di Nigel Mansell –
Giovedì 16 novembre
Tailandia!
Questa volta scegliamo di prendere la navetta per andare all’aeroporto della Malpensa, è certamente molto più comodo, non hai il problema del posteggio o di allertare partenti e amici per farti accompagnare; e poi il servizio della Comazzi che serve l’Ossola e il Verbano è una sorta di noleggio con conduttore: l’autista ti aspetta anche al ritorno rimandando la partenza del mezzo in caso di ritardi del volo; certo gli orari sono un po’ indicativi non si sa mai esattamente quando il mezzo si presenterà però la certezza che arrivi c’è. Pioviggina, qui a Mergozzo il cielo è nebbioso e triste e a giudicare dalle previsioni che abbiamo sbirciato su internet non ci aspetta niente di meglio in Tailandia.
Sull’aereo ci sono molto uomini che viaggiano soli o in piccoli gruppi di amici, quasi dei branchi, la cosa mette molto tristezza perché ti porta a pensare che per questi uomini la vacanza in Tailandia abbia un solo ed unico scopo.
Il boeing 777 della Thai è a dir poco favoloso, dobbiamo ricrederci riguardo la tratta Malpensa – Bangkok e rivedere il nostro giudizio in positivo: non eravamo rimasti molto contenti quando due anni fa eravamo andati in Indonesia, invece ora molto è cambiato. Se si escludono i soliti problemi dello scarso spazio a disposizione per le gambe e l’esiguità della larghezza del sedile, (ma a questo problema presente in tutte le economy class sembra che nessuna compagnia voglia porre rimedio nonostante la popolazione mondiale continui a crescere in altezza e in larghezza, gli obesi sono sempre di più), molto è stato fatto. La cucina è sempre di ottima qualità con posate di metallo che non si spezzano alla minima pressione sulle vivande, ci sono ora degli schermi dedicati per ogni passeggero su cui si agisce con un telecomando interattivo, come lo definisce la Thai, estraibile dal bracciolo della poltrona. Si può ingannare il tempo scegliendo tra gli innumerevoli videogiochi e giochi di società che si possono utilizzare individualmente o con il compagno di viaggio, o decidendo quale film visionare tra la numerosa scelta; c’è anche una telecamera posto sotto l’aereo che permette di assistere alle fase di decollo e atterraggio, durante il tragitto purtroppo non funziona.
Undici ore di viaggio sono comunque tante e quando atterriamo sono distrutto, è come se tutti quei fossero stati percorsi a terra e poi zippati: una volta a terra tutto il loro peso ci piomba addosso tra capo e collo, rendendoci affaticati ed apatici, rendendoci schiavi di quella sensazione di dondolio che assomiglia quasi a una sorta di mal di mare che non ti abbandona se non dopo parecchie ore.
Come sempre ci capita quando viaggiamo verso l’Asia, partiamo ieri per arrivare domani, siamo decollati alle ore 13,50 del 16/11/06 e siamo atterrati alle ore 06,00 del 17/11/06 o forse sarebbe meglio dire alle 6,00 a.m. come si usa qui.
Una volta fuori dall’aeroporto, che è appena stato inaugurato, affrontiamo il caldo improvviso cercando di non farci fregare dallo stormo di tassisti. Scopriamo che basta andare al piano terra per trovare quelli regolari col tassametro ed evitare la compagnia “Limousine” che è carissima, e ci facciamo portare in centro Bangkok per raggiungere il nostro albergo.
Venerdì 17 novembre 2006
Scendiamo al Bosso Hotel, Anna lo ha prenotato con internet e possiamo dire che è decorso e pulito, non ci fa sentire la mancanza di uno con più stelle.
Non riesco a capire dove sono, Bangkok è enorme. E’ una mia mancanza, non mi piace mai leggere la guida prima di partire. E’ Anna che ha quest’incombenza, si sobbarca sempre lei l’onere di leggere e di informarsi, magari a letto prima di addormentarci, riguardo tutti gli itinerari e le curiosità del luogo che visiteremo nei giorni precedenti alla nostra partenza. Non so cosa farci, a me non piace farlo, mi sembra di leggere la trama di un film prima di vederlo, non voglio farmi influenzare. So solo che siamo vicino a un enorme grattacielo, è lo State Tower con un’entrata altissima dal colonnato stile classico e una guglia sulla sommità somigliante a quella del Campidoglio di Whashington, scopro poi che ce ne sono altri molto simili nelle fattezze, deve essere il tipo di architettura più in voga qui a Bangkok per costruire i grattacieli.
Dormiamo alcune ore per ricuperare il sonno e cercare di metterci in pari con il nuovo fuso orario.
Appena svegli decidiamo di visitare il centro commerciale di elettronica che ci hanno segnalato dall’Italia, ci piacerebbe compare un i-pod e magari una fotocamera digitale a buon mercato, dicono che qui si facciano buoni affari. Una volta per strada scopriamo che c’è da diventare matti nel traffico altrettanto pazzo e disordinato, e poi la moltitudine di gente ovunque negli ambienti del centro commerciale ci fa perdere l’orientamento. Tra la confusione che ancora abbiamo a causa del volo intercontinentale e la stanchezza, nonché il continuo passaggio dal clima umidissimo e caldo e i locali condizionati ci sentiamo quasi ubriachi e barcolliamo nella confusione di gente, luci e l’offerta di merce di tutte le sorte e fattezze.
La sede dei centri commerciali è sempre ricavata in strutture enormi con altrettanto grandi insegne luminose, la musica di stampo occidentale a tutto volume inonda la strada antistante le enormi facciate e ti appiattisce a terra mentre confusi giriamo su noi stessi osservando la grandezza del Siam Center, del Paragon e più in là quella del MBK.
Qui al centro le infrastrutture della metropoli sono ciclopiche, molte in fase di completamento ad iniziare dal nuovo aeroporto che abbiamo visto per la prima volta stamattina. Ci si fa l’idea che la società tailandese sia incanalata in un veloce e incontrollabile sviluppo, è un mondo di giovani entusiasti, che fa apparire le nostre società occidentali vecchie e polverose imprigionate nelle loro stesse regole e strutture che una volta erano il loro vanto. Dappertutto non si vedono che giovani e molte ragazze dalla bellezza che colpisce, sono molto libere e vestono in modo più libero e disinvolto che da noi.
Alla sera ci rechiamo a mangiare qualcosa in Kao San Road che assomiglia tanto alla Kuta di Bali, oppure alla striscia di terra tra Rimini e Viserba: una bolgia di gente che mangia e ascolta musica a tutto volume tra le innumerevoli bancarelle. Ragazze ammiccanti con le loro sexy tenute cercano di attirare il pubblico maschile nei loro night-club, uno su tutti il “Lava” ed il nome è già tutto un programma.
Cerco di uccidere la stanchezza con l’ottima birra tailandese che per fortuna servono gelata. La bionda Singha scende copiosa e schiumeggiante nelle mie viscere dandomi un senso di sollievo e freschezza in questo caldo umido e appicicoso, ma ovviamente il mio stato fisico non fa che peggiorare e non posso fare altrimenti che cercare la via del ritorno per il nostro albergo.
Sabato 18 novembre 2006
Abbiamo dormito moltissimo, ci siamo svegliati alle nove e trenta, ora che ci siamo tirati insieme, abbiamo fatto colazione e ci siamo preparati per uscire erano ormai già le dieci e trenta.
Appena usciti dal nostro albergo siamo stati abbordati da un autista di Tuk-Tuk simile a quelli indiani che abbiamo conosciuto l’anno scorso, ma diversi nella motorizzazione e struttura. Il motore emette un rombo simile a quello di un’auto di Formula 1, il telaio pare quello di un’auto a tre ruote più che a quello di un motocarro, cosicché gli strani trabiccoli riescono a sfrecciare nel caotico traffico di Bangkok con velocità molto vicine agli ottanta chilometri orari. Nonostante le prestazioni eccezionali, i Tuk-Tuk non sono molto consigliabili qui a Bangkok, lo smog è fittissimo e viaggiando nel sedile posteriore completamente all’aperto lo si respira completamente auto praticandosi un potente aerosol di gas di scarico, fumi, vapori di cucina e puzze varie di cui le viuzze sono cariche il tutto amalgamato con l’aria molto umida della capitale.
Siamo usciti con l’idea di prenotare il treno per spostarci al sud ma decidiamo su due piedi che forse è meglio prendere l’aereo, così, docili e mansueti, ci facciamo accompagnare in agenzia dal solerte autista di Tuk-Tuk che felice non ci fa neanche pagare la corsa visto che lui sicuramente prenderà la percentuale per averci accompagnato proprio in questa agenzia. Una volta entrati e spiegato le nostre necessità, sotto cinque orologi riportanti i vari fusi orari, da cui risulta che tra Parigi e Roma c’è un’ora di differenza e che in Francia c’è lo stesso orario di New York, prenotiamo il nostro volo per domani per Phuket circa ottocento chilometri più a sud.
Ritorniamo nel centro commerciale che già avevamo visitato ieri, l’MBK, il caotico e compresso di persone e cose, cosicché compriamo finalmente l’i-pod taroccato che stavamo inseguendo da ieri, non è quello della Apple ma è molto a buon mercato.
Cerchiamo poi un taxi per andare al Grand Palace, ma non è facile. A volte i tassisti si rifiutano di portarci perché è troppo lontano e c’è traffico ci dicono, altre volte non vogliono usare il tassametro per praticarci delle tariffe a forfait, e così è sempre una bella lotta.
Una volta arrivati scopriamo un Grand Palace fantastico! Ci si dimentica subito del caos della metropoli visitando gli edifici da favola che lo compongono, con i loro tetti d’oro, magari ricoperti di tasselli dai colori brillanti che formano grandiosi mosaici scintillanti. I templi buddisti che costellano la reggia del Grand Palace sono tra le costruzioni più belle che abbia mai visto.
Al ritorno, visto che i tassisti si rifiutano di portarci all’albergo perché secondo loro è troppo lontano, sperimentiamo il battello fluviale che scivola veloce e fumante sul gonfio di acqua grigia, Chao Praya. Intorno i grattacieli sede di multinazionali ed alberghi esclusivi creano uno strano contrasto. Il mozzo che ci ha fatto salire comunica con il timoniere-conducente con un fischietto dai suoni acuti e stridenti, emettendo quattro, cinque tonalità diverse riuscendo a dare le giuste indicazioni per far fermare e ripartire l’imbarcazione dai moli traballanti in maniera millimetrica.
Nel caos indescrivibile della capitale di prima serata, quando la gente lascia il posto di lavoro per tornare a casa, percorriamo poi a piedi il tratto di strada che separa il pontile della fermata del taxi fluviale dal nostro albergo. Anna decide di farsi massaggiare, io preferisco prendere una doccia, mi sento fradicio di sudore, qui si suda anche immobili all’ombra. Alla sera andiamo ancora a Kao San Road per mangiare: è così allegro e chiassoso.
Ci sono giovani ovunque, sembra che i tailandesi siano solo giovani, i vecchi sono pochissimi e poco visibili, viene da chiedersi dove siano. Dov’è la gente quando diventa troppo anziana per correre come gli altri, dove finiscono i vecchi quando non sono più autosufficienti, quando si ammalano magari di tumore alle vie respiratorie (visto lo smog)? Chi li assisterà? Avranno un’adeguata copertura sanitaria? Li butteranno in mezzo a un vicolo perché non possono più permettersi le spese mediche?
Questa Tailandia ti butta in faccia la sua giovinezza, così come tutta l’Asia fatta di milioni di persone tutte giovanissime, ragazzi, ragazze e tantissimi bambini. Questa Tailandia grida la sua vitalità giovanile, la sua voglia di progredire e di sgomitare tra le grandi nazioni, la sua fiducia in un roseo futuro riguardo il quale, pare che nessuno qui intorno voglia dubitare. Sono tutti presi dalla frenesia di guadagnare, di muoversi, di crearsi una posizione migliore, come tutte le ragazzine che corrono dietro ai turisti maschi sempre un po’ troppo attempati per loro. Questa Tailandia ci rinfaccia la freschezza della sua giovinezza a noi che passiamo il nostro tempo a nascondere i segni della vecchiaia nei nostri visi, nelle nostre istituzioni, cercando di farci forza con la nostra storia gloriosa, con la nostra cultura millenaria, con la nostra dubbia saggezza e millantata superiorità. ma non pensiamo che a conservare, senza creare nulla di nuovo, ci rifacciamo le tette e le labbra per sembrare migliori, ci sottoponiamo ad estenuanti fatiche nelle palestre, ci tingiamo i capelli e li ripiantiamo se non ne abbiamo più, rincorriamo ideali sbiaditi, cercando di ossigenare economie ormai asfissiate, gettiamo fiumi di cemento armato sperando che le nostre città non ci crollino sulla testa. ma intanto i tailandesi e l’Asia tutta a grandi passi stanno arrivando.
Domenica 19 novembre 2006
L’aereo è planato lungamente sull’acqua, ora si vedono le imbarcazioni dei pescatori poi la spiaggia, adesso la pista, infine sfioramo la terra e con uno strattone atteriamo a Phuket.
Non ci siamo fidati della gente locale e questa volta a torto, così rifiutando una sorta di navetta siamo finiti con l’autobus di linea a Phuket Town, niente di speciale, poi abbiamo preso una sorta di taxi collettivo per raggiungere Patong dove abbiamo raggiunto il Baumanburi Hotel che avevamo prenotato in aeroporto nello sportello turistico.
Nel taxi collettivo un dipendente solerte e molto motivato nell’assolvere sua bizzarra professione, ci ha stipato in quella che è una stiva ricavata nel cassone di un autocarro. Appeso all’estremità del cassone, in bilico sulla strada, il piccolo e scuro uomo non ha smesso di osservarci attentamente, controllando come eravamo seduti sulle panche a tutta lunghezza e non appena ha sospettava che secondo lui ci fosse spazio non utilizzato a pieno, ci ha fatto stringere, più e più volte per chiudere gli spazi della gente che scendeva e per far posto e caricare nuovi passeggeri che via via raccoglieva durante il tragitto.
Nella spiaggia di Patong che è la più turistica di Phuket tutto sa molto di Rimini e riviera romagnola, di turismo di massa e ombrelloni. Il rombo delle moto d’acqua fa da colonna sonora e l’odore di creme abbronzanti ti riempie le narici.
Alla sera ci siamo lanciati nel flusso di uomini soli che girano tra le vie dove ragazze seminude li attirano nei bordelli. E’ veramente triste assistere a queste scene, vecchi che passeggiano mano nella mano con donne appena più che bambine.
Lunedì 20 novembre 2006
Oggi l’intera giornata la dedichiamo al mare e se possibile ad organizzare il nostro passaggio a Phi-Phi Island. Patong è molto turistica, bisogna destreggiarsi tra i bagnanti distesi per terra, gli ombrelloni, le sdraio e le moto d’acqua ed a volte bisogna guardarsi pure dall’altro: ogni tanto qualche ardito si libra in cielo legato a una sorta di paracadute facendosi tirare da motoscafi guidati incoscientemente nello specchio d’acqua di fronte alla spiaggia.
In acqua facciamo la conoscenza di un curioso personaggio, parla in francese e ci racconta la sua storia. E’ cresciuto in Algeria, la sua famiglia francese a tutti gli effetti era lì da centotrenta anni, poi per via della politica estera francese degli anni sessanta, all’Algeria venne concessa l’autodeterminazione e loro furono scacciati. Allora Vous etes un pied noir gli dico. Lui conferma ridendo ma scaldandosi ancora di più nel ricordare i fatti della sua vita. Ce l’ha con i francesi e con De Gaulles, dice che utilizzarono addirittura i soldati vietnamiti (che allora facevamo parte dei possedimenti d’oltre mare della Francia) per cercare di scacciarli dalle loro proprietà in Algeria. Infine furono abbandonati a loro stessi e i genitori dello strano personaggio furono sgozzati dagli arabi insorti. L’uomo sulla settantina dice di aver poi fatto il pilota per l’Air France, ha girato tutto il mondo, penso che ora sia molto ricco: vive tra il Principato di Monaco e la Tailandia. Ci racconta che il giorno dello Tsunami lui era qui su questa spiaggia, e come ogni mattina si concedeva una bella nuotata. Improvvisamente l’acqua si riempì di granchi, qualcuno si mise a raccoglierli sul bagnasciuga ma lui da lontano intravide un’enorme onda che arrivava. Uscì dall’acqua e iniziò a scappare. Quando l’onda arrivò era alta almeno quindici metri come gli alberi intorno, anzi quando arrivò scoprì che erano due, una dietro l’altra. Intorno a lui vide macchine volare, tutto venne distrutto, finì anche lui all’ospedale. Ora ha preso residenza sulla collina che ci indica, non si sa mai è meglio stare in alto ci dice.
Alla sera, dopo aver prenotato la barca per Phi-Phi Island, la sistemazione non l’abbiamo trovata dicono che è tutto occupato, continuiamo a camminare, ci spingiamo verso est sulla strada parallela a quella della spiaggia, poi attraversiamo nuovamente la strada chiusa al traffico che unisce le due vie parallele. E’ la zona della perdizione: S.O.S. Save Our Souls! Centinaia di ragazze seminude, la maggioranza di una bellezza veramente fuori dal comune, ti invitano a vedere i loro spettacoli hard, ti sorridono. All’interno dei locali ci sono solo donne che accolgono soli uomini occidentali, anche se volte si muovono in branco sembrano lo stesso sempre molto soli. All’esterno dei locali alcune ragazze con le tette di fuori, Anna dice che sono transessuali, (mah starò invecchiando), si fanno fotografare. I giapponesi che tra i turisti si distinguono sempre come i più imbecilli, si fanno fotografare al loro fianco, alcune coppie nell’azione di stringere le tette alle giovani tailandesi, lo spettacolo è veramente desolante: questi giapponesi non possiedono né il senso del limite né quello del buon gusto, sembrano privi di intelletto e discernimento, dei bambini cresciuti in perenne gita scolastica che non riescono ad apprezzare le belle cose, a loro interessa solo fotografarle. Più in là uomini con serpenti, altri che mostrano foto pornografiche, tutti che cercano di vendere qualche cosa, di trarre un qualche guadagno da questa folla di occidentali allupati e curiosi come noi. La polizia sorniona osserva la scena da debita distanza.
Martedì 21 novembre 2006
Ieri siamo stati relativamente poco al sole ma siamo riusciti a bruciarci lo stesso. Ci siamo svegliati distrutti: forse il sole, forse il troppo camminare.
Dopo una lauta colazione a buffet durante la quale non riesco assolutamente a trattenermi, abbiamo fatto un piccolo giretto per vedere se riuscivamo di trovare una sistemazione a Phi-Phi Island, ma niente da fare sembra veramente tutto completo. Fa niente, noi il passaggio con la barca l’abbiamo prenotato, andremo lo stesso.
Phi-Phi Don, che con Phi-Phi Lay compone le Phi-Phi Island, si staglia sul mare come una cattedrale nella pianura, come le strutture gotiche della cattedrale di Chartres nelle campagne dell’Ile de France che vidi dall’autostrada mentre lasciavo Parigi per la Bretagna. Le scogliere verdi svettano specchiandosi nel mare azzurrissimo. Le molte imbarcazioni ormeggiate al largo delle spiaggette più esclusive ci annunciano che ormai siamo arrivati. Una volta sbarcati, nel caos dei turisti appena arrivati e tra gli abitanti del luogo che ci assalgono come sanguisughe mi pare di essere approdato nell’isola della Tortuga, è il covo dei pirati. C’è tantissima gente, c’è chi arriva e chi parte, chi torna dalle immersioni, i locali che cercano di venderci di tutto ma per fortuna ci offrono anche una sistemazione. Troviamo subito quella che ci aggrada, presso lo J.J. Bungalow. Ci è andata bene, 1.800 Baht a notte, ci dicono anche qui che è tutto esaurito, e che quindi non c’è molto da scegliere, vogliamo crederci. Il posto è circa a cinquecento metri dal porto, immerso nel verde: ci piace.
Mercoledì 22 novembre 2006
Non ci sono macchine sull’isola di Phi-Phi Don, mentre Phi-Phi Lay non è neanche abitata. Le viuzze sono impegnate solo da qualche motorino, per il resto solo biciclette o carretti spinti a braccia dai solerti indigeni, stracarichi di qualsiasi cosa. Certo è una bella differenza rispetto a Bangkk o Patong dove si faceva fatica anche ad attraversare la strada. Siamo saliti sul promontorio segnalato dai cartelli come “Point of Vew” per goderci la vista dell’isola dall’alto. Dopo ripidissime scalinate sulle quali abbiamo buttato fiumi di sudore abbiamo raggiunto i due punti, uno a poca distanza dall’altro, da cui si può vedere il panorama. Quello più in alto permette di vedere anche parte del contorno dell’isola. Ci siamo riempiti gli occhi di una vista favolosa, si vede nella sua interezza l’istmo sabbioso che divide le due spiagge, il mare blu splendente rigato dalle barche dei pescatori con le loro strane imbarcazione che avevo visto anche a Bangkok. Un lungo timone esterno posto a poppa, una sorta di lungo tubo in acciaio sul quale vengono montati grossi motori che paiono recuperati da auto dismesse, l’idea è quella di un rudimentale minipimer che una volta immerso nell’acqua permette alle barche di raggiungere velocità considerevoli nel frastuono dei motori senza silenziatori.
Abbiamo passato tutto il giorno sulla spiaggia opposta a quella del molo, il mare è eccezionale. Nel frattempo, sotto i nostri occhi, il mare si è ritirato per via della bassa marea lasciando quasi a secco la piccola baia. Le pareti scoscese, verdi di una vegetazione selvaggia che contornano il mare intorno alla spiaggia, fanno apparire il posto veramente come un piccolo paradiso, un paesaggio inconfondibile che vale un viaggio in Tailandia.
La sera passeggiamo tra i locali sorti come fughi sull’istmo di sabbia, anche se lo Tsunami aveva mietuto distruzione ovunque hanno ricostruito tutto molto in fretta e ancora non hanno finito, ovunque c’è un piccolo cantiere. Ci sono locali di ogni tipo, francesi, italiani, giapponesi e i punti internet sono infiniti. Tra le vie ci si sente parte di una piccola comunità, anche se siamo in molti sull’isola capita di incontrarci spesso. Come ogni sera appena cale il buio, (molto preso come in tutti i tropici, qui è già notte fonda alle sette), arriva il solito temporale che è una bella trovata, l’aria si rinfresca e rende la temperatura quasi gradevole.
Giovedì 23 novembre 2006
Oggi faremo il giro delle Phi-Phi Island in barca: è tutto compreso, per 650 Baht a testa, pranzo, maschere e pinne per fare snorkeling e naturalmente il passaggio nella barca.
Inizialmente giriamo intorno alla nostra isola di Phi-Phi Don, ci fermiamo quindi nella Monkey Beach dove i venditori hanno stabilito un tacito patto con le scimmie, hanno bisogno gli uni degli altri, gli animali attirano turisti, così gli ambulanti vendono le loro cibarie e bibite, in cambio riconoscenti danno alle bestiole qualcosa da mangiare; ma l’accordo è fragile e non appena i venditori si fidano le scimmie portano loro via il cibo dai banchi. Raggiunta poi Bambolo Island al largo delle Phi-Phi ci tuffiamo per vedere i fondali. Siamo in dieci sulla piccola barca e direi che è l’ideale né troppi né pochi. Il conducente della barca ci riempie di informazioni che proclama in perfetto inglese, io ne capisco neanche un quarto, per fortuna c’è Anna. Deng, come si chiama il conducente della barca, foraggia i pesci con gli avanzi delle ananas che ci aveva offerto, facendo così in modo che quando entriamo in acqua ci ritroviamo tra una miriade di pesci multicolore, sembra di essere in uno di quei documentari che si vedono alla televisione.
Mangiamo il pranzo che ci hanno preparato stesi sulla bianca spiaggia di Bambolo Island, poi costeggiamo di nuovo le scogliere verdi a strapiombo sul mare. Ricordano quelle di Capri ma al contrario di quelle queste sono completamente rivestite di una rigogliosa vegetazione. Nel frattempo il sole si è nascosto dietro alle nuvole che sembrano annunciare a suon di tuoni un colossale temporale. Senza la calda luce del sole le rocce a strapiombo sul mare ora hanno acquisito un’aria quasi sinistra, spettrale. La sensazione viene confermata ed ampliata quando sbarchiamo sulla Maya Beach della Phi-Phi Lay, la spiaggia diventata arcifamosa grazie al film “The Beach” con Di Caprio. La spiaggia è silenziosa, c’è poca gente, a parte rare eccezioni non si può soggiornare su quest’isola. Ci inoltriamo nella vegetazione lasciando la spiaggia e muovendoci verso l’interno. Seguiamo l’unico sentiero battuto, mentre camminiamo la sensazione di essere in un luogo fantasma viene confermata. Raggiungiamo l’estremità opposta dove attraversando un foro nelle rocce della scogliera accediamo nuovamente al mare.
Purtroppo manchiamo il tramonto, ci sono delle masse nuvolose in basso all’orizzonte, speravo di vederlo dalla barca perché da Phi-Phi Don è impossibile per via delle montagne che coprono il sole quando si tuffa nell’acqua.
La sera mangiamo nella zona del pontile. Ci sono delle sorte di stand dall’aspetto non molto rassicurante, sembra di essere in una fiera di paese abbandonata, invece ci troviamo molto bene, sia come prezzi che come qualità. Un estroverso ed esuberante cuoco che pare cinese, cucina al momento, sotto i nostri occhi, perché non c’è la cucina, i fornelli sono a vista. E’ veloce e fantasioso e si gode il ruolo da protagonista mentre gli ospiti lo osservano, poi passa tra i tavoli per raccogliere i complimenti.
Venerdì 24 novembre 2006
E’ così bella la spiaggia di Ao Lo Dalam che è quella contrapposta a quella di Ao Ton Sal, quella che fa anche da porto, sull’istmo di sabbia di Phi-Phi Don. Sembra di essere in paradiso. Si assapora un’aria di pace e tranquillità. L’acqua è calma, dalle sfumature verdi o azzurre a seconda delle profondità dei fondali dalle sabbie bianche, incorniciata dalle colline verdissime a strapiombo sul mare.
Il mare continua a ritirarsi per poi tornare a colmare la piccola baia della nostra spiaggia, cosicché puoi trovarti davanti uno specchio d’acqua caldissima immobile o la sola sabbia da cui affiorano parti di formazioni rocciose sui si possono intravedere timidi tentativi di insediamenti coralliferi.
Davanti a tutta questa bellezza viene da lasciarsi andare e di non pensare a nulla, ci si sente tranquilli senza il desiderio di null’altro che non sia un pinapple juice ghiacciato.
Con la bassa marea è bello razzolare come una gallina tra le sabbie cosparse di un’altra miriade di forme di vita che prende il posto di quelle celate dalle acque. Ci sono granchietti, piccoli pesci che si nascondono nel fondo sabbioso delle poche pozze di acqua rimaste, degli strani molluschi che ricordano lumache senza guscio che strisciano da buchi che si sono scavati nella sabbia per poi ritirarvisi frettolosamente non appena le tocchi con i piedi.
Ovunque qui intorno ancora parla della tragedia dello Tsunami, su quest’isola le vittime sono state moltissime e non si esclude possa succedere ancora, l’oceano qui intorno è ad altissimo rischio di terremoti marini. La gente locale però è stata solerte, si è rimboccata le maniche e ha ricostruito tutta da capo: l’isola è nuovamente molto accogliente. C’è chi dice che l’hanno snaturata, che si è costruito troppo, ma non si può parlare di condimento a chi non ha neanche la pietanza, come si può negare l’inconfutabile fonte di guadagno che rappresenta una forte presenza del turismo.
Alla sette di sera quando anche l’ultimo battello è salpato e non se ne aspettano altri è come se si chiudesse la porta di casa, ci si sente parte di una piccolo villaggio: è veramente particolare quest’isola.
Sabato 25 novembre 2006
Oggi è l’ultimo giorno che passiamo a Phi-Phi Don, domani con il battello che abbiamo prenotato ci trasferiremo a Ko Lanta.
Questa è come l’isola della Maga Circe e noi siamo i mariani di Ulisse, non ce ne vorremmo mai andare ma se non ci decidiamo chissà, potrebbero trasformarci in maiali anche a noi.
Quando il sole brucia di più mi alzo per recarmi nel piccolo supermercato vicino alla spiaggia per prendere dei gelati o qualcosa da bere. Oggi mentre stavo per entrare ho visto abbattermi contro, dall’alto della pensilina che protegge l’entrata del negozio, una sorta di animale nero, ho avuto l’impressione che fosse un pipistrello o qualcosa del genere. Istintivamente ho fatto un salto indietro spaventato, poi mi sono guardato intorno e c’erano due o tre ragazzi del posto seduti di fronte all’entrata su comode sdraio che ridevano a crepapelle. Hanno creato con il materiale dei sacchi dell’immondizia un qualcosa che assomiglia veramente molto ad un pipistrello, lo hanno legato sotto la pensilina con dello spago e ogni volta che passa qualcuno glie lo fanno cadere addosso, e dopo si divertono un mondo a vedere la reazione della gente spaventata. Mentre di buon grado accetto lo scherzo, rido anche io e mi fermo a guardare gli altri malcapitati che dopo di me cadono vittima dello scherzo. C’è veramente da morire dal ridere sembra di vedere una candid camera.
Abbiamo cenato sull’istmo che da sul porto, in riva al mare osservando in lontananza le barche dei pescatori con le loro lucine fioche che si perdevano nel buio, intenti nella pesca che praticano ogni notte.
Domenica 26 novembre 2006
Abbiamo preso il battello per Ko Lanta, il nostro soggiorno a Phi-Phi Island è terminato. Tra le due isole ci sono venti chilometri di mare, infatti appena usciamo dalla baia intravediamo all’orizzonte le alture di Ko Lanta. Già sul battello veniamo abbordati da molti procacciatori che la lavorano per conto degli albergatori, concordiamo quindi di soggiornare al Lanta Long Beach Resort in cima all’isola.
Al porto ci attende un pick-up, ci sistemiamo sul cassone come usa la gente di qui. Una volta arrivati scegliamo un simpatico bungalow per 600 baht dotato del solo fan, il ventilatore: il condizionatore della camera di Phi-Phi ci stava facendo ammalare.
Il resort è proprio sulla lunghissima spiaggia di sabbia. Alla sera grazie ad Anna prenotiamo l’aereo per il ritorno da Krabi a Bangkok tramite internet, stampi il biglietto e tutto è O.K., è molto semplice.
Internet ha annullato le distanze, qui in ogni sperduto villaggio, in ogni solitaria spiaggia, basta che sia qualche turista, si è sicuri di trovare un internet point con collegamento ADSL, dubito che sul Lago Maggiore (da dove veniamo noi) ci siano tutte queste possibilità per i turisti.
Qui a Long Beach ci si sposta camminando sulla spiaggia, è molto più veloce e semplice, tanto tutti gli insediamenti turistici sono tutti localizzati sulla spiaggia, sarebbe inutile raggiungere la strada principale all’interno. Di notte si cammina al buio, per fortuna che c’è la luna. Si passa da piccole concentrazioni di resort e localini illuminati al buio della spiaggia, dirigendosi verso altri centri illuminati che si vedono in lontananza. Questi piccoli agglomerati nascono intorno ai numerosi resort disseminati sulla costa, c’ è sempre un internet point, un piccolo supermercato, un bel po’ di ristoranti e bar, e l’immancabile baracchino dove si fanno i massaggi.
Mangiamo in riva alla spiaggia in uno di questi conglomerati poco distante dal nostro resort, con i piedi nella sabbia e le stelle come soffitto.
Lunedì 27 novembre 2006
Ban Sala Dan è la capitale di Ko Lanta, è come la versione moderna dei villaggi dei film western: una via e tutte le case con i locali pubblici e le abitazioni intorno.
Tra la popolazione di Ko Lanta sembra ci sia una buona percentuale di mussulmani o forse si notano di più, al tramonto si sente il richiamo alla preghiera del muezzin e l’autista di risciò che ci ha accompagnato, come altri che abbiamo visto, era una donna dal viso scoperto con la sola esclusione del degli occhi.
C’è da dire che i risciò che si usano qui sono diversi, sono formati da quella sorta di scooter con le marce che si usano in Asia a cui viene saldato a lato un carretto a due ruote parallele, per fortuna gli autisti non corrono perché l’insieme del mezzo è molto instabile.
Sotto un sole cocente abbiamo visitato la città che non offre niente di particolare se non i locali che si affacciano sul canale che divide le due isole di Lanta e sul quale si trova il porto principale.
Abbiamo pranzato appunto in uno di questi locali, il Cat Fish. L’entrata è formata da una caratteristica libreria con libri di tutte le nazionalità con due enormi gattoni che la sorvegliano, mentre sul canale si affaccia una caratteristica veranda che funge da sala da pranzo. Tutte le costruzioni sono delle palafitte costruite parallele al corso d’acqua dove affondano i loro pali per sostenersi.
Il nostro resort sulla spiaggia di Long Beach che in realtà si chiama Hat Phraae è costellato di piccoli bungalow di legno tra cui il nostro, disseminati in un piccolo parco in vero un po’ trasandato dalla vegetazione incolta. C’è anche una piccola piscina che si affaccia direttamente sul mare. Tutti alla sera passeggiano sulla spiaggia perché la strada come ho detto è lontana e comunque all’interno c’è ben poco di interessante.
Preferiamo sempre mangiare fuori dal nostro albergo ed allora la sera percorriamo sempre la spiaggia alla ricerca dei locali più caratteristici. I luoghi dove si può mangiare sono sempre molto accoglienti con il personale molto gentile, dalle condizioni igieniche più o meno approssimative, ma a questo è meglio non pensare. Si può mangiare in riva al mare sopra la sabbia o distesi in piccoli gazebo appoggiati sui caratteristici cuscini tailandesi dalla forma triangolare.
Martedì 28 novembre 2006
Siamo tornati nuovamente a Ban Sala Dan, dovevamo confermare il volo, ce n’eravamo dimenticati. Ci siamo recati nella prima agenzia turistica recante l’insegna della nostra compagnia aerea la Thai. Il gestore dal fare molto barocco, ha fatto le telefonate necessarie, poi ha iniziato a scarabocchiare foglietti con i dati relativi al nostro volo, poi li ha corretti più volte, buttando via i foglietti e sostituendoli con altri, prendeva tempo: infine ci ha chiesto 300 baht. Chiaramente non glie li abbiamo dati, Anna si è opposta, io glie li avrei anche dati pur di levarmi di torno il petulante personaggio. Per chiudere gli abbiamo dato 100 baht e ce ne siamo andati.
Ogni mattina facciamo colazione sulla riva del mare (i tavoli del nostro resort sono a fianco della piscina proprio sulla spiaggia), la sera ceniamo sulla spiaggia con i piedi nella sabbia, dopo un po’ queste cose sembrano quasi normali, ma lo che quando sarà a casa in un freddo e piovoso dicembre rimpiangerò di non averle apprezzate abbastanza.
La musica che va per la maggiore qui sulla spiagge è l’album Clandestino di Manu Chao e tutte le canzoni di Bob Marley. A Phi-Phi c’erano anche molti rasta che imitavano lo scomparso cantante, molto spesso nei locali pubblici c’erano le foto di Marley o i classici disegni che lo rappresentano, e non di rado si vedevano sventolare bandiere con la sua faccia stilizzata o con i colori della Giamaica. Devo dire che comunque è un’ottima colonna sonora per il luogo, rispecchia la voglia di lasciar andare le cose come vanno e di non farsi troppe domande.
Come ogni pomeriggio le nuvole si sono addensate, pensavamo che sarebbero scese solo alcune gocce come al solito, per poi lasciare di nuovo posto al sole, invece si è scatenato un temporale tropicale. I tuoni erano fortissimi, pareva che i lampi si potessero abbattere sulle nostre teste, siamo allora corsi verso il nostro bungalow in cerca di riparo. Poco dopo è tornato il sole, l’aria è diventata più fresca e io ho finito di leggere il sesto libro che è il modo migliore per godere a pieno il relax della spiaggia ed apprezzare i raggi del sole sulla pelle. Il violento temporale ha come lavato l’aria, il cielo si è reso più limpido, anche l’acqua del mare è diventata più fresca e gradevole. Abbiamo ritrovato la sabbia della spiaggia tutta bucherellata come un groviera a causa dell’impatto dei violenti goccioloni di pioggia che vi si sono abbattuti lasciandola umida e di un colore grigiastro scuro.
Mercoledì 29 novembre 2006
Questa mattina ci siamo recati a Ban Si Raya per visitare la città vecchia. Con una sorta di risciò o tuk-tuk che come avevo già detto qui sono formati da una un carretto saldato ad una sorta di scooter ottenendo così una specie di side-car, abbiamo attraversato trasversalmente l’isola di Ko Lanta.
L’interno è molto verde, le strade in buona parte sono cementate e molto tortuose, costellate di sali-scendi. Per fortuna gli autisti sono molto scrupolosi e non vanno più veloci di 70 km/h., altrimenti con queste strade sarebbe un disastro.
Leggendo la guida ci si aspetta molto di più, in realtà la cosa più interessante sono le antiche costruzioni in legno sorte sulla costa, sopravissute all’edilizia selvaggia che qui tutto attacca come un parassita che ghermisce senza fretta la pianta prescelta. Questo è comunque un discorso complesso, come si può condannare questa gente che vede nel turismo una lucrosa fonte di sostentamento e pertanto costruisce per accoglierne sempre di più? Forse bisognerebbe far comprendere loro il valore del conservare di tutto ciò che antico, che rappresenta la loro storia: ma penso che questo sia molto difficile, credo che la cultura di preservare ciò che è antico e parla del passato non faccia ancora parte dei loro valori, loro vivono al presente.
Abbiamo passeggiato in lungo e in largo sulla costa percorrendo anche una sorta di molo in cemento che si protende verso il mare. Davanti a noi, in lontananza, si scorgono verdi scogliere e isole lontane che si buttano a capofitto nel mare; verso il mare aperto, segno dell’importanza commerciale delle rotte che lo solcano, grandi navi mercantili si stagliano all’orizzonte.
Ogni tanto mentre passeggiavamo abbiamo sbirciato nelle case degli abitanti. Nella maggioranza sono composte principalmente da un grosso locale vuoto dove loro mangiano e compiono le attività giornaliere, non ci sono mobili o suppellettili, di solito si scorge solo un televisore ad addobbare lo stanzone. La popolazione non è certo ricca ma pare godere di un tenore di vita accettabile e dignitoso, nessuna chiede la carità ma tutti ci guardano con curiosità. La maggioranza delle persone ha il telefonino e in ogni nucleo familiare non manca mai almeno una di quegli scooter atipici con le marce, della Honda, Yamaha o Suzuki, tanto sono tutti uguali. Si vedono anche nuovissimi pick-up di fabbricazione giapponese, che da noi hanno prezzi che si aggirano intorno ai 40.000 EURO.
Sempre spingendoci verso il lato Est della costa abbiamo assistito alla raccolta delle noci di cocco. Un uomo con due scimmie ammaestrate e vincolate alla sua volontà da lunghe corde, induce gli animali a salire fino in cima alle palme e poi con grida e tirando le corte ordina loro di scuotere le piante per fare cadere le noci mature. La raccolta a cui noi assistiamo è molto proficua e le scimmie scendono velocemente dalle piante come i pompieri sui pali non appena ricevono la chiamata, per salire altrettanto rapidamente sulle altre.
Una volta tornati alla nostra spiaggia dedichiamo il resto della giornata al sole, è l’ultima.
Non appena il sole è tramontato ci siamo goduti l’aperitivo stesi sui cuscini triangolari tailandesi osservando quello che ancora parlava dell’astro e che ancora tingeva l’orizzonte.
Giovedì 30 novembre 2006
Abbiamo lasciato Long Beach quasi all’alba, con un pulmino stracarico fino all’inverosimile ci siamo diretti all’aeroporto di Krabi per prendere il volo dell’Air Asia che abbiamo precedentemente ordinato tramite internet. Staremo un giorno Bangkok e il giorno dopo partiremo per l’Italia: abbiamo preferito evitare la tirata unica, sarebbe stato troppo pesante.
Con due traghetti abbiamo attraversato prima il canale che divide le due isole di Ko Lanta e poi quello che le divide dal continente.
Il volo è stato molto veloce ed alle 15,00 eravamo di nuovo al nostro Bosso Hotel di Bangkok dove avevamo soggiornato all’inizio della nostra permanenza in Tailandia.
A Bangkok ci aspetta veramente una temperatura da bagno turco. Ci mancava ancora qualche pensierino per i nostri affetti che abbiamo lasciato in Italia così ci siamo fiondati al MBK che abbiamo eletto come miglior centro commerciale. Il caldo umido, poi il freddo glaciale dei locali condizionati, la gente ovunque e le luci artificiali all’interno dei vari stand dell’enorme centro commerciale, ti provocano quasi una sensazione di svenimento, come avevamo già sperimentato al nostro arrivo in Tailandia.
Per muoverci abbiamo utilizzato il famoso Sky Train, una metropolitana che viaggia sopraelevata anziché sotto terra, risolvendo brillantemente i problemi di mobilità, ma deturpando il già compromesso paesaggio con ciclopici viadotti in cemento armato.
Dopo tre ore fatte di un continuo girovagare, senza meta, e quasi perdendo l’orientamento fra le varie mercanzie della follia del centro commerciale, la testa mi girava come se mi fossi fatto tre giri della morte in un ottovolante, abbiamo così realizzato che era abbastanza. Abbiamo fatto una capatina in albergo per depositare i frutto dei nostri acquisti e ci siamo diretti verso Patpong con il taxi. Patpong è quello che può definirsi a pieno titolo un vero “puttanaio”.
Donne seminude ti chiamano dai locali, gente per strada ti propone spettacoli sexy e in mezzo alla via il mercato notturno. A lato i bordelli, nella mezzeria della strada le bancarelle dove si trovano delle splendide occasioni, borse, penne, vestiti e orologi perfettamente contraffatti: qualcosa dobbiamo comprare!
Ormai si è fatto tardi, riprendiamo lo Sky Train e scendiamo al capolinea che coincide con la nostra destinazione, è quasi mezzanotte.
Nel caos della città che non va mai a dormire, entriamo in un Seven-Eleven, piccoli supermercati onnipresenti in Tailandia, ci prendiamo una birra e qualche panino e ci ritiriamo nella nostra camera d’albero per una cena molto frugale, con il letto come tavolo.
Venerdì 1 dicembre 2006
Ci siamo svegliati di buon’ora anche se non era necessario. Il canale satellitare HBO che vediamo qui in Tailandia trasmette da giorni la saga di 007 in lingua originale con sottotitoli thai. La giornata è bigia ma fa lo stesso il solito caldo infernale: non si suda, è il corpo che trasuda acqua ininterrottamente.
Abbiamo dovuto lasciare la camera ma il nostro aereo non partirà che a mezzanotte e venti, dobbiamo impegnare la giornata senza farci sfinire dalla stanchezza e dal caldo.
Prendiamo il battello per andare a visitare il Wat Po. Navigare su questo fiume è sempre un grande spettacolo, il contrasto tra le vecchie abitazioni e i templi con i moderni grattacieli sede delle multinazionali dei più prestigiosi alberghi della città è sempre molto emozionante.
Il Buddha disteso di Wat Po è gigantesco, è tutto d’oro, uno spettacolo che lascia a bocca aperta. Intorno ci sono molti altri templi con altrettante statue di Buddha, ci si prostra davanti a loro, mi dicono, senza rivolgere loro i piedi.
Usciamo dal complesso e ci aggiriamo nei dintorni ma il caldo è soffocante. Perdiamo di lucidità. poi rinsaviamo all’ombra gustando una sorta di ghiacciolo dal sapore indecifrabile e dai colori improbabili, decidiamo allora di andare al Lumpini Park: barca fluviale e poi Sky Train e siamo arrivati. Il parco assomiglia al Central Park di New York, qualche laghetto e i grattacieli che lo guardano dall’alto tutto intorno. Passeggiamo sotto gli alberi sperando in un poco di refrigerio. Ci sono persone che corrono sotto il sole implacabile delle ore centrali della giornata, noi con questo caldo non lo faremmo mai. C’è una piscina, una fontana con un’enorme pietra sferica che gira e una palestra di cultura fisica all’aperto per aspiranti energumeni tailandesi. Il bilanciere più pesante all’estremità, invece dei pesi, ha fissate delle ruote da camion.
Ci assopiamo nei pressi del laghetto, arriva una comitiva di studenti con le loro divise che qui tutti usano, ma vogliono tutti i tavolini a loro disposizione, noi non cediamo il posto e allora loro se ne vanno. Arriva poi uno strano ometto con l’immancabile polo gialla con il simbolo della casa regnante che qui molti indossano, si siede sulla panchina vicino alla nostra, canta da solo, sbadiglia rumorosamente e poi come se nulla fosse lascia andare due sonore flautolenze, forse qui è usanza.
Dall’acqua del laghetto, improvvisamente affiora una testa grande come un pugno di un rettile, che a tratti estrae la lingua biforcuta per saggiare l’aria. Costeggia il bordo del laghetto, non riusciamo a capire: sembra un serpente. Poi notiamo che si appoggia con le zampe anteriori alla riva per guardare meglio sulla riva, iniziamo a pensare che possa essere una tartaruga, invece guardando meglio scopriamo che un varano. Sarà lungo, coda compresa, un metro e mezzo. Lo seguiamo per un po’, sta curando i piccioni che saltellano al bordo del laghetto per abbeverarsi; infine si spaventa quando mi avvicino ulteriormente per fotografarlo e si inabissa nell’acqua con un teatrale colpo di coda. Notiamo nell’acqua, questa volta ne siamo sicuri, anche una tartaruga terrestre.
Passiamo il resto del pomeriggio, nell’attesa che sia l’ora di recarci in aeroporto, in un centro commerciale non lontano dal parco, ci sono l’aria condizionata e sedute molto comode. Finalmente torniamo in albergo per recuperare le valigie che gentilmente ci hanno custodito per l’intera giornata e ci rechiamo nel nuovo mega aeroporto di Bangkok.
Sabato 2 dicembre 2006
L’aereo parte in ritardo: è apparso scritto sul tabellone dell’immenso aeroporto di Bangkok. Questo nuovo aeroporto è così avveniristico e grandioso, però soprattutto nelle sale principali delle partenze e degli arrivi ma per il resto appare ancora da completare, anche se certe parti sembrano comunque completate ma non molto riuscite, come le finiture in cemento armato a vista e i soffitti privi di controsoffitto che lasciano a vita tutte le tubazioni e le canalizzazioni dei cavi elettrici e della climatizzazione.
Non mi piace fare parte delle generalizzazioni, non voglio essere valutato utilizzando dei campioni di appartenenza: età, sesso, segno zodiacale, ceto o guadagno ecc. E’ vero a volte generalizzo anch’io nel valutare gli altri e sbaglio, è bruttissimo fare parte di “voi uomini”, “ceto medio” o degli “impiegati” piuttosto che degli “operai”, essere uno dei “giovani” o degli “uomini maturi”, magari “Alfista” o “Lancista” di “centrodestra” o “centrosinistra”, “juventino” contrapposto all’essere “milanista” invece che “interista”.
Non mi piace soprattutto essere “italiano” quando mi confronto con gli altri turisti italiani e questo inevitabilmente succede una volta che ci si ritrova tutti in aeroporto. Ecco, io penso che il nostro modo di comportarci non sia uno dei migliori rispetto agli altri viaggiatori e sinceramente mi da fastidio quando mi riconoscono al primo colpo come italiano, probabilmente noi tutti abbiamo un modo di comportarci e di atteggiarci, forse di vestirci o gesticolare che agli occhi degli stranieri ci bolla inevitabilmente come italiani ed è tutto da verificare se questa sia una cosa positiva.
Ritengo che i turisti italiani siano i più chiassosi e indisciplinati, quelli che ostentano maggiormente il proprio effimero benessere, si muovono in gruppo come un gregge, le donne sono sempre vanitosamente vistose ed eccessive, a volte volgari nel mostrare quelle parti anatomiche che ritengono essere le loro cose migliori dimenticando che con ciò possono ferire gli usi e costumi dei paesi che visitano. Gli uomini poi, cinquantenni perlopiù, che praticano il turismo sessuale qui in Tailandia ce l’hanno scritto in fronte il loro obbietivo.
Quindi turista, viaggiatore e anche italiano, ma non solo turista italiano.
L’aereo atterra a Malpensa con un’ora di ritardo, (la Thai ci ha fregato), bucando una spessa coltre di nuvole, consegnandoci dal torrido clima tailandese al grigiore di un autunno ormai alla fine; da un paese giovane e arrembante, forse ignorante, un po’ zoppicante ma ancora innocente a una civiltà vecchia che non pensa che a spolverare le proprie glorie ormai appannate e terrorizzata dal perdere quella supremazia nella cultura e nell’economia che ancora pensa di avere.
Il Viaggio Fai da Te – Hotel consigliati in Thailandia |
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