di Salvatore Romano –
Tibet – Settembre 2010
dal “treno del cielo”, dopo Golmund, quando il deserto si incontra con le montagne…
1° Paesaggio
So quello che provano
le montagne
vederci confusi e determinati
imbarazzati moltiplicatori di affanni
E qui
al centro del continente
sparse all’infinito
e nascoste al mondo
frastagliate come scogli
e bianche sopra la sabbia
dei deserti
queste montagne
danno prova di sè
al cielo azzurro dell’Asia
maestose e imprevedibili
come la meraviglia
2° Paesaggio
Si trascinano
la sabbia e la polvere
la solitudine sterminata
un orizzonte di niente
una prospettiva piana
linea del mondo
E lanciano tutto verso il cielo
increspando articolando
complicando moltiplicando
roccia dopo roccia
cima dopo cima
bianche di nuvole e di neve
questi oggetti del mondo
sconosciuto
questi compimenti di assoluto
semplici
perchè qui è semplice
la bellezza
lontana dall’uomo
e dalle fatiche
3° Paesaggio
La devastante incoscienza
di questa grandezza
uno spazio infinito
lontane macchie di monti
che danno la misura
di questo piano orizzontale
di polvere
ma neanche circoscrivono
anzi amplificano
se possibile
questa perdita d’occhio
Nei templi del Tibet
1°
All’inizio è Maitreya
il futuro
il futuro che attende da secoli
che si consumi quel legno
si respiri quella luce
di burro
e di odore
si sollevino quelle parole
si cerchi un fiore di loto
nel sorriso
che da millenni
non si fa capire
2°
Più misteriose delle mille mani
scolpite nelle pietre
sono le mani
che accendono i ceri
e rompono
la polvere
tra la luce di candele
povere
Quelle mani si nascondono al mondo
tra i monti isolati e unici
magici
Spartiscono col dio
il povero frutto
che il vento d’inverno
ha lasciato loro
E l’odore di quelle penombre
riempie
ma scheggia incrina attutisce
ogni anima che non si presta
a capire
Mandala
Unita all’uomo
nella penombra dei dubbi
da sfavillanti tentativi
di eternità
Mandala
la città dell’eterno
del fluire e rifluire
Mandala
la città di dio
delle geometrie del mondo
dell’eterno disfarsi
dentro un gioco di bambini
E’ un castello di sabbia
alzato
con mano antica
da questo volto rugoso
come i pilastri del tempio
che lo mostrano al mondo
Ma non c’è vento
qua dentro
nel nascondiglio della luce
non c’è il furente movimento del mondo
non c’è la luce obliqua della montagna
C’è solo magia tentativo carezza
cantilena e sortilegio
profumo
e uomini gettati a terra
e speranza e fatica
di quegli stracci
che solo vogliono
non rinascere ancora
ma accecarsi e dimenticare
unendosi alla luce
I monti sulla strada di Rongbuk
Allungate ad increspare la mia anima
e non solo il mondo
queste pieghe che coprono vallate
mi fanno felice
sono cortecce allungate
distanze nascondigli
artigli di terra
messa a giocare
asciugata al sole del tropico
glaciale sulle montagne
che rimbalzano pensieri e venti
Queste onde di sassi e polvere
questo oceano marrone
mi riporta alla soluitudine
di un respiro che manca
e manca poco
allo sguardo alla mano al fiato
ma l’infinito
non si nasconde solo
sopra di noi
E’ al fianco, che ora bisogna guardare
e davanti
come il tornante che inganna
e si slancia,
come io vorrei,
a catturare l’enormità
a cui non si dà nome
Everest
Ti ho visto
dio delle montagne
sasso più alto del mondo
lanciato a stordire
un azzurro vicino allo spazio
Ho visto nuvole
di eternità incollata alle loro dita
accarezzarti
prendersi cura di te
nasconderti o offrirti
per stupire
e gridare al miracolo
Immane magico immobile
bianco di millenni
e nero come le tue pietre
i tuoi misteri
i tuoi uomini
scavati come i tuoi fianchi
a tua immagine
dal vento forte e duro
che gli scagli
a piene mani
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