di Simona Riccardi –
Mi iscrivo al Tutto Brasile e mi ritrovo in Jamaica. Incontro a Malpensa il 2/8/2001 pronti a fare il giro del mondo per raggiungere Montego Bay. Il comodissimo piano dei voli prevede: Milano – Chicago / Chicago – Miami (notte a Miami dove dormiremo un po’ ammucchiati in un motel adiacente all’aeroporto) / Miami – Montego Bay. Il tutto in circa 36 ore; così arriviamo stravolti (ma va là?). Per dovere di cronaca specifico che una parte del gruppo è partita da Roma, ma il giro del mondo l’hanno fatto lo stesso (figuratevi che per alcuni era addirittura il battesimo del volo …….. bel battesimo!!!).
03/08/01 – Montego Bay ci accoglie senza luce e così impieghiamo un’oretta a compilare la quintalata di modulini per la dogana che, di norma, non sono di semplice comprensione ….. immaginate con le torce!!!
La fase successiva, che si rivelerà abbastanza complessa, consiste nella caccia di un pulmino con autista che ci porti a spasso e di un albergo dove stendere le zampette ormai distrutte. Risultato: un pulmino da 15 posti (noi siamo 12 + autista + bagagli che occuperanno 3 posti ……… e già avete capito che a qualcuno toccherà sedersi per terra) e un albergo leggermente fuori mano. La serata trascorre: per qualcuno al SUMFEST , il festival del Reggae che si svolge per un’intera settimana a Montego Bay, e per qualcun altro sul pulmino-taxi a portare la gente avanti e indietro dall’albergo. Comunque ci concediamo un giretto per il paese dove scopriamo subito che i Jamaicani ascoltano la musica a bassissimo volume e con delle casse acustiche a dimensione condominio milanese.
04/08/01 – Iniziamo subito con il nostro pulmino che non si presenta all’appuntamento: Jamaica no problem!!! Ma poco dopo eccolo spuntare all’orizzonte munito del nostro autista che ci scarrozzerà a destra e a manca per tutta la vacanza: il mitico Conroy. Così mitico che noi siamo stati il suo primo gruppo da quando ha deciso di intraprendere la carriera di autista (nonché la prima volta che varcava il confine di Montego Bay). A parte questo un bravissimo ragazzo, dotato di tanta buona volontà. Carichiamo i bagagli alla bell’e meglio, l’incastro magico verrà trovato strada facendo, e ci fermiamo a fare un bagnetto.
Costatiamo che il sole “picchia di brutto” e che l’acqua è caldissima (olè). La tappa seguente è alle Dunn’s River Falls, una delle principali attrazioni dell’isola (dove Sean Connery ha girato 007 Missione Goldfinger). Le cascate si possono “risalire” a piedi, muniti delle scarpine giuste, e tra gli schizzi e le scivolate il divertimento è assicurato. Sulla strada per Ocho Rios ci fermiamo a dare un’occhiata veloce al bosco di felci, che offre esemplari alti anche 10 metri.
05/08/01 – E’ domenica mattina e quindi tutti a messa!! Assistiamo ad una funzione nella chiesa anglicana di Sant John. L’atmosfera è d’altri tempi: signore di colore tutte vestite di bianco, il coro che canta in stile “gospel” così intensamente da far venire la pelle d’oca e, dulcis in fundo, al segno della pace tutti si avvicinano e ci danno il benvenuto. Un calore umano veramente unico: ci vengono le lacrime agli occhi e siamo sicuri che non lo dimenticheremo mai. Proseguiamo con il giardino botanico che qualcuno visita, mentre gli altri pisolano all’ombra occupando i pochi posti del “dopolavoro ferroviario” dei giardinieri.
Di pomeriggio ci stravacchiamo sulla Reggae Beach. Ceniamo con il solito pollo e con il solito riso.
06/08/01 – Trasferimento a Port Antonio. Strada facendo visitiamo la casa di Noel Coward: gran bella casa in stile coloniale con una gran bella vista. Gira di qua, gira di là riusciamo a passare per ben tre volte davanti alla chiesa di Port Maria (ma com’è sto fatto??) di cui visitiamo solo il giardino dato che è chiusa.
Segue nientepopodimenoché la Blue Lagoon. Ebbene sì avete capito bene: la laguna blu che ha intitolato il famoso film con Brook Shields (a parte la sabbia che non esiste). Un luogo magico. Arriviamo verso le 17.30, ora ideale per gustarsi il calare del sole all’interno della laguna. Tutto è di un meraviglioso verde smeraldo: l’acqua, la vegetazione e persino il bar / ristorante (quando si dice rispettare il contesto in cui ci si trova ..). Trascorriamo un paio d’ore a chiacchierare sopra a una zatterona di legno da dove ogni tanto ci tuffiamo per una nuotata in mezzo alle mangrovie. La sensazione è particolare: lo strato superficiale dell’acqua è molto freddo ma basta scendere di un metro e l’acqua diventa caldissima. E’ tutto al posto giusto; persino la musica che si diffonde dal bar è in perfetta sintonia con l’ambiente. A malincuore abbandoniamo il luogo, niente paura domani ci si torna, e raggiungiamo il nostro super-favolosissimo albergo di Port Antonio. Stile coloniale e stanze di dimensioni apocalittiche (ma siamo sicuri che si tratta di Avventure nel Mondo??) Ceniamo con un hamburger in un fast-food che diventerà il nostro punto di riferimento a Port Antonio e poi balliamo un po’ in piazza insieme agli indigeni che ci guardano incuriositi. Se non ci avete fatto caso, alla vostra sinistra potete notare una casetta in stile inglese ………….
07/08/01 – Giornatona al mare. Scegliamo accuratamente la spiaggia facendo impazzire il povero Conroy costretto a scarrozzarci all’impazzata qua e là. La scelta cade sulla Dragon Beach. Alle 16.00 si riparte per la Blue Lagoon e questa volta, oltre a riempirci gli occhi di quel verde magnifico, ci riempiamo la pancia con un’ottima cena al ristorante. E anche questo, ragazzi, mi sa tanto che non lo dimenticherò mai.
Percorriamo la strada che ci riporta al nostro albergo e …….guardate sulla destra c’è una splendida casetta in stile inglese. Sì l’abbiamo notata; è molto carina!!
Il nostro albergo ci aspetta, ma l’acqua stasera non fa la sua comparsa. Pazienza; dormiamo sporchi e sudici.
08/08/01 – L’acqua scende copiosa e olè ci si lava. Gita in canoa sul Rio Grande dove scopriamo che l’acqua scende “torrenziale” non solo dal lavandino ma anche dal cielo: e olè ci si lava di nuovo. La gita dura tre ore ed è affascinante nonostante il monsone che ha deciso di imperversare proprio questa mattina. Ci gustiamo comunque il paesaggio sempre verdissimo. Pomeriggio alla Winnifred Beach. Ritorniamo a Port Antonio ….. alla vostra destra c’è una casetta in stile inglese, l’avete notata?? Ma è un’altra???? Noooo, Simona è sempre la stessa !!!! Ceniamo in mezzo alla strada con dell’ottimo Jerk di maiale e di pollo, compreso uno splendido fegato di maiale (se la mia mamma sapesse che in vacanza mangio addirittura il fegato di maiale …..). Apriamo una parentesi sul Jerk, metodo di cottura / salsa tipicamente jamaicana. Prendete un fusto vuoto di olio lubrificante; tagliatelo trasversalmente in due e al centro metteteci una griglia. Aggiungete nella parte sottostante un consistente quantitativo di carbonella confidando che la parte superiore farà da coperchio. Cuocete la carne a fuoco lento e aggiungete a piacere la salsa jerk. Una salsa super-piccantissima, ma così piccante che ti lacrimano gli occhi …. Però buonissima!!! A questo punto s’impone una visita alla casetta in stile inglese: una sorta di centro commerciale con un locale / ristorante al piano superiore. Ne approfittiamo e ci mangiamo un’ottima fetta di torta (che dopo il jerk ci sta a pennello). Il tavolo di fianco al nostro intona un “happy birthday” per una delle ragazze. Ci uniamo all’applauso e ….. come per magia guadagniamo un’altra fetta di torta a testa, e stavolta completa di crema pasticcera. Ringraziamo commossi e spazzoliamo contenti.
09/08/01 – Partenza per le Blue Montains (ma in Jamaica è tutto blu?? Noooo, è tutto verde!!). Stoppiamo alle Sommerset Falls, che vale la pena di visitare. Ci perdiamo un po’ su e giù per le montagne e finalmente raggiungiamo il nostro albergo. Panorama favoloso, anche qui il verde si spreca. Trascorriamo l’ultima parte del pomeriggio a zonzo per le proprietà private cercando di visitare qualche villetta coloniale. La Jamaica è stata per anni dominio coloniale britannico e un segno tangibile è dato da queste casette / villette in stile coloniale che ancora popolano l’isola (senza considerare che si guida sulla sinistra). Oramai sono quasi tutte fatiscenti ma ancora intrise di quel fascino di tempi andati che siamo abituati a vedere nei film.
Ceniamo in albergo con un po’ di pollo, chiacchieriamo davanti alla splendida vista notturna su Kingston e dormiamo in compagnia di qualche scarafaggio.
10/08/01 – Carichiamo i bagagli con il solito assetto da guerra. Conroy è espertissimo: conosce a memoria le dimensioni e il peso specifico di tutte le nostre valigie, che peraltro aumenta col passare dei giorni (un po’ di souvenir e un po’ di sporcizia ….). Attraversiamo Spanish Town, che non ci piace, con una brevissima sosta al museo Tainos. Mangiamo al supermercato e proseguiamo per Mandeville. Perdiamo un po’ di tempo a fare le ordinazioni anticipate al ristorante e poi andiamo a prenderci un aperitivo in una bella villa coloniale (ma dai ??) nella parte alta della città. Un bel polletto ci aspetta per cena (e sì che le mucche in giro non mancano) e poi andiamo a berci qualcosa ….. indovina un po’? Ma ovviamente nella villa di prima (e Conroy va avanti e indietro…..) dove ci ascoltiamo anche un po’di musica.
11/08/01 – Carichiamo i bagagli con destinazione Black River. Iniziamo la giornata con un giretto a negozi. Fotografiamo la Bamboo Avenue, un tunnel di bamboo, e ci fermiamo un paio d’ore alle Y S Falls. E’ una sorta di parco naturale dove un camion scoperto ci trasporta fino al punto più vicino alle cascate. Facciamo due passi e qualche foto e poi inizia a piovere. Probabilmente il mese di agosto non è il migliore, dal punto di vista climatico, per visitare la zona caraibica e in effetti abbiamo perfettamente capito cosa intendono quando parlano di “pioggia torrenziale”. La fortuna è che la pioggia sembra essere regolata da un orologio svizzero: di notte piove (e quando dico piove voglio proprio dire PIOVE) e di giorno splende il sole. Ogni tanto il meccanismo si inceppa ….del resto nessuno è perfetto!!! Terminiamo con una gita in barca sulle paludi di Black River. A causa del fondale il fiume sembra proprio nero. Vediamo alcuni alligatori ammaestrati come scimmie da circo – “pore bestie” – e diverse specie di mangrovie. Ceniamo in albergo con il solitissimo pollo, alcuni con i gamberi (na botta de vita) e un bel topolino che gira per la sala da pranzo.
12/08/01 – E’ di nuovo domenica e noi per tradizione andiamo in chiesa ad assistere alla funzione. Bella ma non toccante come la precedente. Carichiamo i bagagli (a mo’?) e via verso Negril. Sostina al KFC a mangiare un po’ di pollo (tra un po’ ci spuntano le penne …..) e arriviamo a Negril. Conroy ci abbandona (ormai siamo affezionati a lui come ad un fratello) poiché non avremo bisogno del pulmino per i prossimi giorni. Il nostro albergo è uno Yoga Centre. Cottage e stanze di legno in mezzo a un giardino che ha proprio l’aspetto di una foresta pluviale. Tutto molto bello ed esotico a parte una quantità industriale di zanzare, moschini e pappataci che mi hanno divorato. Per gli ospiti sono previste lezioni di yoga e, a piacere, colazioni con yogurt e succo di frutta naturale. Qui ci fermiamo ben 4 notti. Appoggiati i bagagli nelle stanze iniziamo subito a perlustrare la spiaggia di Negril dove praticamente si svolge tutta la vita diurna e notturna della località più famosa della Jamaica. Non essendo il periodo ideale per visitare la Jamaica, durante tutto il periplo dell’isola abbiamo incontrato veramente pochissimi turisti……. a parte Negril: l’invasione degli italiani. Se non fosse per l’acqua che ha un leggero colore azzurro / trasparente potremmo essere a Rimini (ma in Romagna si mangia tutto sto’ pollo??). Ceniamo in un postaccio sulla spiaggia e, come dessert, due componenti del gruppo assaggiano la torta con la Gangia (traduzione di Marijuana). Tutti pensavamo che la torta sapesse solo un po’ di erba ma che non avesse particolari effetti collaterali. Invece, una volta digerita la torta, gli effetti sono stati devastanti. Allucinazioni, sudori e stomaco ribaltato per parecchie ore.
13/08/01 – Colazione sulla spiaggia e lezione di yoga. Da qui in avanti la giornata tipo si svolge così: ore 10.30 bagnetto in una meravigliosa acqua azzurra e tiepida – ore 11.00 il fiume pieno di tannino straripa colorando il mare di un rosso/ giallastro veramente schifoso – ore 13.30 pizza nel solito ristorante sulla spiaggia – ore 16.00 l’acqua è di nuovo favolosa – ore 17.00 piove – ore 21.00 cena sempre nel solito ristorante (ndr: Legend) – ore 23.00 reggae party sulla spiaggia con musica dal vivo, alcool a fiumi, marijuana a volontà e rasta come se piovesse con i loro caratteristici dreadlocks (le treccine per intenderci). Per info: i dreadlocks nella filosofia rasta servono ad emulare la criniera del leone.
14/08/01 – idem come sopra.
15/08/01 – Ferragosto (e chi se ne frega?). Colazione in albergo. Per il resto vedi paragrafo precedente ad eccezione dell’acquisto di qualche souvenir commissionato il giorno precedente. Qui tutto si acquista direttamente dal produttore al consumatore, infatti il commerciante jamaicano si è dato un gran daffare per produrre tutta l’oggettistica di legno richiesta prima della nostra partenza. I party sulla spiaggia in onore del ferragosto sono stati particolarmente “assordanti”.
16/08/01 – Colazione in albergo e poi subito in acqua per l’ultimo bagno del viaggio. L’acqua, ovviamente, non è mai stata così bella……non straripa nemmeno il fiume!!! Ed ecco che spunta Conroy con il nostro carissimo pulmino. Partiamo per Kingston dove arriviamo circa 5 ore dopo, un vero viaggione. Considerato che la Jamaica è un’isola lunga 250 Km. e larga 80 Km. vi renderete conto del perché dico viaggione.
Ceniamo in albergo e chiacchieriamo un po’ tra noi. E’ quasi ora di tirare le somme del viaggio, purtroppo.
16/08/01 – Giornata a Kingston. Il gruppo si divide a seconda degli interessi. Visitiamo il museo di Bob Marley e qui apro una parentesi “culturale” su Bob e sul reggae. Robert Nesta Marley nasce il 6 Febbraio 1945, segno dell’Acquario, Joseph nella partizione rasta delle 12 tribù d’Israele, nel villaggio di Rodhen Hall, distretto di St.Ann, sulla costa Nord della Giamaica. Nasce dalla relazione tra Norman Marley, capitano dell’esercito inglese, e Cedella Booker, giamaicana. “Mio padre era un bianco, mia madre nera, io sono in mezzo, io sono niente” – era la sua risposta preferita quando gli domandavano se si sentisse un profeta o un liberatore – “tutto quello che ho è Jah. Così non parlo per liberare i bianchi o i neri, ma per il creatore”. “Io sono nato in Babilonia. Mio padre era un capitano inglese che combatteva in guerra. Riesci ad immaginare una Babilonia peggiore?”; “Non ho mai avuto padre. Mai conosciuto. Mia madre ha fatto dei sacrifici per farmi studiare. Ma io non ho cultura. Soltanto ispirazione. Se mi avessero educato sarei anche io uno scocco”; “Mio padre era… come quelle storie che si leggono, storie di schiavi: l’uomo bianco che prende la donna nera e la mette incinta”; “Non ho mai avuto un padre e una madre. Sono cresciuto con I ragazzi del ghetto. Non c’erano capi, solo lealtà uno verso l’altro”.
Ecco il credo rasta: l’odio verso Babilonia-l’inferno in terra, il mondo occidentale bianco, la società oppressiva in contrapposizione con l’Etiopia, terra madre che un giorno accoglierà la gente di Jah, il Dio rasta – e verso la cultura imposta dal regime.
Le radici del reggae affondano nella schiavitù della gente di Giamaica. Quando Cristoforo Colombo, nel secondo viaggio verso il Nuovo Mondo, sbarcò sulla costa nord di St. Ann trovò ad accoglierlo gli indiani Arawak, un popolo pacifico dal ricchissimo patrimonio di canti e danze.
Quando gli Spagnoli iniziarono la colonizzazione dell’isola nel 1509, gli Arawak furono messi a lavorare nelle miniere e nelle piantagioni. Otto anni dopo, in seguito all’alta moria degli Indios, venne fatto sbarcare il primo contingente di schiavi catturati in Africa. La Giamaica diventò colonia inglese nel 1655 e vi rimase fino al 6 Agosto 1962, anno dell’ indipendenza giamaicana. Le prime ribellioni risalgono al 1673, quando un piccolo gruppo di guerrieri provenienti dalle coste dell’Africa riuscì a fuggire dalle piantagioni e a rifugiarsi tra le montagne. Furono chiamati Maroons, divennero l’emblema di una razza che non vuole abbassare la testa senza combattere un nemico crudele e razzista. Fu proprio la sua discendenza dai Maroons una delle ragioni che convinsero i giamaicani a seguire Marcus Garvey, evangelista di grande carisma, fondatore di un giornale, Negro World, che assicurò la diffusione di frasi e slogan poi ripresi da ogni combattente per la libertà del popolo africano. “Uno scopo, un Dio, un destino; Africa per gli Africani in patria e all’estero”, “Noi siamo i discendenti di gente che ha sofferto, ma siamo anche i discendenti di gente che non voleva più soffrire”. Fu soprattuto una sua profezia – “Guardate all’Africa, quando un re nero sarà incoronato il giorno della liberazione sarà vicino” – a dare inizio al culto di Hailè Selassiè.Poco importa che colui che è stato ritenuto il Messia dalla gente della Giamaica abbia fatto poco per loro.
La visita prosegue con la Devon House, un’altra casetta coloniale (ma dai!!!). Recuperiamo un taxi che ci trasporta in 6 – qualcuno nel bagagliaio – a downtown. Ci aggiriamo per il mercato del centro: fa un caldo torrido. Abbiamo bisogno di un po’ di aria condizionata e così ci concediamo una pausa da Mc. Donalds (ma qui il pollo non c’è?). Di pomeriggio recuperiamo un altro taxi, sempre in 6, che ci porta a Port Royal.
Il paesino, che si trova su una specie di penisola, viene descritto dalla Lonely Planet come l’ottava meraviglia del mondo. Invece troviamo quattro baracche e qualche venditore di pesce fritto; il tutto in puro stile coloniale (e ci mancherebbe altro!!). Torniamo sulla terraferma con il ferry-boat e ci dirigiamo in albergo per l’ultima cena con il gruppo. E’ proprio finita domani si ritorna a casa, ovviamente dopo aver fatto il giro del mondo alla rovescia.
18/08/01 – Partiamo alle 3.45 e arriviamo in aeroporto giusto un’ora prima dell’apertura…… del resto è sempre meglio essere in anticipo!!! Da qui in poi c’è una serie infinita di voli, durante i quali ci scambiamo gli indirizzi, che ci faranno atterrare a Milano il 19/08/01 mattina (qualcuno a Roma).
Come ho scritto all’inizio non avevo intenzione di fare un viaggio in Jamaica e non sapevo quindi cosa aspettarmi, cosa avrei trovato. Le somme del viaggio sono invece decisamente positive. Un’isola affascinante con caratteristiche fisiche tipiche dei caraibi; una terra verde, di un verde incredibile. Gente nera che si sente africana, case coloniali in perfetto stile inglese e musica reggae. Il tutto mixato fa sì che non sai dove ti trovi, però ti piace ….a me è piaciuta. E mi sono piaciuti molto anche i compagni di viaggio: Vittorio il coordinatore, Paola la ragazza del coordinatore, Carla di Napoli, Alessandro di Napoli, Carmen, Gerarda e infine i cinque pazzerelloni con i quali ho veramente condiviso questa avventura: Roy la biondona di Milano, Angela la più fuori di testa, Carla che ha paura dell’acqua, Mirella la più tranquilla e Alessandro, il principe dell’harem. Grazie a tutti e alla prossima avventura!!!