di Alfio Pessotto –
L’orario di partenza del treno da Pordenone è stato puntuale; peccato che questa puntualità, nel giro di un’ora, si sia gradualmente sfumata fino ad arrivare a quei 12 minuti di ritardo che non mi hanno permesso di concordare al meglio la coincidenza per giungere in orario all’aeroporto di Verona. Noto con disappunto, ma non sono sorpreso, che oltre al primo handicap statale (l’ormai immancabile ritardo di un qualsiasi treno) la conseguente perdita della coincidenza si trasforma nel secondo handicap. Voglio far presente che sulla coincidenza del treno perso, avevo anticipatamente corrisposto una quota supplementare di 3 euro per la prenotazione del posto a sedere. Quota sfumata nei sopraccitati 12 minuti: oltre al danno la beffa!!! Forse non tutti sanno che nelle principali stazioni ci sono delle figure preposte al supporto del cittadino in difficoltà per il disagio arrecato dai ritardi, con eventuali rimborsi o soluzioni alternative. Nel nervosismo generato da questa vicissitudine, ci si aspetta di rivolgersi a persone ben disposte, cordiali, pazienti o perlomeno disponibili. Secondo voi ho trovato qualcosa di tutto ciò? Nodo! E perchè noo? Perchè siamo in Italia! Che sia ancora (e sempre) colpa di Berlusconi?
Anche in questo caso qualcosa si può fare. Forse non tutti sanno che è sufficiente rivolgersi ad un’associazione di difesa dei consumatori, dopo aver individuato il nome sul cartellino dell'”agente” (legge sulla trasparenza). Vi siete mai trovati in situazioni del genere, dove dietro allo sportello qualcuno vi ha trattato male? (sportelli di poste, banche, negozi, supermercati)…. Fatemelo sapere e mi prendo l’impegno di raccogliere le vostre disavventure: cercherò di informarmi su quali soluzioni adottare per i vari disagi subiti. Ritornando al nostro viaggio, la soluzione tampone è stato il treno successivo e… un po’ di corsa…. sono arrivato alla prima destinazione, cioè l’aeroporto…. ancora di corsa per raggiungere lo sportello del check in! Maaa …. indovinate che cosa è accaduto poco dopo?? Anche il volo ha subito un’ora di ritardo! Passa un’ora…… e il cartello degli orari si aggiorna!!! Si aggiorna con un’ altra ora e 10 minuti di ritardo! Avete presente quando il toro vede il drappo rosso durante la corrida? Ecco. l’orario di ritardo è come quel drappo!!
Ma anche quelle 2 ore e 10 di ritardo passano e quindi, dopo un breve scalo a Roma, a mezzanotte si è nuovamente in cielo, che vedrà come protagonista una notte passata in un angusto spazio, tra due sedili, cercando in qualche maniera di appoggiare la testa per chiudere gli occhi e riposare un po’. E intanto anche le otto ore di volo sono trascorse un po’ dormendo, un po’ spazientendomi, un po’ rigirandomi e quindi praticamente dormendo forse due ore… L’atterraggio a Mombasa è avvenuto poco dopo le 7 del mattino (ora locale). Il primo impatto con il clima non ha sortito alcun scompenso….. Sbrigate le formalità burocratiche (compilazione del visto e 40 euro di tassa da pagare a parte) un taxi ci ha portati al villaggio di Diani (un’ oretta di macchina, compreso il tempo di attesa per il transito sul traghetto). Un primo impatto quindi con la realtà di questo Paese l’ho avuta per l’appunto in questo tragitto. In una lunga strada (per alcuni tratti scoscesa, rotta e quasi inesistente) si affacciano piccoli “paesini” a ridosso della strada stessa dove in un tutto trovi le carni appese, i negozi di vestiti, venditori di frittelle e altri tipi di merce “imbastita” all’ultimo secondo per un’utenza ” da strada”, dove cibo, vita e quant’altro, sono consumati “on the road”. Giunto all’Africana sea loadge di Diani beach, l’accoglienza è stata tiepida, e dopo un breve briefing con l’assistente turistico, eccoci con chiavi in mano per la sistemazione nell’alloggio. La camera è adibita in un bungalow stile capanna, dal tetto in paglia e dentro murato. Dopo un primo giro ricognitivo della struttura ospitante che si avvale del servizio “all inclusive”, è ora di mare. La spiaggia privata dell’albergo in un giardino con palme ombreggianti ed esotiche, prospicienti sulla spiaggia vera e propria, dalla sabbia corallina, impalpabile, eterea… una sabbia che non ho mai visto prima d’ora nei viaggi precedenti. Qualche ora sotto il sole e poi via. a tastare il pranzo a buffet, non ricchissimo ne caratteristico, però con un’ offerta continentale: comprendo subito che la parola d’ordine è: adattarsi. Passando alla distribuzione delle bibite, nonché all’organizzazione personale dei bar, ristorante e snack che la funzionalità l’organizzazione (e nemmeno la prontezza), sono rientranti nei loro parametri di valutazione: il concetto di turismo, non rientra ancora pienamente nel loro modo di vedere le cose, tenendo in considerazione che il Paese offre svariate alternative rientranti nel turismo. Tutto questo si denota dal loro modo di porsi nei confronti del cliente. L’ospitalità e la cordialità sono limitate. Quando chiedi un servizio al tavolo, non si curano tanto di premurarsi se tutto va bene. Avanzano nella loro giornata lavorativa, come quando noi abbiamo già alle spalle 8 ore di fabbrica . Si coglie in loro una vena di svogliatezza che sembra cronica. Il Servizio all inclusive rispecchia anch’esso il loro modo di vivere: “c’è ma non è così a tutto tondo”. Faccio un esempio: di mattino per colazione, se hai sete, puoi solo berti un bicchiere di succo di frutta ( sperando poi non ti faccia male), perchè qualsiasi altro tipo di bevanda non è messo a disposizione, il servizio bar è chiuso, per non parlare del buffet che è veramente scarno ed essenziale. Sempre riguardo all’alimentazione, mi domando come mai non sfruttino tutte le verdure che la natura ed il clima fornisce loro. Buona invece la qualità (tenuto presente i mezzi a disposizione) l’animazione e l’intrattenimento serale, gestito dal coordination team. Sono sempre presenti di giorno, ed ogni sera alternano momenti di folklore locale con offerte di tipo più internazionale. Sempre riguardo all’all inclusive, non vedo perchè si debba così chiamare, considerato che prima delle 10 non si può nemmeno trovare da bere, e dopo le 17 e fino l’ora dicena (19.30) non trovi alcunché da mettere sotto i denti.
Oltre al soggiorno mare, la vacanza devi creartela, quindi devi avvalerti dei supporti offerti dal tour operator presente nella struttura ospitante, il quale offre escursioni di vario genere. Come ben risaputo, non si può visitare il Kenya senza aver provato e vissuto l’esperienza del safari nella savana. Il tour operator lo propone, ma a mio personale giudizio, ad un prezzo eccessivamente esoso. Come ovviare a questo problema? La soluzione è “a portata di spiaggia”.
E si… E’ proprio in spiaggia che troviamo l’alter ego dei nostri “vu’ cumprà” , con la differenza che si chiamano ” beach boys” e in secondo luogo, non vendono chincaglieria varia, ma…. “vendono” proposte turistiche in competizione/concorrenza con le ufficiali agenzie di viaggio. La proposta del safari quindi non tarda ad arrivare! Anche qui, come prassi vuole, è d’obbligo la contrattazione. Il prezzo base si aggira circa sulla stessa cifra del tour operator, ma dopo varie fasi di ” tira e molla” si arriva ad un prezzo quasi dimezzato, e quindi la parola d’ordine è: ” prendere l’occasione al vole, zaino in spalla, fucile in mano e via….” L’unica incognita ora, verificare il servizio offerto, e qui spenderei due parole per far capire che cosa intendo per servizio. Se tu vai a Bibione, la differenza di servizio può constare in una camera più o meno accogliente o in un pranzo più o meno appetitoso… Qui invece, la differenza sta nel poter dormire in un luogo sicuro da insidie animali (tipiche del luogo, come sapete la savana pullula di serpenti a sonagli, animali feroci e pericolosi); trovare assistenza e un servizio pronto ad ogni esigenza. Per avere la risposta a tutti questi interrogativi, c’era da aspettare poco più di 24 ore, quindi una notte da passare nella camera che anch’essa è stata spunto di qualche lamentela personale a causa di un letto poco confortevole e due cuscini che nemmeno messi insieme riuscivano a fare uno dei nostri tanto erano sottili.
Ahimé anche il bagno offre una scarna doccia erogante poca, e con di più, acqua salata che esce da un rosettone immobilizzato dal calcare. Nella stanza mi aspettavo di trovare l’immancabile televisione, il telefono e il frigobar. Niente di tutto ciò. Ma per fortuna per ovviare all’afa notturna esiste il climatizzatore. Nonostante questi piccoli disguidi, è passata anche la notte antecedente il fatidico safari. La giornata del safari inizia alle 6.00 con il trillo della sveglia. Alle 6.30 appuntamento al gate, dove il pulmino adibito al trasporto ci attendeva per condurci, con altri 5 tedeschi, verso il parco nazionale di Tsavo East: il più grande e il più esteso del Kenya, interamente esteso sulla savana africana. Il tragitto verso Tsavo East comporta l’attra= versamento, mezzo traghetto, di una striscia di mare che divide in due parti la città di Mombasa. Nonostante in Africa, appare del tutto singolare il fatto che si debba attraversare pochi metri d’acqua con un rocambolesco traghetto, piuttosto che costruire un ponte che agevolerebbe le comunicazioni, rendendo più fluente il turismo e anche alle attività commerciali. Appena fuori Mombasa ci s’imbatte in un tratto di strada lungo all’incirca 50 km, dove la strada non c’è quasi, o meglio: è frastagliata da sabbia, asfalto, buche,cemento. Tutto ciò non spaventa l’autista, che, abituato, ci fa saltellare sui sedili della macchina senza trovare alcuna maniglia per aggrapparci, priva di aria condizionata e priva di un benché misero vano portaoggetti per noi passeggeri. Dopo due ore abbondanti di impervio percorso eccoci giunti al fatidico Parco.
Vi pare che in tutto quello che ho raccontato finora vi siano lamentele eccessive, dettagli poco rassicuranti o aspetti atti a fare da deterrente nei confronti di questo viaggio??? Sii?? Bhe allora……… entrate con me…. seguitemi, vi apro i cancelli della savana e così scoprirete se è valsa la pena vivere qualche disagio….. Unica condizione: CHIUDETE GLI OCCHI….. SI INIZIA A SOGNARE.
La striscia di terra rossa che ci accompagna fedele, precisa lungo tutto il cuore di quest’incanto magico, è solo il primo degli inquantificabili colori che questo cuore di Africa ti regala. Così come le strade della nostra vitalità sono rosse del sangue che vi scorre, così sono rosse le arterie di questo corpo terreno dove l’anima diventa padrona della tua anima.
Qualsiasi via è la via giusta. Tutto ai bordi sembra non avere età; tutto c’era, tutto c’è e tutto ci sarà. Le immense distese di sterpaglia che ti regalano il color verde spento, il giallo calcato dal sole, il verde filo vitale e le strisce color avorio che creano una perfetta confusione di colori, fanno risaltare vecchi e stanchi alberi che fanno compagnia a qualche altro tronco di albero senza vita, ma che allo stesso tempo regala vita a tutto cio che è. Il suo colore è il colore della terra fuso col colore della cenere nel quale trova riposo uno stanco uccello rasserenato.
Le lunghe lingue dorate di sabbia regalano orizzonti di una viva vegetazione e riflessi di specchi d’acqua. Man mano che percorro la striscia vitale, eccoli, tutti questi colori…. li vedo a tratti qui davanti a me e a tratti lontani ma che si avvicinano tutti racchiusi in un unico imponente cielo sapientemente dosato di candide ed allo stesso tempo “alonate” nuvole, create per essere il perfetto equilibrio di tutto ciò che da lassù possono vedere. Il fuoristrada continua nella sua rotta indefinita lasciando alle spalle una scia di polvere e fine sabbia color del rame. Tutti questi colori nascondono, ma ti svelano un segreto: sono tutto ci che formano la vita e dentro a questa vita ti suggeriscono che c’è altra vita. L’improvviso rallentare e il sostare del fuoristrada fa capire che nuovi colori stanno per essere svelati: strisce nere intercalate da strisce bianche appaiono su 5 deliziosi animali chiamati zebre. Intorno a loro l’erba è alta, fitta e dolcemente secca. Ciao care amiche zebre, vi vedo fiere, sicure poco pensierose…. io vi saluto, proseguo nel mio viaggio. Anch’io, come gli altri, viaggio in piedi dentro la vettura con la testa fuori, pronto a catturare nuovi colori. Ecccoli……. grigi e rossastri, senza dubbio i più numerosi abitanti della savana: gli elefanti; belli, imponenti, così tanto grossi alquanto dolci allo stesso tempo… mi danno il senso di essere quasi degli animali indifesi, timidi e bisognosi di protezione. Rimango ammirato dalla loro ” familiare disciplina”, si stanno infatti dirigendo, uno in fila all’altro, a dissetarsi attorno ad un piccolo lago incanalato da due fascie di terra, da una parte bruciata e dall’altra rigogliosa di vegetazione. Lenti ma inesorabili procedono verso la loro meta. E noi verso la nostra.
Man mano che l’auto procede, mi rendo conto e vivo come in uno spazio dove l’orologio non ha lancette, dove il labirinto non ha steccati e dove la mente non si pone i perchè.
E mi sa che di perchè non se ne pongono nemmeno loro… le spensierate, lungiformi e perfettamente atletiche gazzelle, sempre vigili ma intente a nutrirsi di piccole foglie verdi. Anche loro, sparse a piccoli gruppi qua e là rendono frequente la loro presenza nel terreno umano. I vostri occhi sembrano preparati a festa per poter esaltare al mas= simo le vostre sinuosità naturali, e le corna completano la raffinatezza di uno stile che racchiude tutta la longilineità che vi contraddistingue. Siete piccole gocce di diamante in un oceano di sabbia dorata.
Proseguendo nel percorso, ancora i dominatori per numero, quei piccoli enormi pachidermi che riempiono un punto di infinito.
Nell’incommensurabile mondo colorato ecco, a piccoli gruppi, loro, gli smeraldi dell’oceano di sabbia, gli smeraldi ovvero le “cugine povere” delle gazzelle: le antilopi.
Poco più in là eccole… le signore della savana, distinte col loro passo signorile, corpo elegante, portamento di classe, nel loro manto nero e giallo…. Si, sono proprio loro: le giraffe, sempre vigili, fin troppo direi, cercano rifugio e sicurezza ben distanti da chi, come noi, vorrebbe poterle vedere da vicino per poterle accarezzare un attimo, ma è solo lasciandole correre che si sentono davvero libere, così come noi corriamo nel cuore del cuore della savana, dove anche l’odore dello sterco vive in simbiosi con la bellezza visiva, sia esso di elefante, di giraffa, di leone o di gazzella, ha il potere di regalarti ugualmente un brivido di emozione. Anche il più ostico, il più arrabbiato per antonomasia e il più distaccato degli animali finora visti, ti fa sobbalzare nel vederlo: è lui, mister bufalo, tutto nero caratterizzato da due corna rivoltate, che con tutta tranquillità se ne ritorna al pascolo dopo il suo rifocillarsi di acqua.
Intanto la prossima meta prestabilita è una notte da passare in tenda, proprio lì, lì dentro la vita dell’anima. Una sistemazione ben strutturata e confortevole e soprattutto sicura da eventuali insidie notturne. Ci saranno, a vegliare sul nostro sonno, all’esterno della tenda i maasai, personaggi ancora integri e radicati alle loro secolari tradizioni. Scopro che anche la notte non è del semplice color nero del buio, che qui cala presto la sera, ma è un nero che fa da fondale di rilievo dove emergono i colori vividi delle stelle che brillanti e ancor più bianche delle “nostre”, sembrano persino più numerose, più grandi e fanno compagnia ad una luna che da queste parti fa il sorriso. Il fondale si arricchisce anche di una calda luce giallo ocra che illumina a malapena i nostri stanchi volti ma carichi di vita, rubata al terreno vitale e che ci trova seduti attorno a quel fuoco che arde proprio grazie alla morte di quell’albero dove anche per un uccello è stata meta di ristoro.
Ormai è giunta anche l’ora di coricarsi, la giornata è stata lunga ma tanto viva e densa di emozioni. Si entra in tenda…. ancora un’ ora di corrente elettrica e poi il generatore si spegnerà cosicché la tenda sarà avvolta dal nero di una silenziosa notte africana. Qui il rumore del silenzio ha tutto un altro suono, è un silenzio pulito, trasparente, vivo, vicino quasi tangibile e pronto ad offrirti nuovi rumori, come quelli che sto sentendo, provocati dal muoversi delle foglie del grande albero che sovrasta la tenda. A far compagnia a questo rumore c’è un sottofondo di grilli, costanti e ritmati, poi nient’altro, poi si… qualche scimmia indispettita, un lontano gracchiare di qualche sconosciuto uccello spezzano questi silenzi preziosi di notte nella savana.
Un dormiveglia mi accompagna in questo buio silenzioso, ed ecco…. non so esattamente dire se solo dopo alcuni minuti, o dopo qualche ora, ma…. un distante e ben nitido ruggito, ripetuto da un altro a breve distanza! Incredibile! Ho udito la voce del re della savana. Ora questo silenzio sembra avere assunto le tinte di un arazzo dorato. Tutto questo mi ha ricoperto di un’insolita tranquillità, per cui ritorno a dormire. Gli occhi si riaprono con il chiaro del sorgere del sole, e con il buongiorno dato dal maasai che al di fuori ci ha sorvegliato nella notte appena trascorsa. Il ritrovo al fuoristrada è stato programmato poco dopo le 7, ma l’autista pochi attimi prima, c’esorta a far presto e di salire…. (non capiamo il perchè) e allora…. sù!
Via… si parte! L’autista alla guida sembra impazzito, ci fa sobbalzare culo e schiena contro i sedili, e in meno di 5 minuti di corsa impazzita ci porta a sostare su un pianale dove gia parecchi altre vetture sono gia appostare ai bordi di un dirupo a godersi un altro spettacolo della natura: una dozzina di giovani leoni fanno piccoli capricci giocando tra loro; un altro incontro, un’ altra emozione e un’ altra sferzata di colori.
Anche il re si è fatto finalmente vedere. L’ammassarsi di veicoli rende complicato il mio desiderio di imprimere su pellicola i sia pur gioiosi, affascinanti ma temibili felini.
Dopo qualche vicissitudine riesco a memorizzarli perennemente attraverso l’obiettivo.
Ancora qualche minuto e poi ci si appresta a addentrarsi in qualche altra via impervia alla ricerca di qualche altro animale, e mentre si viaggia nuovamente, ecco che la guida scorge ad un certo punto un animale pennuto dalle vaghe forme ricordanti uno struzzo non ancora adulto. Colorato anch’esso di verde smeraldo, rosso, marrone e sfumature grigie. Un’ altra meraviglia di colori in un essere utile a questo posto….. La funzione di questo uccello camminante è insolita e pericolosa: è colui che caccia i serpenti velenosi e non della savana.
Poco più avanti nel percorso, quasi in una distesa totale di sabbia e qualche sterpaglia, la vettura si ferma nuovamente e la guida ci invita a guardare con gli appositi cannocchiali, forniti per l’occasione, laggiù verso quell’orizzonte dove ad occhio nudo si vedono solo alcuni piccoli alberi.
Lì, due ghepardi pacifici e sornioni si godono l’ombra di quegli alberi secolari; è impossibile imprimere questo ulteriore evento naturale. Di lì a breve, una scena inaspettata si presenta davanti ai nostri occhi ad interrompere la nostra escursione: la signora della savana (la giraffa) incurante del nostro passaggio, attraversa la strada. Questa immagine mi ha dato la certezza che tutto qui è così vero, naturale, integro ed originale, che solo la mente umana è in grado di modificare i ritmi e i modi che la natura aveva predisposto per noi. Anche l’episodio accaduto di lì a poco ti fa capire che nulla è finzione, tant’è che mi sembrava di percorrere una strada di un piccolo paesino sperduto nel tempo e nello spazio, dove gli abitanti usano la strada come punto d’incontro e di passaggio e le auto siano ancora un miraggio. Ma gli abitanti di questa strada non sono uomini, bensì babbuini. Che bello vedere in nostro passaggio interrotto da alcuni di essi che attraversano la striscia di terra rossa quasi impauriti, altri invece incuranti che la percorrono non ravvisando minimamente il pericolo del nostro passaggio.
E che reale tenerezza l’aver visto una premurosa mamma babbuina, che avvertito il pericolo dell’auto ha preso a sè il suo cucciolo stringendoselo al petto disponendosi ai bordi della strada per farci passare. Ormai la savana ci ha offerto così tanto che è pressoché inesorabile la via del rientro, e di il lento proseguire del nostro fuoristrada ci fa gustare ancora scorci di colori animati intravedendo amici già visti: tutto stava volgendo al suo termine, ma ecco che improvvisamente, nuovamente qualcosa stava per accadere.
Un continuo comunicare via walkie talkie dell’autista con i suoi colleghi delle altre vetture in giro per la savana, nel loro linguaggio swahili accompagnato da un concitato accelerare del mezzo mi fa capire che le sorprese non sono ancora finite. Trascorso appena un minuto di orologio, arriviamo in un posto gia visitato: la spianata dei leoni. Siamo la terza auto ad arrivare, quindi ci appostiamo direttamente lungo il bordo del piccolo dirupo diventando inconsapevolmente spettatori in prima fila di uno spettacolo che per quanto sembri crudele fa parte del meccanismo naturale di soprav= vivenza. Protagonisti della scena sono : un bufalo alle prese con un branco di quei giovani leoni poc’anzi visti, mentre poco più in la’ un altro bufalo si allontana consapevole che quello che si stava compiendo, per il suo amico, era l’ultimo atto. Il bufalo nel tentativo di divincolarsi dalla cerchia dei leoni, si ritrova aggredito da un leone che lo addenta per la coda nel tentativo di neutralizzarlo. I bruschi movimenti del bufalo fanno sì che la presa non sia stabile, ma ecco che un altro leone adotta la stessa tecnica arrampicandosi sulla dura pelle del bufalo mordendolo e provocando in lui le prime lacerazioni. Anche dopo i primi attimi di cedimento sembra che il bufalo tenga testa alla situazione cercando di farsi strada scornando contro i leoni. Ma ahimé alle sue spalle sono imminenti le nuove aggressioni. Ora sono due i leoni che si aggrappano al bufalo, altre e sempre più profonde lacerazioni. Il bufalo cade sulle zampe posteriori.
Gli altri leoni si avvicinano sempre più alle sue parti sanguinanti, ma ecco che incredibilmente il bufalo riacquista le forze e si rimette in piedi, ma sono solo pochi secondi illusori per quel bufalo che sempre più rantolante e stremato cede nuovamente sulle zampe posteriori e l’aggressione di altri leoni lo fa traballare fino a cadere sul fianco, e come una saetta un leone davanti al muso lo neutralizza immobilizzando con le loro zampe e la loro bocca sulla zona per loro più pericolosa e cioè le corna. Non c’è più scampo ormai….. il suo corpo accasciato è quasi immobile, i suoi lamenti, le sue ferite son sempre più accentuate, le sue zampe sono sospese a mezz’aria e fanno presupporre che la sua fine sia gia giunta. Noto invece, tramite la sua pancia, respira ancora. Nel tentativo di immortalare il più fedelmente possibile tutto questo evento naturale non così consueto da vedere, ho inconsciamente usato come via d’uscita per il mio appostamento fotografico il tettuccio già aperto del nostro fuoristrada usualmente adoperato solo per sporgersi con la testa. Una volta ritrovatomi interamente all’esterno, in piedi sopra la cappotta, un colpo di vento ma fa volare via il tipico cappello keniota usato durante i safari, che finisce al suolo. E’ impensabile andare a raccoglierlo, troppo pericoloso e sono prontamente fatto rientrare al sicuro dentro l’abitacolo del tettuccio. Il continuo andirivieni di fuoristrada blocca lo svolazzare del cappello più volte investito da esse sulla terra rossa. Intanto il bufalo respira ancora, nonostante il suo corpo sia interamente attanagliato dalle fauci mortali leonine. Le sue zampe son ancora sospese, chissà quanta sofferenza, chissà quanta rassegnazione, una lunga agonia che lo porta alla morte, che nel suo caso sopraggiunge alla vista del secco e breve corso che la zampa compie dalla mezz’aria vitale contro il corpo del suo aguzzino. Tutto ora è compiuto, la natura ha compiuto il suo ciclo. Per vivere bisogna morire e solo con la morte la vita può continuare.
Mi accorgo che gli ultimi momenti di quella vita non li ho catturati ed impressi nella pellicola ormai esaurita; ma prima di andarmene memorizzo l’immagine di quei leoni che, beffardi, sicuri, tronfi con la bocca intrisa del sangue della preda, ci guardano con aria soddisfatta e vincente con le lingue gustanti la “scontata” vittoria. Questo insieme di tre elementi, la vita, il durante e la morte, vissuti in questo arco di pochi minuti, li immortalerei su tela, ispirandomi a Frida Khalo che racchiudeva il vivere, le cicatrici della sofferenza e la morte immancabile elemento di conseguenza alla vita stessa.
Respiro ancora per un’ ora quell’aria impalpabile, vera, calda, colorata e così magica da farti trasformare in un altro io che ha vissuto in un altro tempo, in un altro spazio e in un altro cuore. I cancelli sono orami vicini, sempre più vicini, così vicini che ho solo il tempo di volgermi a dare l’ultimo sguardo a tutti quei colori che svaniscono nella nuvola sabbiosa di quell’ultima corsa attraverso la striscia rossa che ci riconduce all’adesso. Ecco il rumore dei cancelli che, cigolando, si chiudono alle nostre spalle, e con essi si chiude anche il nostro sogno.
Ahimé è tempo di riaprire gli occhi e di continuare a vivere. Da adesso basterà così poco per poter tornare in quei posti: il segreto sta nel chiudere gli occhi e ricominciare.
Quel poco che ho potuto ricostruire sulle condizioni socio economiche del Kenya sono un insieme di informazioni ricavate da qualche guida e opuscolo e qualche informazione data dalla guida locale e ciò che ho potuto constatare con i miei occhi. Per avere un’ idea abbastanza sommaria dell’impatto visivo che ho avuto, paragonerei il Kenya allo stile del Marocco, dove le case sono quattro muri messi in piedi senza tetto, la città sovrappopolata, dove lo smaltimento dei rifiuti avviene lungo le strade tra l’intercalarsi di bancarelle improvvisate. La differenza col Marocco consiste nel fatto che il Kenya è maggiormente regredito. La maggior parte delle case, se cosi le vogliamo chiamare, sono costruzioni improvvisate con del fango, paglia e altri materiali di fortuna. L’economia è pressoché inesistente, non prende piede, se non per quel poco di turismo che aiuta alla sopravvivenza nelle zone di costa. Se non cè economia non c’è lavoro, non ci sono servizi, se non ci sono servizi non si possono creare le infrastrutture certi diritti fondamentali non sono nemmeno conosciuti; non c’è il diritto alla salute,all’istruzione e quindi ad un futuro, e spesse volte è garantito un pasto sicuro.
Com’è costume nei Paesi poveri, la sopravvivenza spinge ad improvvisarsi venditori di qualunque cosa, ci si improvvisa guida turistica per qualche villaggio o capitano di una barca (di fortuna) per farti fare un giro al largo e ammirare un tratto di spiaggia. Anche chi gode del “beneficio” di un lavoro remunerato, quali le maestranze dei villaggi turistici, chiede ai suoi ospiti qualunque “pezzo da valigia” (ciabatte, una maglietta smessa, dei calzini, del sapone, medicine) per rendere un po’ più dignitoso il loro vivere quotidiano.