di Marianna Cosani –
Un itinerario intenso, in cui sono adeguatamente dosate fatica e ristoro: da Chengdu a Lhasa, dove tre giorni di full immersion nel cuore tibetano permettono un allenamento delle emozioni e dei pensieri per proseguire verso la spettacolarità inaspettata che accompagna l’arrivo a Giantse. E da lì a Shigatze, quasi appoggiata in una valle suggestiva dell’arte del mandala e poi l’approdo a Zedang, quasi in un volo a planare nel ventre tibetano.
Quasi mille chilometri percorsi da 12 persone che giorno dopo giorno incamerano, anche attraverso la rispettosa sosta in 12 monasteri ( uno a testa, se si vuole…), segni e simboli di un’esperienza unica, in cui la fa da padrone il senso della misura, tratteggiato nelle righe seguenti.
C’ è un modo particolare di approcciare un viaggio nel “tanto grande” del Tibet: la misura.
Misura nel vedere, nell’agire, nel pensare, nel vivere: un’esperienza che mette a contatto con una dimensione in cui la grandezza non è tanto una misura ( anzi dismisura) fisica, ma qualcosa di cui è quasi impossibile tracciare i confini spazio-temporali, uno scorrere lento ma inesorabile, come le acque dello Yarlung ( Brahamaputra). Un senso di inafferrabilità in cui confluiscono passato, presente, futuro; individuale, collettivo, cosmico,
Ci si misura con un Potala, quasi un museo che è un inno all’eternità, nel suo tentativo di sovrastare una caotica e quasi frenetica corsa a “fagocitare” modernità.
Ci si misura con un monasteriale ordine spirituale che vuole essere monolitico e che appare talvolta fratturato da un ordine temporale che vuole essere monopolistico.
Ci si misura con mantra e rituali stile Bakhor, che resistono in profondità alla superficie ciarliera di voci e suoni, anche rumoreggianti, di merci sovraesposte.
Ci si misura con spazi e colori incontenibili sia in senso verticale che orizzontale, che non si rinchiudono mai in se stessi, ma si offrono ad ogni gioco combinatorio possibile, certamente sfuggenti, talvolta struggenti, nella loro perennità cangiante.
Ci si misura con volti scuri ma mai bui, illuminati da espressioni che si fanno crocevia del dentro e del fuori. Di se stessi.
Ci si misura con il limite, spostato sempre più in là da ascese mozzafiato e discese mai concluse, anche quando approdano in campi di grano dorati, in specchi d’acqua in cui si inchinano anche le nuvole o in dune di sabbia inaspettate: in un unico punto sembrano essere accolte tutte le diversità del mondo.
E’ in fondo, un piccolo cerchio di mille chilometri quello disegnato sulla cartina geografica; ma basta ad ampliare la mappa dei pensieri e delle emozioni, fissando istantanee che la terra del Tibet lascia liberi di ricomporre e scomporre secondo coordinate individuali o collettive.
Solo grazie alla “ misura” sapiente di chi ha pensato, organizzato, condotto e condiviso questo viaggio è stato possibile assaporare “l’inesauribile altrove” .
Un ringraziamento doveroso all’impeccabile organizzazione a cura di:
TOA Tour Operator Associati/Roma
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