di Osvaldo Forastelli –
Mi ha sempre affascinato Samarcanda, la città posta lungo la via della seta.
Ancora piccolo, sfogliando il mio atlante disteso sul letto, fantasticavo ad osservare quel nome. Era un mondo cosi lontano dalla mia cittadina, che pareva su un altro pianeta.
Poi son cresciuto, sono passati giorni, mesi ed anni, le compagnie aeree hanno avvicinitato ogni città a questo mondo e quello che una volta era un semplice sogno, ora poteva diventare realtà. La trafila burocratica per riuscire ad avere il visto apposto sul mio passaporto è stata lunga e tortuosa.
Il viaggio verso la terra dell’ Uzbekistan è stato molto lungo e travagliato. Abbandonata Mosca, raggiungo la capitale lettone di Riga con un volo Aeroflot. L’ aereo che mi porterà nella capitale Tashkent decollerà alle ore sette circa. Ancora quattro ore di attesa, ma già vengo assalito dall’ ansia. L’ Uzbekistan, seppure un ex territorio della vecchia Urss, è un paese che con l’ antica potenza comunista non ha nulla a che vedere. Come storia, come lingua, come usanze. In tutto e per tutto diversi. Mi distendo sulle seggiole nella speranza che il tempo trascorra velocemente; attendere mi logora, mi snerva. Quando il gate apre, circa due ore prima l’ ora del decollo, mi trovo in una saletta insieme a molte altre persone. Sono al terminal C ma l’ imbarco sul volo AirBaltic diretto a Tashkent avverrà al gate D. Inizialmente non mi è chiaro come raggiungerò il gate, ma poi, prestando maggior attenzione, scorgo al di sopra di una piccola porticina un piccolo ( ma davvero piccolo…) pannello informativo dove viene spiegato che il punto d’ imbarco per il gate D avverrà proprio da qui. Fidarsi? Direi di si, anche se le informazioni fornite sono davvero poche e si limitano a questo piccolo pannello. Attendo speranzoso, anche se al momento la sala è deserta. Io solo, in attesa. Pian piano iniziano ad arrivare persone, famiglie, anziani. Giovani pochi, quasi nessuno. Finalmente giungono le hostess ed in pochi secondi sono sul bus che ci trasferisce al gate D. Decolliamo poco dopo, in perfetto orario. Di fianco a me vi sono due ragazzi molto giovani ( gli unici su questo aereo ), che si sporgono spesso ad osservare il mondo fuori dal finestrino. Quel mondo fantastico che dall’ alto appare appieno nella sua bellezza. La mia fortuna è stata quella di essere riuscito a trovare posto a fianco del finestrino, cosicchè riesco ad appoggiare la testa e riposare, siccome il viaggio sarà molto lungo. Sono circa sette ore di volo, che trascorro quasi tutto il tempo dormendo.
…che disavventura!
Atterriamo nella capitale uzbeka intorno alle due di notte. Dobbiamo compliare un formulario che ci è stato consegnato dalle autorità di terra, dove indico le mie generalità e mille altre banalità, da dove io venga, dove sia diretto, quali città mi appresto a visitare e cosi via.
Consegno il form al personale di frontiera, una guardia dall’ aspetto giovanile che scruta il mio volto diverse volte. Mi guarda in maniera sospetta, il suo viso è teso, cerca di capire se la persona nella foto del passaporto sia proprio io. E poi, finalmente, lo vedo sorridere e apporre il visto che mi apre di fatto le porte all’ Uzbekistan!
Ancora pochi passi e finalmente oltrepasserò la porta scorrevole che mi porterà diritto nel cuore della capitale. Ma quando ne varco la soglia rimango alquanto sorpreso, mi trovo in una piccola stanza dove giungono sul nastro trasportatore le valige e oltrepassata la successiva porta sono…sono al di fuori dall’ aeroporto. Niente sala arrivi e partenze, niente di niente. Una piccola stanza dove prendere il proprio bagaglio e si è già immersi nel mondo dell’ Uzbekistan. Sono inquieto, anche perchè giunto all’ uscita s’ avvicina una donna che mi domanda qualcosa, senza che però io possa comprendere assolutamente nulla delle sue parole.
A dar man forte alla ragazza sopraggiunge un signore sulla mezza età. Mi parlano, confabulano tra di loro, mi guardano come se fossi un marziano. Chi siete, cosa volete? Pochi secondi di smarrimento e comprendo: sono gli alligatori. Persone, uomini e donne, in attesa di turisti da spennare, offrendo loro servizi di ogni genere, dal tassista di fiducia all’ hotel dodici stelle. Ringrazio e saluto, proseguendo per la mia strada. Beh, magari vi fosse una di strada da prendere… Il buio della notte avvolge ancora la città, davanti a me un grande spiazzo desolato affollato da facce poco presentabili, figuriamoci se affidabili. Mi sento sperso, in balia degli eventi. Cosa fare? E’ notte fonda, avventurarmi in città è una soluzione non praticabile oltre che priva di senso. L’ aeroporto delle capitale non dispone di una sala d’ attesa ( per gli arrivi ), dove trascorrere il tempo fin quando le luci dell’ alba porteranno il nuovo giorno a Tashkent? M’ avvio lungo la strada con il mio pesante zaino, cercando di non lasciar trasparire le mie preoccupazioni ai presenti. Mille persone cercano di farmi ‘loro preda’ con proposte bugiarde e non veritiere. Cammino nel grande piazzale cercando di venire a capo della situazione: dove mi trovo e soprattutto, cosa fare. Varcare la soglia del parcheggio vorrebbe dire andar in pasto a decine e decine di alligatori. Osservo meglio e soprattutto da lontano, l’ aeroporto: il piano delle partenze si trova al piano primo, quello degli arrivi al pianoterra, dove ora mi trovo. Una piccola scala, quasi nascosta, porta al piano delle partenze. Vi sono alcune panchine poste al di fuori dell’ ingresso, e null’ altro. Entrare all’ interno non è possibile ( bisogna essere muniti di un biglietto aereo ), la sala d’ attesa è per me un miraggio separato da un vetro spessissimo. Cosa fare? Mi raggomitolo sulle panchine all’ aria aperta e attendo le prime luci dell’ alba. Fa frescolino, ma tengo duro. Sono stanchissimo, il trasferimento da Mosca a Tashkent è stato lungo e tortuoso, fatto di voli aerei, attese, metro, mille spostamenti. E non ho ancora cenato, il che mi rende privo di energie. Spero il tempo trascorra velocemente per essere finalmente nella mia camera d’ albergo, a riposare. Ma purtroppo non andrà esattamente cosi.
Nonostante sia molto stanco non riesco a chiudere occhio, primo perchè sono adagiato sulla panchina più scomoda del mondo, secondo perchè io stesso cerco di non addormentarmi. La paura di essere derubato è molta, stupidamente. Da come ho avuto modo di vedere, sia sull’ aereo che in questo piccolo spazio dell’ aeroporto, sono l’ unico turista occidentale. E non passo di certo inosservato, considerando che la maggior parte delle persone accanto a me sono vestite con un semplice asciugamo. Proprio cosi, uomini in ciabatte e a coprire la loro pelle uno striminzito asciugamano bianco. Sono a decine, giovani e meno giovani. Una comitiva diretta al mare? Dubito!
Certo che il mondo è davvero strano e vario, e proprio per questo motivo bello ed affascinante! Mi osservano di nascosto, e sono sicuro si domandino cosa diavolo faccia io li, nella loro terra. Già, cosa ci faccio? L’ Uzbekistan è un paese sconosciuto alla maggior parte delle persone, ma un viaggiatore è a conoscenza della storia millenaria che porta con sè questa terra, un mondo fantastico e fantasioso, dove Samarcanda, Bukhara e Khiva sono le sue pià alte espressioni.
Riposo davvero malissimo e non appena all’ orizzonte s’ intravede il nuovo giorno, verso le ore sei, mi metto in cammino. Mi dirigo verso il terminal dei voli nazionali posto in una costruzione a poca distanza da dove mi trovo ora. E’ un luogo decisamente più tranquillo, un grande piazzale dove l’ ingresso agli alligatori non è permesso. Sono decisamente più sereno, anche perchè secondo la mia guida, da qui hanno partenza in bus diretti al centro di Tashkent. Già, ma da qui dove?? Il piazzale è transennato sui quattro lati e l’ unica via di accesso è quella porticina appena varcata. Osservo meglio, ma di bus neanche l’ ombra. Iniziamo bene… Cosa fare? Non posso far altro che incamminarmi lungo la strada tentando di oltrepassare i mille alligatori assiepati oltre la sbarra d’ ingresso dell’ aeroporto. Sono a centinaia, ed io fra poco finirò in pasto a loro. Dovrò farmi largo tra queste mille persone, negando gentilmente ogni forma d’ aiuto, continuando a camminare. Se do’ ascolto ad uno solo di essi, è finita. Sarà difficile, ma è l’ unica soluzione.
M’ avvio verso l’ uscita, con il mio pesante zaino in spalla. Sono l’ unica persona nel grande piazzale, e loro, gli alligatori, hanno occhi solo per me. M’ assalgono tutti insieme, mi parlano nella loro lingua a me sconosciuta, aggiundendo di tanto in tanto qualche parola d’ inglese come hotel, money, change…ringrazio ciascuno di loro e a fatica oltrepasso questo ‘muro umano’. Alcuni di essi non si danno per vinti e mi seguono continuando ad offrirmi di tutto. Pian piano, mentre continuo a camminare senza più prestare attenzione alle loro parole, mi lasciano in pace. Eliminati, tutti. Ovvero, tutti tranne uno.
Costui mi segue con il suo taxi, mi affianca e dal finestrino continua a pormi domande di cui non comprendo il significato.
-No, thank you-
E’ la milionesima volta che pronuncio queste due parole in pochi minuti. E cosi anche ora, ma nulla, quest’ uomo non desiste e continua a seguirmi, con la sua autovettura anni ’30. Continuo a camminare ma davanti a me non intravedo nulla; l’ aeroporto pare sperso nella pianura uzbeka, di bus neanche l’ ombra e…e qualcosa devo pur inventarmi per giungere in città. Tantovale ascoltare cos’ ha da offrirmi quest’ uomo: siamo solo più io e lui, nessun’ altro. Dice di volermi offrire un passaggio, è consapevole che io sia diretto in centro Tashkent. E siccome sono a piedi sa’ benissimo di farmi ‘suo’. Non ho altre carte da giocare, devo raggiungere il centro ad ogni costo, questa è la mia unica soluzione. Abbiamo bisogno uno dell’ altro.
Non mi resta far altro che aprire la portiera e affidarmi alle sorti di quest’ uomo dai grandi baffi. La carretta a 4 ruote parte a tutta velocità ed in poco siamo nel cuore della capitale. Strade ampie e al momento, vista l’ ora mattutina, deserte. Una città ben strutturata e soprattutto molto ben curata. E dire che m’ aspettavo un paese fermo al passato… Mentre guida l’ uomo continua a pormi mille domande, s’ informa da dove io venga, cosa faccia in città e mille altre cose. Ma soprattutto si prodiga ad offrirmi di tutto: da fantomatici alberghi alla valuta locale passando per dei tour nel deserto.
Lo vedo cianfrusagliare nelle tasche con entrambe le mani ( ed il volante chi lo tiene???? ) e poi, tutto felice, tirar fuori da esse una mazzetta enorme di banconote di soldi uzbeki: centinaia di bigliettoni, ammazza, questo è ricco!!! Io sono invece, al momento, messo malino: con me non ho Sum ma solo Dollari e pochi Euro. Ma in questa terra, Euro e Dollari sono due valute che valgono più dell’ oro. Il mercato nero è un mercato prospero, tutti, ma proprio tutti, vanno alla ricerca di turisti per offire loro valuta locale in cambio di Dollari e soprattutto Euro. La capitale Tashkent deve essere molto grande ed estesa, son ormai dieci minuti che l’ auto corre per le strade cittadine ma il centro città ancora non si vede. Provo a scansare le offerte dell’ uomo e concentrare il discorso su dove esso debba lasciarmi: devo assolutamente raggiungere la stazione ferroviaria di Tashkent. Ma nulla, non capisce un becco di quello che dico e anzi, continua ad offrirmi di tutto, compresa, penso, la sua cara mamma. Continua a ripetere ‘yes yes’ ad ogni mia domanda ma nel frattempo raggiunge il centro città, altro che stazione dei treni! Mentre guida, lo ‘yes men’ sputacchia fuori dal finestrino ogni tre secondi…che schifo porca miseria! Un po di contegno, suvvia! Arrivati nei pressi di una grandissima piazza, l’ uomo arresta il veicolo: sono arrivato. Già, ma dove??? Concordiamo il prezzo, 5 dollari posson bastare. Quando lascio il verdone nelle sua mano, mi guarda stupito e continua a ripetermi ‘old old’. Old? A suo dire la banconota è di vecchio taglio, è vecchia! Ma sia lodato il cielo: appresso ho qualche Euro, è magicamente 5 Dollari diventano 5 Euro. Un cambio equo e soprattutto…solidale! Chiusa la portiera dell’ auto e salutato il barbone, m’ assale un poco di preoccupazione: sono in questa grande piazza circondata da grandi e maestosi edifici…ma la stazione ferroviaria dove cavolo sarà? Consulto la cartina e capisco d’ essere nel cuore di Tashkent, Amir Timur square. Ottimo, la stazione ferrovia è da tutt’ altra parte! Cosa fare ora? Passeggio nella grande area verde su cui si affaccia il Parlamento dell’ Uzbekistan, avvolto nei miei pensieri. La mia preoccupazione non svanisce, il mio esser turista non m’ aiuta in un paese dove la corruzione è dilagante e dove spesso e volentieri i turisti vengono fermati dalla polizia in cerca di guadagni facili. Con il mio grande zaino non passo di certo inosservato, e dover sganciare soldi corrompendo le guardie non è un gioco che amo particolarmente. La città dispone di una linea metropolitana e a quanto riporta la mia cartina, nei pressi dovrebbe esservi una fermata. Domando a due persone che incontro lungo il cammino, ma nessuna delle due è in grado di essermi d’ aiuto. Sono appena le sette del mattino e nonostante il sole risplenda già alto nel cielo, la vita in città deve ancora aver inizio. La città è al momento deserta, la quiete ed il silenzio regnano sovrani. Dopo una non breve ricerca scorgo finalmente la metropolitana: bene, sono salvo! Alcune fermate, penso tra me e me, e sarò in stazione ferroviaria, pronto ad ‘imbarcare’ il primo treno per raggiungere Samarcanda! Invece…amara sorpresa: la metropolitana di Tashkent non dispone di una biglietteria automatica. Vi è solo un piccolo sportello dove una signora di mezza età conferma le mia paura: i gettoni per una ‘gara’ s’ acquistano solo con valuta locale ed in contanti. No bancomat, no carte di credito. Wow! Cerco di impietosirla, provo a far scendere una lacrimuccia…ma nulla. Cerco di corromperla con guadagni facili mostrando lei una banconota da 5 Euro, ma nulla. Sono perso, improvvisamente il morale scende sottoterra. Come cavolo posso raggiungere la stazione ferroviaria, senza sapere neanche dove sia ubicata? Non ho Sum con me, i Dollari a quanto pare sono di vecchio stampo e gli Euro che ho con me sono pochi. Devo assolutamente trovare un bancomat, o al massimo una banca. M’ avvio lungo Taraqqiyot kochasi, un lungo viale alberato silenzioso che taglia in due il centro città. I negozi devono ancora aprire e lungo i marciapiedi non s’ intravede anima viva. Solamente io e la mia ombra. Cammino una decina di minuti ma di una banca neanche l’ ombra. Mi risolvo ad entrare in un grande albergo dove però le due persone all’ ingresso non capiscono una parola d’ inglese. Siccome non riusciamo a comunicare, vedo uno dei due uomini prendere la cornetta del telefono ed iniziare una discussione animata con la persona dall’ altra parte del filo. Quando riattacca, sorridendomi, mi fa cenno con la mano di attendere ancora qualche istante. Una breve attesa e sopraggiunge un signore che m’ offre il suo aiuto, questa volta parlandomi in inglese. A suo dire la stazione ferroviaria si trova a circa un chilometro, proprio lungo questa direttrice. Sospiro, mi sento assai sollevato, più sereno. Mi spiega che per arrivare in stazione posso prendere il bus numero 60 da una delle numerose fermate lungo la strada. Ringrazio e sorridendo raggiungo di fretta una di queste fermate a poca distanza. Ma camminando mi sorge altro dubbio: come pago la corsa in bus? In caramelle? In bottoni? Sono nuovamente daccapo, senza Sum sono davvero alla frutta, anzi, al digestivo! Pazienza, una bella passeggiata e raggiungerò la stazione a piedi. Nonostante sia già parecchio stanco la fatica non la vincerà! Attraversando la strada m’ accorgo della presenza, poco distante, di due giovani intenti a parlottare. Per aver la sicurezza di non aver sbagliato direzione domando loro conferma del tragitto. Sono sulla giusta via ma secondo loro conviene prendere un taxi, siccome la distanza che mi separa dalla stazione è parecchia. Faccio presente di non aver con me Sum, ma solamente Dollari ed Euro. Mi sorridono dicendomi di cambiare denaro nella banca proprio qui dietro. Banca? Qui dietro? Cavolo, ottimo!
Tutto felice m’ avvio all’ ingresso, ma la sfortuna in questa mattinata pare non volermi abbandonare: gli uffici aprono alle ore nove e sono appena le sette e mezza. Un’ ora e mezza di attesa. Mi distendo sul marciapiede al fine di riposarmi un poco, e nel mentre medito sul da farsi. Raggiungere la stazione a piedi è impresa improbabile, come confermato dai due giovani. Se giunto in stazione non vi fosse stato uno sportello bancomat, come avrei fatto a cambiare soldi necessari per acquistare il biglietto? E se non vi fossero stati uomini pronti a cambiar valuta al mercato nero? Sarei dovuto tornare in città a cercare una banca. Mi convinco a non rischiare inutilmente e siccome davanti a me ho una delle poche banche presenti in città, aspetterò l’ apertura. E l’ unica soluzione percorribile, anche se mi tocca attendere oltre un’ ora.
Mi distendo sul muretto come se fossi nel mio letto, sono molto stanco e, soprattutto, sudato ( maronna sembro davvero un barbone! ). Nonostante la giornata sia appena iniziata avverto già un insopportabile caldo. Osservo le poche auto correre lungo la strada e man mano che il tempo passa, il traffico aumenta. Arrivano lentamente, ad uno ad uno, gli impiegati della banca…e sono davvero molti! Il tempo sembra non passare mai…i minuti paiono ore.
Sopraggiunge una guardia della banca e mi fa capire di portare un poco di contegno…in effetti sono disteso come un barbone, senza scarpe…e non è un bel vedere! Mi rimetto in quadro cinque minuti prima delle nove e poi, finalmente, posso far ingresso solenne in questa dannata banca! Non ho idea a chi rivolgermi e domando lumi alla prima signora che incontro nella grande stanza. In qualche modo mi fa capire che se ho intenzione di cambiare valuta, devo recarmi allo sportello poco distante. Mi sento osservato, tutti gli impiegati hanno occhi sulla mia persona; sono sicuro che turisti occidentali ne avranno visti assai pochi nella loro banca. Allo sportello cambiavalute vi sono due giovani ragazze che paiono tremare quando lentamente m’ avvicino a loro. Provo a spiegare cosa voglio, le mie intenzioni e, imbarazzatissime, mi pregano d’ attendere comodamente sui divani in centro sala. Cosa dovrò aspettare? Il direttore? La polizia? Mah, gente strana questi uzbeki. Seduto Kremlincomodissimamente le vedo confabulare tra loro, volgere lo sguardo di tanto in tanto verso di me e sorridendo far finta di osservare il computer. Farò pena? Effettivamente ho la barba mal tenuta e non sono proprio tirato a lucido dopo un giorno lunghissimo di viaggio. Sopraggiunge un’ altra ragazza, e ora sono tre in questo angusto sportello. Ma non è finita, tempo cinque minuti e giunge un’ altra giovane, e siamo a quattro! Dopo un quarto d’ ora di attesa mi fanno cenno d’ avvicinarmi. Spiego loro di voler cambiare Dollari ed Euro in Sum, senza la quale sono praticamente tagliato fuori dalla vita del paese. Sorridono, imbarazzatissime. Santo Dio, posso capire che nella loro banca di occidentali ne vedano pochi, pochissimi, ma cosi mi pare d’ essere un alieno venuto da Marte. Continuano a confabulare tra loro, si scambiano consigli, fin quando una di loro mi dice che i Dollari non possono cambiarmeli in quanto di taglio vecchio ( ma sono fuori corso per caso? Mah! ) mentre invece gli Euro si, quelli possono cambiarmeli. Non ho molto con me, lascio sul banco tre banconote da dieci Euro e una da venti. Apriti cielo! Son sicuro non abbiano mai visto un Euro in vita loro, ne sono sicuro! Li osservano come se fossero gioielli costosi, se li passano di mano una con l’ altra, li osservano scrupolosamente con faccia sbigottita…’ sono Euro cavolo, guarda gli Euro! ‘. A questo punto mi sembra d’ essere su scherzi a parte…quattro giovani ragazze davanti a me che si passano di mano quattro banconote quasi fossero diamanti…
Ad un certo punto una delle quattro, quella seduta, afferma che una banconota non può cambiarla perchè strappata. Ha un piccolissimo taglio dovuto all’ usura… dovevo portarmi forse banconote appena uscite dalla banca d’ Italia? Vabbè, quaranta euro in Sum vanno più che bene per questa prima giornata. A mia risposta affermativa, la giovane prende il telefono e….pochi istanti…e sopraggiunge una quinta giovane! Dai c**o, ditemi che sono su scherzi a parte! Mi trattengo dal ridere come un imbecille, cosa che invece a loro non riesce. Confabulano ancora qualche istante e dopo aver firmato quattro o cinque fogli posano sul banco una mazzetta di banconote. Ora sono sicuro: mi stanno prendendo in giro! Io lascio alla banca tre banconote del valore di quaranta euro e loro in cambio mi lasciano una mazzetta spessa cinque centimetri, con non meno di un centinaio di banconote. Quando vedono la mia faccia sbigottita sorridono ancor più, ed una di esse a voce alta m’ intima ‘contare, contare soldi’…
Contare?? Mi fido, anche perchè non ho la più pallida idea di quale sia il cambio corrente, e dopo averle salutate m’ avvio felice all’ uscita. Mi guardano con occhi spalancati mentre le saluto…e chi lo sa, probabilmente saranno state traumatizzate a parlare con un italiano. Mah!
Con la mia bella mazzetta di soldi raggiungo la stazione metropolitana in piazza Amir Timur e non appena scendo la scalinata due guardie fermano il mio passo. ‘Apri lo zaino’ dicono. Ecco, lo sapevo, per evitare lungaggini e problemi dovrò allungare qualche banconota. Ma rimango inflessibile: possono scordarsi d’ avere i miei Sum! E cosi, dopo aver ispezionato il mio zaino, mi lasciano andare. La metro di Tashkent è funzionale, pulita e molto bella. Al momento è quasi deserta, siamo non più di 5 persone ad aspettare il convoglio. Altro che metropolitana di Mosca! Pochi minuti e sono finalmente alla stazione ferroviaria della capitale. Sono ormai quasi le undici, e già sono parecchio stanco. Non vedo l’ ora di essere in camera per una meritato riposo. Invece…
La stazione ferroviaria di Tashkent è una costruzione recente, come la maggior parte delle stazioni del Paese. La biglietteria è posta in un edificio accanto, un’ immensa stanza dove vi sono non più di quattro sportelli. M’ avvicino ad uno di essi ma la signora al banco, ancora prima che io apra bocca, mi fa cenno d’ aspettare. Aspettare cosa? Vabbè, mi siedo nella speranza d’ avere il prima possibile il biglietto per Samarcanda. Il tempo passa…ma nulla succede. Dopo venti minuti d’ inutile attesa domando lumi a due guardie. ‘A quale sportello devo andare, siccome la signora di prima m’ ha rimbalzato?’ Molto gentilmente mi accompagnano allo sportello numero due e questa volta, senza capirne il motivo, la signora mi fa passare davanti a tutte le persone che erano giunte prima di me. Se pensavo d’ essere quasi salvo, se pensavo che nel giro di qualche ora sarei stato a Samarcanda, nel mio lettino, vedo crollare in un battito di ciglia tutte le mie aspettative e speranze. La signora sentenzia quanto segue: primo treno per la città, ore venti. Alle venti?? Esattamente tra…tra nove ore?? La signora ricontrolla il terminale e poi sbotta, sorridente, con un ‘ no tranquillo, parti molto prima, alle 5.30′. Ah beh, che cambiamento, sticazzi! Non ho altre soluzioni, il treno è l’ unico modo per raggiungere Samarcanda. Fatto il biglietto la mia preoccupazione è ora come ingannare il tempo che mi separa alla partenza. Visitare la capitale è impresa assai improbabile, ho sulle spalle il mio pesante zaino che rende difficile passeggiare. Sono ancorato in questa zona, non posso allontanarmi troppo. Esco alla luce del sole e pongo come prima prerogativa della giornata un pasto caldo. Ho fame, tanta fame! Non distante sorge un piccolo ristorante thailandese, che pare far proprio al caso mio. Quando varco la porta d’ ingresso immagino il locale sia ancora chiuso, siccome la grande sala con i mille tavoli è al momento tristemente vuota. Ma una donna m’ accoglie è pare di tutt’ altra idea, infatti mi fa cenno di seguirla. Il mio tavolo è a fianco la finestra, e dopo aver osservato il menù ( fortuna vuole che vi siano fotografie ad illustrare le pietanze ) posso finalmente ordinare. Ho molta fame, è quasi un giorno intero che non mi concedo un pasto degno di tale nome.
Dopo non poca attesa sopraggiunge la cameriera con in mano un piatto enorme di agnolotti ( direi simili… ) ed una specie di focaccia. Mammamia che fame!!! Mangio e bevo felicemente, anche se non riesco a finire tutto, sono porzioni per un maiale!
Il tempo pare non voler passare in questa mia prima giornata in Uzbekistan. Ancora tre ore mi dividono dalla partenza, e non ho la più pallida idea di come impegnare tutto questo tempo. Raggiungo la stazione ferroviaria e mi svacco nella grande e affollata sala d’ attesa. Mi distendo sulle scomode seggiole e incurante delle persone nella sala mi lascio andare ad un piacevole ( si fa per dire ) sonno, intervallato ogni tanto da presunti venditori di salame, di caramelle e di ogni altra sorta di mercanzia. Mi vien da sorridere ad immaginare persone che si recano in stazione a prendere un treno e tornano a casa con un salame grande quanto un bazuka. Fa’ un caldo tremendo ed ho una sete pazzesca. In stazione vi sono due piccoli negozietti con in vendita poche cose, qualche barretta di cioccolato, pane e bevande. Ne approfitto per scrollarmi di dosso questa sete che mi tormenta ormai da un paio d’ ore.
Gironzolo per la stazione e il mio occhio attento cade su due giovani ragazze con un grande zaino in spalla: caspita, due turiste in mezzo ad una mandria di uzbeki! Sono sicuro al cento per cento che anche loro sono dirette a Samarcanda…
Ancora un’ oretta d’ attesa e finalmente sopraggiunge il treno che arresta la sua corsa lungo la banchina. Non vedo l’ ora di prendere posto nello scompartimento in modo da riposare fin a giungere a Samarcanda. I treni uzbeki sono uguali in tutto e per tutto a quelli sovietici, tranne nel prezzo d’ acquisto. Molto spesso è più conveniente spostarsi in questo immenso paese in aereo che non in treno. E vai a capire per quale motivo…
Quando trovo il mio posto, toh, chi si rivede, le due giovani ragazze! Sono due tedesche di cui una parla, oltre ad un perfetto inglese, anche la lingua francese. Pochi istanti e sopraggiunge un altro giovane che siede accanto alle due ragazze. Inizia a conversare con loro e dopo aver aperto una birra ne offre a tutti una tazza. Il treno parte in perfetto orario e lentamente abbandoniamo Tashkent ed il suo grigiore per inoltrarci nello sterminato territorio arido dell’ Uzbekistan. Io dormicchio, sono davvero stanchissimo. Ogni tanto leggo qualche pagina della mia guida e non appena la tazza è vuota il giovane provvede a riempirmela. Non ricordo quante bottiglie ha aperto e quante tazze ha offerto, ma sono quasi lordo! Le due giovani ed il ragazzo parlano interrottamente per ore, fin quando scende il buio. Sopraggiunge un ragazzo che si sofferma a parlare con il giovane seduto accanto a noi e nel mentre, con lo sguardo, osserva le due giovani. Senza sapere se i due siano amici o se semplicemente avvistate due turiste si sia intromesso nella situazione, questo grassone si siede accanto a noi. Inizia a discorrere ad alta voce disturbando tutti, soprattutto il sottoscritto che cerca di riposare. Il ragazzo uzbeko, che prima si dilungava con le due ragazze in lunghe chiaccherate, è ora in silenzio, quasi intimidito, mentre il grassone ha rubato lui la scena. Se il primo era gentile e simpatico, il secondo è l’ esatto opposto. Se il primo ragazzo era dai modi educati il grassone è invece grossolano, e le sue urla ripionbano in tutto il vagone. Che palle, non riesco neanche a socchiudere gli occhi con un deficente del genere accanto. Sembra essere noioso non soltanto a me, ma a tutti quanti, infatti in meno di mezz’ ora andiamo tutti a nanna. Prepariamo i nostri lettini e prima di metterci a dormire prego la giovane ragazza di svegliarmi non appena saremo a Samarcanda. Non vorrei mai restare addormentato e svegliarmi in Kazakistan…
Il buio della notte è ormai calato su questo angolo di mondo. Mai più avrei immaginavo che il tragitto dalla capitale a Samarcanda fosse cosi lungo. M’ addormento in meno di tre secondi e quando sono bello beato nel mondo dei sogni mi sento chiamare a gran voce. Apro gli occhi e vedo la ragazza davanti a me, mentre l’ amica ed il giovane educato ( il grassone non appena ci siamo messi a dormire si è finalmente deciso ad andarsene… ) sono già in piedi. Preparo velocemente i miei bagagli ed in poco siamo a Samarcanda. Sono le undici passate e quando usciamo dalla stazione ci affidiamo al giovane uzbeko che come noi ha terminato la sua corsa in questa città. Parlotta con un tassista e poi, rivolgendosi a noi, ci affida alle sorti di quest’ uomo che porterà, noi anime sperdute, al B&B per una modica cifra. Dopo averlo salutato calorosamente partiamo a tutta birra per stradine di campagna ( la stazione dei treni di Samarcanda sorge distante dal centro città ) per poi inoltrarsi nei quartieri periferici di una Samarcanda illuminata a stento. Una ventina di minuti di strada e terminiamo la corsa davanti ad una piccola costruzione avvolta dal buio. Ad attenderci, sulla soglia, vi è un uomo sulla quarantina. Ecco, siamo arrivati al B&B finalmente!!!!
Il ‘padrone di casa’ ci fa strada nell’ edificio fin a giungere ad un cortiletto immerso nel verde. Che bel posto! Saliamo al piano primo dove vi è un lungo balcone che da sul cortile stesso e dove si aprono varie stanze. Faccio mia una camera doppia, ben arredata e soprattutto pulita. Dopo aver concluso la trattativa l’ uomo mi fa cenno di scendere nel cortile e di sedermi comodamente al tavolo. Preparerà per me e per le due giovani, che nel frattempo avanzavano qualche perplessità per la stanza a loro assegnata, un buon tè caldo. Più che sorseggiare un tè avrei bisogno di dormire, ma non posso rifiutare la cordialità, passerei giustamente per maleducato. Acconsento, e mi siedo comodamente appoggiando il sedere sui grandi cuscini ai bordi della tavola. Mi piace l’ atmosfera di questo posto, di questo piccolo cortile a me cosi familiare. Sorseggio l’ ottimo tè che mi viene nel frattempo offerto, avvolto nei miei pensieri—
-…sono a Samarcanda…lungo la via della seta….-.
Venti minuti a fantasticare mondi lontani…e invece no, non sono mondi lontani. Questo mondo è sotto ai miei piedi, sono a Samarcanda per davvero!
Stanchissimo, mi congedo e raggiungo la mia camera per un meritatissimo riposo. Sono stati due giorni lunghissimi, due voli aerei per oltre dieci ore nei cieli, e poi metropolitana, treno, taxi, pasti insufficenti, ore a camminare sotto il sole…. Ma ora finalmente sono nel mio lettino, comodissimo ( dopo aver dormito su mille panchine in questi due giorni, anche un letto di spilli sarebbe stato comodo… ). Quando ormai la mezzanotte è passata, m’ addormento felicemente.
La mattina seguente mi sveglio presto come da consuetudine, anche se rimando ad alzarmi dal mio caldo lettino. Sono ancora stanco nonostante una bella dormita, ed un’ oretta in più sotto le coperte non può che farmi bene. Verso le dieci discendo nel piccolo cortile che, se alla sera mi era sembrato un posto molto carino, ora illuminato a giorno mi piace ancor più. Le tavole son ancora imbandite dalle colazioni appena servite agli ospiti, anche se nessuno di loro è presente. Già tutti a spasso, tranne io! Ma sono sicuro che non tutti abbiano avuto due giornate di trasferimenti…
Domando alla signora in cucina ( una stanza posta a fianco del cortile ) se è possibile aver un tè caldo come colazione. Mi fa cenno con il capo di sedermi comodo sui grandi cuscini e che penserà a tutto lei. Pochi istanti e mi vedo servire da una bambinetta un ottimo tè che sorseggio piacevolmente. Brevi istanti di pausa e finalmente posso uscire alla scoperta della città! Cavolo…che emozione…fra poco avrò davanti ai miei occhi il Registan, quel famoso Registan che fino a qualche anno prima animava i miei sogni…Samarcanda…la via della seta..stento ancora ora a crederci. Esco dal B&B ed osservo il mondo che mi circonda: alla mia sinistra viette strette e sabbiose dove s’ affacciano piccole e modeste casette, alla mia destra un bellissimo giardino verde al fondo della quale – si è proprio lui – vi è il Registan. M’ avvio nel verde del parco, curatissimo, e dove al centro di esso vi si trova una bellissima fontana. Non riesco a capire su quale lato del Registan io sia; in un primo momento vado in confusione avviandomi lungo la strada pedonale ma pochi istanti comprendo l’ entrata essere dalla parte opposta. Brevi istanti di cammino e…ecco davanti a me questo unico e fantastico spettacolo: il Registan, davanti a me, davanti ai miei occhi entusiasti. Non posso, e soprattutto non voglio, lasciarmi rapire da questa splendida visione: devo riprendere il passo, velocemente. La priorità della mattinata è raggiungere l’ Arab Bank, ovvero l’ unica banca che è in grado di cambiare valuta presentando la mia carta di credito Visa. Bancomat in giro non se ne vedono e l’ unica per ottenere denaro liquido rimane questa. La banca è ubicata nella città nuova, parecchio distante dal cuore di Samarcanda. Ma non importa, oggi è per me una giornata splendida ed una bella passeggiata non è certo un problema: vedere, scoprire e ammirare sono le tre parole del mio dizionario da turista.
SamarcandaM’ incammino lungo Registan kochasi, una stradina piuttosto animata dove si aprono diversi negozietti. Al fondo della via un grande parco circonda il bellissimo mausoleo di Gur Emir. Cerco nuovamente di non farmi rapire la mente e continuo a passeggiare. Svolto, poco più avanti, nella più tranquilla Vustonsaroy kochasi. La banca non è molto distante da dove mi trovo ora ma impiego non poco a scovarla, nascosta com’ è dai molti edifici. Osservo l’ orologio e m’ accorgo che il tempo stringe, è mezzogiorno passato e la paura di arrivare quando la banca è ormai chiusa è tanta. L’ Arab bank sorge in un quartiere relativamente tranquillo, circondato da edifici fatiscenti tra cui, poco distante, un grandissimo albergo in stato di abbandono. Tipico esempio di costruzione sovietica: una colata di cemento, mille finestre, nessun balcone. In queste prime ore a Samarcanda ho notato la grande tranquillità che regna in questo angolo di mondo; poche automobili ( di epoca preistorica ) e moltissime aree verdi. Un caldo afoso rende difficile la passeggiata ed è per me un sollievo far ingresso nella banca, al fresco dei condizionatori. Dopo aver oltrepassato indenne la prova del metal detector ( a mio avviso non funzionava da anni… ) vengo indirizzato dalle guardie in una piccola stanzetta dove due impiegati, con tutta la calma di questo mondo, svolgono il loro lavoro…già, ma quale lavoro? Mah…Dopo avermi fatto sedere ascoltano attentamente le mie parole: ho bisogno di Sum uzbeki e per farlo mostro la mia carta di credito. Il più giovane tra i due sembra inizialmente non capire le mie intenzioni. E’ stupito, mi guarda come se chiedessi lui un milione di euro in banconote da un Sum.
Si rivolge al collega e dopo aver chiesto informazioni, sentenzia che l’ operazione può andare in porto. Ma l’ unico problema, se cosi si può chiamare, è che possono solamente darmi valuta in Dollari americani. Ed io cosa me ne faccio dei Dollari in Uzbekistan? Certo, posso cambiarli al mercato nero…però preferirei avere Sum anzichè valuta americana. Ma a dire dell’ impiegato, è un’ operazione non possibile. Cosa fare, se non accettare? Tanto poi, penso tra me e me, in questa banca vi sarà uno sportello cambiavalute, no? Prelevo quindi duecento dollari, non prima però di aver apposto un centinaio di firme su altrettanti fogli. Per un operazione semplicissima, impiego all’ incirca una ventina di minuti prima di avere tra le mie mani gli agognati ‘verdoni’. Raggiungo lo sportello cambiavalute, uno stanzino piccolo ed angusto dove dietro ad un vetrata vi sono due impiegate, apparentemente annoiate. La signora a cui mi rivolgo pare dormire…e solo dopo diverso tempo passato ad aspettare si degna a darmi ascolto. Nell’ attesa che la donna si svegli, il mio occhio cade su alcune persone in coda allo sportello a fianco. Moglie e marito, sulla cinquantina, con due sacchi di juta in mano. Vogliono ritirare patate? Sicuramente hanno fatto confusione: questa è una banca, non un mercato di frutta e verdura! Ma poi, osservando con maggiore attenzione, scorgo l’ impiegata consegnare loro una mazzetta di soldi…e poi un’ altra…e un’ altra ancora. Ogni mazzetta è spessa non meno di centimetri, centinaia e centinaia di banconote ogni mazzetta. La donna, con movimenti molto lenti, dopo averli presi tra le sue mani li ripone ordinatamente nel sacco di patate. Una decina di minuti, mazzetta dopo mazzetta, fino a rimpire il primo sacco. E poi, come se non bastasse, riempono il secondo! Sono certo, questi vispi anzianotti stanno rapinando la banca ca**o, altro che comprare patate!!! Sono allarmato, nessuno muove un dito, la donna al mio sportello continua a dormire, pare tutto nella normalità! Normalità un paio di palle! Una persona che riempe due sacchi di patate con migliaia e migliaia di banconote non può che essere un ladro accidenti! Tutto si svolge molto lentamente, nessuno pare dare conto a questi due individui che stanno svaligiando la banca! Ma poi ecco…vedo la donna chiudere i due sacchi e mentre se ne stanno per andare…l’ impiegata…ma che fa…li saluta addirittura! Sto sognando…non ci credo. Due anziani rapinano la banca, e l’ impiegata ringrazia e saluta! Non è possibile, ma in quale posto strano sono capitato?
Nel mentre, stravolto da questa visione, la donna al mio sportello sembra svegliarsi e con aria stanca e menefreghista, ascolta le mie parole.
Senza accennare nulla e dopo avermi fatto firmare altri fogli, la signora mi consegna questi Sum cosi tanto desiderati. Osservo per bene la ricevuta, ma non mi è chiara una cosa: sono contabilizzati circa 4 dollari in meno rispetto a quelli che io ho versato, perchè? I conti non tornano, ma alla mia richiesta d’ informazioni la donna, assai infastidita, mi spiega che i 4 dollari sono la commissione bancaria. Già, ca**o, la ‘famosa’ commissione. In un paese dove lo stipendio medio è di neanche 40 dollari al mese, la commissione bancaria è di quattro dollari! Lascio perdere, che m’ abbia fregato o meno non importa, sarebbe un’ inutile perdita di tempo protestare.
Esco dalla banca molto soddisfatto, con me ho un bel gruzzolo di banconote che mi permetteranno di sopravvivere in questi giorni uzbeki. Centinaia di bigliettoni…si, centinaia…ma allora…ma allora quei due signori non stavano rapinando la banca. Se con meno di 200 Dollari Americani ho con me ora una mazzetta con centinaia di banconote, allora i due anzianotti stavano solo ritirando i loro risparmi…ma è difficile crederci, non è possibile. Le persone arrivano in banca con un sacco di patate e ritirano la grana…eppure è davvero cosi: i Sum sono una delle valute meno forti a questo mondo, il taglio più grande è da 1000, ovvero…50 centesimi di euro! Da non credere…
Mi guardo attorno con aria sospetta, spero nessuno mi veda ritirare tutte queste banconote…l’ avere con me centinaia e centinaia di bigliettoni mi porta a pensare d’ essere ricco e di attirare sguardi indiscreti…e poi vi sono invece persone che riempono sacchi di patate stracolmi di banconote ed escono tranquilli dalla banca come se nulla fosse…quanto è strano il mondo strano!
Lungo la strada del ritorno, nelle vicinanze del Registan, scorgo un piccolo ristorantino, semplice e pulito. Siccome non ho ancora pranzato e la fame è molta, decido di far tappa per metter a silenzio il mio appetito. Mangio assai bene pagando relativamente poco. Una volta messa a tacere la fame torno in camera a ‘nascondere’ una parte del gruzzolo di banconote ( mania italiana: pensare sempre di essere derubati ). E siccome non ho con me una cartina della città, ne approfitto per munirmi di mappa e Lonely Planet: muovermi per Samarcanda senza alcun punto di riferimento è un idea che poco m’ aggrada. Ma una volta in camera la tentazione di una pennichella è molta… il caldo della giornata e la lunga passeggiata mi hanno tagliato le gambe. Un’ oretta di riposo e sono pronto a ripartire, sono pronto a scoprire Samarcanda! Varcata la soglia d’ ingresso del B&B noto uno schieramento di forze dell’ ordine decisamente esagerato per essere una giornata qualsiasi. Qualcosa deve essere successo o qualcosa, sicuramente, succederà. Il grande parco verde poco distante è sorvegliato a vista da militari in tenuta di guerra, e anche solo attraversare la strada risulta impossibile. Ma per quale motivo? Semplice: si svolgerà in serata, all’ interno del Registan, il famoso Festival di Samarcanda ( ecco il perchè delle tribune ) e siccome in via eccezzionale sarà presente anche Islom Karimov, presidente dell’ Uzbekistan, tutta la zona attorno al Registan viene setacciata e controllata minuziosamente onde evitare attentati. Attentati? Si, proprio cosi, attentati: quest’ uomo non è molto amato dal suo popolo ( vedi strage di Andijan…). La città è sotto assedio. Il centro cittadino è inespugnabile, muoversi è molto difficile, anche solo per andare al ristorante. Cerco di organizzarmi al meglio: voglio evitare di perdere un pomeriggio intero a causa di questo festival che, ironia della sorte, si svolge per una settimana ogni due anni…bang!, c’ entrato in pieno! Passeggio lungo la bella strada pedonale, Tashkent kochasi, che si snoda dal grande parco verde in direzione sud. Una strada silenziosa, dove risuonano solamente le urla dei bambini che giocano e scorrazzano con le loro biciclette. Lungo la via si aprono diversi negozietti, la maggior parte dei quali di souvenirs.
Il viale alberato dona ombra alla mia pelle ormai accaldata: l’ afa è a tratti insopportabile, la temperatura sfiora i 40 gradi. Al fondo della strada si apre alla mia vista la bellissima e maestosa moschea di Bibi Khanoum, ultimata poco prima della morte di Tamerlano. E’ il gioiello del suo impero e all’ epoca era una delle moschee più grandi al mondo islamico, basta pensare che la cupola della moschea principale è alta 41 metri e il pishtak 38. La Moschea di Bibi Khanum è tutta blu e turchese ed è la più grande Moschea dell’Asia Centrale. Per la sua costruzione si sfruttarono al massimo le tecniche costruttive dell’ epoca, ma poi nel corso degli anni iniziò a sgretolarsi pian piano fino quasi a crollare del tutto a causa del terremoto del 1897. L’ ingresso è a pagamento, ma pochi euro bastano per poter ammirare lo splendore degli interni. Quale pace in questo luogo, il silenzio è sovrano incontrastato. Mi muovo a passi brevi nel verde del piccolo cortile e dopo essermi seduto all’ ombra delle grandi piante, sfoglio la mia guida per avere maggiori informazioni al riguardo. Secondo la leggenda Tamerlano voleva fare di Samarcanda la città più bella del mondo e, prima di partire per una nuova spedizione militare, ordinò che durante la sua assenza venisse costruito un grande complesso religioso con due moschee, una scuola coranica e un ostello per i pellegrini. Il tutto doveva essere fatto in onore della sua moglie preferita, una delle nove che aveva, una principessa mongola, appunto Bibi-Khanum. L’architetto incaricato della costruzione era un persiano della città di Mashad, come lo erano allora la maggior parte dei maestri e degli artigiani che lavoravano a Samarcanda. L’architetto si innamorò perdutamente di Bibi-Khanum e minacciò di non finire in tempo la costruzione se lei non gli avesse almeno permesso di darle un bacio su una guancia. Bibi-Khanum era assolutamente contraria a questa intimità e per toglierselo dai piedi offrì all’architetto spasimante le donne più belle della città. Ma quello insisteva. “Forse che un bicchiere di vino è come uno d’acqua?” le mandava a dire. Preoccupata che Tamerlano tornasse e che la costruzione a cui tanto teneva non fosse finita a causa dei ricatti dell’architetto, Bibi-Khanum finì per cedere alle sue voglie. e si lasciò baciare. Terribile errore! Quel bacio fu così focoso che sulla guancia di Bibi-Khanum rimase come una grande bruciatura. Così conciata non poteva certo presentarsi a Tamerlano! Bibi-Khanum ebbe allora un’idea brillante: si coprì la faccia con un velo e ordinò a tutte le donne della città di fare lo stesso.
Tornato a Samarcanda, Tamerlano non volle storie, tolse il velo alla moglie, vide quello scempio, si fece raccontare la verità e andò su tutte le furie. Ordinò che una parte della moschea, appena finita, fosse trasformata in una tomba e vi fece seppellire viva la moglie infedele. Poi mandò i suoi uomini a tagliare la testa al fedifrago. L’architetto però era andato a nascondersi in cima al minareto che aveva appena finito di costruire e, proprio mentre i soldati lo stavano per acchiappare, mise le ali e volò via, per tornare a casa sua nella città di Mashad. A Tamerlano non rimase che imporre a tutte le donne del suo regno di portare per sempre un velo sulla faccia. Da qui, secondo la leggenda, l’origine del chador».
In mezzo al cortile, proprio accanto a me, fu messo un enorme leggio in marmo grigio della Mongolia, sul quale per secoli fu appoggiato il piu’ grande (300 chili), il più antico ( ottavo secolo! ) e il piu’ prezioso ( e’ rivestito di oro e argento ) Corano del mondo, portato a Samarkanda da Osman Hazrat, un cugino di Maometto, predato dagli zaristi e restituito solo 10 anni fa al Museo di capitale di Uzbekistan, Tashkent. Il leggio, lavha Quroni, rimasto privo della sua funzione, e’ diventato per la gente un oggetto di poteri sovrannaturali. Si crede che le ragazze troveranno marito se gli girano attorno, e le donne sterili avranno un figlio se passano tra le gambe di pietra che lo sostengono.
Sono affascinato da queste fantasiose leggende, in modo particolare da quella secondo cui ha origine il chador. Passeggio lentamente all’ interno delle mura della Moschea per osservare meglio ogni angolo nascosto, ogni particolare. Nel cortile si trovano altre due moschee più piccole: quella alla sinistra dell’ entrata principale ha ancora gli imponenti interni originali decorati con caratteri arabi. La cupola della moschea assomiglia in tutto e per tutto a quella vista qualche giorno addietro a San Pietroburgo: stessa forma, stessi colori, stesse decorazioni. Non oso immaginare quanto potesse essere bella e maestosa la Moschea un tempo, e seppur oggi è stata ricostruita ( in parte ) il tempo pare essersi fermato ai secoli passati.
Rimango a vagare, con occhi curiosi per ogni piccolo dettaglio, un’ oretta circa prima di tornare nuovamente lungo Tashkent kochasi. In fronte alla moschea Bibi-Khanoum, dalla parte opposta della strada, sorge il compatto mausoleo della stessa moschea, risalente al XIV secolo e splendidamente restaurato nel 2007. Al momento la visita pare non possibile, il piccolo cancello che ne delimita l’ entrata è chiuso a chiave. Ma quando m’ avvicino alle inferriate per osservare le aggraziate forme del mausoleo, sopraggiunge in tutta fretta un uomo che mi domanda qualcosa. In un primo momento faccio cenno lui di no, che non ho bisogno di nulla, anche se non ho compreso le sue parole. Ma insistendo e con molta pazienza, tenta di spiegarmi che se sono interessato alla visita lui può aprirmi le porte del piccolo cancello. E’ alquanto improbabile che il mausoleo possa aprire i battenti solamente per il sottoscritto, ma in fondo tentare non nuove e a Samarcanda tutto è possibile. Contratto il prezzo della visita e giunti ad un accordo l’ informo che salderò il conto solamente a visita conclusa. Intuisce il mio diffidare ma tutto felice, frugando nelle sue enormi tasche, mi mostra un grande mazzo di chiavi e in pochi secondi m’ apre il cancello. Grande! Passeggio nel piccolo cortiletto mentre l’ uomo in tutta fretta m’ apre le porte del mausoleo. L’ interno è assai particolare, il piano inferiore è stato scavato nella nuda terra dove trovano riposo alcune tombe dell’ epoca. L’ uomo tenta di spiegarmi che se voglio, posso, tramite una scala seminascosta alla mia destra, scendere al piano interrato ad osservare da vicino le teche funerarie. Il pavimento è coperto da grandi tappeti finemente lavorati mentre le tombe, disposte nelle quattro nicchie laterali, sono avvolte da stupende tele riccamente decorate. Risalgo la stretta e angusta scala in pietra senza porre giusta attenzione e quando meno me l’ aspetto, sbatto il cranio contro il basso muro…che dolore santa miseria! Tutto dolorante saluto l’ uomo e dopo saldato il conto, lentamente m’ avvio verso l’ isola pedonale. Continuo a passeggiare beato e tranquillo, lasciandomi guidare dal caso e dal momento prima ancora che dalla cartina. La mia vista viene attratta dalla bella moschea Khazret Khyzr, che sorge oltre Rudakiy kochasi. Ma quando si tratta d’ attraversare la strada mi viene impedito il cammino. Militari e polizia locale. Anche in questo caso il passaggio mi è impedito. Provo ad attraversare la strada poco più avanti per continuare sul lato opposto ma nulla da fare, anche in questo caso mi viene impedito di proseguire. Cosa fare? La città è blindata e raggiungere i siti di maggior interesse storico non è possibile. Torno al B&B dove mi distendo comodamente sui grandi cuscini del giardino e con grande calma inizio a scrivere il mio piccolo ed inseparabile diario di viaggio, accompagnando la scrittura con una ( buona )birra locale.
Trascorro istanti di cosi incredibile tranquillità e bellezza, anche se nulla di particolare sta accadendo: semplicemente mi godo la vita. I miei pensieri si soffermano alla fortuna di questi istanti: sono a Samarcanda, una città leggendaria. Son immerso nella pace del posto, vorrei vivere in eterno questi istanti cosi piacevoli. Questo piccolo giardino illumina il mio essere, mi offre un mondo al riparo dalla vita che scorre, spesso troppo velocemente, un luogo dove il tempo sembra essersi fermato e dove ogni cosa, anche quella più importante, perde il suo significato, diventa insignificante. Ma il tempo, quello vero, quello dell’ orologio, anzichè rallentare come mio desiderio, corre invece inesorabile, sempre più velocemente.
Giunge ora di cena quando ancora il sole risplende alto nel cielo. Siccome la città è blindatissima ( ora addirittura anche la via pedonale è chiusa ) non mi resta che cenare all’ interno del B&B insieme a tutti gli ospiti che ivi alloggiano. Sediamo nella lunga tavola in giardino, al riparo dal caldo sole. Viene servita verdura, anguria, riso con carote e pietanze locali. Una buona cena, anche se particolare, ma comunque ottima. Ci sono diversi ragazzi e ragazze del sud est asiatico ( che tipi strani…dio mio! ) molti francesi, tedeschi e poi io, l’ unico italiano. Quando ancora stiamo cenando, il giovane ragazzo che gestisce il B&B s’ avvicina al televisore preistorico posto a fondo tavolo, e con non pochi problemi prova in tutti i modi di ‘metterlo in moto’ ( altro che tv al plasma… ). Dopo diversi tentativi, ecco scorrere le immagini del famoso festival che si sta svolgendo a poche decine di metri da qui, nella cornice del Registan. Dal 1997 infatti, la “Perla dell’Est”, ospita ogni due anni lo Sharq Taronalari (in uzbeko, “melodie d’Oriente”), un importante festival della musica patrocinato dall’UNESCO. L’edizione di quest’anno, l’ottava dalla nascita della manifestazione, è infatti in programma nei giorni in cui io sono in città. Si prevede la partecipazione di artisti provenienti da tutto il mondo (nel 2009 erano 50 i Paesi rappresentati), anche dall’Italia. Grande!
Improvvisamente, come colpito da un fulmine, mi scappa un urlo, m’ agito, attirando lo sguardo dei presenti. Ma che succede? Sono a dir poco incredulo..le mie labbra scandiscono più volte ‘ non ci credo, non è possibile’…
Sono un po tutti incuriositi dal mio comportamente, da quell’ agitazione improvvisa…già, ma perchè? Semplice: mentre mangio tranquillamente con lo sguardo rivolto alle immagini che scorrono in televisione…inquadrano…inquadrano…Al Bano! Quando tento di spiegare ai ragazzi il perchè del mio essere stupito, un ragazzo che mi è seduto accanto esclama: ‘yes Albaaanoooo!’. Ma allora è internazionale sto sfigatello! Ma pensa te! E’ seduto in prima fila, niente poco di meno che accanto al presidente dell’ Uzbekistan! Si, il presidente dell’ Uzbikistan in persona! Ma come è possibile che lo conoscano a queste latitudini? Mi è ignaro il motivo, davvero non riesco a crederci! Eppure è lui…eccome se è lui, con quel suo foulard al collo!
Terminata la cena restiamo ancora seduti al tavolo ad osservare le immagini del Festival, ma improvvisamente avvertiamo un boato assordante. Bomba? Attentato terroristico? Porcaccia la miseria, ecco il perchè di tanta polizia, speriamo solo ArBano sia salvo! Io ed i ragazzi dagli occhi a mandorla ci precipitiamo fuori dal B&B per capire meglio cosa stia accadendo ma, una volta per la strada e nel buio più totale, assistiamo invece ai fuochi d’ artificio…
Molte sono le persone come noi che assistono allo spettacolo pirotecnico…da queste parti non credo vedano spesso i fuochi artificiali. Vi sono molti bambini felici da questa visione, anche se mi è difficile scorgere le persone accanto a me in questo buio più totale. I militari, che vietano l’ accesso alla zona ( una barriera fatta di bus e mezzi militari impedisce il completo accesso anche di chi potrebbe avere idee dinamitarde ) osservano anch’ essi con il sorriso stampato sul volto i colori brillanti squarciare il buio della notte. Rimango molti minuti ad osservare il cielo illuminarsi di mille colori…ma poi, vista l’ aria frescolina della sera, rientro nel B&B. ( salvo uscire poi nuovamente per brevi istanti ).
Vinto dalla stanchezza, torno in camera dove poco dopo m’ addormento in un piacevole sonno. Samarcanda
Il giorno seguente, sabato 27 agosto, la sveglia suona nuovamente presto ma come spesso accade in questi ultimi giorni di vacanza, rimando ad alzarmi. Intorno alle nove scendo nel cortiletto dove la donna in cucina mi prepara colazione. Riso ( pure alla mattina? ) tè e affettati vari. Oggi è giorno di visita, trascorrerò l’ intera giornata a gironzolare per le strade dell’ antica città uzbeka. Quando esco per le vie di Samarcanda, la città sembra dormire ancora. Il ritmo della vita è molto lento, assai rilassato. La fretta, lo stress, il caos, in questo angolo di mondo sono un qualcosa di sconosciuto, se non quando si è alla guida. M’ incammino lungo Registan kochasi e proseguo la passeggiata fino al Mausoleo di Gur e Amir. Il tempo non è dei migliori, grige nubi s’ addensano sulla città. Nel grande giardino verde s’ apre la vista al mausoleo di Rukhobod, risalente al 1380 e molto probabilmente il più antico della città ancora in piedi. Al momento pare chiuso, ma da come apprendo dalla mia guida, oggi ospita un negozio di souvenir…
Giunto all’ entrata al Mausoleo di Gur e Amir mi dirigo alla biglietteria poco distante. Una donna, dai modi spicci, mi comunica che il biglietto mi viene a costare quasi 4 euro. Accipicchia, direi piuttosto esoso ( per essere in Uzbekistan…)! A suo dire, il biglietto è cumulativo e permette la visita anche al museo Afrosiab. Sarà ( anzi, non sarà ), portiamo fiducia alle parole della donna. Oltrepassato il bellissimo portale d’ ingresso, ornato da piastrelle azzuro turchese decorate da mille motivi, mi trovo ora nel cortile antistante il mausoleo stesso. La mia vista viene ammaliata dalla bellissima cupola azzurra scanalata, tipica della maggior parte degli edifici del tempo.
Timur si era fatto costruire una semplice cripta a Shakhrisabz e sembra che questo mausoleo, eretto nel 1404, fosse destinato a suo nipote che avrebbe dovuto essere il suo ultimo erede. Tuttavia, secondo la leggenda, quando nell’ inverno del 1405 il sovrano mori improvvisamente di polmonite in Kazakistan (mentre pianifica una spedizione contro i cinesi ) i passi per raggiungere Shakhrisabz erano bloccati dalla neve e quindi Tamerlano fu sepolto a Samarcanda. M’ aggiro lentamente nel piccolo cortile per poi far ingresso nel Mausoleo dove sono custodite le spoglie di Tamerlano. Come in altri mausolei le lapidi hanno una funzione puramente indicativa: le cripte vere e proprio si trovano in una stanza sottostante. Quella al centro è di Tamerlano, formata un tempo da un unico blocco di giada verde scuro. Nel 1740 un signore della guerra, lo scià Nadir, la portò in Persia, dove accidentalmente si ruppe in due: da quel momento pare che Nadir abbia avuto una serie di sventure. Su suggerimento dei suoi consiglieri religiosi, egli rimandò la lapide a Samarcanda e le cose si misero meglio per quest’ uomo. A fianco della lapide di Tamerlano vi è quella più semplice di Ulugbek, mentre a destra vi è quella di Mersaid Baraka, uno dei maestri di Tamerlano, e di fronte riposa Mohammed Sultan. Le lapidi dietro invece sono dei suoi figli Shah Rukh ( padre di Ulugbek ) e Miriam Shah. Dietro giace Sheikh Umar, il più venerabile tra i maestri di Tamerlano, che si diceva fosse un discendente del profeta Maometto. Fu proprio intorno alla tomba di Umar che Tamerlano fece costruire il Mausoleo di Gur e Amir. Poche sono le persone che, in silenzio, ammirano le spoglie di questo grande personaggio storico. Rimango diverso tempo ad osservare la lapide di Tamerlano, affascinato da queste fantasiose leggende.
Non leggenda ma pura realtà è invece quando l’ antropologo sovietico M.Gerasimov aprì le cripte nel 1941 e, tra le altre cose, confermò che Tamerlano era alto ( 1.70 m ) e menomato alla gamba e al braccio destro ( per ferite riportatee quando aveva 25 anni ) e che Ulughbek morì decapitato. Secondo l’ anedotto preferito da tutte le guide, Gerasimov trovò sulla tomba di Tamerlano un’ iscrizione che più o meno recitava cosi: ‘chiunque aprirà questa tomba sarà sconfitto da un nemico più terribile di me’. Il giorno dopo la scoperta, il 22 giugno, Hitler dichiarò guerra all’ Unione Sovietica.
Storie, leggende. Fantasia.
E’ proprio ciò che m’ affascina.
Tornato alla luce del sole, riprendo la passeggiata, questa volta inoltrandomi nella Samarcanda ‘sovietica’. Cammino piacevolmente lungo il viale alberato di University Boulevard. La giornata pare non volersi riprendere affatto e cupe nubi s’ addensano sulla città. Passeggio avvolto dalla tranquillità dei Boulevard, un viale lungo circa un chilometro dove hanno sede molte scuole ( anche università ) e qualche negozietto di poco conto. Nulla di particolarmente interessante s’ apre alla mia vista, ma non per questo la passeggiata risulta priva di interesse. Giungo fin alla rotonda che delimita la fine del Boulevard per poi tornare indietro, questa volta dalla parte opposta della strada. Ad un certo la mia passeggiata viene interrotta dalla vista della chiesa ortodossa di Sant’ Alessio, che sorge poco distante in una vietta laterale, Abdurakhmon Jomly st. Non posso certo rinunciare alla visita. L’ interno è molto ben curato, un soffitto finemente decorato e sulla parete nord la grande iconostasi. Diverse donne, con foulard coloratissimi sui loro capelli, sono indaffarate nelle pulizie. Mi sembra di disturbar il loro operato cosicchè dopo una breve visita torno all’ aria aperta di questa giornata, che mi riserva però una sorpresa. Con grande stupore m’ accorgo che…che sta piovendo! Sono senza parole, mi sarei aspettato di tutto tranne che la pioggia a queste latitudini ( e ad agosto ). O è un evento eccezzionale o sono io che porto sfiga, non vi sono altre spiegazioni. Sulla soglia, accanto a me, un giovane prelato discorre con un signore di mezza età. I suoi occhi sono spesso rivolti verso la mia persona, forse incuriosito di scorgere un ‘occidentale’ nella sua piccola chiesetta. La maggior parte dei viaggi organizzati, infatti, reca visita alla città vecchia di Samarcanda disdegnando la parte sovietica, ovvero quella costruita quando ancora il paese faceva parte della grande Urss. Seppure la città nuova non disponga di siti di particolare interesse, una visita la merita comunque, vuoi per le numerose aree verdi, vuoi altresì per scorgere quelle differenze culturali e architettoniche che separano una città millenaria da quella decisamente più giovane, due mondi cosi vicini ma assai diversi.
Come basito da questa visione, -la pioggia- rimango per diversi minuti con lo sguardo rivolto al cielo, ad osservare lo spettacolo dell’ acqua che scende sulla città. E poi, come d’ incanto, le mie preghiere vengono esaudite ed il bel tempo ( si fa per dire ) ritorna. I mille fiori colorati del giardino rallegrano questa cupa giornata. Riprendo il cammino fino a giungere al poco distante parco Navoi, una grande area verde all’ interno del tessuto urbano costruito dai russi. Un’ area decisamente piacevole, animata da bambinetti che grazie alle loro urla risvegliano il mondo a distanza di migliaia di chilometri. Tanto verde, tanti fiori dai mille colori, giochi d’ acqua: questo è il parco Navoi. La statua di Ulugbek, che sorge a centro del parco, osserva tutti noi, dall’ alto del suo piedistallo. Mi riposo diversi istanti, sedendomi su una delle numerose panchine. Osservo il mondo che gravita intorno a me, questa vita tranquilla dove, come già detto, caos, traffico e strees sono probabilmente parole sconosciute ( beati loro ).
Riprendo la passeggiata e lungo la via assisto ad una scena barbara degna di un mondo troglodita. Un uomo arrabbiato trascina per il collo un povero cagnolino, mentre un altro segugio suo amico osserva da vicino questa triste scena. Se non fosse che questo animale ( l’ uomo ) sparisce nel suo giardino, avrebbe senz’ altro avuto modo di sentire le mie urla di disapprovazione. Se vi è una cosa che mi fa veramente schifo, è vedere uomini prendersela con poveri ed inermi creature. Non avrebbe sicuramente compreso le mie parole, ma le mie urla sarebbero state cosi terribili che senz’ altro avrebbe intuito il senso delle frasi. Lurido schifoso. Invece sparisce nel suo cortile, al riparo da occhi indiscreti, e chissà quale fine avrà fatto la bestiola. L’ amico segugio, che seguiva da vicino la bestia ( l’ uomo ) trascinare il suo compare fin dentro il giardino, si trova ora solo. Rimane immobile, come nella speranza che da un momento all’ altro la povera bestiola possa scappare e tornare da lui. Invece nulla. Riprendo il cammino intriso di rabbia, dallo sconforto di non aver potuto far nulla.
Ritorno lungo i Boulevard fin a giungere ai piedi della grande statua di Amir Timur, meglio noto come Tamerlano.
Il cielo sembra lentamente aprirsi lasciando intravedere un tiepido sole. E quasi mezzogiorno ormai e opto per un pasto veloce ( al solito ristorantino ) prima di entrare nel magico mondo del Registan.
Il Registan è un complesso emblematico di maestose e imponenti medressa con una profusione quasi esagerata di maioliche, mosaici azzurri e vasti spazi armoniosi, risultando uno dei luoghi più straordinari di tutta l’ Asia centrale. Registan è una parola che in tagiko significa ‘sabbioso’, ed era il centro commerciale della Samarcanda medievale, e la piazza probabilmente era interamente occupata dai bazar. I tre maestosi edifici che si trovano davanti a me sono le medressa più antiche sopravvissute fino ai giorni nostri, dal momento che quelle risalenti a epoche precedenti furono tutte distrutte da Gengis Khan. Hanno subito gravi danni nel corso dei secoli a causa dei terremoti cui la regione è soggetta, ma il fatto che siano ancora in piedi è la prova della straordinaria abilità di coloro che le hanno edificate. Va dato atto ai sovietici di aver lavorato febbrilmente per proteggere e resaturare questi grandi tesori, anche se in alcuni casi si sono presi delle libertà piuttosto discutibili, come la bizzarra aggiunta di una cupola azzurra esterna alla Medressa Tilla-Kari.
…quel sogno che si realizza…
RegistanOggi, sabato 27 agosto intorno alle ore tredici, si materializza quel sogno che nutrivo da moltissimi anni. Quel sogno che animava i miei pensieri e le mie fantasie, quel sogno chiamato Registan. Varco la soglia d’ ingresso, emozionatissimo, inoltrandomi in questo meraviglioso mondo. Cammino lentissimamente, le tre bellissime madrassa sono davanti a me, in fronte ai miei occhi. Ci sono moltissimi turisti, di ogni luogo, di ogni dove, di ogni religione. Vago nella grande piazza con il volto costantemente rivolto alle bellissime maioliche azzurre turchese che ornano le madrasse. Qual mondo fantastico e meraviglioso. Entro nella medressa Tilla-Kari ( rivestita d’ oro ) completata nel 1660 e dotata di un bellissimo cortile con giardino. E’ un luogo cosi armonioso e stupendo che rimarrei ore ad ammirare silenziosamente…
Il fiore all’ occhiello è la moschea, caratterizzata da elaborate decorazioni in oro che dimostrano ampiamente la ricchezza di Samarcanda all’ epoca in cui fu costruita. Se oggi, a distanza di secoli, la città è bellissima, come sarà stata quando era al massimo del suo splendore? Non oso immaginare, non riesco neanche minimamente ad immaginare la maginficenza di questa città all’ epoca. Il raffinato soffitto con lamine d’ oro è piatto, ma il suo disegno affusolato da l’ impressione, dall’ interno, che sia sormontato da una cupola. L’ interno della moschea, composto da numerose sale, ospita una magnifica galleria fotografica in bianco e nero di come era Samarcanda nel recente passato. Splendidi scatti che ritraggono la città quando ancora i russi dovevano giungere, quando ancora le Medressa versano in condizioni di abbandono e fungevano da ristoro per molti pellegrini. Fotografie, reperti dell’ epoca e piccoli oggetti d’ artigianato locale al riparo da questi soffitti d’ oro e magnificenza. Le spesse mura della Madrassa donano freschezza alla mia pelle accaldata, siccome un sole caldissimo risplende ora alto nel cielo. Ritorno nel cortile principale del Registan, passeggiando tranquillamente senza meta alcuna. Improvvisamente, con modi di fare sospetti, mi s’ avvicina un uomo e mi domanda se ho con me il ticket d’ ingresso. Sono sorpreso: all’ entrata del Registan non ho intravisto nessuna biglietteria, quindi quest’ uomo cosa vuole da me? Rispondo negativamente e lui, con il suo lungo braccio che pare un asta del giavellotto, m’ indica uno sportello posto in una costruzione non facilmente visibile a chi s’ appresta ad entrare nel mondo del Registan. M’ avvio alla biglietteria, domandandomi mille volte perchè ha scelto proprio me in mezzo a mille turisti. Sia chiaro: non è mia intenzione non fare il biglietto, anzi. Solo mi vien da sorridere a pensare che è da più di mezz’ ora che vago per il complesso e solo ora mi domandano se ho con me il ticket.
Pago ed ora, fatto il biglietto, posso considerarmi un visitatore ‘legalizzato’. Torno velocemente al mondo Registan andando a visitare la Medressa più antica, sul lato occidentale, terminata nel 1420 durante il regno di Ulugbek e che porta il suo stesso nome. Si dice che egli stesso vi abbia insegnato matematica ( le altre materie d’ insegnamento erano teologia, astronomia e filosofia ). Sotto le piccole cupole poste agli angoli vi erano le aule universitarie e sul retro una grande moschea dai bei interni fiancheggiata da un’ aula dall’ aspetto austero. La passione di Ulugbek per l’ astronomia si riflette nella decorazione della cupola interna dell’edificio di un colore azzurro cielo tempestato di stelle. La struttura, minareti compresi, è rivestita in pannelli in mosaico e maiolica raffiguranti motivi geometrici e calligrafici in caratteri kufici. All’interno si trovano le celle degli studenti che si aprono su due cortili e la vasta “Darskhna”, l’aula in cui venivano impartite le lezioni. Le celle sono ora occupate da piccoli negozietti di souvenir anche se la maggior parte sono chiuse alla visita. Tanto è stato fatto per il Registan ma tanto ancora si deve fare al fine di preservare questo splendido angolo di mondo iscritto nel patrimonio dell’ Unesco. La Medrassa di Ulughbek è di pari bellezza a quella di Tilla-Kari, da cui il successore, l’ emiro shaybanide Yalangtush, prese esempio nella costruzione. L’ ultima Medressa, quella di Sher Dor ( leone ) è posta di fronte a quella di Ulugbek e venne terminata nel 1636. E’ decorata con felini ruggenti che sono considerati leoni, anche se sembrano più delle tigri, a dispetto della tradizione islamica di raffigurare animali viventi. Ci vollero 17 anni prima che i lavori terminarono, ma la sua bellezza non resse bene come quella di Ulugbek, costruita in soli tre anni. L’ interno è meno maestoso rispetto alle sue due sorelle ma non per questo meno interessante. Torno nella piazza centrale dove sorgono le tre Medressa e d’ improvviso un tizio vestito elegantemente arresta la mia passeggiata. Ma sempre io, sempre io vengo avvicinato da persone che hanno chissà quali intenzioni furbesche? ‘Italia’, rispondo alla sua domanda di dove io sia. Al sentir la parola ‘Italia’ gli s’ illuminano gli occhi e nel suo piccolo vocabolario di lingua italica mi borbotta qualche parola riconducibile al mio Paese: pizza, good pasta…e ci mancava solo più mandolino e mafia e poi mi sentivo un perfetto idiota. I suoi modi sono assai gentili, ed è vestito elegantemente. Decido di non liquidarlo nell’ immediato, voglio sentire cosa ha da dirmi, da propormi. Si, perchè ora ho il biglietto d’ ingresso quindi sicuramente è da me per propormi qualche meraviglia. Ed infatti, poche parole e intavoliamo un affare assai vantaggioso per me. M’ indica, con la sua mano, la cima del minareto della Medressa di Ulughbek.
– Vuoi salire?
– Lassù? Ma proprio in cima?
Mmm…sono un poco dubbioso, sarà la solita fregatura oppure posso fidarmi? Proprio in quell’ istante mi balza in mente che si, è vero, poco prima avevo scorto con mio grande stupore la testa d’ un uomo in cima al minareto, proprio quello che lui ora mi sta mostrando con la sua mano. E mi ero chiesto come potesse esser arrivato fin la, fin sul ‘tetto del mondo’. Vi era una scala? E dove era l’ accesso? Era legale? Ma poi avevo lasciato perdere, nessun cartello informativo, nessuna indicazione al riguardo. Anche il mio libro ne parlava, ma semplicemente informando che le guardie potevano offrire questa possibilità dal sorgere del sole all’ apertura dei cancelli del Registan. Ora son quasi le due di pomeriggio…
– Certo- rispondo
– Quanto?
E sfregando le mie dita, indico con il termine internazionale ‘quanto mi costa?’
– Quanto?
– 5 Dollari!- mi risponde sorridendo.
Ma con me non ho Dollari, solamente Sum o Euro. E siccome dei Sum non ne vuole sapere, propongo l’ Euro come valuta di scambio di favori, cosa che lui accetta molto volentieri.
Mi fa cenno di seguirlo e varcato l’ ingresso della Medressa di Ulugbek, s’ inoltra in una piccola porticina ( che era chiusa ) aprendo davanti a me un mondo diverso, il ‘dietro alle quinte’ di questo spettacolo chiamato Registan. Ci avviamo lungo un paio di scale fin a giungere al piano primo dell’ edificio. Poi, velocissimamente, scompare dietro una piglia e con voce bassa mi fa cenno di restar fermo, indicandomi una guardia che nel frattempo transitava nel piccolo cortile interno ( chiuso al pubblico, ovviamente ). Aspetta aspetta…questo non opera d’ accordo con le guardie, questo fa tutto per conto suo! Che trullo!
Quando la guardia scompare alla nostra vista, oltrepassate alcune stanze vuote e assai malandate, arriviamo alla base del minareto.
– Sali Sali- esclama.
Quando pochi istanti prima osservavo dal cortile del Registan la testa di quell’ uomo spuntare dal minareto, mi domandavo come avesse potuto arrivar fin in cima. Il minareto era altissimo e stretto, come sarà arrivato fin là?
Ma ora, innanzi a questa scala, capisco. E’ realtà, è tutto vero. Non sognavo, quell’ uomo era reale e il mio non era un sogno. E’ una scala a chiocciola strettissima. Mai vista una cosa del genere, è un capolavoro d’ ingegneria. Fatico non poco a salire i ripidissimi gradini, prestano attenzione a non cadere e a non sbattere il capo. La salita è impegnativa ma quando giungo in cima…
Quando giungo in cima mi s’ apre alla vista questo mondo fantastico. Uno spettacolo unico, entusiasmante, splendido. La posizione è angusta, mezzo corpo e all’ interno del minareto e dal busto in su all’ aria aperta di questa giornata. La circonferenza del minareto alla vetta è meno di un metro, immagino le mura siano piuttosto sottili e fragili, ma la paura che esso si sgretoli sotto i miei piedi neanche mi sfiora. Da qui, a questa altezza, il mondo pare piccolissimo, le persone che s’ aggirano nel Registan sembrano formiche muoversi confusamente. Scatto migliaia di fotografie ma poi, come sempre, la sfiga torna a bussare e mi trovo senza possibilità di far altre foto: la scheda di memoria è piena! Porcaccia la miseria! M’ accorgo che ai miei piedi vi è un giovane che attende anch’ egli di ammirare Samarcanda dall’ alto. Ne approfitto. Scendo i gradini e lascio lui libero il passaggio ( ancora ora mi chiedo come abbiamo fatto a passar in due… ). Mentre lui osserva il mondo da lassù io velocemente cancello alcune fotografie liberando un poco di spazio. E quando egli decide di scendere a terra, io mi riprendo il posto lassù tra le nuvole. Rimango molti istanti a fotografare, ad osservare, ad ammirare e fantasticare. Avverto delle urla giungere dal basso del minareto ma non presto particolare attenzione…chissenefrega, voglio godermi appieno questo momento!
Poi, lentamente e con non poca tristezza, ponendo grandissima attenzione a non rotolare di sotto, ridiscendo la ripidissima scala che mi porta nello stanzone desolato da cui si ha accesso al minareto. Non c’ è nessuno, solamente io e ammassi di macerie. Dove vado ora? La strada non mi è ben nota, sbaglio alcune volte la via terminando la mia corsa in stanze buie e polverose dove nulla vi è, se non la storia. E’ un labirinto questa moschea! Dopo numerosi tentativi andati a vuoto trovo la giusta strada e finalmente arrivo nel cortiletto dove scorgo l’ uomo che m’ aveva proposto questa possibilità. Lo vedo confabulare con altri turisti…
Questo diventa ricco a fine giornata, hai capito il tizio! Ci salutiamo con un sorriso e lo ringrazio calorosamente per l’ occasione che, seppur illegale, m’ ha offerto. Quest’ uomo non è certo una guardia, dal cui si riguarda con particolare attenzione, e neppure un intruso. Sicuramente, visto anche i suoi vestiti, si tratta di qualche responsabile del sito che ha fiutato gli affari e ha messo in moto questa macchina da soldi. Sicuramente ha la collaborazione di qualcuno, mezzo corpo d’ uomo in cima al minareto non passa di certo inosservato, e se l’ ho notato io, chissà quanti sono a conoscenza di questa storia. A fine giornata avrà in mano quantità ingenti di denaro, considerando che qualsiasi turista ( tranne chi soffre di vertigini.. ) non si lascia sfuggire questa possibilità unica e rara. Calcolando almeno venti persone al giorno, per trenta giorni al mese, quest’ uomo mette da parte in 24 ore molto più di quello che un qualsiasi uzbeko guadagna inRegistan un mese.
Quello che maggiormente mi fa riflettere è la sicurezza del tutto. Le mura del minareto in alcuni tratti sono molto fragili, -stiamo parlando di un minareto datato 1660 circa- e soprattuto alla sommità dove sono piuttosto sottili. Se mai si dovesse sgretolare sotto i piedi di qualche turista? E’ un opera che porta con se i segni del tempo, centinaia di anni, e chi lo ha progettato e costruito non ha di sicuro pensato che moltissimi anni dopo quella scala sarebbe stata solcata ogni giorno da decine e decine di turisti….comunque sia, speriamo in bene!
Passeggio ora senza meta alcuna, semplicemente osservando ogni piccolo particolare, ogni piccolo dettaglio che illumina la mia vista. La giornata è andata migliorandosi, nel cielo azzurrissimo risplende ora un bellissimo sole e le nubi grigiastre della mattina sono solo un lontano ricordo. Il Registan è davvero un qualcosa di sensazionale, i colori sgargianti delle maioliche si fondono con questo cielo azzurro pastello. L’ oro, le decorazioni e le cupole delle medrassa sono di pregievole fattura e oggi, ne sono convinto, nessun uomo sarebbe in grado di realizzare un opera cosi armoniosa e fantastica.
Avanti e indietro, solcando le nude pietre del Registan, per ore. E poi, a malincuore, abbandono il sito anche se solo momentaneamente, siccome ogni giorno vi passeggio davanti volgendo sempre lo sguardo alle tre medrassa e alla loro bellezza.
Ritorno in camera dove metto a riposo i miei piedini doloranti ( e puzzosi… ). Scendo quindi nel cortiletto, mi siedo sui comodissimi cuscini e, sorseggiando un ottimo tè, scrivo le cartoline alle mie amate nipotine. Un’ oretta disteso nella totale tranquillità e poi sono pronto a ripartire. Ritorno lungo la via pedonale affollata di bambini allegri. Il sole caldissimo rende difficile la passeggiata, il fresco ( freddo ) della mattinata è solamente un piacevole ricordo. Attraverso la trafficata Rudakiy kochasi, trovandomi di fronte alla moschea di Hazrat-Hizr. Quella risalente all’ VIII secolo fu incendiata e rasa al suolo da Gengis Khan nel XIII secolo e non venne ricostruita se non nel 1854. Negli anni novanta è stata poi restaurata magnificamente da un ricco cittadino di Bukhara e oggi può senz’ altro dirsi la più bella moschea di Samarcanda. Dalla porta d’ ingresso due donne mi chiamano a gran voce: vogliono faccia ingresso nella moschea ma siccome non ho alcuna ( per il momento ) intenzione di visitarla, saluto cortesemente e dopo qualche foto ( si gode di una bella vista sulla città ) riprendo la passeggiata. La mia intenzione è quella di raggiungere il museo di Afrosiab e in un secondo momento, l’ osservatorio di Ulugbek. Non ho ben chiara la distanza che separa il museo dalla moschea, tantomeno dal museo all’ osservatorio: non importa, camminare è una cosa che mi piace. Ricordo solo che, prima di partire, osservando google heart mi pareva impresa fattibile a piedi. Mi pareva, eh. M’ incammino lungo questa strada leggermente in salita, Tashkent kochasi, sotto un sole caldissimo dove i metri percorsi paiono chilometri. Pochissime auto sfrecciano al mio fianco, e tutt’ attorno a me un territorio lunare. Sabbia, polvere ed una vegetazione rada alla mia sinistra, un enorme cimitero alla mia destra. Cammino, cammino, e cammino ancora. Ma non intravedo anima viva, altro che museo. Mi sorgono i primi dubbi: avrò sbagliato strada? La mia cartina dice di no, ma al riguardo nutro non pochi dubbi. Proseguo a camminare, questa strada dovrà pur portare da qualche parte, no? E dopo una ventina di minuti di passo, un lentissimo cammino, ecco sorgere questo benedetto museo, a circa un chilometro dalla moschea. Esso sorge dinanzi un bel giardino verde e al suo interno è conservata una delle scoperte archeologiche più importanti di Samarcanda, ovvero un affresco del VII secolo raffigurante il re sogdiano Varkhouman che riceve dignitari stranieri in sella a elefanti, cammelli e cavalli. Oltretutto l’ ingresso è gratuito per il sottoscritto, infatti dispongo del biglietto cumulativo Mausoleo Gur Emir + Museo Afrosiab, acquistato il giorno precedente. Varco l’ ingresso del museo ma quando mostro il biglietto che ho con me, mi sento rispondere dalla donna alla biglietteria che quello è il biglietto per il mausoleo, e non per il museo. Ma come, la signora alla cassa del Mausoleo m’ aveva fatto pagare un sovrapprezzo per questo biglietto che includeva anche la visita al museo, e ora voi mi dite che non è cosi? Ma stiamo scherzando? Qui qualcuno mi sta prendendo in giro. Protesto ad alta voce, sono parecchio irritato. Ma niente da fare, la signora alla cassa è inflessibile: per visitare il museo devo acquistare il biglietto, che io voglia o no. Continuo a protestare, domandando spiegazioni, e ricevendo solamente un ‘sorry’. Sorry un paio di palle! Non è per il prezzo del biglietto che m’ arrabbio, sono pochi euro in fondo. Quello che non digerisco è l’ esser preso in giro solamente perchè sono un turista, perchè non comprendo la loro lingua. Sono sempre pronto a dare rispetto, a chiunque, ma pretendo uguale trattamento. Ad essere ‘giocato’ proprio ci sto, sono incazzato nero. Cerco di calmarmi, la signora in fondo non ne può nulla, non è lei che mi ha fregato. Se ho intenzione di visitare il museo, non mi resta altra soluzione che acquistare il biglietto. Il mio essere adirato ha attirato gli sguardi dei presenti, turisti e non. Cerco di spiegare ad alta voce nel mio povero inglese la situazione, senza però che nessuno possa comprendere quello che io stia dicendo ( due cinesi, arabi…hai voglia a farli capire…).
Cerco di frenare la mia ira, la mia arrabbiatura. Ormai è andata in questo verso, non posso far altro che visitare il museo e mettere l’ anima mia in pace. Le varie stanze non sono a mio avviso di grande interesse, anche perchè la descrizione dei reperti è il più delle volte in sola lingua eusbeca. Vago per le sale fino a giungere al famoso affresco, ricreato ( male a mio avviso: in una stanza piuttosto piccola due piglie davanti che impediscono la vista a 360° sono cosa stupida ) all’ interno di una stanza dove la temperatura è sotto rigido controllo. L’ affresco è molto bello ed in alcuni punti ancora molto ben conservato, nonostante i secoli d’ età. La donna addetta alla sala mi domanda se sono interessato ad alcune cartoline, ma gentilmente rifiuto. Capisco la necessità di queste persone di racimolare qualche soldo, visto i loro magri stipendi. In questo caso la signora si dimostra gentile, non insiste e m’ offre un servizio. Mentre invece quando vengo preso in giro…grrr che rabbia! Vabbè! Visito ancora il piano primo dove sono in mostra gli 11 strati di civiltà diverse che compongono Afrosiab (l’antica Samarcanda).
La mia visita al museo può dirsi conclusa dopo una mezz’ oretta a zonzo per le varie sale e quando esco alla luce del sole quasi mi prende un colpo. Passare dal freddo delle sale del museo a questo caldo torrido dimezza le mie già poche forze. Ma non demordo, non demordo!
Proseguo la passeggiata, l’ osservatorio non sarà cosi lontano, immagino! E riprendo a camminare…a camminare…a camminare e ancora camminare. Se mai giungesse un taxi sono pronto a gettarmi sotto le ruote pur di arrestarne la corsa. La strada sembra non finire mai, la mia vista non scorge un punto di riferimento, un qualcosa che mi faccia intuire, seppur lontanamente, la presenza dell’ osservatorio. Continuo a camminare, non posso fare altrimenti. Finalmente la strada, inerpicandosi sulla collina, s’ inoltra in un centro abitato. Le prime forme di vita s’ intravedono grazie a Dio! Giunto all’ incrocio con Shahizinda kochasi domando informazioni a due giovani. Ho paura, mi guardano come se avessi chiesto loro di spiegarmi come raggiungere il Cern di Ginevra o la teoria della relatività. Scappo dalla loro presenza, e quando sono ad una decina di metri di distanza mi volto e li vedo ancora immobili osservarmi: ho le sembianze dell’ alieno di Roswell forse? Pazienza, continuo a camminare, sono sicuro l’ osservatorio si trovi lungo questo percorso. E con mia grande felicità, non appena la strada curva a sinistra, spunta come per magia un giardino verdissimo dove sorge, in cima ad una collinetta, l’ osservatorio di Ulugbek. Sono distrutto, il caldo m’ ha eroso le ultime forze residue. Cerco riparo per brevi istanti all’ ombra di una piccola insegna ( pensa te in che stato ero… ) ma poi decido di riprendere il passo e visitar da subito l’ osservaorio. Dapprima presto visita al piccolo museo annesso dove sono esposte alcune miniature che ritraggono Ulugbek, nonchè alcune antiche ceramiche e altri manufatti rinvenuti durante gli scavi di Afrosiab. Ovviamente la visita è a pagamento, ed una volta acquistato il biglietto alla cassa, una giovane e gentile ragazza si presta di farmi da guida. Cortesemente rifiuto la cortesia ( cortesia a pagamento s’ intende ) e mi dirigo nella costruzione che tiene al riparo l’ astrolabio. Si tratta senz’ altro di una delle grandi scoperte archeologiche del XX secolo. Ulugbek fu probabilmente più famoso come astronomo che come sovrano, ed il suo astrolabio di 30 metri ne è la conferma. Venne progettato per osservare la posizione delle stelle, e faceva parte di un osservatorio di tre piani fatto costruire dal re fra il 1420 e il 1430. Tutto ciò che però rimane è la parte ricurva dello strumento, rinvenuta nel 1908. Siccome sono ignorante in materia trovo il tutto, in un primo momento, di poco interesse: in fondo è solo una tampa ricurva di come quelle create ad arte dal mio baldo cagnetto. Stupido che sono: presto maggiore attenzione, provo ad immaginarmi come fosse questa costruzione all’ epoca, a cosa erano riusciti ad ideare più di 600 anni addietro. Bhè, è una cosa incredibile. Era il 1400 e già volgevano il loro sguardo al cielo curiosi dalla vista di quei corpi celesti che illuminavano la notte! Come diceva lo stesso Ulugbek ‘la religione si disperde come una nebbia, muoiono i regni, ma le opere di studiosi rimangono per l’eternità’. Peccato abbia vissuto in un tempo dove la religione e i confini del regno fossero più importanti della conoscenza. Sono soddisfatto, se inizialmente consideravo quella ‘buca’ un semplice scavo nel terreno, ora sono invece entusiasta di questa persona che guardava al cielo con la stessa voglia di conoscere e di sapere con cui io guardo al mondo. Si chiama curiosità, e fin quando ne sarò inebriato, vivrò eternamente. L’ osservatorio si trova, come detto, in cima ad una collinetta, immerso nel verde di un piccolo parco. Nella piccola piazzola da dove inizia la scalinata che porta al museo, vi si trova la statua di Mirzo Ulugbek, seduto, intento ad osservare l’ infinito, quell’ infinito che tanto lo affascinava e che lo portò alla morte. E dietro a lui, la riproduzione della volta celeste. Molta fatica per giungere fin qui, ma una fatica ampiamente ripagata. Riprendo il cammino, domandandomi se è il caso di avvalermi di un taxi per giungere in città o proseguire a piedi. La mia mente malata, molto malata, opta per una ‘passeggiata’ sotto questo sole torrido. M’ avvio lungo il marciapiede, osservando il mondo che mi circonda e soprattutto sperando che alla pattuglia di polizia, ferma dalla parte opposta della strada, non venga la brillante idea di spillarmi qualche banconota. Fortuna vuole che non s’ accorgano neanche della mia presenza ed io, veloce veloce, me la svigno velocemente. Questa volta però, anzichè imboccare la strada da cui sono giunto all’ osservatorio, vale a dire Tashkent kochasi, mi dilungo in Sahihzinda kochasi, strada che s’ interseca nuovamente con la prima all’ altezza della moschea Hazrat-Hizr. Lungo il primo tratto di strada s’ aprono alla mia vista alcuni negozetti, tra cui una stanza dove pare, ripeto pare, preparino hot dog ( come mangiare la pasta all’ amatriciana in Cina ). Come detto, il locale non è altro che una semplice stanza dove trova posto solamente un tavolo in cattive condizioni e sopra di esso un piccolo fornetto datato 1921 ( probabile… ). Non appena entro nella piccola stanza, le persone al suo interno paiono riprendere vita di colpo. Il vedere uno straniero, proveniente da chissà quale mondo lontano, essere nel loro locale li rende, ne sono certo, felici ed orgogliosi. Mi osservano con occhi spalancati per non perdersi nulla di me, da come sono vestito a come mi comporto. Ma sono uguale a voi! Domando se è possibile avere un kebab o un hot dog come riportato sulla locandina al di fuori del locale. Alla mia domanda si agitano all’ inverosimile. Il ragazzo va avanti e indietro nella sala, cercando qualcosa; la giovane ragazza pure mentre il bambinetto rimane come impietrito ad osservarmi. Istanti frenetici e poi, dispiaciuti, m’ informano che non potrò avere il mio panino. I motivi sono però sconosciuti, magari manca il pane, magari la carne…forse tutto! Pazienza, ammiro la loro cortesia, il loro essersi sbattuti per soddisfare la mia richieta. Cortesemente saluto e riprendo il cammino, non prima però di aver acquistato una bottiglietta d’ acqua necessaria in questa lunga passeggiata che, credo e soprattutto spero, mi porterà al viale dei Mausolei.
Mi trovo a camminare al fianco di una strada a più corsie, molto trafficata. Accanto a me sorge una collinetta che m’ impedisce la vista, ma come avrò modo di capire più avanti, si tratta del vastissimo cimitero che già avevo avuto modo d’ osservare lungo la passeggiata verso il museo Afrosiab. La strada sembra non finire mai, ad ogni curva prego ogni santo d’ intravedere la sagoma della moschea Bibi Khanoum. E invece nulla. L’ acqua nella bottiglietta è ormai calda ed il sole bollente cuoce letteralmente la mia pelle. Mi cospargo più volte il capo d’ acqua per evitare di stramazzar al suolo causa insolazione. Sono solo a camminare lungo questo marciapiede, lungo questa strada. Nessun’ anima s’ aggira nei dintorni. Auto, e ancora auto. Più di una volta m’ assale il pensiero d’ aver sbagliato strada e di trovarmi di fronte il cartello ‘Kazakistan’. Ma poi, come a convincermene, continuo a camminare cancellando i miei pensieri. Dopo un’ ora sotto questo sole pazzesco la strada inizia pian piano a salire e quando intravedo poco distante una scuola e la vita animarsi di colpo, mi lascio andare ad un gran sospiro di sollievo. Che sia oppure no la giusta strada, sono almeno nei pressi di un centro abitato dove in ogni caso potrò avvalermi di un taxi o di un bus nelle migliori delle ipotesi. Ed una volta oltrepassata la curva, davanti a me in tutta la sua bellezza, il panorama della Samarcanda che ho conosciuto in questi giorni. Qual sospiro di sollievo, ero sicuro di non sbagliare, solo mi sono affidato un po’ troppo alla fortuna. Camminare per chilometri sotto questo sole bollente non è da persone sane di mente. Ed io non lo sono, infatti. Pochi passi ancora e sono all’ ingresso del viale dei Mausolei. Sono quasi privo di forze, è stata una ‘passeggiata’ molto faticosa, che non consiglio certamente a nessuno. Nulla da vedere se non una lunga strada trafficata priva di interesse. Faccio il mio ingresso nel sito dopo aver acquistato il biglietto per una modica cifra. Sha-I-Zinda, perchè cosi si chiama, è il luogo più suggestivo della città, dove vi sono mausolei ornati con alcune delle più belle opere in piastrelle smaltate del mondo musulmano. Il nome significa ‘Tomba del Re Vivente’ e si riferisce al santuario originario, il più interno e il più sacro, un complesso di stanze fresche e tranquille intorno a quella che probabilmente è la tomba di Qusam ibn-Abbas, un cugino del profeta Maometto che si dice abbia portato l’ Islam in questa regione nel VII secolo.
Una leggenda popolare dice che Qusam ibn-Ababs fu decapitato per la sua fede. Ma, una volta deceduto, ha preso la sua testa ed è andato nel pozzo profondo (Giardino del Paradiso), dove vive ancora oggi.
La necropoli è composta da tre gruppi di strutture: quella inferiore, media e quella superiore, collegate da passaggi a cupola a quattro archi chiamati localmente ‘chartak’. I primi edifici risalgono al 11-12 ° secolo. Le loro basi e le lapidi sono rimasti come erano allora e la maggior parte risale al 14-15 secoli. Il corpo principale iniziale del Mausoleo -Kusam-ibn-Abbas- si trova nella parte nord-orientale del Sha-I-Zinda. Si compone di diversi edifici e il più antico di essi, il mausoleo e la moschea Kusam-ibn-Abbas (16 ° secolo), sono collegate tra di loro.
Il gruppo superiore di edifici consiste invece di tre mausolei, uno di fronte all’ altro. Il primo è il Khodja-Akhmad Mausoleum (1340), che completa il passaggio a nord. Il Mausoleo del 1361, sulla destra, limita lo stesso passaggio da est.
Il gruppo centrale è costituito dai mausolei dell’ ultimo quarto del 14 ° secolo – prima metà del 15 ° secolo, e ospita i parenti di Timur, militari, personaggi del clero e l’ aristocrazia.
Vicino alla scala, nel tratto finale del viale, si trovano gli edifici meglio proporzionati rispetto a quelli del gruppo inferiore. Vi si trova anche il mausoleo dedicato a Kazi Zade Rumi, che fu scienziato e astronomo. La doppia cupola del mausoleo che è stato costruito da Ulugbek sopra la sua tomba, nel 1434-1435, ha un’altezza paragonabile alle cupole dei mausolei della famiglia reale.
E’ un esperienza sensazionale passeggiare nella necropoli di Samarcanda, una bellezza fors’ anche esagerata. In questo luogo esisteva un santuario dedicato a Qusam, all’ estremità dell’ Afrosiab, già molto tempo prima che i mongoli lo saccheggiassero nel XIII secolo. Il viale dei Mausolei ha iniziato ad assumere la sua forma attuale nel XIV secolo, quando Tamerlano e poi Ulugbek decisero di seppellire i membri della loro famiglia e le persone da loro predilette accanto al re vivente. Dopo essere sopravvissute per oltre sette secoli senza particolari interventi, nel 2005 molte delle tombe sono invece state sottoposte a un aggressivo e controverso restauro e buona parte dei mosaici e delle piastrelle di maiolica sono ahimè non originali. Per quale motivo poi? Forse per attirare maggiormente i turisti? Certo, quelli che amano arrivare, vedere ed esclamare ‘oh che belloooo’, e poi ripartire, questo restauro sarà sicuramente piaciuto. Ma chi ha un minimo a cuore la storia, questo non può far certo piacere. E’ preferibile una cinta muraria che porta con sé i segni del passato, della storia, piuttosto di una ricostruita a nuovo. Opinione a parte, la tomba esteticamente più bella rimane il Mausoleo di Shoudi Mulk Oko ( del 1372 ) il secondo a sinistra dopo la scala d’ ingresso, dove riposano una sorella di Tamerlano ( Mausoleo di Shirin Bika Aga ) e una nipote. Le sue splendide piastrelle di maiolica sono di livello talmente eccezzionale ( e, incredibile, combaciano ancora ) da aver richiesto un restauro minimo. Trascorro diversi minuti ad osservare incredulo, ed effettivamente, nonostante i secoli, nonostante le interperie del tempo, combaciano perfettamente! Accanto al Shirin-Bika-Aga Mausoleo vi è il cosiddetto Ottaedro, una cripta insolita della prima metà del 15° secolo. Sha-I-Zinda è un luogo di pellegrinaggio, è un luogo molto importante per la religione islamica. Uno dopo l’ altro, decine di mausolei. La maggior parte di essi riportano il nome della persona ivi sepolta, ma in alcune è invece sconosciuto il deceduto. Faccio ingresso in uno di questi mausolei, dove si celano diverse stanze e dove nell’ ultima, una sala piccolina, tre persone sono intente nella preghiera. Non ho intenzione di disturbare oltremodo e non appena odo un uomo intonare la preghiera torno lungo il viale. Mi siedo ai piedi della scalinata d’ ingresso della moschea ad osservare il mondo, questo fantastico mondo, che mi circonda.
Accanto al viale millenario sorge un cimitero, vastissimo ( quello già visto lungo la strada per l’ Afrosiab ). M’ incammino lungo la stradina principale dove sorgono lapidi di moltissime persone. Niente foto et varie, ma solamente un disegno stilizzato sulla lapide nera. Un modo davvero singolare quanto ( se cosi si può dire ) bello per rappresentare il proprio caro. Abbandono il viale alberato e m’ avventuro sulla collinetta dove le lapidi sorgono un po’ a casaccio, immerse nell’ alta vegetazione. La mia intenzione è arrivare al punto da cui, ne sono certo, vi è una superba vista su Samarcanda. Ma dopo una decina di minuti d’ avventura, preferisco tornare indietro. La collinetta non è cosi facilmente raggiungibile e poi quest’ erba alta mi consiglia di ritornare al viale principale. Meglio tenersi a debita distanza da eventuali guai. Torno al viale di Sha-I-Zinda per scattare le ultime fotografie, ma come sempre accade, la batteria della macchina fotografica decide d’ abbandonarmi improvvisamente. Porca miseria! Mi soffermo ancora qualche istante ad osservare il bellissimo posto, cosi venerato dal mondo dell’ Islam. E poi, riparto.
La giornata è stata lunghissima, molto ho visto e molto ho ancora da vedere. Ritorno lentamente in camera a ricaricare le batterie della macchina fotografica ed anche le mie, che sono ai minimi storici. Riposo un’ oretta al fresco della stanza e poi, intorno alle ore otto, ritorno alla vita della città. Raggiungo la moschea Bibi-Khanoum per immortalare la sua bellezza in questa nottata, la mia ultima a Samarcanda. Immagino il sito sia illuminato a giorno, creando quell’ atmosfera particolare che solamente il buio delle tenebre è in grado di regalare. Percorro l’ oscura stradina pedonale fino ad arrivare alla moschea che però, ahimè, è illuminata assai male, per non dire malissimo. Una luce verde ne illumina la facciata, lasciandomi a bocca aperta. Ma perchè una luce verde? Mistero. Deluso, ritorno sui miei passi fin a giungere alla strada che dal Registan si dilunga fino ai Boulevard. Chiusa al traffico a causa del Festival, che è in corso di svolgimento, la strada è gremita di persone. Una folla oceanica si è riversata lungo Registan kochasi. Lungo il marciapiedi vi sono moltissime donne con delle scope dal manico cortissimo. Puliscono, ma cosa? Non vedo sporcizia, non siamo in Italia dove le persone gettano a terra chewing-gum, mozziconi di sigarette, cartacce, vantandosi poi di fare raccolta differenziata. Siccome non ho ancora cenato e la fame è molta, m’ incammino verso il solito ristorantino quando nei pressi del Registan m’ imbatto nel signore ‘elegante’. Si tratta dello strano personaggio conosciuto nel pomeriggio, colui che m’ aveva dato la possibilità di salire in cima al minareto. Mi riconosce da subito, non appena incrocia il mio sguardo, nonostante stia passeggiando in mezzo a centinaia di persone. Mi saluta, fermando la mia passeggiata.
-Vuoi vedere il Festival? –
Sono sbigottito, quante sorprese mi riserva quest’ uomo? Già solo il fatto di avermi riconosciuto in mezzo a centinaia di persone la trovo una cosa incredibile.
-Ma certo!-
Accetto la proposta, entusiasta ma anche con qualche dubbio al riguardo: sarà legale la cosa? Eccomeee se legale! Devo attendere qualche istante e nel mentre lo vedo dileguarsi, sparire in mezzo alla folla, cosi come era comparso. Pochi minuti d’ attesa e lo vedo spuntare insieme ad un altro ragazzo. Confabulano qualche secondo e poi vengo, o meglio veniamo, affidati alle grinfe di questo giovane. Sorpresa: non sono solo! Con me vi saranno tre altre persone, due donne ed un uomo che avrò modo di rivedere ( che coincidenza… ) nei giorni a venire. Superiamo il cordone di polizia e dopo aver attraversato la strada siamo all’ ingresso del Registan. Vi sono molti uomini della sicurezza e delle forze di polizia a presidiare la zona, ma quando giungiamo nei pressi, oltrepassiamo l’ ingresso senza tanti problemi. Poco prima di far ingresso, il giovane ci consegna un biglietto d’ invito con la quale oltrepasseremo facilmente i diversi controlli. Ma dove li avrà presi? Misteri di Samarcanda…
Raggiungiamo le tribune ed il ragazzo, dopo aver posto particolare attenzione a dove farci accomodare, ci indica con il dito dove posare i nostri sederi. La posizione è ottima, il palco è poco distante. Sono esterefatto, incredulo. Davanti a me il Registan illuminato a festa e nelle prime fila chissà quali personalità siedono. Sul palco si alternano cantantautori provenienti dai quattro angoli di questo mondo, anche se purtroppo il gruppo italiano si esibirà nella serata di domani. Che sfortuna! Scatto milioni di fotografie, numerosi video a ricordo di questo momento magico. Rimango ad ascoltare l’ esibizione dei vari artisti per un’ oretta, ma poi, quando sono circa le dieci, chiedo al ragazzo di poter tornare alla vita della città. Spira su Samarcanda un venticello freddo che per la prima volta mi fa venire i brividi. Il giovane sembra quasi preoccupato, probabilmente pensa non mi stia divertendo quando invece io ho solamente fame e freddo! M’ accompagna fino alla scalinata e dopo aver scambiato ancora due parole ci salutiamo. Supero senza problemi i controlli ed il cordone di polizia locale e poi, finalmente, posso raggiungere il ristorante dove mettere a tacere il mio appetito. Mentre gusto piacevolmente la cucina della casa, continuo a pensare a quest’ uomo, a cui d’ ora in poi attribuisco il soprannome di ‘Mercante di Samarcanda’ ,che , grazie ad una posizione influente, riesce a monetizzare al massimo la libertà a cui lui viene data. In una giornata come quella di oggi, è riuscito ad intascarsi illegalmente non meno di 100-150 euro. Una cifra enorme in un paese dove le persone vivono con meno di 200 dollari al mese. E’ un uomo intrapendente, lungimirante, cortese e simpatico, che sfrutta ogni possibilità per far guadagno. Grazie a lui ho avuto la possibilità di osservare Samarcanda dal minareto del Registan e di partecipare al Festival più importante del paese. Tutte queste esperienze per pochi Euro, una decina per essere preciso. Che strano personaggio!
M’ accorgo, quando si tratta di pagare il conto, di aver sforato clamorosamente la cifra che mi ero imposto. Siccome buona parte delle banconote che portavo con me erano andate al Mercante di Samarcanda, ora mi trovo senza un becchino, anzi pure in debito! Mancano all’ appello 190 Sum, pochi centesimi di Euro. La ragazza al banco dice di non preoccuparmi, il conto è saldato a suo dire . Ma a me spiace molto, ero convinto di avere abbastanza denaro per riuscire a pagare, ed invece il ‘pane’ m’ ha fregato…
Passeggio ancora per qualche istante lungo Registan kochasi, fin quasi al mausoleo di Amir Timur e poi, vinto dalla stanchezza e dal freddo, torno in camera. E’ stata un giornata eccezzionale, entusiasmante, una giornata che ricorderò per sempre in questa mia vita. Felice, dopo aver preparato i bagagli, posso finalmente posare la testa sul cuscino per un meritato sonno, quando ormai sono passate da poco le ore 23.
Il giorno seguente, domenica 28 agosto, mi alzo dal lettino di buon ora. Verso le nove scendo nel piccolo cortile dove mi distendo sui comodi e grandi cuscini in attesa della colazione. Mezz’ oretta in relax e poi inizio la giornata di visita raggiungendo il sito del Registan. Ogni volta che il mio sguardo viene rinfrancato da tale visione m’ appare sempre più bello, magnifico, spettacolare. Non voglio farmi rapire da tale visione e riprendo velocemente il passo raggiungendo il ristorante dove la sera prima avevo contratto, se cosi si può dire, un piccolo debito. Non appena informo la giovane ragazza sulle mie reali intenzioni, ovvero saldare il debito della sera precedente, rimane assai sorpresa. Con molta gentilezza cerca di farmi capire che non è un problema, non ho contratto nessun debito. E rifiuta le banconote che ho posato sul bancone. Insisto: mi sono trovato molto bene, ho mangiato ottimamente, e anche se per me sono solo pochi centesimi, mi pare giusto saldare questo piccola cifra. Sorride, e accetta di buon grado. Saluto, e torno lungo Registan kochasi, passeggiando in questa bellissima giornata, l’ ultima a Samarcanda, molto lentamente. Vorrei poter disporre di più tempo, poter ‘vivere’ altri giorni questa fantastica città dove la vita ha un procedere molto lento. Ma purtroppo nel pomeriggio devo riprendere il viaggio, destinazione Buqhara. Torno in camera a prendere il mio grande zaino ed una volta salutato il giovane e bravissimo ragazzo che gestisce il B&B, sono pronto a ripartire. Con un taxi raggiungo la stazione vicina ferroviaria di Samarcanda. Mentre il taxi procede a tutta velocità le vie di Samarcanda m’ assale quella malinconia del viaggiatore che ti prende quando, osservando al di fuori del finestrino, vedi scorrere in brevi istanti tutti i giorni di viaggio. Samarcanda è la città che sognavo fin da piccolo di visitare, quella città che consideravo luogo fatato. Ebbene, ora sta scivolando via dalla miei occhi, dalla mia vita. Velocemente. Mi considero, nonostante tutto, fortunato, fortunatissimo: la maggior parte dei sogni per le persone rimangono tali, per me, invece, uno di essi si è realizzato.
Quindi perchè mai esser triste? Giunto in stazione mi dirigo alla biglietteria, un luogo dove l’ educazione è affare sconosciuto. Allo sportello non è necessario far la fila diligentemente: ci si assiepa tutti insieme, uno accanto all’ altro, infischiandosene di chi è arrivato prima o dopo. E allora, se è prassi comune, mi adeguo! La stazione ferroviaria di ogni città dell’ Uzbekistan sono di nuova costruzione. Edifici molto ben progettati, luminosi, accoglienti. Per poter far ingresso al loro interno è necessario essere muniti di un biglietto regolare, altrimenti si rimane fuori.
Con pochi euro si spesa ho con me il biglietto ferroviario che da Samarcanda mi porterà, centinaia di chilometri a Ovest, a Buqhara. Dopo una breve attesa, verso mezzogiorno, possiamo finalmente partire. M’ accomodo sui divani, perchè divani sono e non sedili, e pochi istanti dopo si ode il rombo dei motori: partiamo! Sono seduto comodissimamente, mi pare d’ essere nel salotto di casa mia. Ma, lentamente, man mano che il treno s’ inoltra in lande desolate, inizio a provare dispiacere per tutta questa ‘comodità’. In qualsiasi posizione sono avverto fastidio. Mi viene ora da pensare che già in quei frangenti stavo poco bene, ed anche fossi stato sdraiato su di un letto ad acqua non sarei stato comodo. Sono l’ unico non uzbeko nella carrozza, e sono per questo oggetto di sguardi. Mi piacerebbe entrare nella mente delle persone che mi circondano, sapere cosa pensano di questo turista con il suo zaino enorme che si avventura in solitaria nel loro paese! Il viaggio trascorre, in un primo momento, abbastanza bene. Guardo un film in lingua usbeca sui grandi televisori lcd ( altro che treni italiani…) ma poi, pian piano, inizio a soffrire la situazione. Non riesco a trovare una posizione a me comoda ed in più inizio ad avvertire i sintomi della febbre. La mia grande speranza è che il treno giunga a destinazione il prima possibile, mi sento davvero poco bene. Intorno alle due, il treno sosta in una città a me sconosciuta che risulta poi essere, molto probabilmente, Navoi, a metà strada tra Buqhara e Samarcanda. Un’ oretta ancora di viaggio e arriviamo finalmente a Kagan Vodkzal, la stazione ferroviaria di Bukhara, a nove chilometri a sud est del centro città. Come sempre, non appena sarò all’ aria aperta della giornata, sarò assalito dai mille avvoltoi in cerca di facile preda. Ma a differenza di altre volte, voglio andare io alla ricerca del tassista che più m’ ispira, che più m’ aggrada. E mai scelta si rivelò più giusta. Affido le mie sorti ad un uomo di mezza età, dai modi gentili e affabili. Non appena ode il rumore della portiera chiudersi, accende il motore della sua auto anni ’60. Mi domanda da quale paese lontano io provenga e…
– Italia- esclamo fieramente.
Non riesco neanche a completamente la parola che lo vedo esultare come se avesse sbancato il bingo. Con entrambe le mani cerca di far scendere il finestrino il più possibile, e poi, rivolgendosi ai suoi colleghi seduti al muretto, gridare tutto felice, ‘Italiaaaaa, Maradonaaaaaaa’!
E poi, volgendosi verso di me, continua questa simpatica cantilena -‘Maradonaaaaaaaaaa’-. Un sorriso a 162 denti compare sul suo volto mentre a tutta velocità lasciamo alle nostre spalle la stazione di Kagan.
…Bukhara, la suberba…
D’ accordo, Maradona è un mito senza confini, è conosciuto anche dai pinguini al Polo Sud, ma…ma ormai ha appeso le scarpe al chiodo più di ventanni addietro! Ma poco importa, pare estasiato dall’ aver udito la magica parola ‘Italia’, che sicuramente ha svegliato i suoi più lontani e piacevoli ricordi. E la cantilena nel frattempo continua… ‘Maradonaaaaaaaa’!
E’ simpatico e guardo a lui senza diffidenza, come solitamente succede quando salgo su qualche taxi in giro per il mondo. Pochi minuti di strada e siamo alle porte di Buqhara. Ci inoltriamo nei quartieri periferici, di epoca stalinista, una vista piacevole che nulla a che fare con le solite colate di cemento tipiche di quegli anni. E poi, giunti alle porte del quartiere antico, lo vedo parcheggiare ed indicarmi con la mano la strada che cerco. Dopo averlo salutato m’ avvio velocemente nello stretto vicoletto alla ricerca del B&B ma pochi passi e mi s’ avvicina un uomo. Mi dice qualcosa, che non capisco, ma questa volta anzichè liquidarlo con un ‘No Thanks’, domando lui ad alta voce: ‘Serrafon B&B!’. Mi guarda dubbioso, e poi scuote il capo.
‘- No here no here’-
Ottimo direi, iniziamo bene! Il tassista, che nel frattempo ancora non era ripartito, osserva tutta la scenetta e con incredibile gentilezza scende dall’ auto e mi raggiunge. Inizia a discorrere con l’ uomo, in una conversazione di cui non capisco pressochè nulla. Che si diranno? Contrattano il prezzo da pagare per il mio riscatto?
Pochi secondi e vedo il tassista farmi cenno di seguirlo, di risalire sulla sua auto che ci penserà lui a portarmi al giusto indirizzo. Sono incredulo, quest’ uomo che manco mi conosce si preoccupa della mia sorte! Se fossi stato in Italia….vabbè, lasciamo perdere! Ripartiamo a tutta velocità fin a giungere, 500 metri più avanti, ad una piccola piazzola dove sostano altri tassisti. L’ uomo scende dal veicolo e domanda informazioni ai colleghi. Poi risale e ripartiamo. Cento metri di strada e nuovamente scende dall’ auto, scambia qualche parola con un uomo e poi volgendosi mi fa cenno di scendere dall’ auto. Dovremmo essere arrivati al posto giusto. L’ uomo accanto a noi, Kremlintelefono alla mano, si mette in contatto con il personale del B&B, ma sfortuna vuole che non abbiano più disponibilità in camerata. Porca miseria! E ora, che fare? L’ uomo non vuole darsi per vinto e contatta un altro B&B, e questa volta pare abbiano posto per la notte. Il tassista, una volta assicuratosi che la situazione sta volgendo al meglio, mi saluta e senza nulla chiedermi s’ avvia alla sua auto. Sono piacevolmente sorpreso dal comportamento di quest’ uomo: avrebbe potuto abbandonare questo ragazzo al suo destino, infondo avevo già saldato il conto e lui sarebbe potuto andare alla ricerca di altri clienti. E invece niente di tutto questo: quando si è accorto di aver sbagliato a darmi informazioni, mi ha ‘ripreso’ con lui portandomi a destinazione. E non contento, mi ha accompagnato a piedi lungo la stradina pedonale ed una volta sicuro che io fossi in buone mani, solo allora mi ha salutato. Dove posso trovare tanta gentilezza? Forse non sarò abituato, forse vivo in un Paese dove ognuno pensa unicamente agli affari suoi, in un Paese dove la gentilezza è una virtù assai rara, dove si pensa solo a monetizzare. Quest’ uomo aveva fatto un tacito patto con se stesso: fin quando non aveva lasciato questo ragazzo a destinazione, non poteva dirsi conclusa la sua missione, il suo lavoro. Grazie.
Osservo con la coda dell’ occhio il tassista salire sulla sua auto, e velocemente scomparire dietro le case. L’ uomo a cui sono stato affidato, una volta terminata la chiamata, mi dice di continuare a camminare lungo questa strada pedonale perchè poco più avanti avrei incontrato un ragazzo con la maglia nera. Ma anche quest’ uomo…perchè tanto sbattimento per un ragazzo che neanche conosce? M’ avvio lungo la stradina avvolto da tali pensieri e dopo pochi passi vedo venirmi incontro un giovane. Mi saluta cortesemente ed insieme ci avviamo al B&B che sorge proprio li vicino. Varcata la soglia d’ ingresso sono immerso in un silenzioso cortile dove poco distante, su di un grande divano, è seduta comodamente una donna. A prima vista il B&B mi piace, la struttura è recente ed anche se una parte dell’ edificio è ancora da terminare, la sensazione è positiva. La donna, dopo i primi convenevoli, mi conduce alla prima stanza che può offirmi: bella e molto spaziosa, forse troppo per me. Cosa posso farmene di tutto questo lusso? Altra camera, questa volta al piano primo e decisamente più piccola: tre letti, televisore e bagno con doccia. Ottimo! Oltretutto sono padrone indiscusso della camera, siccome vi sono solo io. Il prezzo è accettabile e quindi…affare fatto! Non sono ancora le ore 16 ed ho già trovato un posto ove passare le notti a venire! Non potevo desiderare di meglio! Peccato non sia in perfetta forma fisica, anzi…
Non appena odo la porta chiudersi mi lascio cadere sul letto, senza forze, addormentandomi quasi subito. Sono in condizioni pietose, ho la febbre alta porca miseria! Quando mi sveglio sono un relitto, non ho neanche la forza/voglia di alzarmi. Non ci voleva cavolacci, oltretutto è un giorno che non mangio qualcosa di decente e con me non ho nulla, neanche una bottiglietta d’ acqua. Ho la primaria necessità di andare alla ricerca di un qualcosa da mettere nel mio povero pancino, devo sforzarmi di mangiare qualcosa. La voglia di rivestirmi e camminare è pari allo zero, ma devo trovare la forza dentro me stesso ed uscire. Fortuna vuole che a pochi passi dal B&B dove soggiorno vi sia un piccolo negozietto di alimentari dove faccio scorta di acqua e cibo. Torno in camera e distrutto cado in un lungo sonno che avrà termine solo il giorno a venire.
Dopo più di 14 ore trascorse nel mondo dei sogni, i miei occhietti s’ aprono verso le ore nove. Mi sembra di star meglio, durante la notte ho preso una tachipirina perchè altrimenti non sarei arrivato vivo alla mattina. Mezz’ oretta dopo essermi svegliato scendo nel piccolo cortile dove la donna, la padrona di casa, mi fa cenno di sedermi che in poco verrà servita colazione. Uova, frutta, wurstel…al solo vedere cibo mi vien male. Ho lo stomaco sottosopra, riesco solamente a bere due tazze di tè. Esco per le vie di Buqhara quando il sole deve ancora raggiungere il punto più alto nell’ azzurrismo cielo. Vado alla scoperta di questa bellissima città con il sorriso sulle labbra. Il mio B&B sorge in Bakhowuddin Nakshbandi kochasi, un nome semplice da ricordare…
Pochi passi dal mio alloggiamento ed improvvisamente s’ apre alla mia vista una deliziosa piazzetta alberata costruita attorno ad una vasca del 1620 ( la parola è tagika e significa infatti ‘attorno ad una vasca’ ). La piazza viene vissuta dalla gente del posto secondo antiche tradizioni ed è adornata da gelsi secolari e su di essa si affacciano importanti monumenti. Sul lato est si affaccia l’imponente facciata della Medressa di Nadir Divanbergi, nata come caravanserraglio e trasformata dal khan in madrasa nel 1622. La fascia in alto del portale d’ingresso è stranamente decorata ( dato il noto divieto islamico di rappresentare esseri viventi ) con due Simurgh ( cioè l’Araba Fenice ) che si fronteggiano, sotto le quali si vedono due cervi di foggia diversa e uno solo dalle fattezze umane in cima. Davanti alla madrasa è situata la curiosa statua di Hoja Nasruddin, un vecchio e folle saggio a cavallo di un asino, il cui nome è ricordato da fiabe e leggende di tutto il mondo. Molti bambini giocano attorno ad essa, mentre tutt’ attorno una quiete irreale ma assai piacevole persiste. Il tempo pare essersi fermato, l’ orologio sembra non abbia lancette in questo angolo di mondo.
Sull’altro lato della piazza sorge poi la Khanaka di Nadir Divanbergi che, come la medressa, prende nome dal ministro del tesoro di Abdul Aziz Khan, che ne finanziò la costruzione nel XVII secolo. Si tratta di un edificio religioso legato al mondo del Sufismo e che per secoli è stato l’edificio religioso più sacro della città. Infine, sul lato nord della piazza, infine, sorge la Medresa di Kukeldash, fatta costruire da Abdullah II, e che all’epoca era la più grande scuola islamica dell’Asia centrale.
E’ luogo di ritrovo questa piazza, sono molti gli anziani che si ritrovano nei tavolini all’ombra dei grandi alberi frondosi a giocare a carte, bere tè e fumare la sisha. Un angolo di Buqhara fantastico, magico, da cartolina. Un mondo dove fretta e stress, tipiche del mio mondo, sono due parole sconosciute. Questo luogo dona tranquillità al mio animo dopo una giornata, quella precedente, lunghissima, di spostamenti: treno, auto, bus e soprattutto una giornata in cui sono stato davvero poco bene, dove le forze mi sono venute a mancare.
Sereno e felice proseguo a passeggiare, godrò del relax che la piazza può offrire più avanti.
Cartina alla mano continuo a camminare seguendo le indicazioni della mappa. La passeggiata si dilunga in viette strette e silenziose, dove la mia ombra è l’ unica compagna . Quasi inaspettatamente s’ apre alla mia vista un luogo di spettacolare bellezza, in una Buqhara che pare regalar emozioni ad ogni angolo. E’ un posto suggestivo della città, anche e sopratutto perchè vi sono solo io. Nessun anima viva nei dintorni, un silenzio irreale m’ avvolge. Rimango affascinato da questa piccola piazza, circondata sui tre lati da piccole costruzioni. Accanto alla vasca s’ innalza il minareto Bala-Khaouz, e al suo fianco vi è la medressa di Gaukushan, che risale al XVI secolo e presenta una facciata non restaurata decorata con piastrelle di maiolica scheggiate. Rimango a deliziare la mia vista per diversi momenti, e poi riprendo il passo lasciandomi alle spalle questa bellissima piazzetta. La strada, man mano che procedo, diventa meno ‘turistica’ e quando inizia ad essere un po troppo ‘periferica’ decido di tornare sui miei passi. Avventurarmi nel labirinto della città vecchia, quella reale, la città di tutti i giorni, senza avere la minima idea di dove sono, non mi ispira molto viste anche le mie condizioni fisiche non ancora ottimali. Lungo la strada presto visita ad una galleria fotografica molto interessante, curata dallo stesso fogografo iraniano Shavkat Boltaev, e raffiguarante ebrei di Bukhara, zingari e scene di vita quotidiana. Un posto insolito. Giungo nei pressi della piazzetta dove sorge la moschea Maghoki -Attari ( pozzo degli erboristi ), la moschea più antica dell’ Asia centrale. Si tratta di un grandioso edificio che riesce ad armonizzare la facciata del IX secolo con le parti ricosBukharatruite nel XVI secolo. E’ a maggior ragione anche il luogo più sacro della città: sotto di essa negli anni ’30 gli archeologi trovarono frammenti di un tempio zoroastriano del V secolo distrutto dagli arabi e di un tempio buddhista ancora più antico. Quando iniziarono gli scavi era visibile solo il tetto della moschea, e l’ attuale piazza rappresenta il livello della città nel XII secolo. Sulla piazzetta, un settore degli scavi è stato deliberatamente lasciato a vista, anche se, a mio modesto parere, molto di più poteva essere fatto.
Attraverso ora la porta d’ accesso alla città vecchia, che non è altro che il Taki-Telpak, uno dei numerosi bazar al coperto. Fin dai tempi degli shaybandi la zona a nord e a ovest della Lyabi-Hauz era un vasto labirinto di vicoli commerciali, gallerie e piccoli mercati ai crocevia i cui tetti sormontati da numerose cupole erano stati progettati per convogliare l’ aria fresca. Oggi, purtroppo, i bazar esistenti sono solamente più tre e sono stati oggetto di una radicale ristrutturazione in epoca sovietica. I tre bazar sono il Taki-Sarrafon, il bazar dei cambiavalute, il Taki-Telpak Furushon , quello dei cappellai ed il Taki-Zargaron quello dei gioiellieri. Oltrepassato il bazar, mi spingo lungo Khakikat kochasi. Lungo la tranquilla stradina pedonale s’ aprono i soliti mille negozietti di souvenir e di piccolo artigianato locale. La quiete è di casa in questa città, grazie a Dio! Poco oltre vi è una piccola piazza dove campeggia una fontana particolare e a poca distanza un’ altra bella piazzetta s’ apre alla mia sinistra, uno degli angoli più importanti di questa città. Sorgono qui, l’ una in fronte all’ altra, la medressa di Ulugbek del 1417, la più antica di tutta l’ Asia centrale. Decorata con piastrelle azzurre è oggi non restaurata. Si tratta di una delle tre medressa fatte costruire da Ulugbek ( le altre due sono a Samarcanda e a Gijduvan ). La medressa versa oggi in cattive condizioni ma proprio perchè non ancora fatta oggetto di restauri, appare quella più vera, reale. In fronte, come detto, sorge la Medressa di Abdul Aziz Khan ed è occupata da negozi di souvenir. A chiudere l’ angolo a est si trova il bazar coperto del Taki-Zargaron. Pochi passi ancora e poi, quando meno me l’ aspetto, ecco comparire davanti ai miei occhi il minareto Kalon, la moschea Omonima e la Medressa Mir-i-Arab. Sono colto alla sprovvista da questa sublime immagine, da cartolina, e rimango senza fiato. Il cuore della Buqhara del passato è davanti a me, ai miei occhi, e si manifesta appieno nella sua bellezza. Smanioso di vedere, osservare, di ‘gustarmi’ questa bellezza, non perdo altro tempo e varco l’ ingresso della Moschea Kalon.
Bella, bellissima. Cosa dire di più?
Costruita nel XV secolo sul sito di una precedente moschea distrutta da Gengis Khan, è in grado di contenere 10mila persone. In epoca sovietica venne usata come magazzino…e solamente nel ’91 riaperta al pubblico.
Il cortile è silenzioso, molto grande, e al centro di esso svetta nel cielo un piccolo albero che porta con sé i segni dei secoli. I turisti chiassosi e maleducati infrangono con le loro voci questa oasi di pace, neanche fossimo al bar sotto casa. E guarda caso, sono italiani. Porca miseria, ma anche a queste latitudini devono rompere le scatole? Passeggio nel cortile osservando ogni piccolo dettaglio, dalle maioliche color azzurro cielo alle finestre in ferro battuto dai disegni particolari. Lentamente, dopo una rapida visita, le persone abbandonano il sito. Signore addobbate con vestiti costosi quasi fossimo a Milano moda, uomini con al polso orologi costosi e ai piedi le scarpe alla moda. Nonostante il caldo sia a tratti insopportabile, non rinunciano alla loro giacchetta D&G e tantomeno alla borsa ( grande come una valigia: ma cosa ci mettono dentro? ) LV. Gli uzbeki, giustamente, ci considerano solamente degli stupidi passare il nostro tempo a lavorare per comprare vestiti costosi. Nel nostro mondo conta apparire, non essere. Seduto a fianco a me vi è un anziano uzbeko, avvolto nei suoi abiti tradizionali. La sua lunga barba bianca mi fa tenerezza, mentre osserva il gruppo di italiani gridare come bambini e scattare foto alle mosche, nosche uzbeke sia chiaro! Ad un certo punto un uomo sulla quarantina gli s’ avvicina e senza domandare nulla inizia a fotografarlo.
Come se fosse un oggetto.
Infastidito, copre il suo viso con il palmo della mano, restando immobile. Ma il quarantenne ‘eroe’ italiano non vuole darsi per vinto, anzi, raddoppia: prende in consegna anche la macchina fotografica dell’ amico ( ancor più stupido ) e, alternandole, fotografa a più riprese l’ anziano. Dopo alcuni minuti si volta, e sembra tornare ‘vittorioso’ verso gli amici. Il povero signore torna ad osservare questa mandria di imbecilli, per non dire di peggio. Ma l’ italiano è furbo, noi italiani siamo gente furba, cavolo! Cinque passi verso gli amici e poi, di colpo, si volta e taccc: fotografia! A quel punto l’ anziano, consapevole che quando una persona è deficente in pieno non guarisce in pochi istanti, si copre nuovamente il volto e alzandosi s’ allontana. Lo seguo con lo sguardo trovare riparo dietro un muretto, lontano dagli occhi stupidi di noi occidentali. Mi sento schifato, umiliato. Inanzitutto perchè ho osservato la scena senza far nulla quando avrei potuto, o meglio dovuto, insultare il rozzo ed ignorante compatriota. Ed in secondo luogo perchè io stesso appartengo a quel mondo occidentale, cosi barbaro, cosi indegno a volte, cosi rozzo. Anche se i miei pensieri, il mio modo di ragionare e vivere è assai diverso da questa banda di coglioni.
Ma come si può? Come può un quarantenne, magari padre di famiglia, essere cosi stupido ed insensibile?
Come puoi metterti ad un palmo di mano da un uomo che neanche conosci e fotografarlo, senza neanche chieder lui la possibilità di farlo? Educazione e rispetto, parole sconosciute a molti. Rispetto per una persona anziana inanzitutto. Rispetto per la sua privacy, per il suo silenzio. Invece nulla, fotografato come se fosse un oggetto, come un cane, senza chiederne il permesso, come se per il suo essere uzbeko e anziano valesse meno di essere italiano. Sono disgustato da tanta ottusità.
Abbandono questi pensieri, che altrimenti portano a rovinarmi la giornata. Pochi minuti ancora e la pace torna sovrana, vi siamo solo io ed il silenzio di questa giornata. Vago nel grande cortile, senza meta, osservando tutto e nulla. La quiete viene frantumata dal rumore dei miei passi sulla nuda pietra. Scatto milioni di fotografie e poi, felice come il mondo, varco le spesse mura della moschea tornando alla vita quotidiana della città. Al suo fianco, come detto, s’ innalza al cielo quasi a voler sfiorar le nuvole, il minareto Kalon. Quando fu costruito da re karakhanide Arslan Khan nel 1127, il minareto era probabilmente l’ edificio più alto dell’ Asia centrale ( Kalon significa infatti ‘grande’ ). Si tratta di una struttura incredibile, alta 40 metri e con fondamenta profonde 10 ( comprese le canne ammucchiate al di sotto come prima forma di protezione antisismica ), che è sopravvissuta 880 anni senza restauri. Gengis Khan, ed io come lui, rimase talmente impressionato da questo minareto che ordinò di risparmiarlo. Le sue 14 fasce decorative, tutte diverse l’ una dall’ altra, testimoniano del primo utilizzo di piastrelle smaltate di colore azzurro che si diffusero in tutta l’ Asia centrale sotto Tamerlano.
Dopo una decina di minuti passati con il naso all’ insù, riprendo il passo, dilungando la mia passeggiata lungo la stradina che porta all’ Ark. Si affacciano sulla via diverse botteghe d’ artigianato locale ed il bazar dei tappeti. Pochi istanti di cammino e sono nella grande piazza dove sorge l’ Ark, una città regale all’ interno della città. Il Registan, questo il nome della piazza, era il posto ove avevano luogo le esecuzioni. Qui furono giustiziati anche i due ufficiali inglesi Stoddart e Conolly. L’ Ark è la costruzione più antica della città e fu abitata dal V secolo fino al 1920, anno in cui venne bombardata dall’ Armata Rossa. Ed oggi, purtroppo, l’ interno della cittadella è composta all’ 80% da rovine, non visitabili. Costeggio le spessissime mura fino a giungere all’ ingresso, lungo la parete nord della cittadella. Dopo aver affrontato la ripida rampa varco le spesse mura, non prima però di aver pagato un modico prezzo d’ ingresso. La cosa strana, e simpatica ( si fa per dire ), è che il biglietto d’ ingresso mi viene sequestrato appena pochi passi dopo averlo acquistato. Penso sia un normale e dovuto controllo, ma quando la donna mi dice che devo consegnarlelo, capisco che essa non ha nulla a che fare con la sicurezza. Pazienza, lascio il mio ticket d’ ingresso alla donna nella speranza che possa guadagnarsi qualcosa rivendendolo ad un altro turista. Giunto in cima alla stradina che porta alla piazza centrale dell’ Ark, vi è la Moschea Juma, che risale al XVII secolo. Le costruzioni in buono stato all’ interno della cittadella sono ancora molte, come gli alloggi del kushbegi, ovvero del primo ministro dell’ Emiro, e poi la parte più antica della cittadella, l’ ampia corte per le udienze e le incoronazioni, il cui tetto implose durante il bombardamento del 1920. L’ ultima incoronazione che ebbe luogo qui fu quella di Alim Khan nel 1910. La camera nascosta che si trova sulla parete destra era la sala del tesoro, dietro la quale c’ era l’ harem. Il soffitto in legno è lavorato magnificamente, anche se il tutto versa in cattive condizioni a causa del tempo. Il legno intarsiato pare cedere da un momento all’ altro, e ciò sarebbe una perdita grave per l’ intera umanità ( certo, ci sono cose molto più importanti a questo mondo, però…). Una fetta importante della storia che rischia di scomparire se al più presto non inizia un’ accurata opera di restauro. Intorno alla Salamhona ( la Corte del Protocollo ) s’ incontra ciò che resta degli appartamente reali. Questi appartameBukharanti dovevano essere caduti in un tale stato di degrado che gli ultimi due emiri preferirono risiedere a tempo pieno nel palazzo d’ estate. Oggi ospitano diversi musei, a cui non rinuncio la visita. Il più interessante illustra la storia di Bukhara dagli shaybanidi fino agli zar. La mostra comprende poi oggetti importati a Bukhara, tra cui un enorme samovar ( il recipiente utilizzato per riscaldare il tè ) fabbricato a Tula in Russia. In un altra sala vi è poi il trono dell’ emiro. Le povere donne dedite alla custodia e alla sicurezza delle opere ivi esposte, si lasciano andare a piccoli commerci. Anellini, braccialetti, collanine di produzione propria. Non rinuncio a fare qualche compera, pochi spiccioli in cambio di un ( loro ) grande sorriso. Vago da una stanza all’ altra, al fresco delle spesse mura dell’ edificio. La giornata è bellissima e molto calda, passeggiare sotto questo sole mette a dura prova le mie già poche forze.
Come sempre la curiosità mi spinge ad andare alla ricerca di qualche posto particolare, nascosto, anche se magari illegale…cerco quindi di oltrepassare il muro di cinta che delimita la cittadella da quella parte di Ark bombardato dai sovietici. Anche se nulla di particolarmente interessante si cela nell’ arido terreno, si può però godere di una bellissima vista sulla città. Intravedo solamente due cancellate, ovviamente chiuse a chiave. La mia speranza, come spesso succede in questa parte di mondo, è trovare qualcuno disposto, per pochi spiccioli, ad aprirmi la porta di accesso. Qualcuno che ‘metta in vendita’ la sua posizione influente in cambio di qualche banconota. Invece nulla, solamente turisti incuriositi con le loro macchine fotografiche grandi come bazooka. Non mi resta che osservare il panorama sulla città nuova, costruita durante il periodo sovietico.
La mia visita all’ Ark può dirsi conclusa. Ridiscendo la ripida stradina che porta alla piazza del Registan, al momento deserta. Oltre la strada s’ innalza al cielo la torre dell’ acqua, alta 33 metri, costruita dai russi nel 1927 e oggi in disuso. Secondo la mia guida è possibile, ‘ comprando ‘ il guardiano ( strano… ), salire in cima alla torre da dove la vista sulla città è superba. Mi soffermo per diversi istanti ad osservare la struttura, ma questa volta la vince la ragione sulla curiosità. La struttura è instabile a mio avviso, ferro arruginito che potrebbe cedere da un momento all’ altro e salire sarebbe una pazzia che potrei pagare a caro prezzo. Meglio lasciar perdere questa volta.
A breve distanza dalla torre dell’ acqua sorge la bellissima Moschea di Bolo-Hauz, luogo di culto ufficiale degli emiri, immersa nel verde dell’ omonimo parco. La moschea di Bolo-Khauz si staglia fra le tante bellezze della città per l’armonia delle sue forme e della sua architettura. Il legno è magicamente lavorato e dipinto, lasciando in me una profonda ammirazione per la capacità di usare tecniche all’ epoca all’ avanguardia, nonostante i tempi. Il complesso si completa oltre che con la moschea anche con lo splendido minareto, la cui costruizione terminò nel 1917, e per una vasca d’acqua, che rende ancora più originale l’intero luogo.
La mia passeggiata prosegue lungo M. Ashrafi kochasi, una stradina di periferia in cattivo stato. Inizialmente credo di aver smarrito la bussola, di essermi avventurato in un quartiere poco raccomandabile ma poi, colpito dai sorrisi delle povere persone che incontro lungo la strada, mi convinco a proseguire, ad andare avanti. Abbandonata la strada m’ immergo nel verde del bellissimo parco Samani, dove sorge il mausoleo omonimo. Completato nel 905, è uno dei più antichi monumenti musulmani della città da punto di vista architettonico.Cosruito per Ismail Samani, fondatore della dinastia samanide, per suo padre e per suo nipote, il mausoleo è caratterizzato da una elaborata muratura in mattoni di terracotta che cambia gradualmente ‘ carattere’ nel corso della giornata man mano che mutano le ombre e che nasconde mura spesse quasi due metri. Quelle stesse mura che hanno permesso all’ edificio di sopravvivere per 11 secoli senza restauri. Mi diletto a scattare diverse fotografie e nel mentre s’ avvicina una donna che s’ offre di farmi visitare il Mausoleo, al momento con le porte chiuse. Le sue intenzioni mi paiono poco chiare, e cosi, dopo aver ringraziato dell’ offerta, m’ allontano. Seguo con l’ occhio la donna camminare velocemente per poi sparire dietro la vegetazione. Proprio accanto al Mausoleo Samani sorge un parco giochi tutt’ ora funzionante. All’ improvviso, come colto da una visione fantastica, la mia vista cade… sulla ruota panoramica! Perbacco, la ruota panoramica! Chissà quale vista, chissà che panorama da lassù! Bhè, certo, è un pò datata come struttura…bhè, la sicurezza…bhè..ma che importa! Ho già rinunciato alla torre dell’ acqua, non posso rinunciare a tutto!
Prima di salire ‘nel cielo’ mi concedo un delizioso gelatino, e nel mentre osservo le persone passeggiare felici, con quel poco che hanno, che per loro è molto più di quello che io immagino. Sorrisi veri, sorrisi per quel dono chiamato vita, sorrisi in cambio di un sorriso. Il parco giochi offre diverse attrazioni, alcune ormai in disuso e altre alla soglia del pensionamento. La ruota panoramica è un ammasso di lamiere pericolanti, dove la manutenzione è affidata al caso e alla fortuna. Ma non voglio preoccuparmene e dopo aver comprato il biglietto alla cassa son pronto a prender posto nella cabina. Pongo particolare attenzione a non muovermi oltre al dovuto poichè ad ogni movimento odo uno scricchiolio inquietante. Ma poi, quando il mio sguardo volge al mondo sottostante, alla città che s’ apre alla mia vista in tutta la sua bellezza, questi piccoli dettagli non hanno più motivo di preoccuparmi e mi lascio coccolare da questa visione, da questo fantastico mondo chiamato terra. Il ‘viaggio’ dura alcuni minuti ed arrivo a terra sano e salvo. Ed anche molto felice!
La giornata è stata fin’ ora molto lunga, ma le mie condizioni sono in netto miglioramento anche se questo caldo afoso mi divora le forze. Riprendo la passeggiata, in direzione Ark. Questa volta passeggio lungo la stradina che andavo cercando all’ andata, un bel viale pedonale che attraversa il parco Samani. Giunto a fondo del viale alberato, la mia vista resta ammaliata dalle due bellissime medressa Abdullah Khan e Modari Khan. Il primo, A.Khan era il sovrano shayabanide mentre la seconda medressa porta il nome della madre. Sono due medressa di imponenti dimensioni, quella di Abdullah versa in cattive condizioni mentre quella di Modari è in uno stato di conservazione decisamente migliore. Essendo fuori dal circuito turistico le due medressa paiono lasciate al loro destino, alle intermperie del tempo. Il silenzio avvolge questa piccola piazza dai colori contrastanti: l’ azzurro del cielo con il beige delle medressa. Un silenzio assai piacevole, quasi irreale. Il caldo della giornata mi convince a tornare in camera per un meritato riposo. Devo razionare al più possibile le mie già poche forze.
Faccio ritorno alla piazza dell’ Ark e da qui raggiungo il B&B. Sono stanco, e soprattutto denutrito! E’ quasi un giorno e mezzo che non mangio: urge al più presto un pasto completo e nutriente. Mezz’ oretta di riposo sdraiato sul mio letto e poi posso riprendere la via della città, camminando liberamente senza meta alcuna. La brezza di questa giornata s’ infrange sul mio viso rinfrescando la pelle accaldata. Passeggio avvolto nei miei pensieri, nelle mie speranze e nella realtà di questa giornata.
A poca distanza dal B&B sorge un’ agenzia di viaggi che potrebbe essermi di grande aiuto. Viste le mie condizioni fisiche -non sono ancora al pieno delle forze- un tour de force è la cosa che meno m’ aggrada. Raggiungere la capitale Tashkent in treno sarebbe una pazzia che potrei pagare a caro prezzo. Otto ore di viaggio: al solo pensarci mi prende male. La mia mente ricorda perfettamente il viaggio da Samarcanda a Bukhara, ore d’ inferno a causa della febbre. Vado alla ricerca di una soluzione alternativa, anche a costo di sborsare molti più soldi rispetto alla tratta ferroviaria Bukhara-Tashkent. Quando entro nel piccolo stanzino dell’ agenzia scorgo un uomo minuto, indaffarato tra i mille papiri e carte che quasi lo sommergono. La mia speranza è di trovare un modo per raggiungere la capitale nel minor tempo possibile. L’ uomo ascolta, osserva il monitor del computer più volte, scarabocchia su di un foglio, mi osserva con un aria sospetta da psicologo, telefona. Quando riattacca la cornetta, un sorriso compare sul suo volto. E’ soddisfatto. Esiste un volo dell’ Uzbekistan Airways che collega Bukhara alla capitale e, cosa assai positiva, è a buon prezzo! Ottimo! Sono molto felice, il mio animo è ora sereno dopo giorni di paura. Rimango d’ accordo con quest’ ometto buffo che il giorno seguente passerò a prenotare il volo. Ma sono perfido, le mie intenzioni son ben altre. L’ aeroporto sorge a poca distanza dal centro città e sicuramente acquistando il biglietto direttamente al desk della compagnia risparmierò qualcosa. Un sorriso grande grande compare sul mio volto mentre passeggiando osservo le mille bancarelle lungo la via. Mille mercanti, mille oggetti abilmente lavorati, in legno, pietra, argilla. Oggetti prodotti dalle abili mani degli usbeki che riescono a creare quello che molto spesso una macchina non è in grado di fare: l’ originalità, la qualità, l’ unicità del pezzo. Poco oltre il bazar Tak-i-Telpak la mia vista è ammaliata da alcune insegne colorate che riproducono pietanze incredibilmente gustose. Vista la fame che porto dentro me, sarei in grado di mangiare fors’ anche i pannelli pubblicitari, oltre, ovviamente, all’ oste. Sono molte le ore trascorse senza un pasto decente, la febbre aveva azzerato il mio appetito. Il titolare, seduto poco distante, nota la mia ‘ubriacatura’ e s’ avvicina a gran passo con un sorriso grande come il mondo. Mi lascio ‘guidare’ dalle sue parole, dalla sua gentilezza, mentre ancora son impalato ad osservare queste favolose pietanze. Il locale è posto nel seminterrato dell’ edificio e dopo alcuni scalini arrivo nella grande sala da pranzo. Una stanza grandissima, moltissimi tavoli, tutti tristemente vuoti. Solo io, unico cliente.
D’ accordo sia ancora presto per cenare, ma trovarmi solo in questa immensa sala m’ innervosisce. Una stanza molto ben arredata, tavoli imbanditi elegantemente, pare proprio un ristorante di classe. Bene, sono capitato nel posto sbagliato. Osservo il menù con molta attenzione ma ovviamente comprendo ben poco di quello che vi è scritto. Mi lascio guidare dai consigli del titolare, dalla sua esperienza ( nel fregare i turisti…). Osservando il prezzo delle pietanze da lui consigliate, acconsento alla sua proposta: non dovrei spendere una gran somma. Mangio discretamente bene, anche se il secondo non è cosi abbondante come immaginavo. Mentre sto terminando di mangiare inizio ad avvertire, senza saperne il motivo, la fregatura. Che puntualmente arriva. Quando mi viene servito il conto…et voila! Pane, coperto…e anche il servizio al tavolo! A questo punto potevano anche farmi pagare l’ aria respirata! Terrore: avrò abbastanza denaro con me? Le mie dita scivolano lentamente sulle banconote…una, due, tre…tentenno e poi proseguo…quattro, cinque…Ma il buon Signore questa volta mi viene incontro: ho con me abbastanza contanti per saldare il conto, anzi, ho giusto giusto la cifra esatta! Fregatura colossale: più di 15 euro per una portata unica, non cosi abbondante oltretutto. Ho pagato anche per tutte le persone che non c’ erano in sala molto probabilmente…Saluto, un buon vaff… e sorridendo, torno alla vita della città. Sono parecchio seccato, non per quanto speso, ma perchè l’ essere preso in giro è cosa a me non gradita. D’ accordo l’ esser occidentale, ma questo non vuol dire che possano ‘fregarmi’ a loro piacere ogni volta!
Il buio avvolge ora la città, la brezza della sera mette i brividi alla mia pelle accaldata ed il silenzio torna regnante come ogni sera. Torno al B&B a bere un buon tè caldo e poco dopo sono nel mio lettino a leggere e scrivere.
Il giorno seguente è il penultimo in terra uzbeka. Lo dedico al relax, alla tranquillità. Passeggio serenamente nelle strette vie della città vecchia dove i profumi ed i colori si mischiano in un armonioso vivere. Verso le dieci raggiungo con un taxi l’ aeroporto, che si trova a pochi chilometri dal centro città. E’ una costruzione piccola, semplice. All’ ingresso vi sono alcuni agenti di polizia che mi salutano cortesemente. Uno di essi, il più giovane, s’ avvicina stringendomi forte forte la mano, quasi fosse felice d’ incontrare un turista arrivato da chissà quale mondo lontano. Domando informazioni ad una signora nella speranza che possa comprendere le mie parole. Osserva un fogliettino sparso tra i mille sulla sua scrivania, e scuotendo la testa m’ avverte che nessun volo il giorno a venire avrà destinazione Tashkent. Svengo. Ma come è possibile? Osservo lo sguardo della signora con un velo di tristezza, quasi ad impietosirla. Riprende a scrutare fogli e fogliettini e, come colpita da un’ intuizione improvvisa, la vedo illuminarsi il volto: ma si, certo, un volo decollerà proprio domani verso la capitale! Sospiro di sollievo! M’ accompagna al desk della compagnia e spiega alla giovane ragazza allo sportello le mie intenzioni. Mi saluta e raggiunge nuovamente la sua postazione poco distante, scomparendo dietro ai mille foglietti e fogliettini. Allo sportello ci sono diverse persone in attesa di parlare con la ragazza e siccome sono l’ ultimo arrivato, m’ allontano, in attesa del mio turno. Quando, alzando lo sguardo, vede che m’ allontano, mi chiama a gran voce. M’ avvicino, curioso di sapere cosa vuole. In pratica…passo davanti a tutti, pur essendo arrivato per ultimo vengo servito per primo: quasi me ne vergogno… Le persone a fianco paiono non preoccuparsi, nessuna lamentela, nessuno che s’ arrabbia. Se fossi stato al mio Paese chissà quanti insulti…
La ragazza controlla il terminale, mi pone mille domande. Ho la grandissima paura che su quel volo non vi sia più disponibilità…sarebbe per me una tragedia! Anche lei ( ma è abitudine da questa parti? ) diventa scura in volto, osserva più volte lo schermo del computer, scuote la testa, scrive…ma poi, ad illuminare il mio volto, una semplice domanda: ‘passaporto per favore!’. Grande, c’è posto! Il prezzo del biglietto, come immaginavo, e inferiore a quello dell’ agenzia, anche se di poco. La fortuna mi vien incontro per la seconda volta in pochi minuti: i dollari in mio possesso bastano, per poco, a coprire il prezzo del biglietto aereo. Due dollari in più e sarei stato incredibilmente fregato. Avevo con me 60 dollari, il biglietto ne costa 58! Quando la ragazza mi consegna il biglietto cartaceo…qual felicità! Saluto e sorrido a tutte le persone che incontro, sono davvero molto, molto felice!
Se avessi dovuto raggiungere la capitale in treno, il viaggio si sarebbe trasformato in un’ odissea. Uscito dall’ aeroporto noto un giovane tassista in attesa di clienti: pare simpatico. M’ avvicino a lui mentre grottescamente mi saluta, sorridente come una pasqua. La sua auto è un modello preistorico, le nostre 127 Fiat erano già proiettate nel futuro in confronto a quest’ ammasso di lamiere. Ma il giovane è un ragazzo intraprendente e ha saputo trasformarla tamarrissimamente! Partiamo a folle velocità, che per quest’ auto vuol dire i 35 km/h. Il motore romba come un auto da formula uno mentre dall’ autoradio, uno strano marchingegno collegato ad un cellulare, esce una musica troppo underground. E’ troppo avanti questo giovane pazzo! Guida come un matto, è allegro ed il suo sorriso mi contagia, sembra felicissimo anche se non ne concepisco il motivo. Mi dona felicità, questa è davvero una bellissima giornata anche senza apparente motivo! E proprio vero che le cose più belle sono anche quelle più semplici, come un sorriso vero, sincero. La sua autoradio pompa a tutto volume mentre l’ aria s’ infrange sul mio viso. Lungo la strada sostiamo per accogliere due giovanissimi ragazzi che nel vedermi fanno a gara a chi pone più domande. Da dove vieni, come ti chiami, ti piace Bukhara…sembrano felici d’ incontrare un giovane giunto da un mondo lontano, per chilometri e stile di vita. Ci avventuriamo nelle vie della città quasi a caso, e sono sicuro che il giovane non ha capito dove io sia diretto. Mi aveva visto, si era incuriosito e mi aveva caricato! Spiego a lui e ai due giovani dove voglio andare e dopo un breve confabulare tra loro, dicono ad alta voce: Sarrafon! Esatto, va benissimo quel posto!
BukharaGiungo a destinazione sano e salvo e dopo aver salutato questi tre strambi giovani, m’ avvio verso la camera dove preparo la valigia. Sono rilassato come non mai, il mio viaggio di ritorno è organizzato, anche se all’ ultimo istante. Sarà un viaggio lunghissimo che mi porterà a prendere ben tre voli aerei: Bukhara-Tashkent, Tashkent-Riga, Riga-Bergamo per ore e ore sopra le nuvole.
Felice come un bambino davanti ad un buon gelato, m’ avvio verso il B&B dove rimango fino a pomeriggio inoltrato. Preparo le ultime cose, quei dettagli che mai bisogna dar per scontato anche se all’ apparenza di poco conto.
E poi riposo, ne ho bisogno. E’ stata una vacanza lunghissima, e il viaggio di ritorno sarà una vera odissea, fatta di voli, di aeroporti, bus e quant’ altro. Un giorno e mezzo per tornare alla mia amata casetta.
Intorno alle ore sei esco per le vie di Bukhara, assaporando per l’ ultima volta la tranquillità di questo mondo lontano e cosi diverso dal mio. E forse, migliore. Passeggio senza meta nè destinazione, a caso, lasciandomi guidare dall’ istinto, dalla voglia di vivere appieno questi momenti, voglio assaporare ogni secondo di questa giornata. Dentro me vivo sentimenti contrastanti, come spesso accade prima di tornare. Sono felice e conto i minuti che mi separano dalla partenza, dal tornare dalla mia famiglia e da Cristina. Ma dall’ altra muoio di tristezza: abbandonare questi posti, questi luoghi cosi magici, dove la vita scorre tranquillamente e dove i valori, i valori veri, sono ancora importanti. Osservo le persone passarmi accanto, osservo la loro felicità, anche se privi di iphone e ipad. Ne esco sempre più consapevole che la ricchezza crea un’ insoddisfazione ed un infelicità direttamente proporzionale al suo essere. Ci distoglie dalle cose importanti, quelle che donano un’ impagabile senso di contentezza, di appagamento. Amicizia, famiglia, sentimenti…il dio denaro ci distoglie da tutto ciò, e più abbiamo, più vogliamo. In un vortice senza fine.
Arrivo al minareto Kalon, dove mi siedo ai piedi della medersa Mir-I Arab, dove tempo pare essersi fermato in questo angolo di mondo. Ogni minuto è uguale all’ altro, ogni ora ed ogni giorno. Ma ogni minuto, ogni ora, è cosi tremendamente diversa dall’ altra. Siamo noi che dobbiamo dare un senso alle cose, e non viceversa. Per questo motivo queste persone, questi giovani, vivono apertamente la loro vita, senza inventarsi mille problemi fasulli. Bulimia? Anoressia? Psicologo? Sono tutti problemi che la ricchezza porta con appresso, attratti da un mondo falso dove conta apparire, e non essere. Questa è la ricchezza. Viviamo meglio noi? Ne siamo sicuri? Io no.
Poco distante un bambino gioca con il suo aquilone, attratto dal quel pezzo di tela che vola alto nel cielo azzurro. Quel pezzo di tela, insignificante tela, che regala emozioni gratuite, che fa volare la fantasia del bambino a chissà quali mondi lontani. I suoi occhi sprizzano felicità, è allegro. E la sua allegria mi contagia. E forse il primo giorno ( qui in Uzbekistan ) che mi fermo ad osservare queste persone. E stato un viaggio passato all’ insegna dell ‘osservare, vedere, conoscere’. Vorrei trascorrere più tempo ad osservare le persone, il loro modo di vivere e la loro capacità ad essere felici spontaneamente, senza tanti grilli per la testa. Altri bambini giungono in sella alle loro piccole biciclette, giovani e grandicelli. E tutto un correre, un giocare privi di qualsiasi giocattolo, un gioco creato dalla loro fantasia e che li rende felici. E poi un papà, con il suo pargolo, giocare a pallone felicemente. Quanti papà trovano ancora il tempo di giocare a pallone con il loro figlio, nel nostro mondo? Quanti?
In fronte al minareto Kalon, dalla parte opposta della strada, sorge un ristorantino davvero carino. Immagino abbia dei prezzi assurdi, e cosi chiedo solamente di poter scattare alcune fotografie dalla terrazza panoramica al piano terzo. La vista che si apre davanti ai miei occhi è davvero fantastica e abbraccia in un panorama da cartolina la Moschea Kalon e la Medressa Mir-I-Arab.
Passeggio ora tranquillo, spensierato, raggiungo l’ Ark. Rimango diversi istanti nella grande piazza dove si ergono le imponenti mura della Cittadella. Altri bambini giocano a palla, una coppia di fidanzatini passeggia mano nella mano mentre il cielo tende al rosa della sera. Che cielo fantastico! Chissà che vista dal ristorantino, ammirare il tramonto da lassù sarebbe uno spettacolo incredibile! Ma pazienza, mi limito a passeggiare nella piazza desolata, dove il silenzio viene frantumato dalle grida dei giovani ragazzi: goal!
Faccio ritorno al B&B dove chiedo alla signora se gentilmente può prepararmi un buon tè caldo. Mi siedo al tavolo ed inizio a scrivere il resoconto della giornata sul mio inseparabile diario. Il buio è calato velocemente sulla città. La signora, padrona dell’ edificio, m’ invita a sedere accanto a lei, dove è in compagnia del marito. Beviamo un buon tè insieme mentre iniziamo a discorrere piacevolmente. E’ una donna intelligente, buona. M’ offre frutta e dolciotti mentre racconto della mia terra lontana. Quando avverto il fresco della sera ritorno in camera, per la mia ultima notte in Uzbekistan. Devo godere di queste ore di riposo, domani sarà un giorno assai lungo e particolare.
Mercoledi 31 agosto è l’ ultimo di questo lungo viaggio che mi ha portato a visitare e conoscere due splendidi paesi. Mi sveglio presto ma rimango sotto le coperte ancora per una mezz’ oretta. Penso alla mia sfortuna per non aver goduto di buona salute in questi giorni di Uzbekistan, che mi hanno fatto cambiare i programmi all’ ultimo. Ho dovuto rinunciare a Khiva, per svariati motivi, e questo mi dispiace assai. Ma alla fine è andata bene cosi, mi sono goduto appieno Samarcanda e Bukhara. M’ alzo verso le dieci, sistemo le ultime cosette, e dopo aver fatto colazione faccio ritorno in camera a riposare. Verso le due esco per la mia ultima passeggiata a Bukhara. Cerco di cambiare gli ultimi 5 euro che ho con me, siccome privo di Sum. La signora maneggia molte volte questa banconota da 5 euro, la guarda, la riguarda, ma poi quasi dispiaciuta non può cambiarla perchè, a suo dire, è leggermente strappata sul bordo. Pazienza, cercherò di barattarla in centro città. Ho parecchia fame, oggi sono in perfetta forma ed i malanni dei giorni addietro sono soltanto un brutto ricordo. Salgo al ristorante Kalon e domando se è possibile pagare in euro. A risposta affermativa compare sul mio volto un sorriso grande come il mondo, fors’ anche più grande! Siedo felicemente ad un tavolo con vista eccezzionale sulla Medressa. Osservo il menù ma siccome capisco poco ordino le stesse pietanze dei due signori accanto a me, accompagnate da una bella brocca di birra. Mangio e soprattutto bevo che è un piacere. Rimango moltissimo tempo, forse un paio d’ ore, seduto ad osservare questa visuale da cartolina. Ma poi il tempo, che è volato in questi frangenti, mi richiama all’ ordine. Il conto è poca cosa, e se penso alla ‘fregatura’ incassata qualche giorno prima da quel ristorante…che rabbia! Ma è cosi, non si può sempre immaginare e saper tutto. Passeggio lentamente, come a scolpire indelebilmente questi ultimi fotogrammi nella mia mente. Lungo la via verso il B&B mi lascio andare a qualche acquisto che prosciuga letteralmente il mio portafoglio. Saluto la signora del Sarrafon, che cosi tanto gentile si è dimostrata, e messo sulle spalle il mio pesante bagaglio, prendo la via dell’ aeroporto. Giungo con notevole anticipo, ma la paura di perdere il vole è davvero molta! Al momento l’ aeroporto è semideserto, ma lentamente va riempendosi. Penso di essere uno dei pochissimi occupanti del velivolo, invece è al completo! La compagnia dell’ Uzbekistan Airways utilizza boeing nuovi di zecca, e questa soluzione, poco costosa, viene preferita spesso al trasporto ferroviario. Partiamo ed atterriamo in perfetto orario a Tashkent. E ora viene il difficile, attendere sette ore in questo piccolo aeroporto che nulla ha da offrire. Mi svacco, cercando di riposare, cosa peraltro impossibile. Accanto a me, che destino! le due donne e l’ uomo con cui avevo condiviso lo spettacolo al Festival di Samarcanda! In un modo o nell’ altro il tempo scorre e finalmente viene aperto il chek-in. Compilo il solito formulario, ovviamente sbagliandolo! Mentre lo ricompilo osservo una delle due donne occidentali ( incontrate a Samarcanda ) andare su tutte le furie, dare in escandescenza. Dopo aver sbagliato a compilare per l’ ennesima volta il formulario, complice la stanchezza e la sua maleducazione, va su tutte le furie, si agita, lancia matita e foglio alla povera donna in servizio. Una scena piuttosto squallida: le leggi esistono per essere rispettate, e se quel foglio deve essere compilato, è giusto che venga compilato nel modo giusto. Se poi si tratta male urlando ad una persona che nulla c’ entra, che si trova in quel posto solo per lavorare, allora dimostri davvero di essere ignorante. E questa donna, ovviamente occidentale, si è dimostrata incivile ed arrogante. Sgomento.
Compilato in giusta maniera il formulario, oltrepasso finalmente il primo posto di controllo ma non appena il mio piede poggia a terra, un uomo arresta il mio passo facendomi cenno di seguirlo. Cazz vuole questo qui? Sostiene che è tenuto a controllare i miei bagagli, cosa si cela in quello zaino grande come una montagna. Chiuso in uno stanzino, io lui ed una donna che osserva la scena, mette le mani ovunque senza però tirar fuori nulla, anzi, facendo molta attenzione a non fare disordine dentro allo zaino. Quando scorge alcune banconote ( pochi dollari, qualche euro, necessari alla mia sopravvivenza ) mi dice che non posso esportare valuta. Ma è la mia, cavolo, di valuta! Mi vedo già dietro le sbarre, osservando il suo volto cupo e pensieroso. Ma poi mi sorride, per questa volta posso andare! Ma alla prossima sarà inflessibile, dice! E certo, io in Uzbekistan ci torno di nuovo in questi giorni, eccome! Finalmente, superato anche questo controllo ‘rigoroso’ posso finalmente imbarcarmi ed in poco, con mia grande felicità, l’ aereo decolla nei cieli della capitale quando sono quasi le quattro di notte.
Giungo a Riga alle prime luci dell’ alba e siccome il volo per Milano decollerà nel tardo pomeriggio, mi concedo una veloce visita alla capitale. un cielo cupo m’ accoglie, sembra voler piovere da un momento all’ altro. Passeggio per i vicoletti della città, ricordo perfettamente strade e stradine del centro storico. Sono passati 4 anni dalla mia visita alla capitale lettone, ma nulla è cambiato, ed io, godendo di buona memoria visiva, riesco a muovermi liberamente, senza cartina. Riga, sempre bella, bellissima. Trascorro ore piacevoli, un velo di malinconia mi prende a pensare quanto il tempo passa velocemente, a quanti giorni, ore, minuti, son passati da quelle caldi giornate d’ agosto di quattro anni addietro. Improvvisamente, inizia a scendere qualche goccia proprio quando ho terminato la mia visita. Ed è per puro caso che riesco ad arrivare al museo del Comunismo nel momento in cui cade sulla capitale un acquazzone incredibile. Venti minuti, un nubrifagio. Mi riparo al di sotto della struttura che ospita il museo, come molte altre persone. E poi, quando l’ acqua smette di cadere ed il cielo par aprirsi, riparto verso l’ aeroporto. Ancora molte ore, e poi sarò a casa.
Casa dolce casa.
Cosa posso dire dell’ Uzbekistan? Molte cose, moltissime cose. Sicuramente non ho abbastanza spazio per descriverne le bellezza, forse le parole non riescono a spiegare quel fantastico che avvolge il paese. Samarcanda, Bukhara, la mia fantasia volava alto, ma la realtà l’ ha superata. Un paese dove cortesia, simpatia, altruismo sono qualità di ogni usbeko. Ho conosciuto persone fantastiche, altruiste, speciali. Mi hanno aiutato, coccolato, mi hanno fatto sentire a ‘casa’, nonostante fossi un occidentale che per curiosità andava a guardare ed osservare la loro vita, onesta vita. L’ invidia, da queste parti, è una parola sconosciuta. Si sono dannati l’ anima per rendermi la vita semplice, evitarmi intoppi, grattacapi. Sono stati, in una parola sola, fantastici.
Grazie, Uzbekistan!
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