di Francesca Pierantoni –
Giorno 1
Arcobaleni
Il mio zaino è azzurro. Quello di Cristina è verde. Io sorrido alla hostess di Iberia che porta un rossetto con lo stesso punto di rosso della bandiera spagnola. Fuori dal finestrino tondo brilla il giallo del sole di Madrid. Il mignolo del mio piede sinistro continua ad essere viola, dopo che me lo sono sfranto contro il frigo a due giorni dalla partenza (infatti ho addosso le Ipanema nere, le Reebok bianche non riesco ancora a metterle. Troppo male). I nostri blues, le piccole o grandi malinconie ci pesano come zavorre. Per questo siamo partite. Per svuotare gli zaini da tutto ciò che non seve più. Per cercare una trasparenza.
Decolliamo. E sotto un nuvolone grigio spunta girato al contrario, un arcobaleno. Che visto da sopra è una cosa bellissima.
Quasi Espana.
Giorno 2
Canederli
La Spagna, terra Caliente, terra de fuego.
La Spagna dei Latin Lovers che ti inceneriscono con lo sguardo.
Sangria e pimientos picantes.
La terra delle grandi passioni.
Pamplona.
Pamplona, tu già parti male con la storia dei tori, che, lasciatelo dire, è una vergogna bella e buona. E non venirmi a dire la cultura e la tradizione, che allora dovremmo ancora bruciare le streghe nelle piazze.
Pamplona.
Tu parti con gradi 16 e le signore coi cappottini.
E io c’ho le infradito, ti ricordo, Pamplona.
Quindi, ciudad de Navarra, lo sai che si fa noi oggi, in attesa che mi si sgonfi il mignolo?
Si va verso sud. Verso il deserto delle Bardenas Reales.
Il deserto è caldo. Pensiamo noi. Ingenue donne degli agosti padani.
Tudela.
Tudela, ciudad che confini con il deserto: perchè arrivo e devo infilarmi la canottiera nelle mutande?
Comunque io e la mia amica siamo donne di mondo, e certo non ci ferma il ghiaccio che ci opacizza gli occhiali da sole.
Così ci mettiamo in cerca dell’ufficio turistico delle guide del deserto, che, come da sito web, dovrebbe essere proprio qui… No. Qui non c’è niente. C’è un palazzo in ristrutturazione.
Escucheme, senor, donde estas….
Ue’ figa, ha attraversato senza guardarci in faccia!
Escucheme, senora, donde estas….
Soccia, ma che scazzo c’hanno in qui in Navarra!
Escucheme, senorita, donde estas….
E allora fottetevi. Lo troviamo da sole.
Finisce che giriamo un’ora. Troviamo 11 stronzi che ci trattano male, un barista che non ha cibo per noi, sorry sorry, solo dopo le 20, una impiegata dell’ufficio turistico centrale che non parla inglese, un noleggiatore di auto che ci chiede un rene in cambio di una Panda 30 dell’ ’84, un autista di bus che ci odia a prescindere.
Che evidentemente il freddo del fuori gli è colato nel cuore, a questi spagnoli atipici.
Facciamo che basta così, e torniamo indietro, a Pamplona.
Scendiamo dal treno.
Una lama di vento gelido ci taglia la faccia appena fuori dalla stazione.
“Dobbiamo fuggire da questa città di merda, e da ‘sto freddo della minchia”, esclamo senza filtro, dimenticando la radice latina comune alle nostre lingue.
Una signora ci sorride (la prima, di tutta la giornata) e ci dice: “No tranquille ragazze, manana vas a haber sol caliente”.
Si, si, certo, Pamplona, vedrai che mi freghi ancora.
Intanto cerchiamo un ristorante per la cena.
‘Fra, tu che hai ancora batteria, cerca su Google se ce n’ è uno che fa i canederli o la polenta col capriolo. Che le tapas ce le mangiamo a Madonna di Campiglio appena torniamo”.
Giorno 3
Muertaccios vostros y de chi non ve insegna l’ingles
La Principessa di Stocazzo si aggira per la Spagna con gli occhioni spalancati di chi cerca di capire invano.
Prova ad organizzare un discorso di senso compiuto, ma vergognandosi della propria ignoranza grammaticale, termina le frasi a metà affievolendole fino ad un imbarazzato silenzio.
Ella paga pegno per aver irriso il Combish della sua amica in quel di New York.
D’accordo. È giusto.
Ma voi, o Spagnoli, perché oltre ad essere stronzi siete pure granitici nel non voler rendervi conto che se state sul cammino di Santiago magari masticare un po’ di inglese non guasterebbe?
Per fortuna la fanciulla viaggia con il suo Sancho Panza personale, che invece, con la faccia come el posterior, non si fa un cruccio di articolare il suo solito ruvido gramnelot.
“Escuchame, tiengo el tiempo por los servicios?” e mi guardate come si guardano gli idioti.
“Pisciàr !” e rispondete “ah ok”.
“semos arribate en esta ciudad ahora, y queremos andar al albergue” e vedo la pietà nei vostri occhi.
” Hotel plenos?” “No no, non è pieno, di quanti letti avete bisogno?”
“Necessìto un passaje col tu blabla car por arribar a la proxima ciudad sul Camino” e ti fai i selfie con me come se fossi una scimmia ammaestrata.
“Leon. Adess. ” “Ok salite”
Cioè, voi state vanificando ogni mio tentativo di interazione dialettica a favore di un linguaggio gutturale e primitivo.
Siete dei cialtroni.
E lei poi si vendica e mi chiama Principessa di Stocazzo.
E gode, la maledetta, tutte le volte che con sguardo angelicamente supplichevole chiedo “Do you speak English?” E mi rispondete di no, con sprezzo, con spocchia. Peggio del più snob antiquario parigino. Con quello sguardo annoiato e stizzito di chi per l’ennesima volta viene disturbato nella sua ponderata decisione di non voler hablar Ingles.
Ah, ma partiremo pure per sto benedetto cammino. Ah, ma verrà pure il momento della condivisione cosmopolita coi pellegrini di tutto il mondo. Oh, se verrà quel momento. Verrà eccome l’ora in cui io farò bisboccia coi neozelandesi, e tu, o Sancho Panza, te ne starai con le cuffiette ad ascoltare i tormentoni dell’estate.
“Senti, Principessa di Stocazzo, hai prenotato per uno solo la blabla car. Lascia fare a me. Amigo, dos passegger. No unos. Pagar contant. Euro, ok?”
“ok”.
Uno a zero per te.
Oh, ma verrà quel tempo. Oh, se verrà.
Verrà domani.
Cuando sera’ el momiento de cominciar a intraprender la nuestra aventura sopra los sentieros… “Senorita, no indiendo…”
“Magnana…. [FISCHIO E GESTO CON LE DITA CHE CAMMINANO]”
“aaaahhh… AHORA intiendo!!”
Vi odio.
Giorno 4
Cinesi, Drammi e Pellegrini
Siamo partite.
Comincia il nostro cammino. Comincia da Ponferrada, dove in un ostello principesco (da queste parti pare non essere assolutamente un ossimoro) conosciamo il nostro compagno di stanza, un ragazzo di Mirano.
È in cammino già da un po’, con la bici, una mountain bike gialla e infangata.
Noi no, dico.
Siamo in ritardo sulla nostra tabella per il mio piede blabla.
Le faccia che fa.
Gli muovo la compassione.
La pietà infinita.
La Cri torna dalla doccia e mi trova in lacrime, non ce la faremo mai, è tutta colpa mia.
Mi sento in colpissima. Ma se prendessimo una bici anche noi, magari facciamo una tappa si è una no…. Adesso dormi, vediamo domani come va.
Domani, ovvero giorno 4, va che ho male come prima e non riesco ancora a mettermi le scarpe.
Ma cosa devo fare? Sono qui. Io ci provo lo stesso. Come? Con le infradito.
Via. In cerca delle conchiglie, il simbolo del cammino che segna tutta la strada.
10 km. I primi di tutto il cammino con le Ipanema.
A un incrocio, due cinesi sotto a un cartello con una freccia grande come una cattedrale, ci aspettano per chiederci che strada devono prendere a quel punto.
Stelline. Come mai riescono a sembrare sempre così inadeguati, ‘sti orientali. E dire che stanno conquistando il mondo con i loro negoziacci di fuffa.
A quel punto, un colpo di genio.
Corriamo (ah, che belle le iperboli della prosa!) al paese più vicino. Ci deve essere per forza. Il negoziaccio infame. Il Mercatone Ciao Ciao.
C’è. Con moglie scazzata d’ordinanza in cassa e i cinni che giocano a nascondino tra le corsie.
La scarpaccia. La più improbabile. Rosa fluo. Due numeri più grande. Autodistruggente, sicuro. Perfetta per l’uso.
Una forbicina da unghie, e la Scarpaccia diventa la mia compagna di viaggio: più che una scarpa tecnica, una infradito corazzata super turbo zum.
Improvvisamente acquisto un allure da Pellegrina Vera, abbandonando quell’ arietta scanzonata e guascona da vacanziera Ibizenca che ha preso il treno sbagliato.
I miei passi guadagnano una sicurezza impensabile fino a poco fa. I km diventano 15. 20. 24.
Facciamo tutta la tappa.
Certo non alla velocità dei Pellegrini De Luxe, con l’abbigliamento in Kevlar potenziato all’oro zecchino e i bastoncini di titanio forgiato dagli Dei. Ma andiamo. A un ritmo decoroso.
Ogni tanto, sotto una freccia grande come una cattedrale, troviamo i due cinesi che si fermano indecisi sulla direzione da prendere e quindi procedono più o meno al nostro fianco.
Insomma cominciamo a parlare (in inglese, tie’) e ci dicono “che carini gli italiani” , noi siamo proprio simpatiche e anche un gentilissimo ragazzo di Milano con una bici gialla e infangata che gli ha dato indicazioni su che direzione prendere.
Ah, ma lo conosciamo anche noi! Alessandro di Mirano!
“Milano!”
“No Milano, Mirano”.
“Milano!”
E vabbè.
Tanto conquistano il mondo lo stesso.
Giorno 5
Istinti
Dopo due giorni di cammino a 20/25 km al giorno, per te, o fanciulla che credi di essere allenata abbestia, e forte come mai prima nella vita, cambia tutta la tua la lista dei valori e delle priorità.
Tipo che ti trovi a riconsiderare concetti arcaici e perduti, come la fame.
Che tu magari dopo 5 ore di lavoro, tra la colazione e il pranzo, senti brontolare lo stomaco, tenerella, senti quel buchino e lo chiami fame.
Oppure dopo una giornata di mare senti quella spossatezza tipica che ti fa dire di essere stanchissima.
O anche, o fanciulla, ti può capitare di uscire una sera dimenticando il golfino, e ti ritrovi a lamentarti del freddo.
Poi un giorno la tua amicona ti convince a buttarti nell’avventura di Santiago.
E ti costringe a fare i conti con i tuoi bisogni primari.
E capisci cosa significa fame, quando sbrani due uova fritte con la foga della leonessa che ha acchiappato la gazzella, solo che tu al contrario della leonessa, fai pure la scarpetta col pane.
Oppure ti capita di stare flirtando con un americano che assomiglia a Jesse Pinkman, e di botto ti ingubbi sul divano coi piedi per aria e la bocca aperta.
O ti può pure capitare che ti porti il vestitino carino per la sera, ma tu, o stolta, non avevi calcolato il gelo che scende con il buio, e succede che indossi sì il vestitino, ma fai rientrare i calzini tra le dita dei piedi per riuscire a metterti le infradito. E completi il tutto con la maglia del pigiama felpato.
Il cammino di Santiago abbruttisce.
Lo capisci in via definitiva quando ti trovi a pisciare tra le mucche nei prati, con i piedi doloranti che non ti consentono di cercare posti più appartati perchè significherebbe fare 4 passi in più. Quando sbuca un altro pellegrino dalla curva e ti trova con i braghini calati e le vergogne al vento, al che rivendichi ad un tempo la tua femminilità e libertà dalle sovrastrutture borghesi, aggredendolo per prima all’urlo: “Sono una femmina e c’ho la passera!! È un problema?!?!”
Il Cammino scatena gli istinti più bassi.
Ti riporta ad un’umanità medievale. Basica .
Ed è bellissimo così.
GIORNO 6 FUORI CONCORSO
Dopo 5 giorni di soprusi letterari..oggi parla “Sancho Panza denoiartri” alias CRI COMBI.
Che vi racconterà un lato oscuro della Pierantoni…
Nomen Omen, dicevano i latini…infatti la nostra principessa se habla FRANCESCA…come il più celebre Santo amico degli animali.
E che animali…TUTTI! Meglio se randagi sporchi e pulciosi..in mezzo alla carretera ella arranca sopra le sue improbabili scarpe cinesi fuxia di due numeri più grandi..io che do l’andatura.. mi giro un attimo e vedo che con guizzo felino recupera inspiegabilmente le energie: “Oh..un gattino che si vuol buttare da un fienile!! Ti prendo al volo, micino!” O anche: “Oh..fermi tutti! C’è una lumaca che deve attraversare il sentiero!” Oppure ” Oh..Un randagione.. poverino ha fame.. diamogli le nostre UNICHE provviste..”
Questo simpatico siparietto si ripete con costanza almeno una ventina di volte al giorno.
Per quello le nostre tappe durano il doppio e arriviamo agli albergues per ultime dormendo nei sottoscala. Ovviamente nel diario non c’è niente di tutto ciò.. solo avventure epiche e prese per il culo per il povero Sancho.
TSK.. è ora che il mondo sappia che la principessa molto probabilmente finirà i suoi giorni da anziana in una casa diroccata circondata da bestie macilente.
Allego documentazione fotografica.. aguzzate l’occhio.( In una delle foto sembra che indichi il nulla.. in realtà è un escarabajo ) NB Il cartello sotto è stato indicato alla principessa da un gestore di albergue convinto che lei si volesse portare via el su perro. W LA SPAGNA. OLÉ.
Giorno 7
Pellegrini
Dopo 5 giorni di Cammino hai conosciuto un numero considerevole di Pellegrini.
I pellegrini si assomigliano tutti.
Hanno abiti orrendi e tecnici, dai colori più imbarazzanti. Hanno zaini con mille tasche.
Hanno la conchiglia appesa.
Hanno i dolori. Ai piedi, alle ginocchia. Alla schiena. I più originali hanno l’influenza.
Vengono da tutto il mondo. Parlano tutte le lingue del mondo. Si alzano a orari improbabili, in un range tra le 4 e le 6 del mattino.
Cenano alle 19 e alle 21 vanno a dormire. I più ribelli sfidano la chiusura degli albergue e osano tornare alle 22.05.
Non hanno una spinta religiosa, ma tutti si portano dietro nodi da scogliere, bocconi amari da inghiottire, vite da dimenticare.
È come se si affidassero al Cammino per passare oltre.
E il Cammino li aiuta. Li aiuta davvero.
Li senti parlare, si raccontano a vicenda di come questa esperienza li stia cambiando, stia loro insegnando, li stia forgiando.
Io non lo so se il Cammino sia davvero taumaturgico, o se sia una sorta di isteria collettiva, o di profezia che si auto avvera.
So che nei km che percorri coi tuoi dolori, ai piedi o all’anima che siano, ti trovi a riflettere profondamente su cosa significhi per te essere li. Io ho capito che nella vita si può andare solo avanti, che tornare indietro è inutile e folle. Sto cominciando a ragionare per bene su che cosa voglio sul serio per me. Cose a cui tutti pensiamo spesso, ci fermiamo un attimo a rifletterci, poi dobbiamo tornare in ufficio, o ci arriva un messaggio, o il bimbo piange. Qui no. Qui i km nel nulla sono il tuo quotidiano. E intanto che cammini il bimbo non piange, e tu sei costretto a pensarti davvero.
Chissà cosa capirò ancora.
Intanto, in questo bar nel mezzo del niente dopo Portomarin, col menù del dia stampato a foto enormi, le mosche e la musica cult degli anni 80, i Pellegrini si ritrovano dopo km e km e si salutano con larghi sorrisi, con quella confidenza e allegria strana che rende straordinaria questa esperienza umana.
C’è un signore con la barba. È un veneto. Fa il medico. È sul cammino perché un suo paziente è morto. E lui si sente troppo in colpa. C’è un ragazzino di Roma. Magrissimo. Con gli orecchini da punkabestia. Sta cercando di allontanarsi dalla droga. E sta scappando verso Santiago per mettere km tra lui e i suoi fantasmi. C’è una francese bellissima e triste. Ha le unghie laccate, una lunga treccia e una cavigliera sottile. È stata lasciata e cammina. Da sola.
Forse.
Non le so le loro storie. Le immagino. Ma se non sono le loro sono di sicuro di qualcun altro. Qualcuno tra questi viandanti avrà proprio quella storia lì.
Poi c’è la mia amica, che è fortissima e allegra nonostante gli schiaffi in faccia della vita, e mi porta lo zaino quando mi fanno troppo male i piedi. E ridiamo troppo tra il silenzio dei boschi.e facciamo le idiote fino a vergognarci ma non cambieremmo atteggiamento neanche davanti al l’Abate col Timbro Supremo, un’entità quasi sovrannaturale che immaginiamo ci accoglierà s Santiago.
E poi ci sono io, col mio Cavallino e le mani sporche di bestia, che sto cercando di capire se è meglio essere felici o sereni.
Poi arriva Lei è mi chiede che scrivo.
E chiude con: “Appero’. Cintura nera di filosofia, oggi.”
La amo, cazzo
Giorno 8
Algebra
Siamo a metà. 8 giorni su 16.
Tempo di tirare le prime somme di questo viaggio.
Abbiamo fatto 133 km: 126 a piedi e 7 a cavallo. Ne rimangono 78.
Ho bucato con una forbicina da unghie due paia di scarpe, le prime le ho abbandonate su una pietra miliare secondo l’uso del pellegrino, stessa sorte che toccherà anche al secondo paio, che fa – 2 paia di scarpe, ma diventa – 1 perché ho sempre le Reebok bianche intonse nello zaino.
Ho mangiato 86 tostadas con burro e marmellata, ingrassando di 2 kg, ma ne ho persi 3 camminando e sono a – 1.
Ho comprato una felpa pesante, un braccialettino e due ciondoli, ma ne avevo perso uno quindi la somma algebrica da + 1.
Ho rimpianto il passato 12 volte, ho immaginato il futuro 74, con un attivo per il futuro di + 62.
Ho coccolato 101 bestiole, ma nessuna di queste è Titino, quindi il conto si azzera.
Ho riso 451 volte e pianto 2, una per colpa del piede, una per colpa del cuore. (tutte le volte che ho riso era colpa della Cristina).
Ho mangiato una pizza, ma era buona, quindi fa + 3. Però ho mangiato degli spaghetti e fa 5..
Ho pensato alla religione 20 volte, alla filosofia 30 volte, in attivo nel cervello ho 50 volte che mi sono meravigliata in modo inatteso.
Ho sentito 47 dolori nuovi tra piedi e polpacci. Domani arriveranno a 52.
Ho dormito quasi 8 ore in una notte e ne ho gioito per 12.
Ho ragionato su quanto sono piccolissima con la mia natura umana nel mondo per 15 volte. Ho capito quanto, con la mia volontà e positività, sia enorme nel mio mondo per 25 volte.
Ho provato a fare una somma completa di tutti questi numeri ma ad un certo punto mi sono persa.
Ma sono sicura che la cifra totale sia 42.
Che è indiscutibilmente la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto.
Ho finito. Ho piegato il foglio protocollo a metà e l’ho consegnato.
Santiago mi porterà il compito corretto e mi darà il voto tra pochissimi giorni.
Giorno 9
Limiti
Oggi ho avuto il mio insegnamento vero.
La lezione inaspettata.
La rivelazione che fa di te un essere umano più umano.
La crescita che quando ci pensi ti fa venire le lacrime agli occhi.
Oggi ho preso il taxi per fare 12 km.
Ho abdicato al dolore fisico. Al mignolo sinistro rotto. Al piede distrutto e alla caviglia gonfia sulla destra, provati da 150 km di posture sbagliate.
Oggi mi sono arresa. E mi fa un male porco doverlo ammettere. Più di quello che sento ai piedi.
È qui che si cresce. È qui che si impara.
Oggi ho dovuto accettare i miei limiti.
Ho dovuto accettare che non sono più una ragazza. Che il mio corpo reclama attenzioni che troppo spesso non gli do.
Che anche io ho delle debolezze. Delle crepe.
Io, che non mollo mai. Mai.
Io che sono forte e tenace ai confini dell’insensatezza.
Io, che più una guerra è assurda e disperata più la voglio combattere.
Che non ho paura di nulla e non mi fermo davanti a nulla.
Che mi sfido sempre, che alzo l’asticella sempre. Che non torno indietro.
Che mi butto nei progetti, negli amori, nei viaggi più folli.
Oggi ho preso il taxi.
Ho perso.
Ho accettato di aver perso.
Ho vinto?
Si. Forse ho vinto.
Giorno 10
Le 10 Piccole Gioie del Pellegrino
Penultima tappa.
21 km prima degli ultimi 20 km che affronteremo domani, e che i porteranno davanti alla Cattedrale.
Camminiamo da 9 giorni. Domani sarà il decimo.
Abbiamo tenuto una media di più di 20 km al giorno. Ed è stato difficile. Pesante. Faticoso. Doloroso.
Non si può immaginare il dolore di camminare tanto. Soprattutto se si ha problemi ai piedi.
Ma ce l’abbiamo quasi fatta.
Ma nonostante il dolore, ci sono tante piccole, grandissime cose, che fanno di questa esperienza un passaggio fondamentale nell’educazione alla tua umanità. Piccole gioie da ricordare con nostalgia. Piccoli segni unici di un viaggio unico.
Ne ho scelte 10, quelle che saranno “mie” per sempre.
1) La conchiglia appesa allo zaino. Il Simbolo Assoluto di questo Cammino. La senti che sbatte ad ogni passo. La porti con orgoglio. È il segno di riconoscimento dei Pellegrini sul Cammino. Fa subito congrega, unisce gli sconosciuti di tutto il mondo.
2) La colazione tostada con burro e marmellata. Pane abbrustolito e abrutito con cazzuolate di roba iper calorica che trangugi a cuor leggero “tanto camminiamo”.
3) Il. Massaggio col Voltaren. La sera. Col tuo pigiamino stropicciato dalla permanenza nello zaino (su cui ti siedi, appoggi i piedi per tenerli in scarico, che lanci quando te lo togli e non ne puoi più) l’ultima azione è quella di riempirti i piedi con la crema totem del Caminante e infilarti un paio di calzini puliti. Che bellezza.
4) L’ultimo km della tappa del giorno. Quando la pietra miliare indica che tra 980 metri sei arrivata e ti commuovi che manco un video di cagnolini.
5) Trovare una presa. Tutta tua. Funzionante. Che ci attacchi il telefono tutta la notte e lo trovi carico senza dover fare interminabili pipí nei bagni dei ristoranti per far salire del 2% intanto che gli altri pellegrini ti infamano perché vogliono caricare il loro.
6) Quando ti togli la felpa. Parti alle 6.30 col buio, i lupi della steppa, 8 C, ma poi sale il sole, e, per quanto sembri di stare in Trentino, dopo un po’ ti scaldi e rimani in maglietta.
7) La musica cult. Probabilmente la SIAE in Spagna funziona in modo diverso, fatto sta che gli anni ’80 qui non sono mai finiti. Madonna, Cindy Lauper, i Pink Floyd, i Tears For Fears e i loro pezzi più leggendari sono I tormentoni dell’ estate. Favoloso.
8) Le sciancature. Come la conchiglia sul cammino, sono il segno distintivo dei pellegrini, fuori dal cammino. Quando, lasciato lo zaino in albergue, fatta la doccia e indossato abiti dai colori normali, ti trovi a zoppicare in giro per il centro del paese e ti riconosci e cominci col “Senti, ma a te dove ti tira?” “Ah io ce l’avevo ieri poi passa” “ti do un Oki se mi passi il Cicatrene”. Fa subito reduce della stessa guerra e scalda il cuore.
9) il saluto ufficiale. Buen Camino. Un augurio. Una benedizione. Un pronostico fausto. Ma solo dopo le 8.30. Prima il Pellegrino è incazzato col mondo e con sé stesso e sta maledicendo il momento preciso in cui la sua mente ha partorito l’idea di partire.
10) Scrivere il post alla sera. Che quello lo faccio sempre, quindi magari non vale. Ma fare il punto su cosa mi è successo dentro è comunque uno dei momenti più belli del mio viaggio.
Giorno 11
Niente di impossibile
Eppure ce l’abbiamo fatta.
Partendo a raglio, con un’idea che definire vaga è un’indulgenza fuori luogo.
Senza aver contato i km. Senza sapere se fossero in salita o in discesa.
Senza sapere che cosa avremmo attraversato. O cosa avremmo trovato.
Che paesi. Che ostelli.
Con il mio piede gonfio e nero come il cuore della Cri.
Con lo zaino di vestiti leggeri.
Alla Vacca Giuda.
Zero spagnolo e con un inutile inglese.
Sapendo solo che dovevamo camminare.
Andare. Mettere distanza.
Il primo giorno con le Ipanema e le vescichette all’incrocio sopra i pollici e una pellegrina in crisi mistica pesa che si ripiglia di botto nel vedermi le scarpe e indicando i cerotti chiede:
“Es posible?”
“No” rispondo mettendola nell’inbarazzo della domanda della minchia.
Eppure ce l’abbiamo fatta.
Perché fare è più facile che pensare. Perché l’ ansia la lasci per strada, come metà saponetta e metà dentifricio, come i fogli stampati delle tappe che hai già raggiunto. Perchè sono pesi inutili nel tuo zaino.
Perché non avere il controllo delle cose è una liberazione, di più : una benedizione, per noi occidentali, spaventati e piccoli di fronte a tutto ciò che non sappiamo.
Eppure è possibile. Basta farlo. È così facile. Prendi i tuoi piedi accazzodicane e vai.
Senza guide, senza programmi, senza paure.
C’è una famiglia in giro sul Cammino di Santiago. Un padre, bello e forte, una madre sorridente, un bambino di 7 anni alto e magro, la sua sorellina che colora Peppa Pig e un cane, un setter che vorrebbe acchiappare i gatti ma è timido.
Hanno ognuno la sua bicicletta, tranne la sorellina e il cane. La sorellina sta in un carrellino attaccato dietro la bici del padre. Il cane sta in un carrellino attaccato alla bici della madre.
Il bambino pedala come un bambino. Libero e felice.
Quando finiscono i tratti sull’asfalto, la madre libera il cane che corre dietro alle bici libero e felice come il bambino.
Il padre, raggiunta la fine della tappa, gira la bicicletta, e torna dove era partito, a inizio tappa. Attacca la sua bici sopra alla macchina stracarica, e raggiunge la famiglia dove l’ha lasciata: a fine tappa. Portando gli album di Peppa Pig da colorare, le ciotole del cane e tutto il resto.
Niente é impossibile.
Bisogna ricordarsi di essere meno occidentali e piccoli.
Giorno 12
Santiago
L’ultima tappa prima di Santiago è di 21 km in piano. Fa caldo. Ma vado spedita. Il giorno che ho camminato solo 8 km su 20 (rivendico con un misto di orgoglio e vergogna la mia resa al taxi per 12 km) i miei piedi ne hanno tratto profondo beneficio, e ora sto decisamente meglio.
Manca poco. Si vede dall’aumento dei pellegrini che invadono i sentieri, che magari fanno solo gli ultimi 3 giorni di cammino. Gli albergue sono pieni e troviamo posto per dormire solo in un hotel vero, con la piscina. Piede in scarico e acqua gelida mi rimettono a nuovo. Ultima tappa: cammino quasi senza dolore, procedo ballando Cremonini (anche questo lo rivendico con orgoglio e vergogna).
Tra le case cominciamo ad intravvedere i due campanili. Poi le cornamuse. Non è una leggenda, dunque. Arrivi in centro e in questo posto pochissimo spagnolo senti questo suono solenne, regale.
BAM BAM BAM il cuore nel petto, giri a sinistra e.
E ci sei. Sei arrivata.
218 km a piedi in 10 giorni (si vabbè 206, comunque quel giorno lì ho girato lo stesso un sacco, con 2 zaini per trovare l’albergue, quindi al netto di un kilometraggio inferiore ho portato il doppio del peso quindi siamo poi a posto così) e.
E sei in una piazza di una bellezza struggente. Dove ti commuovi fino alle lacrime. Per la bellezza. Per la stanchezza. Perchè hai comunque tanti dolori addosso. Perché ce l’hai fatta a fare una cosa difficile in un mondo dove nessuno fa più fatica a fare niente. Perché tutti si commuovono. Si commuovono quando arrivano, e si commuovono quando arrivi tu e ti commuovi, in un circolo virtuoso di commozione che fa di questa piazza un punto unico, specialissimo. Tra le mura che incastonato la piazza si forma una valle di energie potentissime. Le lacrime, le grida, le risate in tutte le lingue del mondo saturano l’aria e si mescolano alle tue. E diventano di tutti.
E la tua fatica è quella degli altri, il loro dolore è il tuo, il tuo orgoglio si mischia a quello di chi arriva in bici, i tuoi drammi, quei bisogni profondi che ti hanno spinto a fare questo cammino, diventano di tutti e il peso ti si allevia, e tu allevi il peso altrui facendoti carico di motivazioni profonde che non conosci. E tutta questa onda riempie l’aria di questa città.
Te ne stai seduto per ore, ore intere a bagno in questa luce assoluta e capisci, al di là di ogni religione, che c’è un misticismo universale che unisce uomo a uomo.
È questo il miracolo vero. E qui lo tocchi con la pelle, al suono delle cornamuse.
Giorno 13
La Fine della Terra
Se Santiago è una città particolarissima per la sua energia, c’è un posto addirittura più magico, in questa terra di Galizia, regione molto più celtica che latina.
Nel punto più a ovest del continente, secondo le antiche credenze, si ritrovavano streghe e maghi a compiere riti propiziatori.
Il fatto che il sole tramontasse in quel punto, che all’epoca era dato per la Fine della Terra, ha dato al tratto di mare su cui questa terra si affaccia un nome ben cupo: la Costa della Morte.
Qui si trova il celeberrimo KM 0, il punto di inizio dell’ Oceano, la fine del mondo conosciuto.
Il pellegrino che ha raggiunto Santiago, ancora carico dell’atmosfera incredibile respirata davanti alla Cattedrale, con alle spalle 100, 200, 800 km di sassi che ti stroncano le caviglie, zaino magari un po’ più leggero perchè qualcosa hai abbandonato, ma grigio di polvere, dopo aver condiviso cibo e camere ogni giorno, sporco come un randagione, stanco morto, cotto dal sole e nel contempo temprato dal freddo alpino delle mattinate galiziane, può esimersi dal fare altri 90 km a piedi per raggiungere Finisterre?
Ovvio che no. Dunque riparte in cerca di quella cosa alla quale non si può più rinunciare. Il Cammino.
Lo trovi più sciancato del solito al baretto della spiaggia, che beve cerveza e si tiene la schiena. Oppure che zoppica verso il mare dove si immerge per fare crioterapia alle varie contusioni. Io ad esempio sono guarita. Non ho più male al dito perché mi si è congelato nell’acqua ghiacciata a Playa Langosteira. Ora è surgelato. Duro come un’oliva ascolana. Il che mi consente di camminare in tutta tranquillità al famoso faro al KM 0.
Tutti si riversano a vedere il tramonto sulla punta estrema del Mondo, che ovviamente è uno spettacolo indescrivibile e magnificente nella sua disarmante semplicità.
E molti aspettano il buio per compiere i loro riti, sulle vestigia dei druidi e delle streghe che qui sono venerati e ricordati attraverso mille simboli ricorrenti su porte, muri, sui ciondoli, sulle lattine, dimostrando come la magia si nutra di religione, e la religione sia una forma di magia.
Si dice che al KM 0 ci si possa lasciare alle spalle il peso del passato bruciando qualcosa che si è portato nel Cammino.
Nel buio tra le rocce a picco sul mare infatti è acceso un fuoco. Un ragazzo sta bruciando una maglietta. La guarda annerire come in trance. Questo rito è il suo nuovo inizio. E di nuovo, tu che sei lì, ti senti pervaso da un’onda potentissima, un flusso di energia che ti mescola e ti ingloba in tutte le cose del Creato. Ti fa sentire parte di un tutto.
Poi vabbè, io son strega di mio quindi per me questo è normale. Infatti, ridotta in cenere la maglietta del ragazzo, comincio io con il mio cerimoniale. Brucio un calzino, parlo col fumo, lo alimento con le mani, ci passo sopra amuleti e anelli, metto i palmi in su per comunicare con l’aria, guardo fissa la luna e sussurro nel vento. Poi vengo acchiappata per un polso e trascinata via a forza dalla mia amica che mi sgrida e mi fa presente che lei nel video che mi stavano facendo due tizi seduti lì di fianco a noi non ci voleva apparire perché si vergognava di brutto.
Ma dico io, neanche a Finisterre mi lasciate in pace con le mie pippe. Oh ma pensa te.
ULTIMO GIORNO
Effetti del Cammino
Ho avuto freddo. Caldo. Fame. Sonno. Male.
Ho avuto due paia di scarpe tagliate. Due mutande appese allo zaino ad asciugare, un tubo di Voltaren spremuto a morte nella tasca laterale, una bustina di zucchero per la sopravvivenza.
Ho avuto mattine che andavo spedita e pomeriggi a rallentatore.
Ho avuto molte fette di pane burro e marmellata. Pochi caffè decenti. Molti minestroni di verdure.
Ho avuto una felpa brutta ma salvifica.
Una notizia che mi ha fatto soffrire.
Ho avuto I calzini più sporchi del mondo.
Un cavallo di nome Bunny.
Ho avuto vergogna del taxi.
Ho avuto orgoglio della mia crescita decidendo di prendere il taxi.
Ho avuto messaggi che mi hanno fatta felice.
Ho avuto Peo con me, nel suo Cavallino.
Ho avuto la mia Amica.
Ho lasciato una crema troppo pesante, una guida inutile, i voucher dei voli già fatti.
Un braccialettino, un ciondolo, un burro cacao alla fragola.
Ho lasciato una pessima impressione facendo le mie stregonerie a Finisterre. Una mancia ad un uomo gentile. Ho lasciato il posto nel letto di sotto alla Cri (poi lei lo ha lasciato a me. E per tutta una storia che non voglio ricordare, nella bellezza e nella luce di questa esperienza, ci ho lasciato tutti i soldi che avevo nel portafoglio e una catenina che per me era importante). Ho lasciato alcune incertezze che ancora avevo (che sono tornate a bastonarmi però subito dopo. Per poi dissolversi. Fino alla prossima paranoia).
Ho lasciato i pensieri che non fossero del Cammino, e ne avevo un bisogno infinito, di non pensare al lavoro, per esempio.
Ho imparato una parola bellissima, che sarà un faro per me: Ultreya. Più lontano.
Ho imparato che c’è una connessione mente/corpo così netta e precisa da vergognarsi di essere occidentali e pragmatici, da impallidire di fronte alla verità di certe teorie che troppo spesso definiamo come ciarlatanate. Ho imparato che non si torna indietro. Neanche per fare la pipi. Che non ha nessun senso.
Ho imparato che l’uomo è molto più carne e sangue, e pulsioni, e fame e stanchezza di quanto sia educato credere.
Ho risolto un problema che mi tiravo dietro da 3 anni e mezzo. Io non dormivo. Oppure dormivo male. Dormivo poco.
Poi ho Camminato.
Grazie Cri.
Ora più che mai Buen Camino
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