di Eno Santecchia –
Dopo essere partito a piedi da Macerata, un maratoneta treiese, in cinque mesi, ha attraversato nove nazioni, l’Europa orientale e l’Asia per raggiungere Pechino, sulle tracce di un grande gesuita marchigiano del XVI secolo.
Premesse
Il maratoneta Francesco Galanzino ha definito la via della Seta “un poetico inferno”. È costui il primo uomo al mondo ad aver percorso quattro gare di corsa a piedi (in autosufficienza), in meno di un anno, le steppe del Gobi in Cina, i laghi salati di Atacama in Cile, le dune e le piramidi egiziane e i ghiacci del polo Nord. Inoltre egli è stato testimonial della campagna “Energia e clima” di Greenpeace.
In un’area così vasta, che va dall’oceano Pacifico al mar Nero, i conflitti sono stati frequenti; tuttavia, per quanto riguarda la sicurezza di quell’itinerario, mi piace citare Stefano Malatesta il quale nel suo libro (cit. in bibliografia) ricorda che sotto la pax mongolica (XIII – XIV secolo) si diceva che l’intero impero poteva essere attraversato senza danni da una bella donna vergine carica d’oro.
La via della Seta non è stata un itinerario unico di circa 8.000 km; esistevano tre percorsi: quello settentrionale, quello meridionale e quello marittimo, con numerose ramificazioni e percorsi alternativi, quindi è più corretto definirla un fascio di vie carovaniere. La denominazione “via della Seta” apparve nel 1877, per opera del geografo tedesco Ferdinando von Richthofen, e solo verso la fine di quel secolo si conobbero con esattezza i suoi itinerari.
Nell’enciclopedia “Conoscere”, avevo letto da bambino di Giovanni da Pian del Carpine (1182 ca. – 1252), il primo inviato europeo in Oriente (1245), che cercò d’intraprendere relazioni diplomatiche. Il frate minore umbro raccontò le vicende del suo viaggio nel libro Historia Mongolorum. Come il nostro protagonista, quel francescano passò a nord del mar Caspio, e poi nei pressi del lago d’Aral, all’epoca nella sua ampia dimensione.
Colgo l’occasione per rendere omaggio all’orientalista maceratese Giuseppe Tucci (1884-1984), il quale, durante le sue spedizioni dirette in Tibet, Nepal, India, Pakistan e Afghanistan, percorse in parte quelle piste sterrate.
Ascoltare viaggiatori mi ha affascinato sin da piccolo, particolarmente quelli diretti in Oriente; dunque, anche se in ritardo, mi appresto a rendere merito a questo evento, una via di mezzo tra un’impresa sportiva e un pellegrinaggio.
Tratteggiato brevemente lo scenario, andiamo a vedere il protagonista, anzi i protagonisti, perché contano anche i collaboratori e coloro che hanno fornito supporto, come si dice nella notte degli Oscar: attori non protagonisti!
Il Maratoneta di Dio
Martedì 25 settembre 2007 ho avuto il piacere di avere ospiti (cena a casa mia) il podista e maratoneta treiese Ulderico Lambertucci e il suo accompagnatore, Ferdinando Stacchiotti, reduci da un memorabile viaggio a piedi dalle Marche in Cina. Buona opportunità per farsi raccontare qualche retroscena e curiosità, magari non riportati nel loro volume fotografico “In corsa per la pace”, pubblicato nel 2007. Sfogliando quel volume, più che un viaggio vero è proprio appare una performance sportiva. Ho aggiunto qualcosa che mi sarebbe piaciuto ammirare, non toccato da quella “spedizione”. Un conto è averne letto sui media e un altro aver conosciuto personalmente i protagonisti e aver ascoltato le loro emozioni a voce, tra una portata e l’altra.
A piedi dalle Marche alla Cina
Ulderico è un sessantenne dal fisico asciutto e dalla grande forza fisica e morale. La prima gli deriva da una vita attiva e un regime alimentare sano, l’altra dalla sua fervente fede cattolica. Ferdinando è un uomo allegro, disponibile, simpatico, che infonde buonumore. Ferdinando era autista e addetto alla gestione del camper. Il prof. Antonio De Biasio, di Pordenone, era interprete di cinese; il giovane albanese Zamir Dekavelli svolgeva le mansioni di cuoco, addetto agli approvvigionamenti e cameraman.
Non mancano i soliti maligni che ancora oggi esternano seri dubbi sull’effettiva percorrenza a piedi di tutto il percorso, e suppongono che Ulderico abbia percepito chissà quali importi a compenso.
A costoro Ulderico risponde: “Per zittire queste persone l’ultima camminata da Los Angeles a New York è stata tutta registrata con un navigatore satellitare Garmin. In pratica ho percorso 4.623 km in 63 giorni, a una media di 73,4 km al giorno, nettamente superiore a Macerata – Pechino e a Roma – Gerusalemme. Questa è stata una camminata prettamente sportiva, nella quale dovevo dimostrare ciò che riuscivo a fare. Mario Lattanzi svolgeva il ruolo di giudice provinciale, controllando giornalmente il Garmin satellitare che registrava anche calorie, battiti cardiaci, velocità, ecc.”.
La realtà del viaggio in Cina è: l’itinerario stabilito è stato percorso interamente sui suoi piedi e sulle sue gambe, e l’impresa non è stata assolutamente conveniente, tanto che Ulderico ci ha rimesso di tasca propria la somma di circa 50.000 euro!
Passo dopo passo
Il 4 febbraio 2006 Ulderico si avviò da Treia (MC), ma la partenza ufficiale avvenne nella vicina Macerata. La spedizione ebbe la benedizione dell’arciv. di Loreto Angelo Comastri (oggi cardinale) e una statuetta della Madonna di Loreto, che Ulderico lasciò sulla tomba di padre Matteo Ricci.
Il gesuita maceratese padre Matteo Ricci (1552- 1610), quattro secoli prima, si era recato missionario in Cina, diventando pioniere e protagonista di un dialogo interculturale, riuscendo a introdurre la religione cattolica. Era chiamato dai cinesi Xitai Li Ma dou (il maestro del grande Occidente). La Regione Marche gli ha intitolato “Palazzo Li Madou”, una delle sedi regionali, ad Ancona.
Ulderico evidenzia che p. Matteo Ricci aveva portato nel celeste impero orologi, prismi, carte geografiche e varie conoscenze scientifiche. Fu considerato uno scienziato e un buon diplomatico. Di recente è stato fatto “riemergere” dalla Chiesa. All’epoca, per non essere ucciso o cacciato, dovette dire: “Dio è il Re del Cielo e l’Imperatore è della Terra”. Ritengo che affermazioni del genere non passassero di certo inosservate all’Inquisizione.
La prima sosta del “camminatore di Dio”, com’è stato soprannominato Lambertucci, fu al santuario mariano di Loreto (AN).
Fino al confine cinese, l’itinerario è stato il seguente: Gorizia, Postumia (grotte), Lubiana, Varaždin (Croazia), Ungheria meridionale, Nagykanizsa, Kaposvár, Dombóvár, Szegvár, Szeged, Nǎdlac, Romania, Arad, Deva, Sibiu, Vulcăneşti (Moldavia), Odessa (Ucraina meridionale), Mykolaïv (Nikolajev), Mariupol (Est Ucraina), Taganrog, Rostov, Astrachan, Atyrau (Kazakhistan), Maqat, Emba, Shalkar, Aralsk, la base spaziale Baikonur, Qyzylorda, Šymkent, Taraz, la vecchia capitale Almaty, Korgasyn al confine.
A Rostov, nella piazza antistante al municipio, Ulderico fu ricevuto dal ministro provinciale dello Sport. In città visitò il museo e accese “un falò per gli eventi straordinari”: l’ultima volta era stato usato in onore dell’astronauta Yuri Gagarin.
Lungo la via della Seta Nord
Chiedo a Ulderico: “Perché ha scelto di passare al nord del mar Caspio?”.
“Per non imbarcarmi a Baku e attraversare in nave quel tratto di mare, largo circa 260 km”.
L’itinerario scelto non interessò la misteriosa Bukhara, la leggendaria Samarcanda e altre città ricche di storia comprese nel percorso principale.
Ulderico vide da lontano il (disastrato) Lago di Aral, attraversò il Tagikistan, il Kazakistan con i suoi numerosi pozzi petroliferi. A Korgas incontrò il confine cinese e imboccò il tracciato della via della Seta nord. Il professor De Biasio aspettava a quel confine, dove Ulderico arrivò intorno alle ore 11.30 del 5 giugno. De Biasio lo avvertì che nel deserto del Gobi le tormente di sabbia sono forti e frequenti, tanto da impedire il cammino. Quattrocento ventitré anni dopo il gesuita maceratese p. Matteo Ricci, Ulderico varcò il confine cinese, passando a sud della Mongolia, Urumqi, Turpan e Hami, nella Mongolia interna cinese. È arrivato così nella piazza Tienanmen di Pechino.
Dopo aver reso omaggio alla tomba del missionario maceratese p. Matteo Ricci, sita in un ex grande parco già del Partito Comunista Cinese, e trascorsi nove giorni da turista, durante i quali visitò in aereo Shangai e Xian, Ulderico ritornò in Italia.
Per quanto riguarda le condizioni metereologiche (oltre ai naturali e prevedibili ampi sbalzi di temperatura), Ulderico incontrò la neve in Romania (ultimi di febbraio – primi di marzo) e a Odessa, della pioggia in Kazakistan e abbondanti precipitazioni in Cina. Nel deserto del Gobi, per 800 km, ritiene di essere stato miracolato, per aver incontrato poche tormente di sabbia.
Le riprese video della spedizione furono trasmesse in dieci puntate da Sat2000. Qualche spezzone fu mandato in onda da Raiuno nella trasmissione “A sua immagine”. Un flash di circa trenta minuti apparve in una televisione russa di Rostov sul Don.
L’avventura di Ulderico Lambertucci comparve sui giornali, a Deva (Romania) e a Melitopol (Ucraina). A Rostov un quotidiano gli dedicò la prima pagina. Ovviamente nelle Marche scrissero “Il Resto del Carlino”, “L’Appennino Camerte” (alcuni articoli redatti da Egidio Mariotti) e vari quotidiani e periodici. La sua impresa è stata immortalata anche in versi da Egidio Mariotti, poeta dialettale di Sarnano, in un capitolo del volume “Quanno se scartocciava” (2009).
Quali sono stati i momenti più esaltanti e quelli tristi?
“Il più bello è stato l’arrivo a Pechino, dove erano ad attendermi dall’Italia venticinque tra familiari e amici, poi la festa a Rostov sul Don. Il momento più brutto sicuramente la dissenteria con vomito di martedì 20 giugno, a Shanshan. Quella sera, dopo aver mangiato (in camper) il riso e il prosciutto, su invito degli altri membri dell’equipaggio, mi recai in una bettola, dove furono serviti spiedini di montone e birra: le condizioni igieniche erano pessime. Poi ricordo il morso di un cane a Nebelisce, un villaggio a dieci chilometri da Varazdin. Poco prima di uscire dal confine ungherese l’autista albanese Zamir Dekavelli, sprovvisto di passaporto, fu arrestato dalla polizia. Trascorse in prigione un giorno e due notti, finché il consolato italiano, su sollecitazione di Franco Capponi, il quale gestiva l’intera questione burocratica, gli rilasciò il passaporto”.
Curiosità
Ecco quanto consumò lo staff della spedizione: 20 kg di miele, alcuni prosciutti, due quintali di pasta, un quintale di riso e 40 kg di formaggio parmigiano. Gli accompagnatori, a volte, la sera si fermavano per consumare i pasti nelle locali trattorie, Ulderico cercava di evitare.
Con il suo camminare e camminare Ulderico cambiava le scarpe ogni 1.200-1300 chilometri. Ne consumò nove paia (delle dodici portate con sé); percorreva dai 60 agli 83 km al giorno; media giornaliera: 65 km.
La spedizione ebbe venti sponsor per circa 140.000 euro, ma il costo effettivo ammontò a 190.000 euro. Per mantenere i contatti telefonici con l’Italia ci vollero ben 21.000 euro. Per camper, guida e autista furono spesi 380 euro giornalieri. Nella Repubblica Popolare Cinese il camper (un Iveco) e la guida dovevano essere di quella nazione. Il camper Ford di partenza fu lasciato ad Almaty, in Kazakistan, presso la missione francescana di padre Guido Trezzani.
Prendiamo in esame anche qualche ricordo di Ferdinando, con delle considerazioni.
Il camper
Ferdinando Stacchiotti si occupava del camper: acqua, olio, pneumatici, pulizia, e lo guidava a turno con Zamir. Il giovane Zamir cucinava, Ferdinando preparava la tavola e rifaceva i letti. Il camper di partenza, un Ford, era stato ben equipaggiato con serbatoi supplementari di acqua e gasolio, il pieno di carburante consentiva un’autonomia di mille chilometri. Tenere il mezzo ben rifornito di acqua per bere, per la cucina e la doccia, non è stato facile. La frutta e la verdura si compravano in zona, principalmente da produttori che esponevano lungo le strade, o da ambulanti.
La sera Ulderico rientrava stanco nel camper. Ferdinando, con qualche battuta scherzosa, riusciva a farlo ritornare di buon umore. A volte hanno pernottato anche nelle locande: per motivi di sicurezza un componente dell’equipaggio riposava sul veicolo e due dormivano sui normali letti della locanda. Dopo mesi si nota la differenza tra un letto e la branda di un camper.
Il morso
A Varazdin, in Croazia (18 febbraio), un cane pastore tedesco, vedendo Ulderico correre, lo morse ad un polpaccio. Quando Ulderico si ricongiunse con il suo equipaggio, raccontò il fatto. Decisero di ritornare indietro. Lungo la strada, nei pressi di una borgata, ritrovarono il cane e la proprietaria. Furono ripresi con la telecamera e fotocamera. Ulderico, preoccupato che il cane avesse la rabbia, pensò di recarsi al pronto soccorso. Per sdrammatizzare, con il suo solito buonumore Ferdinando ribatté: “Ulderico. Vedi quanto è bella e robusta la padrona: il cane è ben tenuto, dev’essere anche sano! Vede poca gente correre come noi italiani”. La ferità guarì in pochi giorni con medicazioni di acqua e sale.
“Umbrella”
In Kazakistan Federico precedeva Ulderico di una decina di chilometri quando scoppiò un temporale. Fermò un’automobile che proveniva in senso contrario e spiegò a gesti al conducente che a qualche chilometro di distanza c’era un suo amico che correva a piedi e gli diede un ombrello da consegnare al corridore. L’uomo fece segno di avere compreso e si è impegnò, a gesti, a consegnare l’oggetto. Dopo circa 45 minuti arrivò Ulderico tutto inzuppato dalla forte pioggia: non aveva ricevuto nessun ombrello!
La polizia applaude!
Spesso il camper precedeva il nostro maratoneta di 7-8 km per consentirgli di fare uno spuntino che poteva essere un cucchiaio di miele, una banana, una mela, una cioccolata o una bevanda. È capitato molte volte che, prima di arrivare, Ferdinando si dovesse fermare ad un posto di blocco della polizia. A gesti spiegava ai poliziotti che erano partiti dall’Italia, stava arrivando un amico a piedi, ed erano diretti in Cina a piedi, sulle orme di Padre Matteo Ricci, un gesuita maceratese. Ovviamente capivano poco. Tuttavia quando giungeva Ulderico lo applaudivano: lui se la cavava solo con una fugace stretta di mano, proseguendo la corsa.
All’uscita della frontiera ungherese, dopo l’arresto di Zamir, una donna poliziotto esclamò in italiano a Ferdinando: “Non posso pensare che due italiani si portino appresso un albanese senza documenti; noi non li facciamo entrare neanche con i documenti!”. Poi, la donna, avendo finito il suo turno di servizio, salutò Ferdinando con una pacca sulle spalle e se ne andò.
Socializzare è importante
Pur esprimendosi a gesti, era chiaro il carattere gioviale, amichevole di Ferdinando, un buon comunicatore, sempre sorridente. Ha tante fotografie con ragazze e famiglie del luogo. Ciò contrastava l’eccessiva austerità di Ulderico, il quale non si soffermava quasi mai a socializzare. Ferdinando non negava un saluto e un sorriso a nessuno: agricoltori, allevatori, addetti alle aree di servizio, gestori di trattorie e … naturalmente camionisti, motociclisti e ciclisti. Una curiosità, dalle sue foto: in Cina alcune addette alle aree di servizio stradale erano eleganti come hostess all’aeroporto.
Nell’ex “Celeste Impero”
In Cina alcuni autoarticolati raggiungono la lunghezza di 34-35 metri, essi non riuscirebbero a circolare sulle strade italiane.
Ulderico attraversò (4 luglio) la Grande Muraglia Cinese ad una porta, ritenuta importante dal professor De Blasio, ma della quale Ferdinando non ricorda il nome. Lì vicino c’era una piccola costruzione di terra, di una serie, posta su un punto rialzato. Esse erano usate in passato per trasmettere dei segnali con altri punti di comunicazione e avvistamento, sempre lungo la muraglia.
Un giorno (28 luglio), dopo un grande temporale, la strada di terra battuta era diventata impraticabile. Ulderico, dopo aver proseguito, per quella sera pernottò in una locanda. Ferdinando collaborò con altri passanti a ricoprire le grosse buche con terra dura, ma ciò non servì molto. Dovettero aspettare un giorno e una notte prima che si asciugasse. Era quello un tipo di fango molto appiccicoso; in quelle occasioni la strada restava chiusa anche per autocarri, scuolabus, impraticabile anche alle biciclette.
Dopo il morso del cane in Croazia, Ulderico, intimorito, si era munito di un bastone di legno, ma in Kazakistan un giorno la polizia glielo fece gettare. Allora, passato il confine, la guida cinese o il prof. Di Blasio, a turno, accompagnavano Ulderico lungo il percorso con una bicicletta tipo Graziella, acquistata oltreconfine.
Tabelle di marcia troppo rigide
Il personale di supporto con il camper non poteva distaccarsi da Ulderico più di un’ora e mezza, perché il corridore poteva aver bisogno di acqua o di uno spuntino.
Il voler mantenere una media giornaliera troppo sostenuta non ha consentito neanche allo staff di visitare, ammirare luoghi e città importanti lungo l’itinerario. Ferdinando richiese senza successo un giorno di fermo alla settimana, possibilmente in città, per visitare luoghi interessanti e raccontare.
La spedizione, dopo aver attraversato (oltre l’Italia) il territorio di Slovenia, Croazia, Ungheria, Romania, Moldavia, Ucraina, Russia, Kazakistan, Cina, arrivò a Pechino diciotto giorni prima del previsto, percorrendo pianure sconfinate, monti, villaggi e poche città.
Considerazioni
Ritengo che quei giorni guadagnati sul programma potessero essere spesi per osservare, vedere, conoscere e cercare di comprendere meglio lungo il percorso.
Ferdinando ricorda che alcune difficoltà furono dovute al tragitto iniziale, troppo a nord per il periodo invernale: per una ventina di giorni, con temperature esterne sotto zero, si gelava l’acqua imbottigliata dentro il camper, nonostante fosse accesa una stufetta a gas.
Quell’itinerario Nord precluse loro di vedere molti luoghi affascinanti dell’Anatolia, alcune interessanti (attuali) repubbliche caucasiche, la leggendaria Samarcanda, capitale dell’impero di Tamerlano, e la misteriosa Bukhara, lungo il percorso principale della Silk road. Un itinerario che oggi si vuole rivalutare e valorizzare. Nel libro, stampato in duemila copie, sono troppo scarse le annotazioni storico-culturali, naturalistiche e antropologiche riferite a quest’antico percorso commerciale. Sono itinerari percorsi nei secoli da uomini, cammelli carichi di seta, di tessuti, pietre preziose, spezie, indaco, sandalo, ambra, e altre pregiate mercanzie dirette nel Vicino Oriente e ai porti sul mar Mediterraneo, per poi giungere in Europa. Solo le merci più pregiate, come la seta, compivano l’intero percorso dalla Cina al Mediterraneo, il resto percorreva tragitti più brevi. Lungo quella via, gli imponenti caravanserragli facevano le veci delle nostre Stazioni di Posta: ospitavano e proteggevano, durante la sosta, intere carovane con migliaia di animali, fornendo loro servizi essenziali per consentire di riprendere la marcia dopo il riposo. In ventidue secoli, quelle piste polverose furono percorse anche da esploratori (uno dei più famosi fu lo svedese Sven Hedin 1865 – 1952), avventurieri, orientalisti, antropologi, pellegrini, geografi e archeologi che arricchirono di reperti le collezioni dei musei europei. Nel volume fotografico del 2007 mancano cenni ad antiche città, a scavi, a ritrovamenti archeologici e paleontologici, il secondo volume, del 2011, meno illustrato, è più dettagliato.
Nel Dunhuang, nel 1907 – 1908, la spedizione di sir Aurel Stein trovò un’immensa collezione di manoscritti rimasti nascosti per secoli nelle grotte (oggi sono a Londra e Parigi). Nel deserto del Gobi, a Iren Dabasu, nella primavera – estate dell’anno 1922 (e in seguito) la grande spedizione scientifica statunitense di Roy Chapman Andrews trovò fossili e, poco dopo, uova di dinosauri. In seguito il giacimento fu ritenuto “il più importante deposito di ossa fossili in Asia, se non in tutto il mondo”. Il pelo, che i cammelli perdono a giugno e luglio, fu usato come ottimo materiale da imballaggio.
La via della Seta, che oggi si vuole rivalorizzare, oltre all’importanza commerciale, fu una via di penetrazione per civiltà, lingue, religioni e culture diverse. Come ha scritto C. Zanier, entrò in crisi non con l’apertura della via marittima del capo di Buona Speranza (inizi XVI sec.), bensì con l’introduzione della navigazione a vapore e l’apertura del canale di Suez (1869).
Per ammirare e godere degli scorci culturali, storici, naturalistici ma anche archeologici e paleontologici di quel lungo e ricco itinerario, sarebbero stati necessari più tempo e tabelle di marcia molto meno rigide.
A pag. 104 del primo volume del Lambertucci c’è una foto con due bei cammelli della Battriana, definiti dal Malatesta “la meraviglia dell’Asia Centrale”. Qualcuno ha scritto che la Mongolia è l’unico posto al mondo dove i cammelli s’incontrano con le renne!
Le corse di Ulderico:
Oggi
Con l’esperienza dei suoi precedenti viaggi, oggi Ulderico è entusiasta dello staff delle ultime due imprese podistiche.
“Durante il viaggio negli Stati Uniti del 2012 lo staff era più competente: Michele Marinangeli, fotografo e addetto stampa, aggiornava giornalmente il sito, e Mario Lattanzi era fotografo e autista del camper. Il resoconto di quel viaggio occupa cinque album con fogli A4 stampati dal sito web, contro uno del viaggio in Cina. Lo staff americano fu lo stesso di Gerusalemme. La spedizione negli USA è stata molto bene organizzata e ha permesso una spesa accettabile, merito anche delle esperienze precedenti”.
Rimangono i bei ricordi di quel pellegrinaggio che Ulderico Lambertucci ha intitolato: “Sulle orme di Padre Matteo Ricci”, …
La dura crisi imperversa dal 2008, siamo giunti alla fine dell’anno 2014 e gli sponsor sono scomparsi …
Eno Santecchia
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