette del mondo, sempre superiore agli 8.000 metri. Ammirò distintamente l’Annapurna, il Machhapucchhare e il Kanjenjunga (terza vetta più alta del mondo).
La maggior parte degli abitanti aveva un appezzamento di terra che consentiva il sostentamento della famiglia; l’alimentazione era basata principalmente su verdure e riso.
Ha visto il Bagmati, un fiume sacro che, dopo aver attraversato Pashupatinath, e, giunto in India, si getta nel fiume Koshi, a sua volta affluente del Gange. Pashupatinath è il luogo sacro del Nepal dove si eseguono le cremazioni.
Tutta la regione Himalayana è popolata da induisti e buddisti: il loro sistema di vita è regolato dal sincretismo religioso.
Un giorno si fermò a parlare con un sadhu, un vero santone, che stava meditando. Con lui sorseggiò un tè offerto e scattò una foto che lui chiese di inviargli in un tempio indiano, dove si sarebbe recato a giorni. Mentre lui conversava, i turisti, meravigliati, scattavano foto in fretta.
Anche all’epoca in Nepal il turismo era molto diffuso, soprattutto organizzato da tour operator. E i turisti passavano, guardavano e scattavano, senza entrare in contatto con le persone del posto.
Anche nei posti più sperduti c’era sempre una “osteria” che preparava da mangiare, in mancanza, veniva offerto dalla popolazione locale, senza alcuna remora.
La cucina è basata sul riso, alimento base, e sulle verdure e ortaggi; si servono molte salse che vanno dall’agrodolce al piccantissimo. La frutta di stagione è varia. Fuori dei ristoranti della capitale sarebbe meglio evitare la frutta fresca per via dell’acqua, non potabile, con cui, magari, può essere stata lavata. La poca carne consumata era di pollo.
Le locande offrivano servizi accettabili a prezzi molto economici per noi, con ottima accoglienza, anche se ci si deve adattare a qualche comodità in meno. Nelle camere si possono trovare le zanzariere.
Sulle pendici montane si vedevano al pascolo gli yak, bovini molto rustici e dal mantello a pelo lungo che li difende bene dal freddo.
Ad una specifica domanda Cesare risponde che in nessun libro viene riportato il consumo di animali da noi europei ritenuti domestici in Nepal, come avviene in qualche altro Paese asiatico (Cina, Corea del Sud, ecc.).
Fuori della capitale le carte di credito non erano accettate, in certe zone non erano riconosciuti neanche i dollari. A Janakpur dovette accettare la proposta di un ragazzo tedesco che si offrì di viaggiare con lui e pagare le spese per essere poi rimborsato a Kathmandu.
I mezzi usati per le lunghe distanze erano i pullman, a Kathmandu si poteva noleggiare una bicicletta o il risciò (che Cesare chiama rickshaw), un ciclista con il carrozzino dietro. Altrimenti si camminava.
Oggi il risciò è ritenuto un mezzo ecosostenibile … tanto che si sta riprendendo il suo uso nella variante elettrica.
Per vedere i variopinti pullman dell’epoca, diffusi un po’ ovunque fino alla prima metà del Novecento, Cesare suggerisce di rivedere i film di Vittorio De Sica del dopoguerra.
In genere il buon viaggiatore non ridacchia di chi va in cinque in una moto, ma l’aneddoto della capra fa sorridere, senza offendere nessuno. In Nepal qualcuno riusciva a far salire una capra sul tettino del pullman, senza che l’animale o le persone si facessero male!
La valle di Katmandu è caratterizzata da campi agricoli irrigati da fiumi e torrenti che nascono sulla regione himalayana. Cesare ha notato principalmente le coltivazioni di riso, ma anche di ortaggi e di banane.
La gente si è rivelata cordiale, accogliente e ospitale. Non sono stati restii a fornire indicazioni, a Janakpur alcuni ragazzi gli hanno fatto da guida in un luogo di culto e durante una visita all’ospedale locale.
Cesare notò ed apprezzò la disponibilità e la cortesia della popolazione locale, per contro quella gente – durante le conversazioni – si rendeva conto che lui conosceva bene il loro modo di vivere.
Chi non era del posto era riconosciuto facilmente, non era una mera questione di abbigliamento. Avendo una lunga preparazione, Cesare riusciva a dare spiegazione a tanti comportamenti che osservava, anche quelli non notati dagli occidentali.
In questi due avventurosi viaggi Cesare si è trovato completamente a suo agio e si è crogiolato sul fatto di avere trovato conferma su ciò di cui aveva letto. I suoi itinerari sono stati una verifica sul campo di quanto aveva studiato nei trent’anni precedenti.
All’epoca dei suoi viaggi in Nepal c’era la monarchia, ma Cesare sostiene che le questioni politiche non coinvolgevano più di tanto la popolazione al di fuori della valle di Kathmandu, in quanto lontana e con comunicazioni molto difficili con la capitale. Nel 2007 è avvenuto il passaggio dalla monarchia alla repubblica federale parlamentare.
Dopo il terremoto del 2015 Cesare contattò l’amico Shankar per conoscere la situazione e lui gli raccontò che c’è stata parecchia distruzione, con crolli di templi e case. Creando emergenze e problemi più gravi per la popolazione povera.
Se dovesse ritornare in Nepal visiterebbe la regione occidentale, il Mustang e le regioni confinanti con il Pakistan, che non poté vedere per mancanza di tempo. È una regione incontaminata, priva di turismo.
Dunque, il suo amore per il Nepal viene da lontano; fortunatamente è riuscito a realizzare quell’ardente desiderio, con notevole profitto culturale ed umano. Oggi nel suo cuore conserva il ricordo soprattutto delle persone incontrate e dei paesaggi ineguagliabili.
Oltre a qualcosa di cartaceo, Cesare conserva alcune tankha, delle pitture (chi non le conosce le ritiene religiose). Un vajra, il fulmine della dea Shiva, una T-shirt artigianale, cucita sul posto, non certo stampata in serie. 1.500 foto analogiche, poi delle buste e blocchi notes in carta di riso.
Pur non essendo un fotoamatore esperto, è riuscito a scattare belle immagini grazie ai consigli di un fotografo. Ha usato una pesante fotocamera russa Praktica con un teleobiettivo da 200 mm.
È sempre buona educazione chiedere se qualcuno vuole essere fotografato perché potrebbe capitare che ci sia la persona che crede che gli si rubi l’anima.
I bambini, sempre sorridenti, gli correvano attorno chiedendo le fotografie e a volte lasciavano l’indirizzo per ricevere quelle immagini cartacee.
Cesare scattò molti ritratti d’iniziativa o richiesti dalle persone che, in genere, chiedevano le copie cartacee. Sia a Katmandu che fuori ha incontrato belle ragazze che gli hanno permesso di fotografarle: a Cesare una foto non l’ha mai rifiutata nessuno.
I periodi migliori per viaggiare in Nepal sono da ottobre ad aprile, corrispondenti alla stagione secca nella regione Himalayana, anche perché le giornate sono luminose e il cielo sgombro dalle nuvole.
È utile sapere anche cosa accade d’estate, quando la regione himalayana è interessata dai monsoni con le relative intense piogge. Durante quella stagione molto umida il cielo è coperto, piove, le strade di terra battuta sono impraticabili, i fiumi in piena, notevole è il rischio di frane.
Aggiungo una nota militare. Dopo l’alleanza con la Gran Bretagna, nel 1860, l’esercito angloindiano poté arruolare in Nepal i gurkha, soldati molto apprezzati per spiccate attitudini al combattimento. Nel Novecento e prima, essi hanno militato sotto l’egida del “British Army” in diversi fronti. Il loro coltello, dalla insolita curvatura della lama, si chiama Kukri.
Non è certo una persona qualunque chi compie viaggi dopo aver studiato il contesto per trent’anni.
Cesare ama i grandi spazi e camminare: ha girato tutta la Scandinavia, l’Islanda, il Québec, l’isola canadese di Terranova e tutta l’Europa. Le città, come New York, non lo attirano più di tanto. Cesare viaggia per conoscere la gente e stare a contatto con loro. Nella sua filosofia di viaggio preferisce dialogare con le persone, tenendosi fuori dagli itinerari turistici più battuti.
A lui piace vedere, muoversi, incontrare e conoscere la popolazione: un viaggiatore completo. Il viaggio è una forma di conoscenza – dice – e se vuoi conoscere veramente qualcosa devi andare di persona. Come lui la pensano e agiscono tanti buoni viaggiatori che antepongono la conoscenza allo svago.
Il suo stile di scrittura è asciutto, a volte anche spiritoso, come quando dà qualche frecciatina ai finti poveri europei che chiama pseudo-fricchettoni. È onesto quando critica lo stile di vita occidentale consumistico e incontentabile di beni materiali.
Per chi vuole saperne di più, seguendo Cesare – passo passo, tra la gente – non resta che leggere il suo bel libro illustrato “Due viaggi in Nepal” (2021), formato 15 x 23 cm di 166 pagine, con copertina soft touch. Le foto a colori hanno un’ottima resa anche perché la carta è patinata. Nel testo vi sono diversi termini provenienti dalla lingua nepalese.
Una variegata galleria di persone conosciute, com’è nel suo stile di viaggiare, secondo il mio modesto parere uno dei migliori. Molto profonda la sua introduzione nella quale evidenzia che viaggiare è una cosa seria, è difficile, allarga la mente e rende liberi.
Jean-Didier Urbain, sociologo francese, linguista, etnologo e specialista del turismo, definisce il viaggio un modo di essere, uno stato mentale.
Eno Santecchia
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