di Simone Mariotti –
Cotone grosso, ruvido e resistente, e ci si incamminava verso la foresta circostante, con in mano due o tre lunghe canne da zucchero. Il mio mahout mi indicava la strada,
ma non era necessario, bastava avere un po’ d’occhio e seguire le tracce: un elefante ne lascia parecchie! Arrivati sul posto, dopo una mezz’ora di cammino, iniziava la prima pulitura dell’animale, che la sera prima avevamo legato a un albero per costringerlo a restare a dormire fuori altrimenti, come tutti, sarebbe rientrato subito al centro.
Mentre lui faceva colazione sgranocchiando le prelibate canne zuccherine, utilizzando la proboscide con una manualità indescrivibile, noi gli toglievamo di dosso il grosso del fango di cui era ricoperto. Poi in groppa, a passi lenti verso lo stagno dove avremmo finito (assieme) la prima toletta. Infine di nuovo a casa,
Ma chi sono i mahout?
Un paio di mesi fa durante un mio viaggio in Laos e Thailandia, decisi di spendere un po’ di soldi per dare una mano a un centro di conservazione per elefanti, nel nord della Thailandia, a Lampang, il Thai Elephant Conservation Center (TECC). Ne parlo perché è un tipo di esperienza
L’elefante asiatico, cosi come anche il suo fratello africano, è uno dei grandi mammiferi a forte rischio di estinzione. Per molti secoli il Sud-Est asiatico ha rappresentato uno degli habitat ideali per la vita e la proliferazione di questi straordinari animali, tanto che un tempo il nome ufficiale dell’antico regno del Laos era “Terra di un milione di elefanti”. Oggi di elefanti selvatici in Laos ne sono rimaste poche centinaia. In Thailandia le cose vanno solo leggermente meglio. Ancora circa duemila animali vivono in libertà e altrettanti si trovano in cattività, più che altro negli “elephant camp” per turisti, diffusi soprattutto nella zona nord del paese. Non sempre si tratta di luoghi ideali per la tutela degli animali, anche se dare un’occupazione agli elefanti è vitale per molti di loro. Il progresso, infatti, ha sottratto a questi animali molte delle loro mansioni, sostituiti dai trattori meccanici e dai carri armati, e molti ex-proprietari di elefanti, data la scarsità di impieghi per i loro animali, non essendo più in grado di mantenerli, li abbandonavano o li tenevano in uno stato di denutrizione.
Uno dei più attivi centri asiatici di conservazione della specie,
Al centro arrivano anche elefanti sequestrati a ex-proprietari che li maltrattavano o, come Sing Khon, la “mia” elefantessa durante in giorni che ho trascorso là, sottratti alla criminalità organizzata che li utilizzava per il disboscamento illegale.
Tutto questo però non sarebbe possibile senza i mahout. Il mahout (termine indiano che deriva dal sanscrito) è l’addestratore degli elefanti, colui che lo guida e se ne prende cura per tutta la vita.
I pochi viaggiatori che si cimentano con la loro vita danno loro un po’ di sollievo: eravamo noi a finire in acqua per il bagno, noi che durante i due spettacoli giornalieri per i turisti eravamo in groppa agli animali, noi che nelle pause davamo da mangiare ai nostri amici.
E’ una vita durissima, ma purtroppo oggi in Thailandia ci sono più mahout che elefanti. Faccio un po’ di pubblicità perché di italiani da quelle parti se ne vedono pochi, in quella veste intendo, cioè non di semplice turista che arriva al
Non è niente di impossibile, smitizzo subito la cosa. Diventare “apprendista mahout” richiede pazienza, fatica, disponibilità a fare dei bei bagni con gli animali in pozze non sempre “limpide”, capire un po’ di inglese (ma con gli animali servono solo una decina di parole in tailandese), ma nessuna particolare dote da avventuriero, e anche i bambini vi si possono cimentare, e qualche famiglia inglese lo ha fatto. E vi assicuro che per un bambino qualche giorno in groppa a un elefantino è ben altra esperienza che una gita allo zoo, sia per le emozioni che per l’educazione che ne deriva (nel mio sito trovate altre informazioni sul centro, oltre a foto e video girati lo scorso settembre).
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