Li ho sempre ammirati e definiti coraggiosi, ma anche un po’ coglioni,
coloro che sin dalla tenera età hanno avuto l’impulso di scrivere un diario,
e poi, ancora più coglioni, di non distruggerlo.
Una volta era di moda, fra noi ragazzi e soprattutto fra le femminuccie, ora
non lo so. Lo sport più divertente, per noi maschietti, era quello di riuscire ad
individuare il posto dove lo sventurato o la sventurata avevano dimenticato
questo forziere personale, che raccoglieva le cose più intime della propria
figura.
Con l’mmaginabile proseguio di allusioni e prese per il culo; conseguenza
anche di catastrofiche interruzioni di belle amicizie ben consolidate.
Quando non venivano, poi, a mancare anche i presupposti per iniziare un
interessante ed innocente, forse, flirt.E siccome io ero il primo a cercare spudoratamente di violare queste
intimità, le mie amiche, in particolare modo, oltre che odiarmi,
ricomponevano subito le loro faccende, al mio apparire.
Per questa ragione, mi sono sempre rifiutato di tenere un diario, anche se
agli occhi dei coetanei ero un marziano.
Perché non me ne fregava niente di dediche od elogi scritti, con vari
disegnini e fiori secchi incollati nelle pagine del libro, a futuro e
perenne ricordo di amici, amiche, compagni di scuola.
Ma, ve lo sareste immaginato che razza di ritorsioni avrei subìto, nel caso,
non improbabile, che il mio diario fosse stato scoperto ?
Come mi sarei potuto giustificare se l’interessata fosse venuta a
conoscenza, leggendo il quaderno, che la domenica l’accompagnavo ai festini,
solo perché il giorno dopo mi riforniva di sigarette, prese nel tabacchino
dei genitori ?
Per non parlare di peggio, su cui stendo un velo pietoso.
A dirla tutta, ci avevo anche provato.
Per tre settimane mi ero fatto due palle così a scrivere quant’era buono il
mio Catechista, le buone azioni che avevo inventato, nominare tutte le
vecchine che avevo aiutato ad attraversare la strada.
Omettevo, però, tutte le altre azioni, comprese quelle impure, che mi
toccava poi confessare nel pomeriggio del sabato, vigilia della comunione
domenicale.
Eh sì, perché ogni tre o quattro giorni, l’insegnante di religione
raccoglieva i diari e coloro che si erano resi meritevoli potevano entrare
gratis al cinema Concordia, la domenica pomeriggio.
Allora era una corsa a trovare tutti i poveretti, inventati, bisognosi di
elemosina, mentre le vecchine, ormai inflazionate, non se ne trovavano più.
Poi il Catechista, un giorno, pellegrinando lungo la strada di Damasco, ebbe
l’illuminazione che era più saggio lasciar correre, perché quello che
leggeva era un po’ diverso da quello che sentiva nel confessionale.
E non si chiedeva neppure quale delle due versioni fosse quella giusta.
Ma quello che mi disturbava maggiormente erano le domande “quante volte, in
che modo, ti penti, lo farai ancora ?”
Ma chi si ricordava quante volte e se pensavi a qualcuno!!
Ve l’immaginate averlo scritto sul diario “con Fedora abbiamo pensato bene
di giocare a dottori, dal momento che il Monopoli l’ha preso Matteo”.
Ritenni così che era più consono non tenere alcun giornale, in maniera tale
che tutte le mie emozioni, i miei sentimenti, i miei primi passi, me li
sarei tenuti per me e basta; tutt’al più avrei visto qualche films in meno.
Poi, diventato grande, sempre meno è venuto il desiderio di scrivere “il mio
diario”. Che catastrofe, l’avesse trovato la mi’ moglie.
Chi legge queste note, sicuramente obietterà la prima di una lunga serie di
” ma che centra ?” Centra, centra, perché ora ho cambiato idea, e voglio
scriverne uno, solo per pochi giorni, e solo per la cronaca seria di una
vacanza non seria.
Ora ho un’età in cui mi vergogno di altro, ma non delle mie emozioni e dei
miei pareri, e se per caso qualcuno ha il coraggio di leggerlo, sono solo
affari suoi; tanto al cinema non ci vado più da parecchio tempo ed il diario
serve a me.
Perché serve a me ?
Durante questo mese, ho sognato a lungo, per decidere di organizzare la
solita vacanza invernale con la mi’ moglie ed ho avuto tempo di
risoffermarmi sulle immagini fotografiche e filmate di viaggi fatti assieme
in precedenza.
Tutti bellissimi e pieni di ricordi, ora meravigliosi.
Perché le contrarietà, sul momento ingigantite, sono state dimenticate o
sottovalutate.
Mi sono più volte chiesto:
“ma lì, in quel momento, cosa pensavo e come vivevo il quotidiano tran –
tran del turista medio?
Quei colori, quei tramonti, quelle piazze, quei mercati, erano veramente
sublimi, come le foto asettiche me le facevano rivivere, o c’era tanta puzza
che mi faceva vomitare ed i rumori assordanti mi scassavano il sistema
nervoso ?
Quella foto al Market di Mombasa esprimeva il benessere di un ricco e
satollo Bwana in visita alle miseria del Kenia, ma traspariva anche
l’incazzatura per tutti quei rompi zibidei, che mi ronzavano intorno per
offrirmi servizi inutili e mai richiesti ?
Quella gita in barca privata, alle Seichelles , bella, bella, ma quanto ci è
costato il trofeo del ^pesce corallo^?
Quelle trentasei ore di volo,sballottato fra sale attesa degli aeroporti,
non tutti confortevoli, bivaccando anche come nomadi, disgustato dalla mia
stessa puzza, senza avere l’opportunità di una doccia didinfestante, non me
le ricordo più, eh?”
Ho deciso, quindi che quest’anno le nostre vacanze saranno affiancate da una
cronaca quotidiana, che servirà a ricordare obiettivamente come si è svolta,
senza ricordi caramellosi, anche con crudezza di immagini, se necessario.
Ovviamente, non racconterò tutto tutto, ma solo l’essenziale.
Ma non tutto l’essenziale, ma quel poco, anche con dovizia di particolari,
che servirà a ricordarsi bene come si è svolta, fra qualche tempo, e senza
che la mi’ moglie si incazzi, come magari ha fatto in quel momento.
PREPARAZIONE DEL VIAGGIO
Premetto che non abbiamo più né l’età, né la voglia di partire alla ventura,
vivendo tutto il quotidiano assieme ai locali.
Neppure moriamo dalla voglia di trascorrere il nostro tempo intruppati in
coda a seguire una bandierina tenuta alta da un’ accompagnatrice, non sempre
disinteressata.
Mi sono rifornito di depliant illustrati per trovare quello che poteva fare
al caso nostro.
Alla fine abbiamo scartato tutto il mondo, perchè ci siamo chiesti :
“qual’ è quel paese dove il sorriso perenne è sulla bocca di tutti ?
dove quando qui è inverno, lì fa molto caldo, dove si stà bene, si mangia
pesce in tutte le salse, costa poco, non ti rompono le palle, ti diverti,
sei rispettato se rispetti loro, lo conosci, lo ricordi con piacere?
dove quando dici NO al mercataro, che ti vuol vendere la nienteria, è NO e
basta ?
dove sulla spiaggia il Vù cumprà locale si siede a dieci metri da te e porta
in visione la sua mercanzia solo se tu gli e lo chiedi ?
dove sei già stato meravigliosamente bene le altre cinque volte che ci sei
andato ?”
La risposta non può essere che ” LA THAILANDIA”.
Allora ho di nuovo scorso tutte le mie vecchie guide e cartine,
ripercorrendo mentalmente tutti gli itinerari; ne ho acquistate delle nuove
ed alla fine abbiamo prenotato il viaggio Verona/Roma/Bangkok e ritorno,
pagando, tramite un’Agenzia tedesca, la Tischler, i soggiorni: 6 notti a Hua
Hin al Royal Garden Resort e 4 notti a Bangkok al Siam Intercontinental.
Niente di particolarmente esotico ed eccitante, ma una vacanza rilassante,
seppur breve, senza tante avventure.
Hua Hin è una cittadina sul golfo del Siam a circa 220 kilometri a sud di
Bangkok e noi ci siamo stati già nel 1994.
Ci era piaciuta e ci ritorneremo. Sono passati sei anni e la troveremo
sicuramente cambiata moltissimo e forse subiremo una grossa delusione, ma
rischiamo ugualmente.
Il trasferimento Bangkok/Hua Hin, abbiamo scartato la vettura privata, lo
faremo con il treno o con il bus. Vedremo e vivremo a soggetto.
Anche per gli itinerari a Bangkok (abbiamo già visto quasi tutto),
cercheremo di indirizzarci verso mete alternative, ai margini del turismo
organizzato.
Non per questo fare i sacco-pelisti, torneremo ancora in quei luoghi già
conosciuti ed anche meta “dell’italiano medio”.
L’obiettivo è trascorrere un periodo di vacanza tranquilla, secondo il
nostro metro, alla riscoperta di luoghi già visitati, forse già mutati, ma
non per questo meno interessanti. Non ultimo, vacanze ittico-gastronomiche
che non ci hanno mai deluso.
A Bangkok abbiamo scelto l’hotel SIAM Intercontinental; è stato sempre un
pallino per me.
Le volte che sono stato in Thailandia, sono sempre andato a passeggiare
nella sua hall e mi sembrava veramente un’ oasi, con i giardini che la
circondano. E fuori il caos di Bangkok.
Vorrei tornare al mercato galleggiante, quello fuori città, a cento
kilometri, a DAMNOEN SADUAK.
Ci siamo stati nell’ 81 con nostro figlio che aveva 10 anni, ma a quel tempo
non avevo la videocamera. Chissà come sarà oggi.
Vedremo di organizzare la trasferta senza fermarci, nel ritorno, al Rose
Garden, bello, bellissimo, rappresentativo, ma troppo inventato per i
turisti.
Vorrei riuscire a farmi portare nel piu’ grande ristorante del mondo dove i
camerieri servono con i pattini a rotelle.
Vorrei ritrovare quel ristorantino sulla sponda ovest del CHAO PHRAYA, dove
il cameriere mi portava in giro per la sala a vedere cosa mangiavano gli
altri per poter così scegliere. Chissà se riusciro’ a trovarlo.
Devo rispolverare i vecchi testi di inglese sui quali ho iniziato a capire
qualcosa, non molto, ma sufficiente per sopravvivere e fare tanto casino,
parecchio divertente.
L’importante è non prendersela mai anche se vi saranno delle sicure piccole
contrarietà.
8 gennaio 2000 – Domenica
Abbiamo ritirato i biglietti aerei ed i voucher degli alberghi.
Ora, l’unica preoccupazione è la nebbia, che giovedì prossimo potrebbe
infastidirci; da Bolzano dobbiamo arrivare a Verona per prendere l’aereo
delle 8.30 per Roma. Poi a Roma alle 14.40 il volo no-stop per Bangkok. Se
Verona fosse immersa nella nebbia, come si arriverebbe a Roma in tempo?
Vedremo.
Intanto ci siamo forniti di US Dollar per vivere in Thailandia ed abbiamo
appurato che il Bath (moneta locale) è pressappoco dello stesso valore
dell’anno scorso: 1 bath = circa 50 Lire.
E’ molto semplice cosi’ fare i conti.
Come compagnia aerea, quest’anno abbiamo scelto la Thai Airways, già
piacevolmente sperimentata due altre volte precedenti.
Ci hanno permesso anche di prenotare i posti sul Jumbo ed abbiamo optato per
gli ultimi due delle file laterali, anche se più rumorosi, in maniera tale
da non avere altri passeggeri accanto, nelle poltroncine.
Potrebbero innervosirsi per la mia presenza fastidiosa, per i miei continui
movimenti, le mie solite consultazioni di mappe e per l’insopportabile
olezzo dei miei piedi , che anche appena lavati con brusca e striglia,
assomigliano tanto ad una forma di cacio pecorino.
Su Internet mi sono fatto una copia della mappa del B-747 e già mi vedo dove
starò per 12 ore di fila. Di dormire, neanche parlarne, non ci riesco, e
cosi’ dovro’ inventarmi come trascorrere il tempo.
13 gennaio 2000 – Giovedì
Sono le ore 15.20. Sono passati 10 minuti dal decollo da Roma e non abbiamo
ancora forato completamente le nubi sopra di noi.
Questa mattina alle 6 nostro figlio Charly ci ha accompagnato in macchina
all’aeroporto di Verona e con un volo di 40 minuti siamo atterrati a Roma
alle 8.20.
La temperatura segna 8 gradi, ed e’ piacevole passeggiare ad Ostia in riva
al mare. Poi l’imbarco sul Jumbo della Thai.
Si sta ballando un po’, ma spero che duri poco, senno’ come faccio a
scrivere?
Nel nostro reparto, proprio l’ultima fila, c’e’ uno steward molto simpatico;
mi ha dato il permesso di fare le riprese del decollo e ci siamo
intrattenuti parlando di Hua Hin.
Che lo aiuta a distribuire gli aperitivi, c’è una Hostess veramente carina,
ma con un nome impronunziabile.
Io la chiamero’ “COSCIA LUNGA”.
Ci porta il menu’ scritto su cartoncino pitturato e decorato. Il contenuto
reale lo vedremo dopo.
Intanto “coscia lunga” arriva con gli aperitivi e posso subito esibirmi nel
mio perfetto inglese.
Infatti chiedo un Campari con ghiaccio e mi ritrovo sul vassoio un bicchiere
con succo di mela. Ma l’italiano che ha in testa il sale, dovrei essere io,
non si perde di fronte all’incompetenza linguistica della hostess ed a
gesti, indicando la bottiglia, mi ritrovo con due bicchieri, succo di mela e
Campari. Da provare!!
Sotto di noi, dopo un’ora dal decollo, si vedono le montagne della Grecia
tutte innevate.
Comincio ad avere un certo appetito.
Dopo due ore e un quarto siamo sopra Ankara.
E’ già buio e si vedono le città illuminate della Turchia.
La cena-pranzo non è male : filetti di pesce al curry con riso, per me, e
filetto di manzo con piselli e tagliatelle per Gianna. Il vino, bianco e
rosso, è francese. Il profumino ed una certa fame mi fanno finire tutto,
compresi i tagliolini della mia vicina di posto.
Fà molto scalpore la mia boccetta di peperoncino che porto sempre con me.
Tutte le hostess si fermano, guardano, chiedono cos’è e fra una chiacchiera
e l’altra mi permettono di portarmi via i bicchierini della Thai, per
ricordo.
Fra i miei compagni di viaggio si notano due sposini in viaggio di nozze,
brilla troppo la lora fede nuziale, sei giapponesini che già dormono, una
compagnia di italiani che pensa di fumare nelle ultime file, e invece tira
cinghia come me, ed una thailandese con un figlio piccolo, bisognevole di
frequenti cambi di pannolini.
Dopo il bicchierino di Martell c’è più quiete, tanti leggono, alcuni
guardano il film, altri tentano di assopirsi.
Solo un nonno italiano, con nipotino di tre anni ha scoperto l’intelligente
giochino di rincorrersi per il corridoio, chiamandosi con urletti
indiavolati. Tra poco, se continuano, mi addormenterò anch’io, ma con un
piede fuori nel corridoio.
“O ridi ora, ‘mbecille” gli dirò aiutandolo a rialzarsi.
Intanto coscia lunga non si vede più. Chissà che fine avrà fatto.
Sono passate sei ore ed abbiamo sorvolato Teheran; tantissimi pozzi di
petrolio sono riconoscibili nella notte profonda.
Una hostess antipatica mi manda via dalla sua poltroncina, dove si
stendevano bene le gambe, e per questo è antipatica. Poi assieme a coscia
lunga continua a passare per il corridoio con il vassoio delle bibite. Io
per dispetto ogni volta ne prendo una.
Sopra Karachi c’è molta turbolenza.
Stò scrivendo a sgorbi. Tonfa, ritonfa. Tutti seduti per mezz’ora con le
cinture allacciate. Vado ugualmente in bagno camminando come un ubriaco.
Dentro mi scappa da ridere, perché scappa in quà e là anche qualcos’altro.
Mi viene in mente quella signora che scrisse a “lettere al direttore”.
Caro direttore, mio marito ha sempre voglia di fare l’amore; quando dormo,
quando preparo il pranzo, quando mangio, quando stiro, quando guardo la
televisione. Cosa devo fare, signor direttore ?
Si, ho capito, risponde il direttore, ma perché scrive a balzelloni ?
14 GENNAIO 2000 VENERDÌ
Albeggia e dopo poco la colazione atterriamo a Bangkok.
Nove ore e mezzo di volo. Veramente poco, sono le 7.15 ora locale.
Ancora dentro l’aeroporto, in attesa di passare la dogana, cominciamo a
vestirci adeguatamente, nel senso che rimango con jeans e magliettina bianca
di cotone maniche corte. Fuori, nonostante l’orario mattutino fa già molto
caldo, saranno 25 gradi; abbiamo lasciato Bolzano con -7.
Cominciamo l’avventura per arrivare a Hua Hin.
Di norma, per fare 250 KM, dall’aeroporto alla nostra destinazione balneare,
vi sono i pulmini degli alberghi o le vetture private, che per la modica
cifra di 2.400 bath = 120.000 lire, per due persone = 60.000 lire a testa,
ti portano all’albergo di Hua Hin in 3 ore.
Considerandola un’esagerazione, in virtu’ del medio costo della vita in
Thailandia, decidiamo di risparmiare, affidandoci, seppur limitatamente, ai
trasporti locali.
Il risultato e’ che all’aeroporto, dopo diverse ricerche, prendiamo un
pulmino shuttle, con aria condizionate, comodo e gradevole, che ci porta
fino al ponte PINK LAO per 70 bath a testa = 3.500 lire.
Da qui un TAXI METER, con 60 bath ci fa arrivare al terminal sud dei bus e
quindi con pullman di linea, aria condizionata, abbastanza accettabile, in
altre 3 ore a Hua Hin con 110 bath a testa.
Altri 50 bath per il taxi scoperto, con panche, dalla stazione bus al Royal
Garden Resort.
Piccola curiosita’ economica: invece di spendere in due 2.400 bath = 120.000
lire, ce la siamo cavata con 470 bath = 23.500 lire, arrivando alle 12.30,
ma divertendoci un mondo e partecipando alla vita quotidiana dei residenti.
Ne valeva la pena.
Il Royal Garden Resort di Hua Hin è rimasto come me lo ricordavo.
Bello, pulito, con tanto verde. Una piscina molto grande, immersa in un
giardino tropicale; bouganville, palme, frangipani, orchidee, creano dei
giochi di luci ed ombre. Si sente parlare solo tedesco. Di italiani .. solo
noi due!
Al confine est dell’Hotel, una spiaggia grandissima ed altrettanto pulita,
con una sabbia bianca e finissima.
Ci offrono il drink di benvenuto e ci permettono di riprendere fiato. Poi a
cercare se sulla spiaggia c’e’ ancora il baracchino di legno dove 6 anni fa
cucinavano un meraviglioso pesce alla thailandese.
C’e’ ed e’ rimasto uguale; non una tavola di legno in piu’ o un mattone
messo a nuovo. L’unica aggiunta, i tavolini di legno con relativi ombrelloni
piantati nella sabbia.
Gianna si accontenta di un paiolo di macedonia di frutta ed io, tanto per
iniziare col piede giusto, mi pappo un tegame di Tom Yam Kung (una zuppa di
pesce con gamberoni, funghi, pomodorini, cipollotti, citronella, tante
verdure) piccante e buonissima.
Infine due granchioni al vapore con salsa chili a parte. La loro polpa e’
veramente squisita. Le pietanze le assaggia anche Gianna che pero’ si
arrende presto allo zenzero del Tom Yam Kung.
Il caldo, ma non irresistibile, grazie ad una leggera brezzolina, ci fa
scolare due birre Singha Big.
Per la cronaca e per ricordo: il tutto per 250 bath = 12.500 lire.
Ora sono le 16.30 e dopo il bagno in piscina andremo in paese. Abbiamo
voglia di dormire ma dobbiamo resistere fino a stasera, cosi’ domani
prenderemo subito i ritmi del fuso orario thailandese, 6 ore in avanti.
Cena in una terrazza sul mare.
Hua Hin si e’ rinnovata moltissimo. E’ piena di negozi belli e tanti
ristorantini. Molto pulita, molto turistica, ma piacevole.
Di italiani, che notiamo, ci sono solo quattro ristoranti, dai quali, forse,
ci terremo lontani.
Dicevo della cena. Speciale come sempre: zuppa di pesce con granchioni,
gamberoni in salsa curry, riso bianco, riso con gamberi e uova, 3 coca cole,
acqua minerale. Poco meno di 300 bath = 15.000 lire, in due.
Unico neo, i moscerini, che pappano Gianna sulle gambe; una quindicina di
punture che pero’ dopo 10 minuti scompaiono con lo stick apposito.
Dopo cena visita al mercato serale per locali. Paccottiglia e curiosita’,
capi di abbigliamento, scarpe, borse, borsette, e tanta roba da mangiare,
molto simpatico, ma crolliamo di stanchezza. A letto, facciamo in tempo a
guardare il TG2 delle 14.00, qui sono le 20.15 e ci addormentiamo.
15 GENNAIO 2000 – SABATO
Alle 2.00 ci svegliamo come fosse gia’ mattina. Girelliamo un po’ e poi ci
riprende il sonno. Ci risvegliamo che sono le 8.30; forse abbiamo gia’ preso
il giro giusto.
Colazione abbondante nei pressi della piscina. Con tutto quello che c’e’, si
potrebbe fare un lauto pranzo. Mi limito a tre tazze di caffe’ nero, 2
succhi di arancia-mandarino, 2 uova fritte, 3 fette di pane con burro e
marmellata di ananas.
Vi sono diverse famiglie Thai che oggi vengono in piscina. E’ il loro giorno
di festa e lo trascorrono al mare. Sulla spiaggia c’e’ piu’ gente di ieri,
ma l’idea di Riccione o Viareggio è’ lontanissima.
Una venditrice di frutta stà preparando il suo ombrellone per riparare
l’enorme cesto dal sole, che picchia sodo.
I cavallai attendono i turisti per una galoppata sul bagno-asciuga e le
massaggiatrici (quelle serie, ma per me sono le altre piu’ serie, perche’ la
prestazione e’ piu’ completa), si preparano a palpeggiare i glutei dei
turisti.
Solito pranzo, dieta di crostacei e riso.
Per quanto si diversifichi nei menu’ e nelle bibite, non si riesce a
spendere, anche esagerando, piu’ di 250 bath = 12.500 lire a testa, facendo
un pasto completo ed abbondante con pietanze che in Italia sarebbero
proibitive economicamente, se consumate in modo continuativo.
E’ pomeriggio e andiamo in paese passando per la spiaggia. Vogliamo prendere
le biciclette a noleggio, ma prima tento di affittare un samlor, riscio’
locale.
Sarebbe bello, io che pedalo e Gianna che si spaparanza nella carrozzina.
Non riesco a convincerli,ed a farmi capire, che non ci serve il pedalatore e
cosi’ prendiamo due bici normali per 100 bath = 5.000 lire a testa al
giorno: TROPPO!!! ma non ce ne sono altre.
Giriamo per il paese fino al campo di golf e poi ancora per i mercati.
Alla sera è attivo il night market, mercato serale pieno di negozietti e
ristorantini in uno dei quali sostiamo per la cena.
E’ sempre un grande effetto vedere il pesce in bella mostra, sceglierlo,
farlo cucinare in diversi modi e gustarlo senza mai stancarsi.
Al termine della cena, controllando il conto, noto che il totale e’
inferiore al normale.
Ricontrollo, e non appare segnata un’insalata di granchio ordinata
successivamente.
Lo faccio notare al boss che si prostra in centomila inchini e
ringraziamenti, notando lui, questa volta, che aveva computato due birre
piccole invece che due Big. Ma potevo tapparmi la bocca !!
Rifa’ la somma, pago la differenza e mi dice: “You are very kind – tu sei
molto gentile.” “No”, rispondo io, “I am a very ball italian!!! – Io sono un
italiano molto coglione”.
A letto a mezzanotte ma dormo poco. Non ho sonno.
16 GENNAIO 2000 – DOMENICA
Quella budella della mi’ moglie mi convince ad andare in bicicletta fino
alla montagna con il Budda, alla fine della lunghissima spiaggia. Sono 5 Km
di sudate. Al ritorno ci fermiamo un attimo nel complesso scolastico dei
Salesiani, che si trova proprio di fronte al nostro Hotel.
Si avvicina un mistico filippino che parla molto bene l’italiano.
Conversiamo e gli diciamo che sei anni prima eravamo stati a trovarli.
Volevamo, gli dico, verificare se i Gesuiti avevano gia’ conquistato i
Salesiani.
La risposta e’ stata divertente, ma, secondo me, una mano era sprofondata
giu’ nella tonaca in cerca di qualche cosa.
Stò prendendo il sole ai bordi della piscina e rivivo mentalmente le poche
ore trascorse qui in Thailandia.
Fra le altre cose, che mi vengono in mente, rivedo il nostro arrivo in
aeroporto a Bangkok.
Siamo stati quasi gli ultimi a prelevare le nostre valigie dal nastro
trasportatore, ed anche gli ultimi del nostro volo ad andare via.
Sul nastro erano rimasti tre bagagli che giravano; intorno nessuno.
Quando siamo usciti dalla porta della dogana, non hanno controllato se il
bagaglio che portavamo era effettivamente nostro.
Potevamo anche esserci sbagliati ed aver preso quello di qualche altro
passeggero, o potevamo, volontariamente ed in mala fede, appropriarci di
cose non nostre.
Mi chiedo: mi pare che anche in Italia non vi siano controlli, o no ? Se
così fosse non mi parrebbe esattamente corretto. Costringerebbe i passeggeri
in transito a precipitarsi nella zona consegna per non farsi sottrarre le
valigie da qualche male intenzionato. E se il controllo passaporti durasse
più a lungo del previsto, come è successo a noi ?
Che io mi ricordi, solo all’aeroporto di Caracas, dopo la dogana, prima di
uscire dall’aerostazione, mi hanno verificato se il numero dei tagliandi
incollati sulle borse, corrispondevano esattamente a quelli “madre” datimi
al check-in.
Vi chiederete, cosa centra questo ? Niente, ma mi è venuto in mente ora.
Le massaggiatrici in spiaggia.
Hanno creato una struttura in legno con il tetto in foglie grandi di palma.
Sull’impiantito vi sono tre materassi ed i turisti si fanno massaggiare per
un’ora al prezzo di 300 o 500 Bath = 15 o 25 mila lire (bisogna trattare).
Le massaggiatrici sono forzute e non sono proprie delle ragazzine; ogni
volta che passo lì vicino mi chiamano con “hallo” e muoiono dalla voglia di
palparmi; il mio fascino ha colpito ancora.
L’anno scorso avevo concesso loro questo grande beneficio e debbo dire che
sono state veramente brave.
Secondo me, però, queste sono solo professioniste dismesse, sia per l’età
che per la stazza, perché l’occhietto vispo ce l’hanno ancora.
Io preferisco le altre, Gianna invece no!!
Siamo a pranzo in un ristorantino della zona turistica, ma che dà fiducia.
Ci accoglie una cameriera gentilissima e soprattutto molto carina, a
differenza di tante altre.
Alta, bel personale, jens e magliettina attillata. Due poccine che stanno su
senza trampoli.
Anche l’occhio vuole la sua parte, ed è per questa ragione che mi sono
seduto lì.
Ma anche l’orecchio vuole la sua parte, ed infatti appena arriva per le
ordinazioni, Gianna mi fa subito notare la voce un po’ roca e mascolina.
In breve, per la mezz’ora del pranzo, il mio occhio ha indugiato con
insistenza dove poteva esserci una certa differenza ormonale, che però non
ho notato. Ho provato a spogliarla con lo sguardo, senza alcun risultato.
Eppure cosa avrei dato per una piccola palpatina !
Anche mio cugino Francesco, sono sicuro, avrebbe voluto accertarsi della
tipologia faunistica della thailandese.
Certo, con quella classe e portamento, è proprio una cameriera con le palle.
E’ pomeriggio tardo e decidiamo di riportare le biciclette al noleggiatore
in paese.
Fuori dall’hotel, c’è una ragazzina sui 16 anni, ma qui l’età della gente è
molto discutibile e soggettiva, che arranca alla guida di un risciò,
trasportando due tedesconi ben pasciuti e con le birre in una mano.
Le faccio un cenno per indicarle che l’aspetterò non appena scaricati i due
bigonzi.
Dopo poco arriva tutta felice di poter rifare il viaggio di ritorno a pieno
carico.
E’ identica alla soddisfazione del camionista che è riuscito a ritornare
alla base con il mezzo riempito.
Appena si avvicina, le dico di scendere e la istruisco sul funzionamento
della telecamera. Prima di qualche sua obiezione, gli e la lascio in mano e
dopo aver fatto salire Gianna nel carrozzino, mi metto alla guida del ciclo
per qualche giro davanti all’albergo.
Abbiamo fatto divertire i taxisti e gli altri risciò-men, tranne la nostra
fanciulla, che sperava di trasportarci in paese.
Tutto sommato, penso che sia rimasta ugualmente contenta, con la mancia che
le ho lasciato.
Dopo cena, da ripetere il granchio con i glass noodle (spaghettini fini di
riso), andiamo a noleggiare un fuoristrada per domani.
Non costerebbe neppure molto, 1000 Bath = 50.000 Lire al giorno, ma è senza
assicurazione e non hanno la possibilità di stipularla. Non ci arrischiamo
ed optiamo per un motorino Honda a 4 marce automatiche, con sedile adatto
per due persone.
Costo 200 Bath = 10.000 Lire al giorno.
Quello delle bici mi ha proprio integamato !!
17 GENNAIO 2000 – LUNEDÌ
Un luogo comune, soprattutto tra gli europei del nord, consiste nel
considerare caciaroni gli italiani.
Bene, li posso smentire.
Li superani gli spagnoli e di più ancora i francesi.
Qui al Royal Garden ve ne sono diversi e quando sono in piscina od in
spiaggia o a colazione, si fanno proprio notare.
Squardi di riprovazione di danesi, svedesi e specialmente di tedeschi, che
finalmente non possono più pontificare : ” questi soliti italiani”.
Ci dispiace solo di essere gli unici italici presenti in questa struttura.
Se ci fosse la compagnia giusta, che dico io, sarebbe una bella corsa fra
noi e loro !!
CULONI LARGHI:
Non avrei mai immaginato che potessero esistere dei deretani così enormi.
O è un caso, o all’aeroporto, i doganieri, prima li vagliano, come Tristano
con la mietitrebbia, e poi li smistano tutti qui.
Certo che, se una di queste matrone si sedesse su un sacco di coriandoli, al
momento di qualche atto fisiologico soft, farebbe carnevale per un mese.
Mi ritrovo così ad ammirare i pochi culetti decenti, che in condizioni
normali, mi parrebbero dei corbelli.
Faccio pratica con il motorino; ormai sono diventato un esperto.
Andiamo sulla collinetta ad ovest di Hua Hin, quattro kilometri tutti in
salita.
Il panorama è stupendo, il caldo ti affoga.
Sotto, il campo da golf e poi il paese, la spiaggia fino a Cha Am lunga 25
Km.
Peccato che ci sia un po’ di foschia; da tornarci al tramonto, con il sole
alle spalle.
Su in cima, con noi, ci sono quattro giapponesi, un uomo e tre donne, di una
certa età. Attacco subito discorso, (altrimenti cosa scriverei ?) e lui mi
chiede se parlo spagnolo, perché ha vissuto molto a Madrid.
E la frittata è fatta. Ma quando mai mi sarei immaginato di parlare,
capendomi, con un giapponese ?
Con il motorino è troppo bello; decidiamo di andare a Cha Am, altra località
di mare.
Su Internet avevo trovato un sito, il cui autore, parlando di Hua Hin,
consigliava però di provare un ristorante di Cha Am, che secondo lui era il
Top.
Il ristorante si chiama PAK KLONG e si trova a nord del villaggio, dove
termina la lunga spiaggia. Lo individuo anche senza indicazioni in inglese.
L’insegna del nome ve la risparmio; è tutto scritto in thailandese, ma una
vecchina ce lo insegna con un dito.
Chiediamo al cameriere se è proprio il ristorante Pak Klong e lui
naturalmente acconsente.
Potrebbe anche essere ” la locanda della sesta felicità”, mi fermo
ugualmente; ma come posso essere certo ?
La conferma viene durante il pranzo.
Pietanze eccezionali, curate, saporite, preparate con dovizia di
particolari. Il conto un po’ più caro, perché cibo superbo.
Colpo di vita, ci roviniamo con 540 Bath = 27.000 Lire in due.
Valeva la pena dissanguarci.
Consiglio : polpa di granchio, tanta e sbucciata, con curry indiano.
Con il motorino è un piacere.
La gente locale si accorge subito della mia imbranatura celestiale,
specialmente nelle rotonde (la guida è a sinistra) e mi agevola con ampi
gesti e sorrisi di compatimento.
Al rientro in albergo, come sempre, faccio lo scemo con la guardia della
Security all’ingresso del viale, salutandola militarmente sull’attenti.
Solo che questa volta sono sul motorino e mi sono ritrovato vicino al canale
con le ninfee.
Gianna mi sopporta, ogni tanto scuote la testa, ma in fondo in fondo, che
esistenza piatta avrebbe senza uno sciabordito come me ?
In piscina c’ è una biondina niente male, che, ho controllato bene, è sola.
Per due volte, quando passa, la saluto e le sorrido, così tanto per
gentilezza.
Lei deve avere però qualche difetto alla vista; non mi vede proprio. Peccato
!
Abbiamo uno zainetto della Nike pieno di tasche e taschini, molto comodo,
rigorosamente falso, acquistato l’anno scorso a Ko Samui.
E’ molto adatto per girare e per questo usato tantissimo. Mi pare che fosse
stato pagato 300 Bath = 15.000 lire, e così quando mi accorgo che una
bretella si è strappata a metà nella giuntura, non mi sono preoccupato
molto.
Usa e getta, lo ricompro uno nuovo.
A Gianna viene in mente di andare a cercare una bottega dei
settecentoventisei sarti che si trovano lì intorno e convincerli a
riattaccare bene le due bretelle, magari senza fretta, si può tornare il
giorno dopo a prendere lo zainetto.
Troviamo un sarto fuori del paese, proprio lungo la strada che porta alle
cascate.
C’e’ un garage lungo lungo, dove in fondo è dislocata l’abitazione con
l’immancabile televisore sempre acceso, e all’ingresso, il laboratorio di
sartoria.
Sommerse da montagne di pantaloni, gonne, camicie, giacche, si intravedono
vecchie macchine da cucire ed alle pareti, raffigurazioni di Budda ,
Buddini, fotografie e stampe di famiglie reali, tutte incorniciate da
ghirlande e coroncine di fiori.
L’artigiano ci accoglie curioso, forse siamo i primi europei che si
rivolgono direttamente a lui.
Ci spieghiamo in lingua locale, nel senso che lui parla thailandese ed io
l’italiano, ma con tanta gestualità, sorrisi, esclamazioni, che alla fine
capisce il motivo della visita e ci fa cenno di accomodarci su una panchina
lì dentro.
Stiamo a guardare per un’oretta il genio che si esibisce in tutto il suo
repertorio creativo, cercando bullette, trincini, battitori, incudinini, e
spesso lavorando per terra.
Ogni tanto mi si avvicina e, indicandomi la borsa, mi dice qualche parola,
sempre in thailandese.
Ho imparato che le risposte migliori e di effetto sono una serie di
esclamazioni di stupore e lui ritorna all’opera soddisfatto.
Sorpresa finale al termine delle riparazioni : 60 Bath = 3.000 lire.
18 GENNAIO 2000 – MARTEDÌ
Mi è accaduto molte volte di contrattare i prezzi delle merci esposte nei
mercati.
In genere, partono dal doppio del prezzo poi concordato successivamente.
Alcuni acquisti, però, non si concludono perché discordanti di 20 Bath fra
domanda ed offerta.
Alla fine rifletto: e io ho perso mezz’ora inutilmente per mille lire !
E’ giusto così, o valeva la pena mollare ?
La risposta ciascuno se la può dare secondo la propria filosofia,
intendimento e concetto di vita.
Intorno al settore del turismo ruota un sistema umano incredibile.
E’ una vacca, quella del turismo, dove le possibilità di mungere sono
infinite. I thailandesi lo sanno e si comportano di conseguenza, sempre
grati a chi si rivolge a loro, mai servili però, con grande dignità.
Non ho mai notato il pietismo sui loro volti, né il disprezzo per chi, più
abbiente, si trova dall’altra parte del banco.
E’ sempre un piacere conversare, sia per informazioni, sia per affari anche
miseri, sia anche per sterile argomento.
Certo non ti regalano nulla, ci mancherebbe anche questo; a meno di quanto
loro stabiliscono non riesci a comprare, ma tutto viene coordinato con un
rituale identico per tutti.
Una calcolatrice che non serve a fare i conti, ma solo per scrivere il
prezzo che ti chiedono e quello che tu offri. Alla fine un OK da parte loro
conclude l’affare, che viene sempre rispettato. Se poi ritorni, anche dopo
qualche giorno, a riacquistare merce similare, loro se lo ricordano, e sei
esentato dal procedimento palloso e vai direttamente al sodo.
Non riuscirai comunque mai a capire qual’ è il prezzo giusto.
“D’ Alema dice no ai referendum sociali” vale poco meno di un pasto in un
ristorantino lungo la strada per Kiri Kan, vicino al parco marino naturale e
nel mezzo di grandissime piantagioni di ananas.
Infatti, nel ritorno pomeridiano, abbiamo comprato in paese il ” Corriere
della Sera”, costo 130 Bath = 6.500 Lire, edizione di domenica passata, il
cui titolo l’ho indicato prima.
Sempre in motorino, bella gita, ma che caldo !
Fuori delle arterie principali, nessun turista, è per questo che destiamo
stupore.
Ci fermiamo nei pressi di alcuni laghetti artificiali con piccole idrovore,
per l’ossigenazione delle acque.
Mi sembrano allevamenti di Kung, gamberi, ed infatti l’uomo Thai mi indica
di avvicinarmi e tirando su una rete fittissima mi mostra il contenuto.
Penso subito ad una moltitudine di crostacei che mi saltano addosso
all’indietro, invece non vedo nulla.
Quello insiste, e finalmente noto delle microscopiche innumerevoli uova; fra
queste un gamberino, piccolo piccolo, appena nato, ma già formato.
” Vai ciccio, che’ te ti mangio dopo “.
Vicino, c’è un ragazzotto accoccolato sulle ginocchia, che parla prima
dolcemente, poi con convinzione, dopo ancora con fermezza, fino a lanciare
incitamenti strazianti.
Il suo interlocutore lo fissa, prima assente, poi, più interessato, infine
la sua attenzione sembra vibrare fino allo spasimo e si scarica con un
“chicchirichì” poderoso e belligerante.
E’ dentro una grande gabbia di bambù ed il suo padrone mi assicura che è
“very strong” e che sabato prossimo, nella piccola arena, farà sicuramente
fuori quel bastardo che un mese fa’ l’ha ridotto al lumicino. Ora si è
rimesso ed è pronto per rendergli la paga.
Non me la sento di fermarmi a pranzare accanto ad uno dei tanti baracchini
sulla strada, se non altro, perché l’unica acqua che vedo per risciacquare i
piatti, è quella di un secchio sotto il tavolo.
Optiamo per una trattoria locale, con tavolini, che sembra più adatta.
Unici clienti, noi, risatine di compiacimento, e secondo me, di prese per il
culo, da parte delle cinque presenze femminili nel locale, fra donne e
ragazzine.
Dopo la conta a chi tocca venire al nostro tavolo, mandano l’unica ragazza
che parla inglese.
Dice solo ” jes e denchiù” ma è sufficiente.
Per scegliere le pietanze, mi presenta una carta molto ricca, ma purtroppo
scritta molto e solo in thailandese; la guardo unendo le dita delle mani e
muovendole in sù e in giù; e ritonfa con le risate.
Mangiamo ugualmente e bene.
Mi sono anche fatto capire che desideravo cibi piccanti.
E’ riuscita a farmi morire.
Sempre crostacei e riso. Ci siamo compresi talmente bene che oltre al resto,
mi sono toccate due paiolate di zuppa di pesce.
Totale del conto per la cronaca economica: 220 Bath = 11.000 lire perché
Gianna ha preso anche un trombone di gelato ed io una Pepsi da un litro e
mezzo, sennò si pagava anche meno.
Che scottata oggi alle cosce, con il motorino; stanotte mi leccherò le
ferite.
Solita serata con piacevoli passeggiate in paese; infiniti vialetti e viuzze
per il sollazzo del turista.
Chioschi, negozietti, baracchini, ristorantini; per quanto ci passi e
ripassi, sembrano sempre una novità.
Mi soffermo spesso ad ammirare la tecnica di preparazione dei “thai food”,
pietanze thailandesi.
I cuochi sono folcloristici e preparati, usano una quantità di spezie e
verdure a noi sconosciute, che riempiono di colori e sapori i piatti che ti
preparano.
Optiamo per la solita osteria.
Ormai ci conoscono, sono premurosi, attenti, gentili, spiegano la
preparazione dei vari menù, ci consigliano cosa provare, tanto io sono
l’italiano coglione.
Un neo, comune a tutti i ristoranti, è la mancanza di tovaglioli di carta,
quelli che si addoppiano in quattro, quelli insomma che conosciamo noi, e
con i quali si riesce a sgrassarsi la bocca e le mani; o non li conoscono o
li ritengono superflui.
Usano dei microscopici pezzettini di carta sottile, misura cm. 5 x 10,
appoggiati in un contenitore sul tavolino; non servono a nulla.
Il mio amico Biagini, Cartaria Dolomiti, avrebbe da lavorare parecchio qui
in Thailandia.
Stasera ho chiesto un bottiglione grande di Pepsi, come quella del
mezzogiorno, perché quella in bottigliette piccole in una sorsata è già
finita.
Non l’avevano, ma niente paura, sono andati a comprarla nel market accanto.
Poi scelta di pesce direttamente dalla vetrinetta piena di numerose qualità
marine. Consiglio: provare il red o withe Snapper, dentice, con salsa al
curry o al chili od anche solo bollito o alla griglia, è stupendo.
Il ristorante lo consiglio a qualche camionista che per caso si trova a
passare per Hua Hin.
Si chiama SUKS MBOON ed il boss è PRASERT BOOTYING.
Si trova in DEACHARNUCHIT ROAD 99 proprio nel mezzo del mercatino della
sera.
19 GENNAIO 2000 – MERCOLEDÌ
Tre bossoli di caffè nero e tanta frutta per colazione, poi alla stazione
ferroviaria, a piedi (il motorino lo abbiamo restituito ieri sera), per
prenotare il treno per Bangkok, domattina presto.
Sono le 8 ed i baracchini gastronomici sono pieni di thailandesi che
mangiano ( li vedo sempre mangiare, li invidio) zuppe di verdura con carne,
zenzero e coriandolo in foglie, prezzemolo cinese, aglio tanto, scalogno,
bergamotto, cedronella lemon glass, tanto riso, spaghettini, tagliatelle
larghe e sottili, fatte con farina di riso, pezzetti di pollo con troiaini
vari, ma saporiti, a guardare la soddisfazione con cui si ingozzano. Profumi
e aromi di spezie, noce moscata, chiodi di garofano, curcuma, pepe,
cannella, e l’immancabile “nam pla” salsa salata a base di pesce fermentato.
E poi frutta fresca per tutti i gusti e tutti i sapori, manghi, ananas,
interi o affettati, mangostani rossi,frittelle di banana, banane alla brace,
diffusissime le fette di cocomero, anche con polpa bianca, più dolce di
quella rossa.
Sono degli esperti a scolpire la frutta e verdura e la trasformano in
splendide decorazioni.
Le Ferrovie Thailandesi debbono essere, in qualche modo, in una fase di
transizione, smobilitazione e rinnovamento, ma in peggio.
Saranno stati istruiti da qualche loro collega a sei ore di fuso orario in
meno, perché non c’è quasi mai nessuno allo sportello, gli orari sono
scritti in modo che solo dopo aver conseguito una laurea in cartellonistica
ferroviaria, riesci un po’ a comprenderli; hanno anche tolto il bar, dove ci
si ristorava con una bibita fresca.
Prenotiamo i posti e paghiamo i biglietti per domani mattina presto fino a
Bangkok, in seconda classe, previste quattro ore di viaggio, speso 182 Bath
a testa = 9.100 lire.
Oggi giornata di riposo sul mare.
Abbiamo due poltrone-lettini nel giardino confinante con la spiaggia tramite
un murettino basso.
Siamo in prima fila e vediamo tutto quello che succede ed il passeggio sul
bagnasciuga.
Ogni tanto passa qualche venditrice di ananas, banane, noci di cocco, con i
due cestoni a biciancola su una spalla.
Ci guarda sorridendo, chissà cosa pensa.
Una di queste ha una bambina piccola che ci squadra con gli occhioni
sgranati.
Gianna dice di no, ma io sono sicuro di aver sentito la madre dire alla
figlia : “hai visto che carini che sono ? sembra che capiscano”.
Da noi, i bambini si portano allo Zoo, qui invece in spiaggia, e gratis.
C’è una slava “CULO GIUSTO” qui accanto a noi, ma anche il viso è della
stessa categoria.
Legge un libro a caratteri cirillici.
Chissà come sarebbe rotolarsi fra sospiri e da !! (come ha insegnato Lucio
Battisti).
Ora passa “CULO BASSO”.
Se la perdi la ritrovi subito, basta seguire la strisciata che lascia il
deretano sulla sabbia.
La sabbia è bianchissima, fina, pulita, non scotta, ideale per bambini.
Mi piacerebbe, ma mi vergogno, eppure cosa darei per una paletta e
secchiello.
“CULO BIANCO” è invece passata ora.
Dev’essere appena arrivata e continua a passeggiare sul bagnasciuga facendo
ogni tanto dei piccoli saltelli e gridolini quando arriva l’ondina di
risacca.
Certo è difficile sopportare il freddo dell’acqua, che credo sia un brodo
bollente.
Gianna è una santa.
Mi compatisce, mi guarda con commiserazione quando rido per conto mio e
scrivo, e l’ho sentita pensare: “ma che cazzo avrà da tenere sempre la penna
in mano ?”
Direttamente in mare con la sigaretta fra le labbra è andata “CULO SECCO”.
Questa mattina, a colazione l’ho vista ingerire tre grani di mais, un filino
di papaia, un licius sbucciato, tanto per non ingrassare troppo.
Infine, due fettone di torta alla crema con sopra aggiunto mezzo chilo di
marmellata di ananas.
Poi deve aver vomitato il tutto.
Indossa un due pezzi microscopico, di costole ne ho contate ventisei, sembra
la pubblicità della nota stazione climatica di fumenti naturali, chiamata
Auschwiz.
“Ma perché non ti metti anche il tanga, tanto che ci sei, così sei ancora
più bella?”
L’ho sentita rispondere col pensiero : “Ma perché non ti fai i cazzi tuoi,
ciccio ? Guardati te, trombone”.
E’ un’ora che qui davanti c’è uno che vende fazzoletti e parei di seta.
Ad un tratto, mi mostra da lontano un libro con le figure.
Sembra un menù.
I ristoratori intelligenti, avendo a che fare con i turisti, sostituiscono
la lista delle vivande, con fotografie dei piatti già preparati, così si fa
prima a scegliere e dove si casca.
Gli odori ed i sapori non sono ancora riusciti a trasferirli nell’immagine.
Mi alzo a guardare che piatto guarnito scegliere oggi, ma vedo raffigurati
solo dei disegni da ricopiare nei tatuaggi.
Contrariato, gli chiedo, allora, se nel suo repertorio, c’è anche una fava
grossa così ed al suo diniego declino l’offerta delle raffigurazioni
ordinarie.
” LO SPIAGGESE” è la lingua ufficiale dei bagnanti con la gente locale.
I movimenti gestuali delle mani non si contano. Scuotimenti di capo, manate
sulle spalle, dita delle mani che si scozzolano ad indicare le unità,
sospiri di sollievo, stupore, rattristamenti di espressione.
Così si crede di capire cosa pensa l’altro e si tenta di convincerlo che il
prezzo offerto è buono.
“Ci limetto, ci limetto” è una parola ricorrente.
Ho appena visto una norvegese pagare 150 Bath lo stesso pareo da noi preso a
100 Bath, e magari il francese l’ha pagato solo 50 Bath.
Alcuni negozi e pochi mercatari cominciano a praticare i prezzi fissi.
Almeno ti puoi regolare all’incirca quanto può costare quello che ti
interessa.
Il solito tatuaggiante, che assieme alla sorella vende anche i parei, belli,
misti seta e cotone, mi si avvicina e mi dice : ” amigo italiano, gome stai
?” (quando parlano italiano la dizione è come quella degli africani).
Gli chiedo come fa a sapere che sono di Siena ma vivo a Bolzano, e lui mi
indica il naso e gli occhi.
Bisogna che la mattina mi lavi meglio la faccia per cancellare la visione
del piatto di pici col sugo, specialità della Val d’Orcia, altrimenti
riconoscono subito la mia origine.
Mi vengono in mente i tunisini, che qualche secolo fa, al bazaar di Jerba,
mi venivano incontro chiamandomi: “amico italiano, Riva, Rivera, Anastasi;
Chinaglia, Zoff”.
” Ci abbiamo mangiato in due e ci sono anche avanzati ” gli ho berciato
passandogli davanti all’ Italian Pavillon del nostro albergo, ristorante
molto quotato.
Abbiamo pranzato benissimo sulla spiaggia, in un baracchino nuovo, pulito,
con personale gentile e svelto per 190 Bath = 9.500 lire in due.
In uno dei tre ristoranti dell’albergo con 400 Bath = 20.000 a testa, si
mangiava poco di più ed altrettanto bene.
E’ sempre parecchio meno che in Italia, ma ormai sei condizionato dal potere
della moneta locale e dal costo della vita qui in Thailandia.
Così non ti sembra più molto sciocco risparmiare anche le mille lire.
Tutte le guide turistiche indicano i prefissi internazionali da comporre per
telefonare in patria.
Ti dicono di digitare 00139 più il numero con prefisso nazionale, alcuni
senza lo zero, altri completo.
Provo col telefonino a spedire dei messaggi a nostro figlio, ma per quanto
provi tutte le combinazioni suggerite, non riesco a trasferire la posta.
Allora, ormai rassegnato, faccio il numero normale, con il prefisso normale,
come se fossi in Italia, ed arriva tutto.
” POCCIA FLACCIDA ” ha colpito ancora.
Ma di tutte quelle che potevano farmi ballare gli occhi, proprio te dovevi
prendere il sole in topless ?
Ci ha provato anche una più carina, si fa per dire; è sdraiata sul lettino a
pocce in su e quando si raddrizza per fumare una sigaretta, si copre il seno
con il cappello di paglia, per decenza.
Ma valle a capire ste’donne.
Tante non realizzano che l’indecenza è invece mostrare le due appendici
cadenti, spompate e magari piene di grinze.
Aveva ragione un mio ex amico toscano quando affermava:
“alle donne, è più facile entri prima in c…., che nel capo”.
Sempre piu’ spesso si notano in giro europei di tutte le eta’ in compagnia
di ragazze thailandesi.
Noto anche gli sguardi di riprovazione degli altri turisti.
Ma che c’e’ di male se lei si e’ innamorata perdutamente dell’uomo bianco?
Lui e’ contento, perche’ in patria credeva di aver smarrito il suo fascino,
qui riconquistato.
Per lei, una botta di vita, inimmaginabile per le amiche del villaggio e
l’equivalente di 18 sacchi di riso da sfamare per un anno i sei fratellini.
Il tornaconto vale la pena.
Loro sono del ceppo mongolide, mica mongoloide!!
Tutti che ci spalmiamo di olio solare e creme abbronzanti protettive.
La mia e’ fattore 9, dice una; si, ma la mia e’ fattore 6, adatta anche sul
ghiacciaio, dice l’altra.
Devono aver copiato dalle industrie dei pneumatici.
Uno monta un treno di gomme da neve winter a novembre e va avanti bene fino
a maggio, usando naturalmente anche i percorsi autostradali, chè tanto sono
fatte anche per questi.
Cosi’ le creme; ora vanno bene a Hua Hin e fra qualche giorno a Obereggen.
I tedeschi non si smentiscono mai.
Credono che la lingua internazionale sia la loro.
Si rivolgono nei chioschi dei locali e sempre in lingua teutonica, non una
parola di inglese, chiedono: “Vorrei un paio di Viustel cotti bene e con
tanta senape, meglio ancora se assieme mi date un piatto di crauti e due
cetrioli”, poi si meravigliano ed imprecano se il thailandese li guarda
incredulo o se i crauti sono esauriti.
“Quanto costa questo, quanta colazione e’ compresa nel soggiorno, a che ora
esatta apre la sala della colazione?”
Alle 6, e giu’ tutti in fila 10 minuti prima, per entrare e sedersi,
puntuali sempre, anche se e’ ancora buio e devono ancora digerire i tromboni
di birra ingurgitati solo qualche ora precedente.
Avrebbero sicuramente bisogno di farsi un clistere con il breccino!!
Ad una signora tedesca, mi rivolgo in tedesco, per indicarle dove andare a
farsi preparare un omelette e due uova al tegamino, con pancetta, guarnite
di germogli di soia e contornate da due salsiccioloni arrostiti.
Mi ringrazia meravigliata e mi chiede dove ho imparato la sua lingua.
” A letto, signora ” rispondo, e mi arriva un calcio sugli stinchi,
provenienza Gianna.
Il sistema delle colazioni, in Thailandia, è quello americano.
Vi sono diversi tavoloni pieni di “TUTTO” e ciascuno passa a prendersi
quello che vuole.
Solo la bambina con il briccone del caffe’ gira fra i tavoli e riempie piu’
di una volta le tazze, a chi lo chiede.
Ai tedeschi, o per lo meno alla maggioranza di questi, tutto cio’ non basta.
Credono di essere nel Take Away, prendi e porta via, e cosi’ dopo aver fatto
la prima indigestione, riempiono le borse e il Ruecksack di banane, panini,
burro, marmellata.
Tanto per ricordo, per saltare il pranzo e magari risparmiare 2.000 lire, ti
venisse un colpo.
Già l’anno scorso a Ko Samui, in un piccolo Resort pieno solo di tedeschi e
noi 4 italiani, con Carmelo e Anna Maria, se tardavi un attimo la mattina al
cesso, non trovavi piu’ né il mango, nè la papaia.
Mentre spingevi pensavi “ma una banana me l’avranno lasciata ?”
Il ristoratore era costretto a raccomandare con l’altoparlante di mangiare
pure fino a schiantare, ma di non fare razzia, per la loro cazzo di desina.
Li odiavo.
O oggi Gianna, verso le 11.00, non tira fuori dalla borsa un licius e lo
sbuccia. Me ne ha offerto la meta’; e’ piccolo come una noce, ma non me la
sono sentita di privarla del suo trofeo.
Oggi il sole ha picchiato forte.
Me ne accorgo in camera. Stasera mi mangero’ al posto dei gamberoni, sono
cotto a puntino.
Trovo una farmacia e mi prendo una crema contro le scottature.
Istruzioni in Thai. Non riesco a tradurre se bisogna spalmarla prima o dopo
i pasti.
20 GENNAIO 2000 – GIOVEDI’
Piove.
E’ ancora buio, sono le sei meno un quarto e ci facciamo accompagnare alla
stazione ferroviaria dal taxi dell’albergo, 40 Bath = 2.000 lire a testa.
Ci hanno preparato due basket, scatole di cartone con la colazione.
Il cuoco ci porta due tazzone di caffè, che beviamo subito.
Il treno arriva in orario, anche se viene dalla Malesia ed il nostro vagone
è tutto pieno.
Con rincrescimento, dobbiamo disturbare una donnina che si è straiata nei
nostri due posti prenotati. Chissà qual è la sua provenienza? Forse la
Malesia.
Si siede allora su due poltroncine dove ci sono già altre due donne ed un
bambino, per lasciare il suo comodo giaciglio al ricco uomo bianco. Mi sono
vergognato come una spia, ma cosa ci posso fare?
Il vagone di seconda classe, con aria condizionata, è uguale a quella di
terza classe, ma con ventilatori nel soffitto, che non funzionano, ed i
finestrini e le porte aperti.
C’è un odore come di acido fenico che si propaga specialmente quando il
treno rallenta o si ferma.
Poi credo di scoprire la natura del profumo. Sacchi di cipolle ed aglio
deposti nei porta oggetti.
Quasi tutti dormono, ma cominciano a svegliarsi e si mettono in coda nel
..”loco comodo”, con asciugamano sulle spalle, spazzolino e dentifricio in
una mano, rotolo di carta igienica nell’altra.
Guardiamo il contenuto del basket, che Gianna poi consumerà: due panini,
vaschetta del burro, tortina di banane, un mandarino, 5 bananine, 2 uova
sode, coscio di pollo, un sandwich.
Prendo la scatola ancora sigillata e mi avvicino ai sedili della nostra
sfrattata.
Gli e l’appoggio sulle ginocchia, le faccio un sorriso, le indico il bambino
come gesto diversivo, mormoro alcune parole incomprensibili per lei e me ne
vado via subito, prima che mi mandi in stramona.
Accanto al nostro c’è il vagone ristorante.
Ci vado e tutto sommato sono più diligenti che da noi. La fatiscenza e
l’incuria è identica alla nostra, ma la gentilezza e l’operosità è migliore.
Sono le sette e mezzo, ed alcuni mangiano già piattate di riso con carne e
verdure.
Mi limito al menù “B” da 80 Bath = 4.000 lire : sandwich con prosciutto e
formaggio, fette di ananas, bossolo di caffè e succo di arancia-mandarino.
Fuori ha smesso di piovere e le nuvole sono alte. La temperatura è
gradevole. Attraversiamo campagne allagate, piantagioni di palme, manghi,
papaie e risaie di un verde vivo; sembrano campi da golf.
Sul treno c’è un andirivieni di venditrici di tutto quello che serve a
riempirsi la pancia. Se non bastano queste, ci pensano le colleghe nelle
stazioncine dove ci fermiamo.
I ferrovieri, quelli che ci hanno controllato i biglietti, vestiti da
militari e con diverse stellette sulle spalline, cominciano a spazzare i
corridoi dei vagoni ed uno con secchio, acqua, detersivo e spazzolone, lava
per terra.
Appare il sole ed anche la lunga periferia di Bangkok.
Arriviamo con tre quarti d’ora di ritardo, sommato tutto negli ultimi dieci
kilometri.
Sei ore per 220 kilometri.
Usciamo dalla stazione di Bangkok, dribblando centinaia di tassisti abusivi
che mi offrono un passaggio, ma io sono un italiano furbo e vado
direttamente all’uscita a prendere il TAXI METER con il tassametro a prezzo
fisso.
Prima però mi fermo a comprare un pacchetto di sigarette.
Sono aumentate quest’anno a Bangkok; mi costano 345 Bath = 17.250 Lire.
Si, perché, 45 Bath sono per le Marlboro e 300 Bath = 15.000 lire per la
multa pagata al poliziotto che mi ha bloccato nell’atto di salire sulla
macchina, dopo aver gettato la cicca per terra.
Ve lo ricordate : “chi siete, da dove venite, cosa portate, si ma quanti
siete? Due fiorini !! ” Ugualos.
La ricevuta della sanzione pagata la debbo incorniciare.
Non so se mi brucia più lo spettacolo dato alla folla vociante attorno al
tavolina della gogna, o la presa pel culo di Gianna, che ha così rinvigorito
i suoi argomenti contro i fumatori.
Debbo dire, sinceramente, che mai una multa è stata tanto giusta e pagata
così serenamente.
Bangkok ci accoglie con la solita vampata di calore, umidità, caos e rumore
assordante.
Al Siam Intercontinental non ci vogliono riconoscere il DAY USE per l’ultimo
giorno, perché non specificato nei voucher, anche se eravamo d’accordo con
l’Agenzia. Ce lo possono concedere solo pagando il prezzo di una nottata in
più.
Il day use è la possibilità di occupare la camera fino alle ore 18,00
dell’ultimo giorno, invece che fino alle 12,00, come consueto.
Infine, dopo una telefonata in Italia al Tour Operator, siamo d’accordo che,
o riconoscono il fax dell’agenzia con il voucher , o lo pagheremo noi, con
successivo rimborso.
Siamo anche un po’ contrariati dalla sistemazione in camera. Ce
l’aspettavamo migliore; stanza piccola, unico letto alla francese, una
piazza e mezzo, ho l’impressione che ci provino e che ci abbiano sistemato
in una singola, adattata per due persone.
In più, siamo fuori dal padiglione centrale, ma questo era previsto.
La camera mi sarebbe andata bene una quarantina di anni fa, quando la notte
non c’era bisogno di molto spazio ; anzi !
Le strutture del Siam Interconti, al contrario, sono favolose.
I giardini, attorno alla bella piscina, sono un campionario di piante e
fiori tropicali; sembra di essere in un giardino botanico.
Diversi pavoni passeggiano tranquillamente per gli spazi verdi, nei dieci
ettari che una volta appartenevano alla famiglia reale, immersi in centro
alla caotica città.
Trovano posto anche campi da tennis, un campo pratica da golf, percorsi
jogging, con canali, laghetti, ponticelli.
Più distanti, si intravedono i grattacieli, che ogni anni diventano più
numerosi.
Dall’altra parte della strada, è in funzione, da tre mesi, la metropolitana
sopraelevata.
Per 25 Bath = 1.250 Lire, ci porta in dieci minuti sulla riva del Chao
Phraia, all’imbarcadero dell’ Hotel Oriental (uno dei cinque alberghi più
rinomati nel mondo).
Il panorama è stupendo, durante il tragitto con il Metrò.
Saliamo sul battello, risalendo il fiume, 10 Bath = 500 Lire, fino al ponte
KUNG PHO, dove ci ricordiamo di quella trattoria dell’anno scorso.
La troviamo, ci sediamo e dopo poco intravedo quel cameriere che mi ero
fatto amico.
Gli chiedo se si ricorda di me e la sua espressione non muta.
Gli ricordo allora le sigarette fatte con il tabacco, macchinetta e cartina,
ed il suo viso si illumina.
Non sa più cosa fare.
Si inchina, ride, mi prende le mani, mi vuole abbracciare, racconta a tutti
i suoi colleghi le avventure culinarie dell’anno passato, e pranziamo.
Tutto ottimo come previsto, solo i prezzi un po’ più alti che a Hua Hin.
Ormai siamo degli esperti, conosciamo quasi tutti i costi delle pietanze.
Abbiamo notato che non c’è molta differenza fra un locale e l’altro, tranne
che in quelli di lusso all’interno degli Hotel.
Ma fra Bangkok e Hua Hin si nota l’aumento ; in media ogni piatto costa in
più ben 20 Bath = 1.000 Lire.
Siamo stanchi e decidiamo di stare qui intorno al Siam Center.
A cena, entriamo in un locale dove la guardia della security, che ci apre la
porta, mi stringe la mano a lungo, come fossimo vecchi conoscenti, e mi
farfuglia un discorso interminabile.
Rispondo anch’io alla vigorosa stretta e gli rispondo, con ampi sorrisi, in
italiano, che Craxi non ce l’ha fatta ad andare a cena con Borrelli e che
l’Inter, anche se fa pena, potrebbe ancora vincere il campionato (sono
notizie apprese alla televisione satellitare).
Quando usciamo, però, preferisco farlo dall’altra parte per paura che mi
baci sulla bocca.
Gianna mi ha chiesto : ma perché quando parli con qualcuno, gli ripeti
sempre che sei italiano ?
E’ vero, quando converso, anche solo per saluti di circostanza, comunico
sempre al mio interlocutore che siamo italiani.
Questo perché non vorrei che dicessero fra sé : “ma che rompi coglioni che
sono questi due tedeschi di merda “.
Andiamo a letto presto stasera.
Domani vedremo cosa combinare.
E’ anche bello riposarsi e non far niente.
21 GENNAIO 2000 – VENERDI’
Bangkok deve aver preso la sindrome di Singapore. Tutte le piazze ed i viali
principale sono pulitissimi.
Omini e donnine con la scopa in mano sono dappertutto e sempre all’opera.
Abbiamo visto, ieri sera, pulire, con lo spazzolone e detersivo, il selciato
di marmo del piazzale antistante il Wordl Trade Center.
Peccato però che nei SOI (strade) vicini, la porcheria e l’immondizia si
accumuli dovunque.
Importante, credo, sia cominciare, ma se assieme al repulisti delle strade,
sistemassero anche i marciapiedi, uno che cammina cercando un portacenere,
dopo essere inciampato in una buca, non finirebbe sul lastricato, seppur
pulito e lucidato perfettamente.
Dopo colazione consegniamo le chiavi della stanza e Gianna dice al
“ricevimento” : Birichini, la stanza che ci avete assegnato era una singola,
vero?, ci avete inserito un letto da una piazza e mezzo e biancheria da
bagno per due, è così?”
Costernazione e ricerca di convincerci che per quello che abbiamo pagato è
anche troppo.
Infine, cosa otteniamo ?
Ci cambiano stanza, ci spediscono al piano terra, fronte giardino, accanto
alla piscina.
Che sfiga !!
Ci avevano provato !!
Ora si che ci siamo ; soggiorniamo dentro il padiglione.
E’ pomeriggio e, direttamente dalla stanza, usciamo in piscina.
Stamani abbiamo fatto visita al WAT ARUN, il Tempio dell’Aurora.
Per me, è il Wat più bello. Peccato che le scalinate che portano all’apice
siano chiuse ai visitatori; da lassù in cima il panorama sul fiume deve
essere incantevole.
Ci dirigiamo a piedi, dopo aver traghettato sull’altra sponda, verso il WAT
PHO, dove c’è l’immenso Budda sdraiato, visitato già altre volte, e, seppur
stupenda tutta la struttura, ci dirigiamo al suo interno, direttamente verso
la scuola dei massaggi tradizionali thailandesi.
Lì, per 120 Btha = 6.000 Lire, per mezz’ora ci palpano, ci tirano, ci
premono, ci bullettano, ci stirano, ci addoppiano, insomma ci rimettono a
piombo.
E così siamo io e Gianna dopo il trattamento.
Da raccomandare : provatelo lì.
La differenza tra il massaggio tradizionale e quello di cui mi ricordo, è
minima ; nel secondo, ti levano i pantaloni e gli slip, e nel primo non te
li levano proprio, e così è anche più scomodo.
Accanto al Siam Interconti, c’è un centro commerciale, dove al terzo piano
esiste un’area grande con tanti piccoli chioschi di prelibatezze thai,
cinesi, malesi, coreane. Si acquistano prima i coupons da 5 – 10 – 20 bath
l’uno e poi si scelgono i vari piatti, pagandoli con i bigliettini.
I buoni che avanzano si cambiano alla cassa.
Abbiamo assaggiato vari tipi di pietanze, alcune buone, altre curiose, altre
ancora un po’ insapori per i nostri gusti.
In piscina ora voglio riposare, leggere, scrivere, nuotare.
Al bagnino ho messo in tasca un biglietto da 20 Bath = 1.000 lire, e si stà
facendo in quattro per trovarci due lettini dove li voglio io, con un
ombrellone dove lo vuole Gianna.
Ogni tanto uno stormo di piccioni ed una coppia di pavoni si avvicina al
bordo piscina per dissetarsi.
Basta che non mi scagazzino addosso mentre faccio il bagno.
Mi rivolgo a loro con un ” kacle du du du”, sarebbe il chicchirichì
americano, ma non devono conoscere le lingue estere.
Gianna dice che non ha più dolore alla cervicale e secondo lei è merito del
WAT PHO.
Ogni cinque minuti entra ed esce dalla piscina.
Così stasera le ritorna.
Torno un attimo in stanza e trovo sul tavolino un piatto di frutta preparato
per noi con il bigliettino di accompagnamento della Direzione.
Lo gradiamo molto, ma non riusciamo ancora ad inquadrare il meccanismo che
ha fatto ribaltare il nostro trattamento.
Sono appena passati, qui vicino, due finocchioni patentati.
Si riconoscono immediatamente; lui aitante e frequentatore di palestre, lei
permissiva e sottomessa.
Li saluto con “hallo”, lei mi risponde e lui mi incenerisce con
un’occhiataccia gelosa.
Sapevo che cominciavo a piacerle!!
Il programma prevede di andare a cena nel più grande ristorante del mondo.
I camerieri servono i clienti correndo sui pattini a rotelle, da quanto la
sala è immensa. Ne avevo sentito parlare e ne avevo lette le qualità sulle
guide specializzate. Ha battuto tutti i record di grandezza ed il suo nome è
stato inserito nel guinnes dei primati.
Delusione !!
Mi dicono che il contratto con il proprietario dell’immobile non è stato
rinnovato e quindi non esiste più.
Tante cose a Bangkok, come in un attimo vengono create, altrettanto
velocemente spariscono.
Proviamo allora con il SEE FOOD MARKET, ristorante con mercato del pesce.
L’ultima volta che sono stato a Bangkok, esattamente un anno fa, non sono
riuscito a trovarlo (poi ho scoperto di aver sbagliato numero di strada),
nonostante il mio albergo fosse proprio nei suoi paraggi.
Ora, informazioni attendibili ci indicano la via, il luogo, il numero.
Con il Metrò andiamo sulla SUKOMWIT ROAD, si prende il SOI 24 ; è una strada
abbastanza lunga e piena di ristoranti, trattorie, baracchini.
In fondo c’è il See Food Market.
E’ uno spettacolo, grandissimo, inimmaginabile.
Nell’enorme ingresso vi sono le cucine vetrate.
Si vedono trenta cuochi intenti a preparare i piatti.
All’interno, arredamento molto curato con tavolini, sedie, fiori da tutte le
parti e ragazzi e ragazze molto giovani a disposizione per servire ed
indicare il procedimento che si usa.
Su un lato del grandissimo salone vi sono banchi di pesce e crostacei di
tutte le specie e categorie, oltre ai banchi di verdure e frutta.
Il motto dell’insegna luminosa del locale recita in inglese . “Se cerchi
qualsiasi cosa che nuota, quì la trovi “.
E’ come essere al mercato. Con il carrello della spesa si prende quello e
quanto si vuole, su ogni cassetta è segnato il prezzo al kilo, poi si esce
dalla cassa dove si paga e si torna al tavolo.
Arrivano subito i camerieri che chiedono e consigliano come cucinarlo,
ricevono le ordinazioni delle bevande e portano il carrello ai cuochi.
Per il servizio di cucina, il compenso viene fissato prima.
Ci portano il pesce scelto preparato in maniera eccellente.
Fra l’altro, abbiamo mangiato della fragole divise in due, naturali, e
pronte per essere intufate, ma poco poco, in una tazzina piena di zucchero
di canna, mescolato con peperoncino tritato.
Provare, a me è piaciuto !!
Certo, non si può pretendere di spendere come mangiare riso e gamberoni in
una trattoria, ma il conto uno se lo può fare all’atto della scelta. Questo
non è il vero volto della thailandia gastronomica, qui ci si rende conto
quanto è a buon mercato quello che ti vendono nelle bancarelle.
Ne consiglio una visita !!
Ho considerato che una cena di pesce, crostacei, aragoste, gamberoni,
aragostine, granchioni, insomma una cena memorabile, si può pagare
l’equivalente dalle 30 alle 50 mila lire; di più no, perché uno scoppierebbe
prima.
In Italia costerebbe cinque volte tanto.
E’ arrivato nel chiosco dei giornali dell’albergo il “Corriere della Sera”,
con in prima pagina la notizia della morte di Craxi.
Lo leggo prima di addormentarmi.
Il silenzio di Borrelli crea grande rumore, ma mi concilia il sonno.
22 GENNAIO 2000 – SABATO’
Ci alziamo presto per andare, dopo colazione, al WEECK END MARKET.
E’ aperto solo il sabato e la domenica.
La linea della Metropolitana sopraelevata ci porta in venti minuti proprio
al suo ingresso. Con il taxi e con il traffico intasato come al solito, ci
avremmo impiegato più di un’ora.
Il Metrò è in funzione solo da qualche mese ed il suo utilizzo non è
divenuto ancora abituale.
Così, negli ingressi e nelle piattaforme di sosta, stazionano poliziotti e
personale esperto che aiutano i passeggeri ad espletare le pratiche
necessarie.
I biglietti si ritirano solo dalle macchinette che funzionano con monete da
5 e 10 Bath.
Vi sono degli sportelli ove gli impiegati cambiano le banconote.
Gianna, già espertissima, si fa dare solo poche monete da 10 Bath, perché
già in possesso di altre, e inserendole dentro il marchingegno, quest’ultimo
ne rifiuta una.
Immediatamente arriva il militare, prova lui ed anche lui non riesce a farla
ingollare.
Poi, prendendola in mano, si accorge che la moneta assomiglia a quella
giusta, ma non è uguale.
E’ una da 500 lire italiane che Gianna si era trovata in tasca senza
accorgersi della differenza, dal momento che si assomigliano moltissimo.
Prendendola fra le dita con diffidenza e senza capire che moneta possa
essere, la porta dagli impiegati, che la cambiano, ma che anche loro, la
girano e la rigirano per riuscire a capire come abbiano fatto ad avere in
cassa un attrezzo del genere.
Gianna si è guardata bene da svelare l’arcano ; come avrebbe fatto a
spiegare che non voleva truffare le ferrovie thailandesi?
Saranno ancora lì a guardare quella misera moneta italiana !!
Il week-end market è’ un’area grandissima tipo bazaar arabo e si vende tutto
quello che uno si può immaginare, ed anche di più, compresi animali esotici.
Più tardi sarebbe stato troppo pieno di gente e già ora il caldo soffocante
mi inzuppa di sudore la magliettina leggera di cotone.
Troviamo delle cose veramente belle ed a poco prezzo; altre,
interessantissime,seppur anche queste poco costose, hanno il problema di
essere trasportate in Italia, ed è impossibile per l’ingombro eccessivo.
Ci accontentiamo del solito e trascorriamo la mattinata passeggiando tra i
banchi e conversando con i venditori, come sempre disponibili e gentili.
E’ uno spettacolo, ed una bionda, di mia buona conoscenza, ci perderebbe
delle giornate intere.
Al ritorno, verso mezzogiorno, riprendiamo il metrò, ma l’affollamento che
si è creato, indica che la linea si è guastata. Tutta la Metropolitana di
Bangkok è ferma.
Succede anche qui e dicono divertiti che è la prima volta.
Sembra che mi fissino in modo strano!!
No, dico io, è già la sesta o la settima volta che me ne servo, e non sono
io che porto pece.
Arrivano anche gli operatori della Televisione locale e mentre riprendono
con la loro cinepresa, a mia volta agguanto la mia e li filmo io.
Incrocio di immagini, e giù risate di entrambi.
Anche oggi, solito cesto di frutta tropicale in camera, e di nuovo in
piscina.
In giro c’è meno traffico degli altri giorni, ma c’è più gente che dalle
campagne si riversa in città per trascorrere il fine settimana. E’
esattamente il contrario di come fanno in occidente.
Il turista si gode la città ? Ed oggi, che è festa, ce la godiamo anche noi,
dicono i thailandesi delle pianure.
Il turista è l’incarnazione di quel modello che li ha fatti sognare
guardando la televisione. Per il turista, la Thailandia stà vendendo se
stessa e si è aperta senza condizioni, per servire il delicato bisogno di
svago del viandante ricco.
Crea anche, però, una serie di problemi che dovrebbero far riflettere.
Ma è un discorso troppo lungo e complicato…!!
C’è il ragazzino della piscina che ogni tanto mi saltella intorno. Quando
faccio un movimento con il braccio per accostare la sigaretta alle labbra,
balzella verso di me, pensando di essere chiamato, poi, fa un inchino e
prosegue.
Oddio, ho pensato la prima volta, non è che il fumo l’ho espirato verso
terra e mi vuole sanzionare con 300 Bath di multa ?
E’ incredibile il numero di “CULETTI SECCHI” che girellano per Bangkok.
Ste’ cittine sono fasciate da jeans taglia 22 e magliettina Gucci o Versace,
su ciabatte con tacchi da mezzo metro. Non hanno mezz’etto di ciccia in più.
Ci sono tante bruttine, altre così e così, e poche, ma si notano subito,
veramente belline.
Se scendono dai trampoli diventano bonsathai.
Mi sono accodato a loro per uno spuntino veloce.
Al Mc Donald un panino con pesce tipo Findus, coca colona, patatine fritte
costa 90 Bath = 4.500 lire.
E’ poco per noi, ma credo che loro non se lo possano permettere tutti i
giorni.
Uno stipendio medio si aggira sull’equivalente di 3 o 4 centomilalire al
mese.
Mentre ero al Mc Donald, Gianna ha pranzato solo con la frutta omaggio
nella camera.
Secondo me, anche a lei piacciono i bonsai.
Dice anche che vuole tornare a rifarsi i massaggi, le sono piaciuti troppo.
E allora perché si incazzava quando ci andavo io ?
La differenza stava solo nella facoltà, che avevo, di poter scegliere la
massaggiatrice con la vestaglietta bianca numerata.
Per ritornare ai prezzi, che non capirai mai quali siano quelli giusti, a
Hua Hin ho comprato un paio di occhiali da sole marcatamente falsi RAY BAND
per 120 Bath = 6.000 lire.
Al week-end market li vendevano uguali, ma non marcati, a 50 Bath = 2.500
lire.
Per non parlare poi di quei meravigliosi e comodi zainetti della NIKE a 210
Bath = 10.500 lire.
C’è qui a Bangkok, dentro il Wordl Trade Center, una boutique della Lacoste
(quella vera). Magliette, maglioni, soprabiti, scarpe, giacchette, tutte
Lacoste, con un’infinità di colori e sfumature.
Il prezzo di una maglietta colorata è di 1.500 Bath = 75.000 lire.
Mi pare che in Italia costino sulle 130.000 lire.
Ma ormai mi sono abituato così tanto ai falsi d’autore, che il coccodrillino
vero sembra più brutto di quello clandestino.
La qualità del cotone dei falsi è comunque ottima.
Bangkok, in particolare, la Thailandia, in generale. cerca di emulare in
maniera sconcertante le grandi nazioni asiatiche.
Stà vivendo una fase tumultuosa di miracolo economico ed appare come un
terreno fertile per gli investimenti stranieri; questo, soprattutto grazie
all’offerta di mano d’opera a basso costo e stabilità politica.
Un imprenditore italiano, che da cinque anni si occupa del settore
dell’abbigliamento, mi ha confessato che stanno smobilitando le loro
fabbriche in Thailandia, perché non più convenienti.
Hanno aperto delle succursali nel Bangladesh, paese allucinante, da quanto è
povero.
Gli ribatto: Eh, fate bene, così il sarto lo pagate solo 1.000 lire al
giorno, invece delle 3.000 lire che vi costa qui.
Ha acconsentito, ma, secondo me, non ha realizzato se la mia era una
considerazione accondiscendente o riprovevole.
Sia nei piccoli, che nei grandi centri, tutti lavorano.
Si scavano contemporaneamente quattro buche, se gli operai sono quattro.
Conosco un paese dove uno scava, un altro controlla e gli altri due stanno a
guardare, discutendo dell’ultima assemblea sindacale sull’assenteismo
occulto.
Qui no, scavano tutti e quattro; magari una poi si dimenticano di riempirla,
ed io ci finisco dentro cercando il secondo portacenere in giro.
Due americane, qui in piscina, sono tutte preoccupate per la neve che,
caduta abbondante, sta paralizzando Washington. Chissà come sarà il tempo a
Timbuctù ?
Il programma di stasera è un giro a Pat Pong, quartiere di negozietti e
spettacolini incredibili.
Voglio ritornare in uno di quei templi del sesso più inverosimile, sfrenato
e penoso, tanto.
Gianna ha già risposto con un categorico no !!
Le è bastata una volta; ha detto che non si pente di aver vissuto una serata
a vedere ciò che neppure una donna immagina si possa fare con il proprio
corpo, ma le è servito per decidere di non ritornarci.
Girelliamo per Pat Pong facendo dei piccoli acquisti.
Ai lati delle strade, oltre le bancarelle, si aprono i vari locali proibiti
ai puritani.
Io non lo sono e sbircio dentro le porte aperte. E’ presto, sono le otto di
sera, ma ci sono già le “girls” che ballano nude sui palchi. Altre, di
fuori, stanno terminando di truccarsi.
Ogni dieci metri, un giovanotto ci sventola sotto il naso un cartoncino dove
in tutte le lingue sono descritti i dodici spettacoli che si possono
ammirare dal vivo al piano superiore.
Trascrivo il numero 4, ma per decenza ogni parolaccia la sostituirò con
“BUM”.
” Bum, bum, bum, bum, bum, e poi si frullano come cignalacci “.
Secondo me, ultimamente, gli uomini sono stati un po’ trascurati, qui a
Bangkok.
Una volta, la qualità delle ragazze “GO GO BAR” era migliore.
Tantissime sono piuttosto bruttine, poche sono decenti, alcune, ma rare,
sono bellissime.
Credo che quest’ultime, però, dopo vari giochini e voli pindarici, ti
presentino il conto finale scritto su un bel baccellone.
Nò grazie, le fave mi garbano tanto, ma solo quelle maggiaiole in Toscana.
Ogni tanto i negozianti hanno bisogno di una rinsestata.
Generalmente sono sorridenti, gentili, corretti; qualcuno se ne vuole però
approfittare, e quando te ne accorgi, lo devi castigare.
Il giochino delle tre carte ed il pacco pieno di cartaccia lo hanno
inventato a Napoli e non sono d’accordo di riprovarlo a Bangkok.
E’ successo che, dopo molte trattative, siamo riusciti a spuntare un prezzo
interessante per una borsa Vuitton, falsa, ma bella.
OK, giro l’occhio e nel sacchetto di plastica ci infilano una borsa
similare, ma diversa da quella scelta.
Non hanno avuto alcun effetto i richiami del boss; abbiamo girato il
deretano e siamo andati via.
Ma vaffanculo, vendila ora a quella maiala della tu’ sorella, ciccio, se ci
riesci.
23 GENNAIO 2000 – DOMENICA
Mattina presto dedicata al ” PARCO LUMPINI”.
E’ il polmone verde di Bangkok, in pieno centro, con pagode, laghetti,
giardini.
Passeggiamo fra giovani e vecchi che fanno jogging lungo i percorsi
predestinati.
Alcuni, da soli o in compagnia, eseguono esercizi di ginnastica filosofica
orientale, e tanti sono con un maestro che li istruisce.
Alle 8 in punto, altoparlanti, nascosti fra le piante, diffondono l’inno
nazionale.
Tutti si fermano, in piedi, ad ascoltare con devozione.
Al termine, un inchino e riprendono la loro attività.
In alcuni padiglioni aperti è disponibile l’attrezzatura per il “karaoke”.
Podisti stanchi o giovanotti di una certa età si esibiscono in canti, mi
sembrano cinesi, e si compiacciono quando li osservo e li riprendo con la
telecamera.
Uno, al termine dell’esibizione, credendomi americano, mi dice ridendo che
lo spettacolo non è gratis e dovrei pagare 2 dollari. Rispondo, sempre
ridendo, che sono italiano e quindi pagherò con 2 lire.
Una signora attempata riempie il giardinetto con dei gorgheggi di un’opera
lirica cinese.
Il finale assomiglia molto al muggito di quando una vacca va al toro.
Mentre cineriprendo il laghetto con le barchette, una coppia, seduta sopra
una panchina, all’ombra di un sicomoro, mi chiede da che parte del mondo
provengo.
Alla mia risposta erutta una serie di esclamazioni di ammirazione per Roma,
Milano e gli italiani.
Rispondo, con sincerità, che anche la Thailandia è altrettanto meravigliosa
e soprattutto i suoi abitanti.
E’ raro vedere europei nel parco. Non rientra nei percorsi turistici, ed è
un peccato. Una visita, la merita proprio.
Ma anche qui c’è la pecora nera.
Terminata la visita al parco Lumpini, decidiamo di ritornare al week-end
market, per le ultime spese.
Per la strada, pochissima gente, il traffico quasi inesistente a quest’ora
di domenica.
Vicino alla fermata della sopraelevata, un passante ci chiede ancora da dove
veniamo.
Solite esclamazioni, e poi : ma dove andate ?
Ed io coglione : al week-end market.
Oh, fa lui, ma oggi è domenica ed apre solo il pomeriggio.
Mi consulto con Gianna e decidiamo allora di tornare in albergo, in piscina
e poi nel pomeriggio shopping.
Allora il furbone fa : vi accompagno io a fare un giro turistico e spesucce
varie in attesa delle 13.30, orario di apertura, secondo lui.
Ma và a straffanculo, tegame, gli fò, e vò via.
Consiglio : quando ti chiedono dove vai, dribblali. O altrimenti fai come ho
fatto io l’anno scorso, appena fuori del Rembrand. Dopo aver evitato il
quarto omino che voleva accompagnarmi dove voleva lui, per farmi comprare
quello che gli pareva e prendere così la provvigione, all’ennesima domanda
“dove stai andando?”, gli ho risposto in italiano: vado qui dietro l’angolo
a farmi una padellata di cazzi miei, vuoi venire ?”
” Oh jes”, ha acconsentito, ma è rimasto lì.
E infatti il mercato lo troviamo aperto; per quanto ci ritorni, trovi sempre
roba nuova, interessante, curiosa, nelle più di cinquemila botteghe che lo
compongono. Purtroppo le valigie ed i borsoni hanno una capacità limitata.
Da non scordare che Gianna, domani, si vorrà riempire di orchidee.
E’ quasi mezzogiorno e finalmente ci dedichiamo alla piscina. Ci si stanca
ad andare in giro e sono in un bagno di sudore.
Le nuotate poi ti ristorano e ti riimmergi volentieri nel solito e ovattato
ambiente turistico; che bello fare gli “italiani medi”.
I cittini francesi e quelli tedeschi sono come gli italiani : rompicoglioni.
In piscina sguaiattano dappertutto con giochi, giochini, occhiali da sub,
palle, palline colorate, richiami, gridolini, urletti. I loro genitori li
guardano, solo ogni tanto, e preferiscono scolarsi boccali di birra, con
questo caldo.
Gianna non li sopporta, a me invece piacciono .. fritti.
Poi se ne vanno per quindici minuti e Gianna nuota con uno dei salvagentini
lasciati in acqua, da loro.
Ora, però, li trova simpatici.
Non so nuotare bene, ed in acqua vado dove si tocca. Sono ritornati i
bambini.
Una cittina tedesca, bellina, tanto, avrà 3 o 4 anni, nuota con gli altri e
la vedo ad un tratto andare sott’acqua, provare ad uscire, ritornare sotto,
cercare di mettere la testa fuori, annaspare.
Dentro la piscina ci sono solo loro. Un coetaneo, con i salvagenti alle
braccia, la guarda e ride. Non si rende conto del problema.
La bambina è senza braccialetti.
Mi precipito in acqua, solo perché lì si tocca.
La prendo per un braccino e la sollevo sul bordo, dove sputacchiandomi
addosso si riprende, sbava, si stropiccia gli occhi, mi guarda, e sento che
pensa ” a buon rendere “.
I presenti mi guardano disinteressati.
Mi aspettavo un applauso ed una medaglietta.
Ci sono due, arabi dalle fattezze, seduti ad un tavolo fra la vasca ed il
giardino.
Uno, giovane, con lo stecchino fra i denti che cambia continuamente molare e
le gambe su una poltroncina.
L’altro, più anziano, pelato, vestito ma senza scarpe, con i piedi
calzettati, appoggiati sopra il tavolino.
Passo loro accanto, per andare al cesso, luogo più consono anche a loro e li
sento discorrere.
Sono italiani, milanesi dalla parlata, probabilmente manager e stanno
valutando l’attendibilità del loro partner coreano.
Sono le due del pomeriggio. Si stà troppo bene qui nella Pool; forse
saltiamo anche il pranzo. Ceneremo presto stasera,e recupereremo tutte le
calorie perse a far niente.
Le scimmiette ci sono anche qui al Siam Interconti.
Non camminano carponi a quattro zampe, non hanno la coda prensile, né hanno
la corona del culo deformata da quelle escrescenze emorroidali che tanto
impressionano noi umani.
Arrivano vestite all’ultima moda, con l’uomo bianco che l’accompagna ed i
bambini dietro, vestiti da festa, con le scarpe, calzettoni, e vestitino
allacciato fino al collo, poverini, a trascorrere quì la giornata festiva.
Alcune assomigliano proprio ai primati di cui parlavo prima.
Chissà se il loro costume da bagno prevede anche il reggiemmorroidi ?
Oggi i pavoni corrono il “TOUR DEL SIAM”.
E’ mezz’ora che si rincorrono percorrendo lo stesso tragitto circolare,
piscina, siepe di bambù, albero di frangipane, palma, bouganville,
ponticello di legno, mangrovia, piscina di nuovo.
In “pavonese” ho sentito il più scarso dire a quello che lo superava: ” eh
ti ripiglio, ti ripiglio, tanto ti ripiglio”.
Lasciamo la piscina che è ancora presto, sono le quattro del pomeriggio ed
andiamo a fare il giro dell’isolato.
Detta così, sembra una passeggiata veloce; ci abbiamo impiegato tre ore.
Non ci si può immaginare quanto, percorsi che sulla cartina sembrano brevi,
in realtà siano infiniti. In sovrapprezzo il caldo, l’umido, la gente, i
rumori assordanti.
L’inquinamento acustico delle città italiane è irrilevante, in confronto.
I peggiori quartieri di Napoli sono un’oasi di pace, rispetto a Bangkok.
I motorini ed i Tuk-Tuk, specie di “Apine” con carrozzino, sembrano senza
marmitta di scarico. Tanti camminano con le mascherine sulla bocca; i
poliziotti del traffico, tutti.
Diversi giovani usano quel “suppostone” tipo “vicks” ispirandolo dal naso.
I mercatini di Pratunam, qui vicino al Siam Intercontinental, sono veramente
da visitare.
Infiniti, ma non caotici come a Pat Pong e quasi tutti con i prezzi fissi.
Verifichiamo quanto in più abbiamo pagato dalle altre parti.
Abbiamo anche trovato gli orologini falsi, ma belli, che Gianna cercava, ma
non trovava più in altre bancarelle.
Due Rolex ed un Cartier con cinturino = circa 11.000 l’uno.
Credo che le grandi marche stiano attivandosi per stroncare il remunerativo
ed anche conveniente mercato dei “falsi ma belli”.
Al ritorno incrociamo due pezzi di mandorla da schianto.
Sono davvero molto belle, forse escono da una sfilata di moda. Mi devo
ringollare quanto detto prima, delle indocinesi.
Alte, classe, portamento, bellezza, trucco sapiente, mi fanno inciampare
nell’ammirarle e loro ridono.
Mentalmente auguro loro di rompersi il collo slittando dagli alti trampoli
ove sono appollaiate.
Loro mentalmente si sono toccate i marroni.
Gianna ne è convinta ed io con riluttanza, a riguardarle bene, anche.
Abbiamo già cenato e siamo seduti sulle poltroncine della hall in albergo.
Fuori ci sono quattro neozelandesi primitivi, vestiti da neozelandesi
primitivi, due uomini e due donne.
I due maschietti a petto nudo, con le chitarre e coperti di piume di gallo,
possenti, sembrano Maciste.
Le due donne sono ancora più enormi.
Si stanno preparando a sollazzare i commensali, quì in un ristorante
dell’Hotel.
Quando mi avvicino, mi fermo e faccio un paio di quei gesti propiziatori che
solitamente eseguono prima delle partite di rugby.
Mi guardano, ma non realizzano i miei versi. Solo le due navi mi sorridono
con “hallo”.
Invece, quando escono dal ristorante, dove li sento berciare come allo
stadio, mi salutano anche loro.
Questa volta non dico che sono italiano, per timore della presa pel culo,
grazie alla nazionale della palla ovale, che qualche mese fa, le ha buscate
sode da quella della Nuova Zelanda
Ma se lavorano sti’ Thai.
Oggi è domenica, ma non te ne accorgi se non perché gli europei vengono a
fare il giretto in albergo e la città è piena di ragazzi a spasso.
Alcuni di questi, giovani, giovanissimi, bivaccano nei luoghi di ristoro ed
anche seduti sulle gradinate dei “Center”.
Bevono succhi di frutta e bibite da enorni bossoli di cartone.
Tanti hanno vicina la bottiglia del “Mekong”, il whisky thailandese, e
spesso lo miscelano con il contenuto del bicchiere.
Problemi anche qui, che lasciano l’amaro in bocca, come in tutto il mondo.
Ma non vi piacciono più gli sballi da “gnocca”?
Quasi tutti i negozi sono aperti, gli shop center tutti.
Nei vari cantieri stradali sono tutti all’opera.
Ho notato una cosa curiosa. Fra la stazione del Metrò ed un grande
magazzino, stanno costruendo una passerella che porta direttamente nei due
luoghi senza scendere le scale ed attraversare lo stradone.
Nel cartellone del cantiere, assieme ai nomi dei progettisti, sono indicate
le date dei lavori: “inizio 4 gennaio 2000, fine 15 febbrario 2000”.
Io scommetto che ce la faranno.
Ho sempre commiserato quegli italiani che non vanno mai nei ristoranti
cinesi perché “chissà cosa ti danno da mangiare, i troiai di formiche e
mosconi mi fanno schifo, etc.”
Invece la cucina orientale la ritengo una delle più sofisticate e saporite.
Certo, tutto è relativo, bisognerebbe entrare nelle loro dispense per essere
sicuri, ma noi, di troiai non ne abbiamo mai mangiati.
Ma nel pomeriggio, prima di tornare in albergo, mi sono fermato presso un
loro baracchino gastronomico, vicino a tanti altri, per curiosare la merce
esposta.
Mi hanno attirato l’attenzione tre tegamoni pieni, a forma di piramide, di
roba fritta.
In uno c’erano cavallette, negli altri due scarafaggi e calabroni grossi
come passerotti.
Debbo dire che mi hanno fatto un po’ impressione ; non ho avuto il coraggio
di assaggiarli.
24 GENNAIO 2000 – LUNEDÌ
Abbiamo passato l’ultima notte a Bangkok. Ci alziamo prestino e andiamo
all’imbarcadero destinazione Memorial Bridge.
Lì vicino c’è il grande mercato dei fiori e Gianna vuole fare rifornimento.
Incredibile è la varietà di fiori e di orchidee con tutte le tonalità di
colori a noi sconosciuti.
Si compra una scatola, lì accanto, all’inizio di Chinatown. La facciamo
riempire di mazzoni di orchidee, che abbiamo stimato in un centinaio.
Costo comprensivo di box 120 Bath = 6.000 lire, ma solo la scatola è costata
35 Bath.
Riprendiamo il battello verso il Wat Pho. Gianna vuole ritornare nella
scuola dei massaggi, che si trova all’interno del tempio.
Si decide questa volta di stare lì per un’ora; costo 200 Bath = 10.000 lire
a testa.
Mi hanno troncato.
Ogni centimetro quadro è stato pigiato, calpestato, stirato, compresso,
maltrattato. Dopo ero nuovo, mi sembrava di aver cambiato i muscoli ed aver
oliato le giunture.
E così, quando la massaggiatrice mi ha chiesto se consideravo terminata la
seduta o se la volevo continuare con modalità un po’ diverse e particolari,
ho optato per questa seconda soluzione, previo accordo sulla differenza di
prezzo.
Io non ho fatto nulla, ha fatto tutto lei, ma con modini delicati e sublimi,
che sembrava essere sospesi nel vuoto.
Mai un movimento brusco o insofferente, senza furia od indisponibilità.
E a quel punto mi sveglio, perché Gianna, nel lettino accanto mi dice che il
tempo del massaggio è trascorso.
Sopra di me, in ginocchioni, rivedo la massaggiatrice che mi guarda
divertita, con quegli occhietti neri.
La guardo meglio e rinoto quello che già prima aveva attirato la mia
attenzione.
Ho pensato : “Chissà se Loredi le ha già dato il beverone ? “
Sì, perché il nasino schiacciato aveva due tunnel larghi come due canali e
mi sembrava proprio la scrofa madre del podere ” Le Fosse” a Castiglioni, in
Val d’Orcia, prima che Loredi ed il su’ babbo Angiolino la governassero.
In questo grande salone della scuola, vi sono numerosi lettini ove viene
praticato il tradizionale massaggio Thai. E’ soprattutto una scuola che
istruisce sulle tecniche da eseguire.
Diversi europei la frequentano ed accanto a noi ci sono due tedescone che
imparano ciascuna massaggiando l’altra, seguendo le direttive di un testo,
che tengono aperto sul materasso, e con la supervisione di un professore, lì
accanto.
E’ stato veramente notevole, il massaggio.
Specialmente Gianna è d’accordo, così finalmente finisce di rompermi i
coglioni quando voglio andare in qualche sala qui a Bangkok. Se poi c’ è
anche da ristorarsi, che c’è di male?
Per pranzo andiamo nuovamente dal nostro amico alla fermata del Krungton
Bridge, uno degli ultimi ponti di Bangkok, risalendo il fiume, lontano,
dalla parte ovest, e proprio sulla destra, appena usciti dall’imbarcadero.
Il locale si chiama KANABNAM RESTAURANT e l’indirizzo è 765/20 RIMMANAM CHAO
PHAYA RAJVITEE ROAD BANGPLAD.
Il mio amico si chiama MINAI e mi ha lasciato anche il numero del suo
telefonino 01-4484044.
Chi ci vuole andare, faccia riferimento all’italiano che si preparava le
sigarette con la macchinetta. Sarà sicuramente trattato con tutti i
riguardi.
Mangiamo bene, come sempre, però la zuppa di gamberoni con citronella, la
TOM JANG KUNG l’hanno rifatta anche meglio.
Nel ristorante entra un Texano imponente con un anellone al dito ed una
indocinese al braccio.
L’americano, alto, grosso, baffoni e capelli bianchi, si siede per il
pranzo.
Mi pare di riconoscerlo; anche l’anno scorso lo abbiamo trovato lì, e fra le
quattro bottiglie di birra che si scolava, ci aveva fatto assaggiare quello
che mangiava, consigliandoci cosa ordinare.
Dopo un po’ mi alzo e gli chiedo in inglese se è americano.
No, non era quello che avevo creduto di riconoscere; anche lui è italiano,
di Pordenone e lavora in Thailandia da dieci anni. Posa i piloni lungo il
fiume per costruire in aderenza i muraglioni.
Dice che lavorano soprattutto di notte. Per il caldo ? chiedo io. No per la
bassa marea, risponde. Dice anche che i lavori più faticosi li fanno le
donne, per loro è normale.
Torniamo, ancora poche ore di piscina, e riposo prima di tante ore in aereo.
I soliti 20 Bath = 1.000 lire fanno precipitare il bagnino a prepararci
lettini, asciugamani, ombrellone.
Ogni dieci minuti, nuotata.
Intanto guardo con cupidigia i portaceneri (ne faccio la collezione) della
piscina con il logo del Siam Intercontinental.
Noi turisti scassiamo l’economia dei thailandesi. Distribuiamo mance di qua
e di là, sono poche lire per noi, ma si abituano male.
Bisognerebbe proprio entrare nel loro ordine economico di idee per non
inflazionare troppo il loro profitto.
Da una parte sono d’accordo, dall’altra no. Non so cosa sia giusto fare. Il
nostro comportamento rischia di abbruttire la dignità, ma serve anche per
migliorare la loro esistenza. Però solo l’esistenza degli addetti al
turismo.
E la dignità, da quali confini è circondata? Non prendo posizione!!
Per non parlare degli approfittamenti, anzi parliamone.
Se si ordina un taxi nell’Hotel, fino all’aeroporto, si pagano 900 Bath =
45.000 lire. Se si ferma direttamente sulla strada costa 400 Bath = 20.000
lire.
La differenza, sicuro, viene divisa fra gli addetti al ricevimento e
partenze.
Si dirà che ventimila lire non sono niente. E’ vero, ma sono il doppio, ed
il doppio è tanto; perché chi non fa niente deve avere lo stesso profitto di
chi lavora per un’ora e ci mette la macchina e la benzina ?
Stamani attendevo in uno dei tanti imbarcaderi.
Di frequente arrivava un sampan o lancia lunga privata, con turisti portati
in giro per i canali.
Il prezzo del viaggio lo avevano già pagato. Quando la barca attraccava,
raso raso la banchina, arrivava uno che prendeva la mano di chi scendeva.
Non serviva, ma lo faceva ugualmente.
Prima che i turisti se ne andassero, chiedeva loro, anche in modo arrogante,
ho notato, 20 Bath = 1000 lire.
Non sono niente, ma non è giusto, secondo me.
Non mi pento di aver mandato a cagare un tizio con camice bianco, al Wat
Pho, che mi aveva preso alle spalle e massaggiato la nuca per un minuto,
senza che lo chiedessi, e voleva poi 20 Bath.
“Ma assieme al minuto massaggino, mi hai preparato anche due lettini con
asciugamani e ombrellone, e forse mi dai anche un portacenere ?”
Noo?
Allora vaffanculo.
Sono le 16,30, Gianna è dalla parrucchiera, qui vicino.
Tra poco andremo a preparare le valigie e ci è stato riconfermato il day use
fino alle 18, poi vedremo cosa fare.
Mi rimangio le affermazioni di qualche giorno fa, non è vero che si possono
capire i prezzi giusti, dividendo per due quello che ti chiedono.
Fuori dal Palazzo Reale, abbiamo spuntato 200 Bath = 10.000 lire per un
ventaglione colorato, bello, per il quale in un altro banco ci avevano
chiesto 600 Bath = 30.000 lire.
Ripenso ai modi di vita dei thailandesi.
L’industria della plastica ha conosciuto uno sviluppo notevole; c’è
dappertutto. Si fa un enorme uso di questo materiale eterno e discusso,
salvo poi il breve saltino “dall’usa e getta”, ai rifiuti. Si resta
impressionati in particolar modo dai sacchettini, sempre in plastica, ove
viene immesso dentro di tutto : brodo od anche aranciata e succhi di frutta,
ed in tutti i casi con una cannuccia, di plastica, naturalmente.
I primi tempi pensavo che ci portassero dentro i pesciolini vinti alle
giostre, ma poi, vedendo che succhiavano il contenuto, ho realizzato che i
pesciolini non potevano incanalarsi molto facilmente nel tubicino.
Passano con disinvoltura, dai canestri di bambù per il presce fresco, al
sacchetto di polietilene per gli altri alimenti, comprese le salse di tutte
le specie, salvo poi abbandonarlo dovunque.
Pensando alla vorticosa crescita dei consumi, il risultato è purtroppo un
paese invaso ogni giorno di più dai rifiuti.
E mi hanno detto, che nessuno vuole le discariche, come in tutto il mondo
nessuno le vorrebbe.
Gianna è tornata. Le hanno lavato i capelli e massaggiata la testa sdraiata:
350 Bath = 17.500 lire in tutto. Poco meno che a Castiglioni in Toscana.
La cultura e la disciplina del massaggio, c’è sempre stata in Thailandia, da
quando un medico dell’India, due secoli o tre prima di Cristo, la introdusse
in questo paese.
Poi hanno scoperto, e a livello industriale durante la guerra del Viet Nam,
che aggiungendoci qualche cosa di altro, abbastanza antico, ma molto
richiesto, invece di guadagnare cinque o dieci mila lire all’ora, nel
prendevano centomila.
Secondo me, sono più da condannare le nostre battone, che non ti fanno
neanche il massaggio, prima della funzione.
Chiudiamo le valigie ed i borsoni, li depositiamo nella hall e paghiamo i
conti extra.
Il prezzo del day use non ce lo richiedono.
Mi sà mill’anni di sapere cosa può essere accaduto, telefonicamente o via
fax, fra la Tischler, tour operator di Garmisch ed il Siam Interconti.
Verso sera fermo un taxi qui vicino, sullo stradone. Chiedo all’autista
quanto mi costa andare all’aeroporto e concordiamo 400 Bath = 20.000 lire ;
ne aveva chiesti 500 di bath.
Monto in macchina ed in cinquanta metri raggiungiamo Gianna, davanti
all’ingresso dell’Hotel, con il carrello dei nostri bagagli.
Rifiutiamo l’aiuto, inutile, di sette inservienti, che ci saltellano intorno
per fare qualcosa.
Mi comporto come uno scacciamosche. Non faccio in tempo a tirar via una
borsa dalle mani di un siamese con il pigiama nero alla zuava e giacchetta
bianca, che un altro prende la valigia.
Alla fine, con o senza l’aiuto dei fattorini, siamo pronti per partire.
Il nostro autista ride come un matto quando salgo per ultimo, senza
distribuire oboli esosi perché non meritati, mentre due di loro gli si
avvicinano parlando in “M’HAIFREGATESE”.
In mezz’ora siamo all’aeroporto e subito dopo,il check-in.
Con i bagagli consegnati siamo più liberi di girellare per l’aerostazione.
E’ molto grande, piena di negozi e pulitissima.
Sono le 21,30. Dentro aria condizionata, si stà bene. Vado un attimo fuori a
fumare. e sono assalito da una vampata di calore e umidità.
E’ afoso, 35 gradi. Mi ricordo della differenza di temperatura, quando si
saliva in metropolitana. L’aria condizionata dentro le carrozze mi colpiva
come dei raggi laser ed ero tutto sudato; altro che sauna finlandese.
Dappertutto cartelli con inviti alla pulizia e divieti di fumare.
Per i fumatori incalliti, vi sono due o tre salette, quadrate, tre metri di
lato, con pareti in vetro.
Dentro, fra la nebbia che si è formata, si intravedono dodici sfigati.
Provo anch’io ad entrare e noto che nonostante il condizionatore d’aria sia
acceso, è impossibile sostarvi, è una camera a gas.
Esco subito e subito credo di capire la ragione di quella situazione
metereologica da Val Padana.
Vuoi vedere che Gianna ha consigliato un condizionatore che faccia solo
rumore ed hanno staccato i tubicini del ricambio d’aria ?
Ci scommetto le palle, ma di una di quelle dell’altra sera !!
La Thailandia, che abbiamo conosciuto, frequentato, ammirato, goduto, è
rimasta fuori nella calura serale. Qui dentro è tutto uno scintillio.
Anche i prezzi fanno scintille: una birra piccola 150 Bath = 7.500 lire, un
piatto di riso con qualcosa 220 Bath = 11.000 lire, una scatola di orchidee
grande la metà di quella presa da noi al mercato costa 25 dollari, quasi
50.000 lire.
L’aereo si riempie.
Una sessantina di greci abiterà nei nostri paraggi. Sbarcheranno ad Atene,
dove faremo scalo.
Da quando sono entrati, continuano a scambiarsi di posto. Gli steward e le
hostess li guardano divertiti, io un po’ meno; la partenza ritarda e dico ad
uno di loro che finchè si rincorrono e si mescolano, l’autista non parte, è
per questo che non siamo in orario.
25 GENNAIO 2000 – MARTEDÌ
Volo tranquillo.
Proprio ora, sono passate 10 ore e 20 dal decollo,siamo nel sentiero di
discesa su Atene.
Sono le 10,30 di Bangkok, le 4,30 di Roma, le 5,30 di Atene.
Fuori è buio. Scendono i greci e l’aereo rimane quasi vuoto. Salgono gli
addetti alle pulizie e dopo il decollo mi straio su una fila centrale di
sedili da quattro.
Sento poco dopo un profumino di caffè e rinunzio a dormire per fare
colazione.
E’ da quando siamo partiti che ci riempiono di cibo e bibite, ma non danno
mica noia!!
La Thai Airwais è proprio una bella compagnia.
Siamo sul canale di Otranto e Gianna sfacciatamente chiede alla hostess :
una volta davate un mazzetto di orchidee. Non usa più ?.
Ha la valigia piena.
Con un sorriso la collega di Coscia Lunga gira il culetto e torna con un
cesto di mazzetti che distibuisce a tutti.
Atene – Roma in un’ora e 45 minuti.
Saluti e arrivederci alla Thai.
Il tempo di eseguire il check-in e volo per Bologna.
Si arriva dopo 45 minuti; sorvoliamo la Toscana, bianca di neve.
Mi è sembrato di vedere Loredi che governava la troia e mi è subito venuto
in mente il massaggio al Wat Pho.
Bus fino alla stazione ferroviaria appena in tempo per prendere il treno per
Bolzano alle 11,29. Arriveremo alle 14,29,
Ho finito. Tiro anche un sospiro di sollievo.
Non ci avrei scommesso di riuscire a non arrendermi.
Diverse volte mi sono scoraggiato e sono stato tentato di smettere di
scrivere tutte le stronzate che mi venivano in mente.
Mi chiedevo : a cosa serviranno ?
Questo lo sapremo in seguito. Intanto il resoconto c’è; se sarà divertente
od utile lo decideremo fra qualche tempo.
Sicuramente, ho tralasciato qualche avvenimento o passaggio di cui ora non
mi ricordo.
Mi sarebbe piaciuto di più avere accanto una scrivana siamese, scelta da me
e non da altri, e dettarle tutti i pensieri, alcuni anche educativi, che
partorivo, e poi magari ristorare la mia mente con rilassamenti tradizionali
del luogo, ma non troppo tradizionali.
Forse non era il caso.
Non ho voluto trascorrere una vacanza prettamente culturale, per questa, c’è
stata o ci sarà, forse un’altra occasione.
Volevamo passare solo una decina di giorni riposandoci a modo nostro.
Tutto sommato lo rifarei.
Del programma che mi ero prefissato, non sono riuscito a rispettare la
visita al mercato galleggiante di Damnoen Saduak. Non c’è stato proprio il
tempo.
A Bangkok, con quel caldo, volevamo occupare la mattinata a girare ed il
pomeriggio a riposare in piscina. Così abbiamo fatto e siamo soddisfatti.
Potrebbe essere una scusa per ritornare in Thailandia.
Intanto ci accoglie una temperatura di meno 10 gradi a Bolzano.
Ma vaffanculo, Mario, non te ne potevi stare al caldo ?
Mi è già ritornato il raffreddore.
Ho saputo dell’intervento del Tour Operator al Siam Interconti.
E’ come prevedevo.
Grossa abbaiata e l’ammonimento di non fare i coglioni.
E’ servita a rinsestare tutto: da quel momento eravamo finiti nella
categoria VIP, Vogliamo Incommensurabile Protezione.
Eh ci ritorno, ci ritorno, Eh se ci ritorno !!
Thailandia 2001 da “Baffino”
20 gennaio 2001 sabato
Quasi un anno fa, precisamente il 25 gennaio 2000, alle 5,30 di un
primissimo mattino invernale, io e Gianna eravamo sul sentiero di discesa
verso Atene a bordo di un Jumbo 747 della Thai Airwais.
Tornavamo da una scanzonata vacanza in Thailandia e mi disturbava già solo
il pensiero di tremare di freddo non appena sbarcati in Italia.
Poi, fisiologicamente, siamo tutti rientrati nei ranghi e le ferie,
trascorse al caldo, sono rimaste solo un bel ricordo.
Ma non è stato come le volte precedenti, quando compivamo i nostri programmi
vacanzieri.
C’è stata, per la prima volta, una variante significativa.
Avevo tenuto, l’anno passato, un diario informativo che conteneva tutti gli
umori che si materializzavano durante il trascorrere di quei momenti in
Thailandia e questa ricostruzione, stampata per gli amici e conoscenti,
veniva anche corredata di foto e link ed inserita nella rete di Internet
all’indirizzo:
http://users.iol.it/tre_pi/mario/index.htm
Con mio grande stupore, quelle sette righe (si fa per dire) buttate giù con
le impressioni giornaliere, hanno suscitato un interesse se non altro
curioso e non sono mancati gli attestati, anche di sconosciuti, che,
leggendo la storia nel Web, mi hanno confortato a proseguire in questa pazza
idea, un tantino vergognosa.
L’anno scorso, prima di redigere il diario, le premesse erano di documentare
gli avvenimenti, affinché la vacanza trascorsa, potesse essere rammentata
senza ricordi caramellosi e falsati dal tempo, ma con obiettività e crudezza
di immagini.
Posso dire che i risultati sono stati superiori alle aspettative ed il
diario ha ottenuto lo scopo prefissato.
Per un anno intero, con parenti ed amici, abbiamo continuato a parlare della
Thailandia e suscitato ammirazione per questo popolo modesto, disponibile,
sorridente e dignitoso.
A più d’uno è venuto il desiderio d’andarci ed ad altri di ritornarci, con
altre ottiche che ho loro cercato di trasferire.
Insomma, un piccolo successo l’ho ottenuto: quello di non dimenticarmi del
periodo “vissuto” e non facendo solamente trascorrere il tempo.
Quest’anno, arrivato il momento di un altro periodo di vacanza, un coro
unanime mi ha violentato e costretto a ripetere l’iniziativa precedente.
Mi ha meravigliato soprattutto la mì moglie, che bistrattata nei racconti
dell’anno passato, mi ha ordinato ugualmente di ricompilare un diario.
E’ stato però un mezzo ricatto, perché la vacanza la paga lei.
Ebbene, mi sottometterò al volere della belva.
E’ doveroso anche precisare che queste annotazioni, come anche tutte quelle
seguenti, non saranno modificate al termine della stesura del giornale e che
quindi rispecchieranno fedelmente le idee e le sensazioni suscitate in quel
momento cronologico, senza essere state influenzate da fattori o circostanze
verificatesi successivamente.
21 Gennaio 2001 Domenica
Questa mattinata festiva la dedicherò al riordino delle mie carte ed alla
programmazione preventiva delle vacanze.
Già l’anno passato, prima di decidere dove trascorrere le ferie, mi ero
documentato con tutto ciò che le mie deboli capacità mi permettevano, in
relazione ai mezzi che la società “civile” ed il progresso era disponibile a
trasferirmi.
Poi, quando alla fine della fiera, ho optato per la Thailandia, ho
cominciato a smanettare su Internet, alla ricerca di qualche “new”
interessante.
Ed è stato a questo punto che navigando nel “web” ho intercettato un sito
che mi ha fatto iniziare una bella, simpatica e interessante amicizia, che
tutt’ora prosegue.
E’ accaduto,infatti, che abbia trovato delle pagine, ove un certo Camis
Italo con la moglie Wilai, pubblicizzavano con particolari precisi e mirati,
l’affitto della propria villa in Thailandia.
Il messaggio era rivolto a quegli italiani, un po’ timidi o pigri o
sprovveduti, che lontano dalla loro Italietta, soffrivano, già dopo un’ora,
di nostalgia gastronomica e di ristrettezze linguistiche.
Per farla breve, stì due attrezzi lanciavano un “imput” che pressappoco si
può interpretare così:
Cosa ne dite, se mentre siete in un paese di sogno a trascorrere le vostre
vacanze, ma non avete desiderio di assaggiare tutti quei “troiaini
orientali” e non sapete come districarvi nella lingua locale, avete a
disposizione due persone che parlano in tricolore cisalpino e anche l’idioma
del posto, e magari vi preparano anche una bella “amatriciana” condita con
guanciale di maiale, olio toscano, peperoncino calabrese, basilico fresco
ligure, e in sovrappiù aragoste e gamberoni all’abruzzese, granchi e
branzini alla siciliana, totani e dentici alla livornese, con accanto una
granseola alla veneziana ?”
Italo è un italiano (che altro sennò? non ho mai sentito un norvegese
chiamarsi così) trapiantato in Thailandia da quattro anni, e Wilai, la sua
moglie thailandese, che parla benissimo l’italiano, cucina
indifferentemente, così si dice, sia i piatti locali che italiani, avendo
vissuto per otto anni nel Bel Paese, come sposa legittima di Italo
l’italiano “farang” (straniero).
I prezzi poi che praticano, sia per l’affitto della villa a pochi minuti dal
mare, in stile occidentale, sia per le abbuffate in “italian style” che in
“thai sbobba”, sono una miseria, se rapportati al potere di acquisto della
pur povera liretta italiana.
Inoltre sono disponibili anche ad eseguire il “transfert” del ricco uomo
bianco, con una vettura privata, dall’aeroporto di Bangkok sino alla loro
residenza, che si trova a Bang Phe nella provincia di Rayong nel sud-est a
circa 300 kilometri dalla capitale. Ed anche questo ad un prezzo pressappoco
corrispondente in Italia, al costo di un passaggio in taxi da Roma ad Ostia.
Il loro recapito telefonico diretto, telefonando dall’Italia, nel caso uno
volesse contattarli direttamente è:
0066-38-896053
Bene. Visitando il sito di Italo, un anno fa, sono rimasto colpito dalla
dolcezza dell’invito ed ho iniziato con lui una “corrispondenza virtuale” da
cui è nata e proseguita “un’amicizia virtuale”, ma senza fini o scopi
turistico-alberghieri.
Dopo che il Camis è riuscito a leggere il mio diario, questa conoscenza
virtuale si è ancora di più approfondita, con scambi di idee, sensazioni,
informative thailandesi, stronzate italiane soprattutto toscane, discorsi
semi-seri, ragionamenti strulli, considerazioni critiche.
Tutti gli argomenti erano buoni per essere trasferiti a sei ore di distanza
di fuso orario.
Dopo un anno di queste conversazioni virtuali, è nata una parentela
virtuale, e ciò mi lascia, in questo momento, molto perplesso e dubbioso.
Cioè mi induce a fare alcune riflessioni.
Leggo stamattina su un quotidiano nazionale, che in Israele una giovane
palestinese ha teso una trappola mortale ad un ebreo conosciuto tramite
Internet.
I due si erano scambiati messaggi elettronici diretti e “virtuali” ed un
mese fa si erano poi incontrati.
Il ragazzo israeliano, poche ore dopo, è stato crivellato di colpi alla
periferia di Ramallah.
I servizi segreti d’Israele sospettano ora che la ragazza sia stata l’esca,
utilizzata da un gruppo di militanti palestinesi, per attirare nella
trappola il giovane, che era destinato ad essere assassinato.
Conseguenza di questa lettura è stata la valutazione oggettiva della
differenza fra il “virtuale” ed il “reale”.
Ma quale baratro esiste fra l’uno e l’altro ?
Virtualmente uno si costruisce uno scampolo di mondo ove riporre un’immagine
costruita artificialmente a proprio uso e consumo.
Viene sezionata la personalità dell’individuo corrispondente, si scelgono le
parti migliori e si selezionano gli umori profondi, creando una cartella
asettica ove custodire il “top” dell’immaginazione.
Si crea, quindi, un “alter” della persona con cui sei in rapporto.
Ma realmente sarà proprio così ?
L’ideale, che col tempo ti sei formato, corrisponderà poi veramente a ciò
che ti troverai di fronte, nel caso si decidesse di varcare quella soglia
che divide le due realtà ?
Quante fanciulle, dopo aver amoreggiato platonicamente via Internet con il
ragazzo dei loro sogni, si sono poi trovate di fronte ad un satiro bavoso e
lascivo, come se una bacchetta magica avesse operato un incantesimo alla
rovescia ?
Ci vorrebbero dei dati statistici, per rendersi conto di queste differenze.
Ma il dato statistico, secondo me, è come la pelle dei coglioni. Si dirige
dalla parte dove uno la tira.
E quanti soggetti, da analizzare, sono necessari e sufficienti, a creare un
dato statistico attendibile ?
Il poro Stalin diceva che una morte è una tragedia, un milione di morti una
statistica.
Tempo fa, alcune multinazionali, specializzate in rilevamenti e sondaggi
opinionistici, avevano promosso una ricerca a livello mondiale, volta a
verificare, percentualmente, quanti mariti, dopo aver fatto l’amore, si
rigirano dall’altra parte e si mettono subito a dormire.
I risultati del sondaggio si sono dimostrati piuttosto avvilenti per noi
maschietti.
Per le donne, la percentuale arrivava al 98,6 %.
Gli uomini, di contro, si limitavano a stimare un 96,3 %.
Secondo me, invece, la percentuale non supera il 5 %.
L’altro 95 % si veste e va a dormire a casa, con la propria moglie.
Ritornando a Italo & Wilai, mi piacerebbe incontrarli e continuare dal
“vivo”, anche per poco, quell’interscambio sociale iniziato e proseguito
tramite Internet.
Ma ..caro “Baffino”, non mi freghi !!
Vuoi mica che, appena ci incontriamo, appare un killer con gli occhi a
mandorla per eliminarmi fisicamente nella villa di Bang Phe, dove magari si
trovano gli Headquarters della “Coscialunga Enterprises” ?
No !! Preferisco ricordare Italo come abile conversatore epistolare, amante
delle avventure di Tex Willer, mirabile conoscitore della Storia e delle
troiate fatte subire agli indiani d’America, esperto in Guestbook, amico di
Coscialunga e conoscitore “virtuale” della Toscana, di Castiglioni, della
Val d’Orcia e di Loredi e Angiolino del podere Le Fosse.
No !! Per ora non mi fido. Non voglio rischiare e poi disilludermi.
Però, uno può anche cambiare idea, ce lo insegnano i nostri politici.
E allora cancello tutto, mi butto e rischio.
Andrò a trovare e conoscere di persona Italo & Wilai.
Tutte queste seghe per arrivare al dunque.
Ho programmato la nostra vacanza.
Il diario di un anno fa, compilato durante il viaggio in Thailandia,
terminava con una frase significativa: “Eh. tanto ci ritorno, Eh. se ci
ritorno”. Mai un proponimento od un augurio è stato quanto mai centrato.
Ritorneremo in Thailandia e rischieremo l’incontro con Italo, detto Baffino,
o Bufalo Stanco, alla pellirossese.
La cronaca vorrà anche essere un’analisi di come forse si potrà riuscire a
“vivere” economicamente senza scialacquare, ma anche senza farsi mancare
nulla, nel rispetto di un sano divertimento e benessere gastronomico.
La scommessa, oggetto di quest’anno, da analizzare e verificare, è questa:
appoggiandosi ad un Tour Operator italiano, per due settimane di vacanze in
Thailandia, costituite da sei notti al mare e sei notti a Bangkok, si
spendono mediamente 2 milioni e mezzo di lire.
Dobbiamo riuscire a smentire questa diceria e vedere, a parità di
condizioni,quanto si può risparmiare, organizzandosi da soli.
Ho iniziato scegliendo la Compagnia Aerea.
L’anno scorso con la Thai Airwais, l’anno prima con la Quantas.
Consigliabili tutte e due.
Il biglietto andata e ritorno Italia/Thailandia, con le più conosciute e
pubblicizzate Compagnie, costa, con tariffa agevolata e vincolata ad alcuni
fattori e requisiti, all’incirca 1.470.000.
Tentiamo questa volta con la Emirates Airlines, la flotta aerea di bandiera
degli Emirati Arabi.
Per un certo numero di posti, offrono il viaggio a 1.150.000 lire, partenza
e ritorno a Monaco di Baviera, con scalo a Dubai per cambio vettore. Dopo
vari tentativi rientriamo in questa tariffa.
Come residenza a Bangkok, abbiamo scelto il “Menam River Side”. E’ molto
bello, funzionale, situato sulla sponda est del fiume Chao Phraya e tariffe
convenienti e promozionali permettono di pagare a persona un pernottamento a
Lire 29.000 compresa la prima colazione all’americana.
Gli altri sei pernottamenti al mare li trascorreremo da Italo & Wilai
affittando la villa per una spesa totale di Lire 320.000.-
Il conto è presto fatto per due persone,come noi siamo:
2.300.000 viaggio aereo
348.000 pernottamenti a Bangkok
320.000 pernottamenti al mare
_____________
2.968.000 totale per 2 persone = Lire 1.484.000 totale spesa a testa.
Con quello che costava solamente il viaggio con la Thai Airways o la
Quantas, ci siamo comprate anche dodici notti in Thailandia.
27 Gennaio 2001 (sabato)
Chi ha avuto il coraggio e la costanza di leggere il resoconto del viaggio
vacanziero dell’anno passato, troverà che, anche questa volta, ripeterò dei
concetti e delle verifiche già riportate precedentemente.
Per costoro, che sono stati già lettori affezionati, sarà solo un ripasso,
ma per i neofiti, invece, costituiranno delle informative forse utili e
comunque a base reale, anche se da considerarsi solamente come pareri
unilaterali.
Non ci sarà infatti il contraddittorio, perché non fa parte dello spirito di
questo scritto.
Racconterò fedelmente tutto ciò che accadrà e come mi comporterò
conseguentemente.
Né, tanto meno, vorrà essere una lezione da seguire “in caso d’uso”. Che
ognuno si regoli come meglio crede.
Questo pomeriggio, mi ha incuriosito una pubblicità inserita nella pagina
principale di “Italia Online”, su Internet.
Cliccando sul “banner”, un’Agenzia di viaggi di Milano, la Travelprice
Italia, invitava i “navigatori del web” a costruirsi direttamente i loro
safari.
Bastava inserire nell’apposito spazio i nomi delle città di partenza e
destinazione, nonché le date relative, ed automaticamente il richiedente
avrebbe visto apparire magicamente il costo, iniziando da quello più
favorevole, con tutti gli operativi aerei e quant’altro utile e necessario
sapere.
Bene, mi è venuta una curiosità folle.
Vuoi vedere, mi sono detto, che nonostante la mia convinzione di aver colto
un tour operator conveniente, con delle combinazioni adeguate, se avessi
acquistato tramite Internet, avrei scovato di meglio ?
Altre volte mi ero soffermato davanti ad alcune offerte “dell’ultimo
minuto”, così per desiderio di sapere, e mi erano sembrate straordinarie.
Ho pensato : In Internet c’è la possibilità di selezionare innumerevoli
occasioni, la concorrenza è infinita, in queste circostanze la legge
economica provoca dei ribassi e sconti spolpati all’ossicino.
Proviamo !!
Ho iniziato chiedendo la tariffa migliore che l’Agenzia di Viaggi poteva
fornirmi, nella tratta aerea Verona/Bangkok e ritorno, da effettuarsi con
partenza 25 febbraio, ritorno dopo un mese, con date flessibili e in classe
economy, cioè in classe “schiavi”.
Corrispondeva, all’incirca, a ciò che avevo già prenotato, confermato,
pagato.
Dopo poco, sono arrivate una serie di proposte, la più favorevole delle
quali era quella da effettuarsi con la “Swissair”, Via Zurigo,ed al prezzo
di Lire 2.235.000, poi seguivano altre offerte a dei prezzi maggiori.
Ma come, mi sono chiesto, non si saranno sbagliati ? O forse questa
Compagnia Aerea esegue tratte solo per VIP, con intrattenimento galante per
i passeggeri ?
Ho richiesto, allora, il responso del costo, per la stessa tratta e stesse
date, da compiere con la “Emirates Airlines”.
La risposta è stata : non ci sono posti disponibili.
E’ possibile, ma che fai, mi pigli pel culo ? ho pensato. Ora voglio vederci
più chiaro, ti metto una data lontana e vediamo cosa mi rispondi, ho
continuato a pensare.
E così ho variato le date, inserendo la partenza al 25 novembre con ritorno
il 10 dicembre, volo Roma / Bangkok e ritorno con Emirates, in categoria
Economy. Quindi lontano nel tempo, periodo di bassa stagione, presunzione
ammissibile che l’aereo sia ancora esente da prenotazioni.
Risposta : il prezzo più favorevole è di L. 2.237.000 e se volete prenotare,
cliccate subito qui a destra.
Ma cliccate a destra un cazzo !! Allora mi pigli davvero pel culo !!
Una rondine non fa primavera, ma una passera sì. Ed Internet è pieno di
passere !!
E allora continuiamo nell’approfondimento di quanto siano attendibili le
offerte nel Web.
Ho già prenotato l’albergo a Bangkok, scegliendo il Menam River Side al
costo di Lire 29.000 per notte, a persona.
La Direzione di questo Hotel ha un sito con tutta la descrizione delle
strutture, servizi, mappe e prezziario che, risulta essere, in questo
periodo e con i complimenti del Manager, limitato a Lire 80.000 per notte, a
persona, ma, solamente se prenoto subito, potrò usufruire di questa
irripetibile occasione.
Ma allora, andate tutti a ristroncarvelo !!
Ve ne approfittate plagiando gli sprovveduti, avvantaggiandovi della
credenza popolare che vede Internet come la possibilità insperata di
risolvere le proprie necessità od i propri sfizi, ad un costo accessibile e
nettamente inferiore rispetto ai prezzi di listino.
E’ possibile che dobbiamo diffidare anche di Internet ?
Allora, la morale consiglia di non fermarsi mai al primo risultato. Ce ne
possono essere sempre di migliori.
Alla fine, quando con soddisfazione avremo trovato “il meglio”, stiamo certi
che vi sarà ancora qualcos’altro di più favorevole.
Ora mi frulla per il capo un dubbio atroce.
Il mì Italone thailandese non mi avrà per caso fregato ? Gli ho prenotato
l’affitto della sua villa in Thailandia, ma ho l’incertezza che, se avessi
continuato a “navigare nella rete web”, forse avrei trovato, chennesò, Pak
Ket Tin che pur di avermi fra i suoi ospiti, mi avrebbe offerto anche il
volo dall’Italia.
28 Gennaio 2001 (domenica)
Sempre cliccando su Internet, però, contrariamente a quanto pontifica il
profeta, fra il gregge di pecore nere, se ne intravedono alcune di bianche.
Voglio dire che, tour operator seri, nel senso che ciò che promettono di
favorevole lo offrono veramente, si trovano, in rete.
Uno di questi è “Caesar Tour”, rintracciabile al seguente indirizzo :
http://www.caesartour.it
Le proposte sono serie, veritiere ed appropriate per chi può disporre di
scelta “last minute“.
E’ già stato verificato da alcuni miei conoscenti che avevo sollecitato a
provare.
La vacanza si è poi rivelata conforme alle aspettative ed alle promesse.
Un altro sito da consultare con fiducia è:
www.viaggiare.it
E’ comodo e facile da sfogliare, vi sono innumerevoli offerte, alcune anche
superconvenienti.
Quest’oggi vi ho trovato una proposta relativa ad un viaggio a/r per Bangkok
con cinque pernottamenti all’Hotel Asia, molto buono, con volo di linea Thai
Airwais, per la cifra molto accattivante di Lire 1.389.000 complessiva di
tasse,quota iscrizione, etc.
La data della partenza è fissata tuttavia a breve, precisamente per il 4
febbraio prossimo.
Chi è senza problemi di data, quindi, può riuscire ancora ad economizzare un
bel po’.
Nello stesso sito, si trovano le “occasioni di solo volo” con tariffe
proprio competitive.
E’ da consigliare una sua consultazione per chi la vacanza se la vuole
programmare da solo.
20 Febbraio 2001(martedì)
Sono diversi giorni che intercorre un’intensa corrispondenza internettiana
con Italo il Thailandese, atta a chiarire ed organizzare sia il soggiorno da
lui, che i modi, i tempi ed altre formalità per l’incontro fatidico.
Ho gravato i due amici virtuali di tante quelle incombenze, che immagino si
siano già pentiti e rotte le palle di avermi scovato nel percorrere la loro
pista.
Le due commissioni più importanti sono state il trovare una vettura a
noleggio per girellare in quel cazzo di posto e, più importante, ordinare la
cena per la serata dell’arrivo. Per il simposio non ho fatto altro che
elencare tutti i tipi di esseri viventi che nuotano nel mare e cucinati
all’orientale e all’italiana. Per la macchina da affittare, che me la
procurino una a quattro posti, del tipo “non mi frega niente come”, basta
che respiri.
La frase comune “a buon rendere”, questa volta ha avuto il suo effetto.
Ho avuto anch’io l’incarico di portare nel Siam una macchinetta per il
caffè, bustine di semi di basilico genovese, di perzemolo, e dei tubetti di
“Foille”, una pomata per le scottature, perché a Wilai il sole equatoriale
non crea effetti dannosi, ma la permanenza intorno ai fornelli di cucina,
sì.
Ma per caso, non è che il fornello a gas non ce l’hanno, e debbono usare il
falò acceso nel cortile ?
Cominciamo bene !!
Qualche giorno fa ho cercato anche di approfondire alcuni dettagli per
conoscere il tipo di sistemazione proposta, in maniera di non trovarmi
impreparato.
Principalmente, per essere certo dell’esistenza di stì due attrezzi, della
casa, del luogo, della grande acqua.
In contemporanea, debbo aver provocato in loro uno stato di fribillazione
maniacale, perché dalle risposte pervenute ho notato uno stato di disagio
mentale, provocato dall’avvicinarsi del momento del nostro incontro reale,
dopo un lungo anno di contatti solo epistolari.
Per sondare ulteriormente l’umore del prossimo vicino, ho anche scritto ad
Italone, chiedendogli se era vero che quando si metteva una “D” davanti,
faceva impazzire le donne.
Il riscontro è stato conforme allo spirito della battuta.
Ormai la nave stà per essere varata e in qualche modo remeremo.
Sono in farmacia ad acquistare i tre tubetti della pomata anti falò. Penso
che probabilmente si scotteranno nel mandare segnali di fumo al noleggiatore
dell’auto per il suo affitto. I telefoni forse non sono ancora usuali.
Mentre aspetto il mio turno, sento il giovanotto che mi precede davanti al
bancone, che sottovoce chiede alla Farmacista di dargli qualche cosa perché,
disperato, non ce la fa più.
Si spiega meglio, confessando di non sapere più come fare, perché ha sempre
desiderio di fare l’amore.
Al mattino, dice, è infoiato, a mezzogiorno ce l’ha sempre ritto, nel
pomeriggio se non tromba muore, alla sera è peggio di mezzogiorno.
Non ne può proprio più. Chiede istruzioni alla Dottoressa la quale si
consulta con la collega. Al suo ritorno, mentre impaziente stò per
andarmene, il giovane ripete la solita domanda ” allora cosa mi date ?”
E la Farmacista: ” Ti diamo due milioni al mese, vitto e alloggio gratis e
la domenica libera”.
25 Febbraio 2001 (Domenica)
Siamo sul treno che ci porta a Monaco di Baviera. Partito da Bolzano poco
dopo le otto di mattina, forse arriverà direttamente all’aeroporto per le
dodici meno un quarto, in tempo per il nostro imbarco.
Abbiamo già oltrepassato Innsbruck e fra poco entreremo in Baviera.
Tutto il paesaggio è coperto di neve.
Nei periodi precedenti la giornata di oggi, mi sono spremuto le mie deboli
meningi per indovinare cosa mi aspetterà e come vivere queste due settimane
di vacanze.
Idealmente ho percorso tutti gli itinerari immaginabili e non, e con la
testa ero più di là che di quà, intendendo la Thailandia per “là” e il Bel
Paese per “quà”, e non nell’altro senso.
Ora mi sento spompato, ho le batterie scariche, non avrei neppure la forza
di scrivere ogni tanto.
Mi sono rammollito e bevuto il cervello.
Intanto mi è venuta una fame mondiale. Sono solo le undici ma già mi
mangerei un agnello con la lana. Forse a Monaco troverò un salsicciolone
caldo con senape ed un bossolo di birra.
Eseguiamo in un attimo il ceck-in e ci trasferiamo nella zona imbarco.
L’appetito è sempre più insistente. Un bar nell’aerostazione mostra in
vetrina diversi sandwich, ma non i wurstel, e mi accontento di qualche
stuzzichino e un trombone di bevanda bionda.
Poi quando vado via, vedo due ragazze al tavolino che stanno pappandosi
quello che cercavo io.
Bisognava chiederlo e me lo preparavano. Non c’ero arrivato.
Ci imbarchiamo.
L’aereo della Emirates Airlines è un Airbus 330. Ci accomodiamo al nostro
posto e noto subito un particolare curioso.
Sul retro delle poltrone, è come incassato un piccolo televisorino.
E’ un display con telecomando. Si possono scegliere diversi programmi. Sono
disponibili una decina di films, avvenimenti sportivi, giochi elettronici, e
poi…udite, udite, ciò che già vent’anni fa speravo installassero le
Compagnie Aeree e cioè un marchingegno per ammirare in diretta quello che
accade davanti al velivolo. E così vi sono due canali che per mezzo di due
telecamerine poste vicino al tubo di Pitot sul davanti della fusoliera,
trasmettono le stesse immagini che vede il pilota. Particolarmente d’effetto
sono i decolli e gli atterraggi.
Salto da un programma all’altro, collaborando idealmente con il personale di
macchina, controllando che i parametri del volo siano compatibili con il
briefing eseguito e sperando che oltre a portarci l’aperitivo, già
sorseggiato, ci diano anche da masticare qualche cosa.
Tutte le hostess della Compagnia Aerea sono straniere, probabilmente danesi
e olandesi, anche abbastanza carine, gentilissime di sicuro. Probabilmente
questa non è una professione dignitosa e nobile per le loro femmine
stanziali arabe.
Sorvoliamo l’Ungheria e tra poco saremo sulla verticale di Istambul.
Intanto ci portano la pappa. E’ solo passabile, ma con l’appetito che rode
lo stomaco è una cena formidabile.
Dovrebbero tenere dei corsi per i passeggeri, anche solo per corrispondenza,
sull’uso delle stoviglie per le pietanze contenute nel vassoio.
Tutti ingobbiti per evitare che le varie salsine ondeggino fino alla
camicia.
Quando termino di scartare l’agnello brasato che galleggia in una palude di
riso e spaghettini (così li definiscono nel menù), la mousse di cioccolata
rimbalza nel vassoio e dopo averla rimessa nel suo contenitore originale,
non mi decido se iniziare il pranzo con il dolce all’agnelletto o con
l’agnello al gianduiotto.
In anni passati, comunque, ho mangiato anche di peggio.
Siamo sopra l’Arabia Saudita. Si vola a 930 Km/ora ad un’altitudine di
11.150 metri e con una temperatura esterna di meno 58 gradi.
Credo che la Emirates Airlines sia una delle ultime Compagnie Aeree a
concedere ancora un po’ di spazio ai fumatori.
Le ultime quattro file di poltrone sono per loro. Naturalmente tutte
occupate, ma anche il resto dell’aereo è tutto impegnato completamente.
Aeroporto di Dubai.
Abbiamo tempo, ripartiremo fra tre ore e mezzo e possiamo passeggiare fra i
Duty Free. In questo periodo comincia il mese delle grandi svendite negli
Emirati ed anche l’aerostazione subisce l’influenza del mercato.
La struttura aeroportuale è descrivibile con cinque sole parole, “è uno
schiaffo alla miseria”.
Qui ci sono gli “arabi ricchi”. Quelli poveri sono gli immigrati o quelli
che abitano fuori del Paese.
Qui la parte dei marocchini o dei polacchi la potrebbero fare gli europei.
Non mi sorprenderebbe uscire in città ed al primo incrocio intravedere il
dott. Brambilla, munito di secchio e spazzolone, intento con una mano a
lavare il vetro di una Rolls Roys e con l’altra a mungere la cammella (il
secchio serviva a questo).
Sarebbe più remunerativo, che non sedersi ogni mattina alla scrivania del
suo posto di lavoro come capufficio dell’anagrafe municipale.
26 Febbraio 2001 (lunedì)
Ripartiamo per l’ultima tratta.
Anche stavolta l’aereo è pieno. Sono le tre e mezzo di mattina, ora locale.
Passano cinque ore e si atterra a Bangkok. E’ mezzogiorno qui in Thailandia.
Le pratiche doganali oggi sono velocissime. Appena il tempo di spogliarsi
dagli abiti europei ed arrivano anche i bagagli.
Mi sto riprendendo dal rincoglionimento della nottata in bianco.
La tratta Dubai/Bangkok è stata abbastanza pesante. Non c’è stato verso di
sgranchirsi le gambe. Nel velivolo, occupato in ogni ordine di posto, non
c’è stata la possibilità per le solite passeggiatine rilassanti, causa gli
ingorghi nei corridoi.
Quando mi sono portato in coda, fra l’ultimo servizio e la saletta del
personale di volo dubaino, ho trovato questo luogo già prenotato da un
distinto giovanotto con la barba, con il quale avevo scambiato poc’anzi
qualche parola di circostanza.
Aveva posato per terra una copertina in dotazione ai miseri passeggeri e
pregava inginocchiato e genuflesso il suo Allah.
Ho poi avuto modo, con lui (con il giovane barbuto, non con Allah), di
intrattenermi in una conversazione etnico-religiosa sulla nazionalità dei
nostri Dei.
Lui insisteva che era sicuro dell’origine ebraica-palestinese di Cristo.
Io gli ribattevo che invece avevo la documentazione certa sull’origine
italiana del Nazzareno.
La mia teoria era basata su tre punti cardini.
Il primo punto sosteneva che solo una mamma italiana poteva considerare suo
figlio un Dio.
Il secondo sottolineava che solo un figlio italiano era certo che la su’
mamma fosse vergine.
L’ultimo punto legittimava la dimostrazione, in quanto solo un figliolo
italiano poteva rimanere in casa dei genitori fino a trentatre anni.
Passata la dogana, ci informano che il Bus n. 3 con aria condizionata ci
porterà alla stazione autocorriere est di Ekamai per 100 Bath = 5.000 Lire a
testa.
Ci arriviamo in 40 minuti e nel percorrere a piedi, con i bagagli, quei
quaranta metri necessari a raggiungere l’altro bus, ci siamo conciati come
tegoli grondanti. Iniziamo a riscoprire le alte ed umide temperature
orientali.
Saliamo sul pulmann che ci porterà a Bang Phae, luogo dal quale partono i
battelli per l’isola di Kho Samet e paese adottivo di Italo & Wilai.
Costa 124 Bath = 6.200 Lire a persona, compresa bibita e dolcetto, offerti
appena partiti, alle due del pomeriggio.
Tre ore e tre quarti di viaggio tranquillo, percorrendo circa 280 kilometri,
attraverso risaie, piantagioni di palme e foreste di alberi della gomma, con
l’immancabile scodelletta legata al tronco inciso da mani esperte per far
colare il lattice di caucciù.
A Bang Phae ci vengono a recuperare le truppe cammellate di Italo.
C’è Wilai con un autista ed un pick-up e seduti sul suo cassone, in due
kilometri siamo a casa, da Italo.
Mentre aspettavo che ci venissero a prendere nella piazzetta della stazione
delle autocorriere, sono stato colpito dalla visione di un’operatrice
ecologica, con probabili antenati egizi primo periodo.
Stava pulendo la piazza, da carte e immondizie. Aveva un’enorme scopa, di
saggina o materiale equivalente e tirava, tramite una fune, una cesta
robusta e grande, su cui riporre quello che raccattava. Sulla terra battuta,
lasciava una scia segnaletica ed è per questa ragione che l’ho imparentata
con gli antichi Faraoni, prima che scoprissero l’uso e l’utilità della
ruota.
Prendiamo possesso della villetta dei nostri padroni di casa, dotata di
tutte le comodità occorrenti e rifornita di viveri di prima, seconda e terza
necessità. Ci trasferiamo subito nella casetta accanto, quella dove abitano
Italo & Wilai, per la cena.
Toh !!
Esistono davvero !!
Ci sono, respirano, parlano, mangiano, pensano; forse ogni tanto frullano.
Sono proprio vivi, sono reali, si sono trasfigurati. Che timore mi aveva
attanagliato fino a questo momento !!
Beh, ragazzi, d’accordo. Le ordinazioni per il menù le avevo già predisposte
da tempo, via Internet. Ma Wilai, la moglie folletto siamese, ci ha
preparato due ore di rifocillamento sublime. Gamberoni, granchioni, frutti
di mare, altro pescato dai nomi strani, tanto riso con dentro altro pesce,
zuppe sempre di pesce con tante spezie e verdurine sconosciute (la famosa
Tom Yam Kung), il tutto cucinato all’orientale, ma quando dico all’orientale
è per indicare una maniera elaborata, gustosissima, delicata. Insomma una
chicca.
In più la fame che ci attanaglia da una decina di ore.
Ci siamo subito rifatti, e in che modo !!
Poi, le quattro o cinque bottiglie di birra “Singha big” accelerano il
nostro stato comatoso e siamo pronti per andare a nanna.
Bene, ci sono. La bolla di sapone non si è dissolta. Posso continuare a
sostenere il mio programma.
Wilai è vulcanica. Quaranta chili in continuo movimento per predisporre,
controllare, comandare, fare, disfare, creare. Tutto per evitare qualsiasi
disagio all’ospite e facilitargli, invece, l’inserimento graduale nei ritmi
della società siamese.
Italo, il Baffino, è il Boss di questa piccola struttura ricettiva.
E’ l’ideologo, il pensatore, il negoziatore, il cardinale della struttura,
l’inventore, il creatore, il pensiero personificato.
Una bella accoppiata vincente !!
Ha l’hobby del computer e delle relazioni sociali, parla indifferentemente
in perfetto inglese o in un italiano rifinito, mastica il thai quel tanto da
non soccombere in una conversazione con gli occhi a mandorla, e si mette in
azione per i suoi spostamenti, preferibilmente con una “due ruote” un po’
vecchiotta, ma preziosa e utilissima.
Gli chiedo se ha intenzione di correre il prossimo “Tour del Siam” e mi
replica assentendo che si iscriverà alla gara quando la competizione si
terrà durante la stagione delle piogge. Lui è imbattibile anche nel nuoto.
Ci dobbiamo raccontare un sacco di cose, ma rimandiamo tutto al domani.
Ora ci faremo una grassa dormita.
E invece, col cazzo.
Sono le una di notte e stiamo girellando per la casa.
E’ una residenza adatta ad una famiglia numerosa. Sembra di essere in
vacanza in una di quelle villette che affittavano a Castiglione della
Pescaia, una trentina di anni fa, ai villeggianti che amavano il mare. Tre
stanze da letto , un ampio soggiorno-pranzo, un cucinino grande, un servizio
con doccia, una bella veranda. Insomma sei posti letto. Ma cos’altro
vogliamo di più ?
Siamo i padroni della casa, ma intanto, nel ricordo fisiologico che qui è
notte fonda, ma in Italia sono le sette di sera, Gianna si mette a leggere,
mangiando bananine e delle specie di nespole, da noi sconosciute, che Wilai
ci ha fatto trovare dentro il frigo, assieme ad un cocomero, un ananas e
delle mele a forma di pera.
Io compilo il mio diario, aiutandola a finire la frutta e scolandomi una
bottiglia di succo d’arancia fresco e dolcissimo.
Dopo un’oretta ci riprende sonno.
27 Febbraio 2001 (martedì)
Il chiarore del giorno ci sveglia alle sette e mezzo. Ci è passata tutta la
stanchezza che avevamo accumulato.
Colazione con Italo e poi via con Wilai, acchiappando tre taxi motorini che
in cinque minuti ci portano in paese a Bang Phae all’imbarco per l’isola di
Kho Samet.
Nei paesini, ma anche nelle grandi città, in Thailandia, sono diffusissimi
queste moto-taxi.
Ricordano un po’ i nostri “pony express”, ma invece di pizze o pacchettini,
portano in giro (non nel senso di presa pel’ culo) le persone, a prezzi
abbordabilissimi. Sono tutti giovani ed indossano una specie di canottiera
colorata con cucito sulla schiena un grande numero (grande di dimensione)
che attesta l’ autorizzazione comunale a fornire il servizio.
Sono l’ideale per arrivare ad un indirizzo fuori mano, ove autobus o taxi
collettivi non approdano. Quest’ultimi due compiono dei percorsi
prestabiliti e spesso i motorini taxi stazionano nelle vicinanze delle loro
fermate. E’ l’unico mezzo di locomozione veloce e comodo, se si vuole
risparmiare delle scarpinate solari. Ti portano ovunque tu lo chieda. Mi
pare che per una distanza di tre kilometri la tariffa ammonti a ben 20 Bath
= 1.000 lire.
Che eseguono il servizio, ho notato solo ragazzi in età giovanile.
Aspetto con ansia il momento della pari opportunità anche per le cittine che
si vogliono impiegare in questo lavoro. Sarò cliente fisso con poco senso
dell’equilibrio.
Con l’assistenza di Wilai, prendiamo il biglietto per il traghetto e
paghiamo anche la tassa di accesso all’isola, divenuta da alcuni anni
patrimonio nazionale e parco marino naturale (l’isola, non la tassa).
L’isola è piena di spiaggette con intorno tanta vegetazione lussuriosa.
Con un motorino a noleggio, fatichiamo attraverso i tratturi disastrati
dalle piogge scroscianti e non più ripristinati, per raggiungere i luoghi da
ammirare, provare, godere. Tutt’intorno “resort, bungalow, ristorantini,
negozietti”.
Il tutto abbastanza bello, ma come al solito anche molto affrettato.
Anche la pulizia degli arenili lascia abbastanza disorientati.
L’isola di Kho Samet si trova ad una mezz’ora di battello dalla terra ferma.
Le strade, abbastanza rovinate, sono tutte a sterro ed alcune spiagge si
possono raggiungere solamente a piedi.
Il principale punto di arrivo sull’isola è Samet Village. Da qui, una
nutrita truppa di “songthaew” all’inglese, “sonteo” alla toscana, aspettano
di riempire le panche dei propri cassoni e poi trasportano i viaggiatori,
per pochi bath, ai luoghi prescelti.
Dal 1981 fa parte di un Parco Nazionale e sott’acqua abbondano i coralli.
In anni recenti, nonostante il decreto di istituzione del Parco, il luogo è
stato assalito da una speculazione edilizia, non basata sul cemento, ma su
bungalow in legno, e comunque compatta.
Le Autorità, nel 1989, visto il business turistico, in contraddizione con lo
status di protezione del Parco, ha temporaneamente chiuso l’accesso
all’isola, compiendo dei propri blitz, arrestando gli operatori turistici,
dichiarati tutti abusivi, e sgombrando con modi dai caratteri molto duri i
visitatori.
Dopo cinque anni di lassismo, la risposta degli imprenditori e dei locali
non si è fatta attendere, ed è esplosa in forma di arrabbiatissime
dimostrazioni a Rayong, durate qualche settimana.
L’inevitabile compromesso si è espresso con la revoca, da parte del Ministro
dell’Agricoltura, della misura restrittiva, ventilando peraltro una chiusura
estiva nei mesi di luglio, agosto e settembre.
Attualmente nell’isola c’è il tutto esaurito.
I Turisti fanno a cazzotti per soggiornarvi e soldi buoni ne portano tanti.
In sovrappiù, da un paio d’anni, hanno inventato quella tassa d’accesso di
100 Bath = 5.000 lire.
Non è molto, ma sono tanti i visitatori che la pagano.
Con il ricavato, perché, oltre foraggiare il mantenimento del biotopo
isolano, più topo che bio, non comprano anche qualche scopa, forcone, sacchi
per la spazzatura, e li danno in dotazione a quegli operai che puntualmente
bivaccano ai crocevia dei sentieri, impettiti e gloriosi nel loro
giornaliero ufficio governativo ?
Non fanno una sega tutto il giorno !!
Almeno fareste qualche cosa di utile per voi !!
Il Turista morde e fugge. Voi però rimanete e ci dovete pure campare.
Ho constatato che l’immondiziaio, che puntualmente si crea un po’ dovunque,
non è dovuto all’incuria dello straniero. Questi, al contrario, è molto
attento a non provocare disastri.
Sono i locali, gli indigeni, purtroppo, che non sono ancora adeguatamente
educati all’ordine. Abbruttiscono, in tal modo,irreparabilmente, le cose
belle che hanno la fortuna di avere.
Ma che teste di cazzo !!
A dirla tutta, conosco anche in Italia alcuni luoghi del genere.
Teste di cazzo anche a noi !!
Noto, nella fascia cis-marina, una lussureggiante foresta di palmizi ed
altre piante, a me sconosciute. Alcune debbono essere centenarie ed il tempo
le ha intortite e raggrinzite.
Intorno a questa rigogliosa vegetazione,hanno creato il loro habitat
naturale una moltitudine di uccelli, sia piccolissimi, che di dimensioni
ingenti.
Ora che si stà avvicinando uno dei soliti brevi, ma scroscianti acquazzoni,
registro che tutta la fauna volante, vorticosamente, si innalza e si
solleva, posandosi da una palma all’altra.
Seguo, con l’occhio, una passerottina che, fragile ed indifesa, cerca
disperatamente un riparo, e vedendo un incavo nel tronco dell’enorme albero
che domina l’altura della baia di “Hat Sai Keo”, si appresta ad entrare
frettolosamente nel rifugio.
Appena posata all’ingresso, però, esce da questo un enorme pappagallo giallo
e verde, che con modi bruschi, le dice che il luogo prescelto è già
occupato.
Impaurito, l’uccellino riprende il volo, alla ricerca di altri ripari, ed
intanto la pioggia ha iniziato a inzuppare le sue piccole ali, creandogli
anche delle difficoltà di sostentamento.
Non trovando altro e continuando a piovere, la passerottina ritorna
nuovamente al nido prima intravisto e tenta di entrare forzatamente.
Il pappagallone, a questo punto, fa scudo col suo corpo, le sbarra
l’ingresso e la rimanda via.
Disperata, riprende il suo volo e poi non so dove sia finita.
Ora capisco il significato del vecchio adagio thailandese che recita:
” Più l’uccello fa il duro e più la passera si bagna”.
Giriamo diverse spiagge e fra un bagno e l’altro ci saremo sicuramente
scottati.
Pranziamo con dell’ottimo pesce, a dei prezzi sempre molto convenienti.
Ora torniamo a casa dopo aver trascorso una bella giornata balneare. Ci
voleva.
Con il battello che pende tutto a destra, traghettiamo sulla terra ferma ed
a piedi, lentamente, attraversiamo, passeggiando, il paese di Bang Phae,
verso casa nostra.
Ogni tanto ci fermiamo accanto ai negozi che offrono frutta e verdura dai
colori, dimensioni, forme incredibili e dai profumi intensi e non
descrivibili.
Con pazienza e gentilezza, i negozianti ci indicano le qualità e si prestano
volentieri a farci assaggiare i loro prodotti, pur sapendo che non diverremo
mai loro clienti.
Siamo solo noi i turisti in questo luogo.
Non vi sono grandi strutture ricettive, qui. Il villeggiante preferisce
soggiornare nei centri più adeguati e creati appositamente per lui.
Così è ancora più vero inserirsi nella loro vita.
Gli studenti stanno uscendo dalle scuole.
Sciamano a frotte per le strade, vestiti con divise diverse e sgargianti ed
indicanti i vari indirizzi formativi.
Secondo il mio parere, quelli vestiti con cravattina e soprammaniche,
studiano ragioneria,
quelli con i pantaloncini corti e scarponcini, ma con la camicia beige,
imparano a fare i geometri. Chi va a scuola per impratichirsi a diventare
bottegaio, sopra il vestitino crema e blu, porta il grembiulino bianco.
Scherzano, vociano, e discorrono sulle ore di lezione trascorse.
Con nostalgia mi rivedo nei loro panni. Chissà se fra di loro ce n’è
qualcuno trasgressivo ed impertinente come ero io ?
Chi lo sa, se usa ancora sbattere fuori dalla porta l’alunno solo perché
candidamente vuole fare un po’ di umorismo con il professore ?
Io ero abbonato agli allontanamenti per disturbo della quiete scolastica.
Forse esageravo, ma forse esageravano anche gli insegnanti
La prima settimana di scuola, di tanti anni fa, mi avevano subito sospeso
perché avevo protestato, scrivendo in Segreteria: “desidero conoscere il
criterio adottato per la scelta del posto sui banchi, per il quale, il
compagno che l’anno scorso me l’avete messo di dietro, quest’anno me lo
trovo davanti”.
O l’altra volta che ho dovuto tornare accompagnato dai genitori perché avevo
scritto sulla lavagna : ” Informo le professoresse, che alle ore 11 il
Preside prenderà contatto, in un luogo adatto, con il corpo delle
insegnanti”.
Non vi dico cosa successe, poi, quando in un tema di italiano avevo
commentato che la poesia del Leopardi è la poesia del pessimismo, bastava
leggere ” La passera solitaria “.
Non c’era un professore che mi credesse in buona fede !!
Accanto alla villa presa in affitto da Italo & Wilai, sostiamo un attimo nel
negozietto a venti metri dalla casa.
I due anziani bottegai thailandesi (sembrano i mì nonni, ma saranno più
giovani di me) ormai ci conoscono ed ogni volta iniziamo un lungo colloquio
intraducibile.
Parliamo tutti contemporaneamente, tanto a loro non frega un cazzo di quello
che diciamo, e a noi uguale.
L’importante è chiacchierare, non si può mica fare la spesa in silenzio come
al Supermarket !!
Qui, i rapporti sociali,sono ancora intensi.
Ci riforniamo di birra, succhi di frutta ed altri generi necessari alla
sopravvivenza e ci salutiamo.
Questo lo capiamo tutti. Sono grandi manate sulle spalle e sventolio di mani
per aria.
Vuol dire arrivederci.
Cena e serata fino a tardi con Italo e quell’attrezzo delicato della su’
moglie.
In cucina è espertissima,ma è anche uno spasso conversare con lei in
italiano. Lo parla molto bene. La pronunzia della “erre”, dopo tre anni di
allenamenti a scuola in italia, non è più una “elle” alla cinese e così non
posso rifarle il verso.
In compenso ho notato che già dopo un giorno della mia vicinanza, sempre più
spesso esce fuori con le mie frasi fatte, tipo “alla fine mi ha rotto i
coglioni”, “non si capisce proprio una sega”, e così via.
E non le dice a sproposito, sono tutte frasi centrate, colpiscono
l’obiettivo.
Ci guardiamo anche i filmini che ho girato l’anno scorso e tiriamo la
mezzanotte.
Stò sconvolgendo Italo con tutti i programmi vulcanici che cerco di
convincerlo ad effettuare con me e con Gianna.
Caro Baffino, non avrai mica creduto di fare solamente “l’affittacamere”,
spero ?
Tutti a nanna perché è tardi.
28 Febbraio 2001 (mercoledì)
Curiosamente, fuori dai grandi centri abitati, tipo Bangkok o Pattaya, e
quindi anche a Rayong, non ci sono taxi in città, da prendere al volo, o
quelle vetture predisposte al servizio come lo intendiamo noi europei. Per
questo tipo di prestazione, bisogna prenotare in anticipo.
Tutti usano il taxi-motorini o i “Sontei” (Songthaew in inglese).
Andiamo con Wilai a prendere la macchina noleggiata a Rayong, a 15 kilometri
da Bang Phae.
Saliamo a bordo dei camioncini con le panchine sul cassone.
Un’ora di divertimento. A Rayong di nuovo sui motorini fino dal
noleggiatore.
Ci danno una Toyota pick-up, con quattro posti in cabina.
Il costo, compresa l’Assicurazione, è di circa 45.000 lire al giorno.
Poi nuovamente a casa a prendere Italo.
Non vuole separarsi da quella sua specie di marchingegno a due ruote, perché
dice che gli può fare comodo, e così caricato sul cassone il suo
inseparabile mezzo, ci dirigiamo verso sud a pranzare in riva al mare in un
ristorante scoperto da Wilai.
Gli avevo proposto di attrezzarci con una fune legata alla vettura per
trainare la “carretta”
pilotata da “baffino”, ma abbiamo rinunziato per non creare troppe
sensazioni di ilarità nei passanti con gli occhi mandorlati.
Ci sono vasche piene di tutte le specialità marine vive, gamberi,
granchioni, calamaroni, ostricone, aragoste, cicalone (non quelle delle
femmine, che si chiamano anche passere), dentici, branzini, ed altri pesci e
crostacei sconosciuti ai più, ma che in bella mostra, aspettano solo di
essere presi nella rete del cuoco, scelti e divorati.
A dispetto di “Nane il chioggiotto”, un ristorante dove la specialità è solo
pesce, vicino a Sottomarina, e dove alla fine il conto si aggira sulle
120.000 lire a testa, noi, lì, in quel momento ed in quel luogo, con molta
indifferenza forzata, e con noncuranza, come se lo facessimo sempre, non
economizziamo affatto nella varietà (è abbastanza facile recitare la parte
dello spandone).
C’è anche una leggera e piacevole brezza che ci permette di stare all’aperto
senza aria condizionata e senza sudare o schiantare.
Il conto, poi, è vergognoso.
In Italia si paga di più andare in pizzeria e portarsi a casa una
“napoletana senza origano e cotta bene, con capperini a parte”.
Già l’anno passato, avevo avuto modo di notare, contrariato, un’usanza
adottata sia dai ristoranti piccoli ed ambulanti, tipo banchettini di
wurstel, che dai sontuosi locali di ristorazione alberghiera.
Al posto dei tovaglioli di stoffa o di carta, mettevano a disposizione dei
commensali, delle piccolissime striscioline di carta, che non servivano
assolutamente a nulla, se non far imprecare, per l’inevitabile sbrodolamento
che si verificava e che non si riusciva a detergere.
Bene ! Quest’anno alcuni ristoranti si sono aggiornati.
Sui tavolini, anche di locali prestigiosi, sistemano un contenitore ovale,
di plastica, con un foro all’apice.
Dentro, è sistemato un rotolo di carta igienica che si srotola tirando il
capo dal forellino.
Sempre meglio di prima, ma..ragazzi.. che fantasia !!
Ci manca solo il cagnolino che transiti per i saloni con in bocca l’inizio
dello Scottex, per dimostrare quanto è lungo.
Viaggiamo all’interno della costa e percorriamo le colline piene di
piantagioni di alberi della gomma. Quando ci riposiamo all’ombra di un
Tempio, Italone prende la sua specie di bicicletta e ci dimostra la sua
freschezza di sessantottino.
Al ritorno è quasi buio e lasciati i nostri albergatori alle loro funzioni,
io e Gianna ci dirigiamo nuovamente in macchina a Rayong a cenare.
La vettura presa a nolo, per ora funziona bene.
Quando accendo i fari abbaglianti, però, si mette in azione il clacson ; per
questa ragione, tendo a viaggiare con le mezze luci.
Ho il timore di frenare, per paura che contemporaneamente si muovano i
tergicristalli, ma per il resto, è tutto a posto.
Sbagliamo per due volte la strada del ritorno, nel buio pesto, ma riusciamo
in qualche maniera a tornare.
1 Marzo 2001 (giovedì)
Con Wilai che ci fa da guida, di mattino presto, raggiungiamo un Tempio,
dove, all’interno delle sue strutture, eseguono i massaggi terapeutici
tradizionali.
Come al solito sono sfigato, e mi tocca un omone grande e grosso, con i
baffi, vaffanculo, e per due ore sono strizzato da stò gazzilloro che,
assieme alle donne massaggiatrici, continua a pigliarmi pel culo, tirandomi
anche i peli del petto. La loro razza è esente da questa peluria buffa ed
esilerante.
Al mercato di Rayong, Wilai dimostra tutta la sua capacità di thailandese,
nel districarsi fra i banchi dei prodotti ittici.
Facciamo la spesa per il pranzo cucinato all’italiana. E’ un modo per mutare
i sapori.
Con i crostacei non utilizzati, ne abbiamo presi tanti che sono avanzati
senza cucinarli, la folletto siamese prepara un sughetto al pomodoro per gli
spaghetti di stasera.
E la cena, dopo il pomeriggio trascorso a passeggio nel mercato di Bang
Phae, grande spaghettata con quel meraviglioso condimento, e per secondo e
dessert, frutta, frutta, frutta.
Fra i tanti argomenti sviscerati con Italo, dopo aver raddrizzato e salvato
il mondo, con tutti i nostri pareri, consigli e modi di rimediare alle
ingiustizie che intasano l’universo, il tema serale scivola sull’opportunità
che una coppia di Italiani potrebbe agguantare, per venire a svernare in
Thailandia, paese esotico e caldissimo, quando da noi il rafreddore è il
minore dei mali.
E’ soprattutto un’analisi particolareggiata, rivolta alla possibile
realizzazione dell’eventuale progetto con i relativi costi ed oneri.
Allora, la conclusione, dopo lunghe riflessioni è stata:
L’affitto di un appartamento grande all’europea o di una villetta tipo la
nostra, qui a Bang Phae, con tutte le comodità necessarie ed anche più del
necessario, nelle immediate vicinanze del Golfo del Siam, può venire a
costare dalle 200 alle 400 mila lire al mese.
Con 300 o 400 mila lire al mese a testa, si riesce a mangiare benissimo in
casa od al ristorante.
La ragazza di servizio, che ti faccia anche da cuoca , quando le dai 300
mila lire al mese, oltre a fare le capriole dalla contentezza, si iscrive
subito al corso per massaggiatrice ed è disponibile anche per questo lavoro
giornaliero.
Il viaggio andata e ritorno dall’Italia lo possiamo considerare ad un costo
non superiore al milione e trecento mila lire.
In definitiva se una coppia di anzianotti pensionati e mezzo rincoglioniti
come noi, decidessero di trascorrere i tre mesi di dicembre, gennaio,
febbraio in Thailandia, la spesa necessaria pro capite, diventerebbe:
viaggio
1.300.000
½ canone affitto di una bella casa 200 mila x 3 mesi
600.000
vitto 400 mila x 3 mesi
1.200.000
½ compenso ragazzo di servizio 150mila x 3 mesi
450.000
Il totale, pro capite per tre mesi arriverebbe a 3.550.000 Lire
che significherebbero 1.184.000 lire al mese. CI SI PUO’ PENSARE !!!
Domani è in programma la visita alle miniere di rubini. C’è abbastanza
strada da fare, non è un percorso turistico-europeo e sarà indispensabile
farci accompagnare da Wilai.
2 Marzo 2001 (venerdì)
Arriviamo a Chantha Buri verso mezzogiorno.
Abbiamo percorso un centinaio di kilometri verso sud, in direzione del
confine con la Cambogia.
Per informazioni, ci avvaliamo della nostra guida, utilissima per l’impatto
con i residenti.
Rimangono sorpresi, quando vedono me ed Italo, che ho convinto ad essere
della spedizione,ed ancora di più quando dai sedili posteriori fa capolino
Wilai che chiede informazioni nella loro stessa lingua.
Ci dicono che le miniere di rubini, quelle vicino a Chantha Buri, si sono
esaurite alcuni anni fa e quindi non più operative ed interessanti per la
loro visita.
I libri guida recenti, sulla Thailandia, le riportano ancora come
funzionanti.
Ci indicano un altro luogo, molto distante, sulle montagne, ma rinunziamo
per pericolo di impiegare troppo tempo a raggiungerlo e trovare poi che
malauguratamente ieri hanno deciso di interromperne l’operosità.
Troviamo lungo la strada un’indicazione per raggiungere un parco naturale
con all’apice una cascata.
Fa molto caldo, caldissimo, ed optiamo per questa soluzione in cerca di
refrigerio.
Ci arrampichiamo con il “pick-up” lungo la salita, nel mezzo di una foresta
tropicale e quando, raggiunto il parcheggio, ci incamminiamo a piedi,
l’umidità ci fa ancora di più grondare di sudore.
Gianna e Wilai, montanare esperte, ci precedono, ma Italo vuole con se anche
la sua “bicicletta”, e lo devo aiutare spingendolo quando le ruote affondano
nel fango del tratturo sconnesso.
E’ così che stò “noccolo” mi prometteva benessere e riposo ?
Dove c’era la cascata, ora c’è solo un piccolo rocchio d’acqua. Siamo nella
stagione secca.
Anche questa volta l’ho spadellata.
Ma non potevano scriverlo su quel troiaio di cartello, giù a valle, che non
c’era l’acqua, ma che di umido c’era solo il nostro sudore ?
Di ritorno verso il golfo del Siam, in una stradina di campagna, vediamo un
bambino thailandese, scalzo, con indosso solo pantaloncini corti e sulla
testa un cappello di paglia a forma di cono.
Cerca di farsi seguire, tirandola con una fune, da una bufala enorme, con
due corna a semicerchio e con la schiena gobbuta.
Fanno più passi indietro e laterali che quelli lungo la stradina.
La bestia non vuol saperne di andare avanti.
Chiediamo al giovanetto dove stà andando e questi risponde che deve portare
la bufala dal toro, nella vicina stazione di monta, per la sua inseminazione
naturale.
Accorti della fatica nel condurre la vaccina, gli chiediamo perché non lo fa
fare al su’ babbo.
Il bambino ci risponde che il toro lo fà meglio.
Pranziamo lungo la costa e nelle vicinanze ci sono numerosi allevamenti di
gamberi della specie Kung Kula Dam, quelli grandi, lunghi, quelli che se vai
a comprarli te li vendono a metrate, quelli scuri, quelli che sembrano
aragostine, quelli con i quali ci facciamo passare la fame.
Andiamo a visitare le acqua-colture e la nostra interprete intrattiene una
lunga, curiosa e formidabile conversazione con il gamberaio.
Tre giorni fa, che sfiga, li hanno immessi tutti sul mercato gastronomico ed
ora ci sono solo quelli piccoli, che debbono crescere.
Sono tutti molto ospitali (gli addetti, non i gamberi) e spiegano alla
nostra amica tutte le operazioni necessarie alla loro riproduzione (dei
gamberi non degli addetti).
Ritornando verso casa, con Italo ci tuffiamo in mare, il sole tramonta,
l’acqua è caldissima, Baffino è insuperabile nel nuoto e questa volta si
dimentica del suo “velocipede”.
Tanto che ci siamo, si ritorna a cenare con il pesce ed i frutti di mare, ed
ora col buio, le zanzare cenano con Gianna.
3 marzo 2001 (sabato)
Risiamo al Tempio dei massaggi.
Pur così presto, c’è già tantissima gente. Nessun turista. Bisognerebbe
aspettare il nostro turno fra un’ora e mezzo.
Nel grande cortile vicino al laghetto,pieno di grossi pesci che vengono
pasturati da giovani ragazzine, stazionano cani, gatti, galli e galline.
Quest’ultime, pomposamente e tutte tirate a festa, sculettano tentatrici
nelle vicinanze dei loro sultani, che prima indifferenti e poi sempre più
interessati, le guardano con occhio critico e lussurioso.
Chiedo a Wilai quante prestazioni riesce a sostenere il galletto ogni giorno
e lei risponde che una decina è un fatto abbastanza frequente.
A questo punto, Gianna mi dà di gomito e con un sorrisino di compatimento mi
dice : hai sentito ?
Mi rivolgo nuovamente alla nostra guida per sapere se i tributi gallinacei
sono rivolti tutti esclusivamente ad una sola partner, e la risposta è :
Nooo!! Ne ha sempre una nuova.
Ora sono io a dare di gomito a Gianna.
Hai capito bene ? Le recito.
Ritorniamo al grande mercato di Rayong per la spesa del pesce, destinazione
cena e per vedere le fontane che vorrei portare in Italia.
Al contrario delle massaggiatrici, per la fontaniera è troppo presto.
Ma l’indovinerò mai una ?
Facendo inversione di marcia con la Toyota, (è sempre molto difficile
abituarsi alla guida a sinistra) sbaglio corsia e mi immetto nel senso
contrario in un luogo proibito, e proprio di fronte al poliziotto che dirige
il traffico.
E’ immediato l’ordine di accostare, controllo della patente internazionale e
contestazione dell’infrazione per la quale è prevista una multa di 500 Bath
= 25.000 lire da pagarsi al comando di polizia.
Gli Angeli non abitano qui a Rayong.
Forse a Bangkok, ma qui no !!
Il nome di Bangkok è ancora quello vecchio. Da quando è stato ufficialmente
cambiato il vecchio nome “Siam”, in “Thailandia”, nel lontano 1938, anche il
nome della città è stato mutato ufficialmente in “Krung Thep” che significa
“città degli angeli”.
Ma il vecchio nome ha continuato ad essere usato sempre dai mercanti
stranieri ed ancor oggi, per la gente che vive fuori dal regno, la capitale
della Thailandia è conosciuta con il suo vecchio nome Bangkok.
Dicevo del tutore del traffico e degli Angeli dissolti.
Il poliziotto fa capire a Wilai che possiamo cavarcela con 300 Bath = 15.000
lire, dati sottobanco, senza disturbarci troppo a pagare una somma maggiore
in caserma.
Acconsentiamo e versiamo l’obolo.
Riprendere la vicenda con la telecamera, naturalmente, non è concesso.
Wilai è incazzata nera, io un po’ meno.
Stò terminando di fumare una sigaretta e chiedo al poliziotto dove gettare
il mozzicone.
Mi indica di buttarla per terra.
Ma allora ce l’avete proprio con me !!
Terminata la commedia, accompagno a casa le due donne e con l’omino che
vende generi alimentari, lì accanto, andiamo dove oggi si svolgono i
combattimenti dei galli.
Un centinaio di appassionati sono sparpagliati sui gradini di legno della
piccola arena, dove due pollastroni incazzati, ricuciti e armati di speroni
aggiuntivi di acciaio, si beccano e si rostrano di santa ragione.
Ci trasferiamo, poco dopo, lungo la spiaggia che unisce Bang Phae a Rayong.
E’ un arenile molto ampio e con alle spalle una piccola “palmeta”
ombreggiante. Come da noi bisogna stare all’erta quando cadono le pigne
mentre si passeggia nelle pinete, qui c’è bisogno di grande abilità per
schivare le grosse noci di cocco che, ogni tanto, da 15 o 20 metri di
altezza, decidono di andare a marcire sulla sabbia.
Il mare è come quello di Viareggio o Cattolica, con il 98,7 % di bagnanti in
meno, rispetto al numero di villeggianti nella stagione invernale in Italia.
Non c’è quasi nessuno lungo questi 15 kilometri.
Ho contato due italiani (noialtri), sette giapponesini ed una dozzina di
ragazzotti thailandesi con la chitarra e tamburi e strumenti a percussione,
ricavati con aggeggi di fortuna.
Ogni tanto si buttano in mare con dei salvagenti enormi, costituiti da
camere d’aria di camion, gonfiate all’inverosimile,come usava da noi
nell’immediato dopoguerra, l’ultima per precisione, non la seconda Punica.
Anche qui, la pulizia lascia a desiderare.
Con tutta probabilità, le entrate comunali non sono sufficienti a permettere
la bonifica delle brutture da sporcizia.
Consiglierei il Sindaco di controllare più strettamente i propri esattori.
Riparlando della spiaggia, non vi sono strutture alberghiere, tranne due
Hotel, laggiù in fondo, quindi è quasi deserta.
Dipende dai punti di vista, ma si può considerare, tutto sommato, ancora
vergine, pur a ridosso di un centro abitato, abbastanza grande.
I turisti non arrivano qui.
Si fermano prima, a Pattaya, a circa 80 kilometri a nord-ovest.
Lì c’è tutto, divertimento, aberrazione, trasporti sofisticati, discoteche,
grandi e lussuosi ristoranti, postriboli, centri commerciali, pedofilia,
ombrelloni e cabine e spogliatoi, scooters d’acqua, deltaplani, offerte
insistenti di “ficchi, ficchi”, vita mondana.
In questa lunga spiaggia, tra Rayong ed il promontorio di Bang Phae, non c’
è altro che ciò che la natura ha creato.
Le sozzure, che si notano, sono state portate dagli umani.
Da diverse ottiche, si può valutare cosa scegliere. Io scommetto che entro
dieci anni diventerà come Pattaya. Ma intanto è così e non è poco per chi
vuole ancora respirare il “selvaggio”.
Me l’aveva già anticipato Italo, ma io non ne ero convinto o forse non
abbastanza osservatore.
Le ragazzine tailandesi fanno il bagno, nel Golfo, vestite con gonnellino e
camicetta. Sotto portano mutande e reggipetto.
I loro fidanzatini, al posto della gonna, hanno i pantaloncini corti.
Sono esentati dall’indossare il sospensorio mammellare.
Mi raccontava Italo, dicevo, che le ragazze per bene non si mettono in
costume per bagnarsi. Quelle che lo fanno, sono delle svergognate, salvo
poi, nei cespugli lì vicino, aprire le cosce e dispensare i propri favori.
Ma il bikini in spiaggia, no !!
Scommettiamo che a Pattaya la maggior parte delle thailandesi nuota
indossando il costume ?
Per pranzare, scegliamo un ristorantino dall’altra parte dello stradone
“lungomare”.
Ordino un piatto di gamberi mescolati a tanto riso e gamberi freschi in
salsa di pesce ed aglio.
Non avevo, però, registrato nel menù, che i crostacei erano aperti e crudi.
Dopo averne assaggiati un paio, faccio il filo a tre gattini che sostano
sotto i tavoli.
Ne offro loro quattro o cinque. Miagolano che sono meglio quelli che prepara
Wilai.
E così anche loro lasciano l’avanzino.
Quindi attenzione :
Quando nel menù si vede scritto “frish shrimps” (gamberi freschi), qui per
freschi si intende crudi !!
Del resto, hanno ragione loro. Tutto il loro pescato è fresco, non hanno
bisogno di specificarlo. Ne hanno tanto e costa poco. Che senso avrebbe
riciclare gli avanzi ?
Quel gruppetto di ragazzi, di cui parlavo prima, cantano e suonano la
chitarra.
Mi permettono di riprenderli con la telecamera e mi offono Wisky e Coca
Cola.
Ringrazio, ma rifiuto. Anche ora, un pochino, ma di più alla loro età,
preferivo maggiormente la passera, che non la loro maniera di essere
trasgressivi.
Sotto le palme, ad una decina di metri dall’arenile, si stà d’incanto.
Soffia una leggera brezzolina che nasconde gli effetti del sole che picchia
e bisogna stare attenti alle scottature.
Se il ventolino cessasse, si schianterebbe dal caldo.
4 marzo 2001 (domenica)
Riportiamo la Toyota pick-up al noleggiatore, la mattina presto.
Tutto sommato, la macchina ha svolto il compito per cui l’abbiamo affittata.
E’ una vecchia Toyota turbo diesel e seppur un po’ lentina, ci ha portato
dove volevamo, senza troppi inconvenienti.
Con 350 mila kilometri sul groppone, aveva anche il diritto di guaire,
quando gli accendevo i fari abbaglianti.
Carichiamo i bagagli nel cassone e l’omino del noleggio ci accompagna fino
alla stazione dei Bus.
Qui è una pena salutare e lasciare Wilai.
Come faremo senza di lei ?
Ma potevamo scegliere di andare in vacanza nel Madagascar?
Ieri sera abbiamo cenato assieme a lei ed Italo, festeggiando anche in
anticipo il compleanno di Gianna.
“Baffino” le aveva preparato una delle sue torte a sorpresa con tante
fragole nella bordatura.
Le bottiglie di birra, gettate vuote per folclore, nell’aiola vicina,
avevano creato un mucchio eloquente di come si era svolta la serata, e
specialmente la siamesina trasferiva verso i presenti tutta la sua vivacità.
Ogni tanto ho cercato di prenderla in giro, ma credo che alla fine lei sia
riuscita, nel suo italiano particolare, a pigliarci pel culo tutti quanti.
Il distacco da Italo è stato più dignitoso.
E’ come se ci lasciassimo per qualche giorno solamente, per poi ritrovarsi
su Internet.
Mi mancherà la satira e le fatiche dei trasbordi del suo “mezzo
locomotorio”.
Ah, mi stavo dimenticando.
Italone è bravissimo ed un grande esperto nel manovrare la sua sedia a
rotelle nei meandri di casa sua, ma per la strada sconnessa o per i sentieri
nella foresta, lascia un po’ a desiderare e tante volte è meglio se l’aiuto
io, che come secondo pilota, a parte gli slalom velocissimi con qualche
ammaccatura, ho fatto egregiamente la mia parte.
Il Bus viaggia veloce verso Bangkok, traffico un ce né punto e in due ore e
mezzo siamo a Bangkok al Menam River Side.
Si realizzano subito infondati i nostri timori di sistemazione nello
scantinato, considerato il prezzo esiguo, e ci sistemano, invece, subito in
una grande stanza, uguale alle altre, con due lettoni come usano negli Hotel
in Thailandia, quando non tentano di fare i furbi.
Posizione stupenda e strutture e servizi altrettanto ottimi.
La zona della piscina è superiore a quella di tanti altri alberghi di
categoria superiore.
Con traghetto e metropolitana ci trasferiamo al week-end market . E’ aperto
solo il sabato e la domenica e non avremmo in seguito avuto l’occasione di
ritornarci.
La descrizione del mercato l’avevo già sviluppata profondamente nella
cronaca dell’anno passato ed ora posso solo accennare che è infinito e vi
viene offerto di tutto.
Acquisto la fontanella bramata dall’anno scorso e ce l’imballano per
portarla in Italia. Vedremo come ci organizzeremo per farla trasportare in
aereo.
Al ritorno in Hotel, decidiamo di rimanere in piscina a riposare, per
smaltire le fatiche rocambolesche, derivate dalle attività goliardiche
consumate con Italone.
Caro Baffino, che cantate a squarciagola in macchina ricordando Battisti,
Dalla, e le tue nostalgiche canzoni liguri.
Avresti anche ventilato il desiderio di rimanere solo per mezza giornata
vicino alle cascate, anche se aride, per rigenerati con la meditazione.
Ma ti ho riportato via.
Il Menam River Side è pieno di tedeschi ed è giusto così, perché pagano
poco, piccinini.
Alla sera ceniamo in albergo.
Anche se è stato un pomeriggio di tutto riposo,non ce la sentiamo di
effettuare lunghi trasferimenti alla ricerca della confusione.
L’Hotel, oltre a saloni e salette per caffè ed aperitivi, contiene tre
ristoranti all’interno delle sue strutture, uno cinese, l’altro Thai e
l’altro ancora specializzato in “see food”, pesce.
Quest’ultimo è situato nella grande terrazza sul fiume Chao Phraya ed è qui
che scegliamo la nostra permanenza serale.
Il Chao Phraya proviene dalle montagne del nord e percorre 365 kilometri
prima di gettarsi nel golfo del Siam. Ha dato origine ad una delle regioni
più fertili del mondo per la produzione di riso, irrigando le vaste pianure
centrali. Per secoli ha costituito una delle più importanti vie navigabili
per gli scambi con l’estero.
E’ stata fino ad una trentina di anni fa, la principale arteria di Bangkok
con i suoi canali (klong), ora quasi tutti spariti. Al loro posto sono stati
costruiti dei viali grandissimi.
Il fiume però è rimasto, non l’hanno ancora seppellito con colate di cemento
e acciaio. Questo materiale per adesso viene usato per riempire le sue rive
di grattacieli, per lo più adibiti a residence od Hotel di lusso.
Nonostante il declino dell’importante navigazione fluviale, il Chao Phraya
rimane pur sempre un comodo e veloce mezzo di trasferimento con i battelli o
“taxi del fiume”, quando le strade della città sono intasate sia di traffico
che di rumore.
Navigando con il “ferry”, impressiona ancora la vista delle vecchie case su
palafitte, accanto a modernissime costruzioni in vetro e acciaio.
Al ristorante See Food adottano il sistema a buffet e praticano un prezzo
fisso.
Sono 640 Bath = 32.000 lire a testa, escluse le bevande e si può prendere
quello e quanto si desidera.
Stasera i tedeschi hanno lasciato posto ai giapponesi.
Ne arriva un battaglione, tutti inquadrati.
Sono divisi in plotoni, vocianti ma organizzatissimi.
Non si fiondano tutti insieme a ripulire le pietanze a disposizione, ma lo
fanno con tattica e strategia.
I diversi manipoli composti da 10 o 15 persone alla volta, all’unisono si
alzano e si trasferiscono quatti quatti nel reparto scelto per
l’acquisizione dei beni di sostentamento.
Poi tornano nei loro tavoli per ingozzarsi, per riandare, più tardi,
assieme, a saccheggiare altro cibo.
Ho detto saccheggiare, ma non è una battuta.
Come si chiama quando viene fatta completa razzia di tutto quello che c’è
nei vassoi ?
Il personale thailandese stà facendo le capriole per tenere il tempo e
ricostituire le teglie vuotate.
In un piattone di una giapponesina ho contato, sistemati a piramide, 5
granchioni, 4 gamberi grossi, un branzino e 2 cicalone, tutti cucinati alla
brace.
Fra una pausa e l’altra, di questi strategici colpi di mano nipponici,
noialtri poveri due italiani, adottiamo la tattica dell’articolo quinto,
quella che chi ha preso per primo il posto, ha sempre vinto.
Così ci sistemiamo davanti al braciere, appena libero e vuoto, ed aspettiamo
pazientemente che sia cucinato dell’altro pesce. Nel frattempo arriva
l’altro plotone, che però aspetta di far ripulire a noi per primi il
prodotto arrostito.
Ci aveva provato un giapponese, tanto grosso quanto frettoloso, ad allungare
per primo la sua gialla mano, ma proprio in quell’attimo ho avuto uno
sbandamento di equilibrio ed il rappresentante del Sol Levante è stato
ricacciato indietro.
Proprio come ad Okinawa.
Siccome poi gli intervalli degli attacchi giapponesi sono numerosi,
ripetiamo per altre quattro volte le nostre sortite.
In questo modo, un eventuale scrivano orientale con il compito di segnalare
gli avvenimenti sul diario, non mi vedrà mai con i piatti straboccanti.
L’unico pericolo è che metta un contatore ai miei avvicinamenti.
Consiglierei alla Direzione del Menam di fornire ai clienti dei carrelli
tipo supermarket, per approvvigionarsi più speditamente.
Beh, ragazzi, avranno e avremo preso quantità di pesce inimmaginabile, ma
non è avanzato nulla nei nostri piatti.
Saremo anche forse stati degli ingordi, ma anche che ci richiedeva, tutto
quel ben d’Iddio.
D’altronde, la cena, con un servizio molto accurato e tempestivo, te la
fanno pagare carissima, per i loro livelli.
In un altro ristorante, sarebbe costata cinque volte di meno, in Italia,
invece, cinque volte di più, ma con meno varietà e quantità.
Poi, ragazzi, che atmosfera.
Su questa terrazza, in riva al fiume,si stà d’incanto.
Un brezzolina mitiga la calura e l’umidità.
E’ un ambiente adatto per una cena romantica.
Poi mi viene in mente che i depuratori sono pochi e non adeguati, che tutti
gli scarichi della città confluiscono nel Chao Phraya, e che però si
riescono a nascondere nelle sue acque.
Allora penso che è come dire : che bello tenersi per manina con l’amata e
gustare questi cibi sublimi, beandosi della vista di questo merdaio che
scorre, trasportato dal fiume.
E’ come gratificarsi, dopo una giornata faticosa, guardando passare
lentamente un mucchio di merda.
Ma d’altro lato, anche in Europa ci sono dei percorsi bucolici, dove la
vista e l’animo sono appagati dalla magnificenza della campagna ben
concimata dal lettame animale, impuzzolita e sciamante di insetti.
Forse c’è una piccola differenza ?
Dev’essere una delizia anche farci il bagno.
Ma l’occhio non vede ed il cuore non dole.
E non vedendo altro che ciò che voglio vedere, terminiamo la cena e andiamo
a nanna.
Alla televisione americana, in camera, apprendiamo e vediamo le immagini
dell’attentato all’aereo della Thai in partenza per Chang Mai e sul quale
doveva viaggiare il Primo Ministro thailandese.
Siamo contenti, in questo momento di non essere capi di governo, ma solo
medi turisti italiani rompicoglioni e irriverenti.
5 marzo 2001 (lunedì)
La colazione in albergo è come al solito fa – vo – lo – sa.
Le orde nipponiche sono già partite per le escursioni e nella sala vi sono
poche persone.
La varietà, la qualità, i servizi, sono di altissimo livello, così come
tutte le altre strutture ricettive.
Se poi si calcola che il pernottamento con colazione, è costato meno della
cena di ieri sera, sembra impossibile, ma è una delle numerose
contraddizioni della Thailandia turistica.
Poi non lo ripeterò più, ma trovare una combinazione come questa, offerta
dall’Agenzia tedesca LTU, è veramente da consigliare a tutti gli amici.
L’addetta ai clienti di questa agenzia, questa mattina è a disposizione per
mezz’ora.
Con lei riusciamo a trovare un’escursione per domani al mercato galleggiante
di Damnoe Saduak, a 110 kilometri da Bangkok, senza passare dal Rose Garden
e dalla fattoria dei coccodrilli.
Ci eravamo già stati, sono bei luoghi per un turista, la prima volta, ma
troppo finti e preparati appositamente per i villeggianti.
Il costo per persona è 750 Bath = 32.500 lire
A mezzogiorno, con il ferry, lungo il fiume, arriviamo all’ultimo ponte a
nord, il Krung Thon Bridge, dove c’e’ il ristorante di Winai, il nostro
amico, manager del locale. E’ da tre anni che andiamo a trovarlo ed a
pranzare nella sua bettola.
Solite feste e solita abbuffata.
Di nuovo, a tutte le cameriere del locale racconta il nostro primo incontro
e come facevo le sigarette con la macchinetta.
Satolli, al termine, riattraversiamo il Chao Phraya, destinazione Wat Pho,
l’imponente tempio buddista, dove al suo interno c’è la scuola dei massaggi
tradizionali e dove li mettono in pratica per i richiedenti.
Vediamo una moltitudine di gente, soprattutto giapponesi, sono dappertutto,
ma anche tanti italiani, in attesa sulle panchine lì intorno.
Stanno aspettando il loro turno con un biglietto in mano, che attesta il
pagamento.
Mi rivolgo ai conterranei, che mi dicono di essere venuti, dopo aver letto,
su Internet, un resoconto di un turista italiano che raccomandava una visita
in quel luogo, per un massaggio autentico, terapeutico e curativo.
Ma sarò stato imbecille ??
Mi sono fregato da solo.
Mai pubblicizzare troppo le proprie esperienze. Rischi che ti prendano alla
lettera e quando vuoi ripeterle, trovi pieno e devi ritornare il giorno
dopo.
Ma i giapponesini come avranno fatto a tradurre la mia cronaca ?
Quest’anno mi meravigliano le numerose presenze di turisti di colore (nero
naturalmente), probabili americani. Si differenziano dai loro simili
asiatici per la stazza, la pancia sempre piena e satolla, l’abbigliamento
sbrindellone ed un pochino anche per il dialetto yankee.
Mi sovviene immediatamente il tenore del colloquio avvenuto alcuni anni fa,
e che riporto qui sotto.
Signore, ma berchè ho le mani gosì grandi ?
Vedi Tom, risponde il Signore Iddio, ti ho fatto le manone così grosse,
perché sono necessarie per afferrare e strozzare la gazzella, affinché tu
dia da mangiare ai tuoi figli.
Ah sì, Signore, ma berchè ho anghe i biedoni gosì enormi ? ridomanda Tom.
Continua Iddio: ce l’hai così grandi, perché ti servono per correre più
velocemente della gazzella, quando la seguirai per la savana, per
strangolarla e portare la sua carne al villaggio.
Ah sì, Signore, ma berghè ho anghe la belle nera ?
Hai la pelle nera, perché correndo con i tuoi piedoni per la savana per
agguantare e strozzare la gazzella, fonte di cibo per i tuoi familiari, il
sole che implacabile picchia sul tuo corpo, ti provocherebbe delle ustioni
fatali, se tu non avessi questa protezione.
Ah, sì sì, Signore, conclude Tom, ma allora ghe gazzo ci faccio io guì a New
York ??
6 marzo 2001 (martedì)
Ci vengono a prendere con un pulmino, per portarci al mercato galleggiante
di Damnoe Saduak, lungo i canali rurali.
La guida ci informa che negli ultimi cinque anni è cambiato moltissimo.
Quale differenza troveremo, dopo 20 anni da quando ci siamo stati ?
Ed infatti il mercato è diventato una grande troiata rispetto all’originale.
La zona è la stessa, ma le donnine che pagaiano con le canoe si sono
sviluppate ed adeguate ai tempi.
Turisti ce ne sono a pacchi e le contadine Thai, o almeno la maggioranza,
hanno convenuto che è meno fatica e più remunerativo caricare quattro
tromboni di stranieri da portare a passeggio sui canali, che non riempire le
barchette, con merce da vendere o da scambiare.
Quelle poche che hanno resistito, spacciano la frutta o le minestre ai
visitatori.
Fino a pochi anni fa, era una fiera solo per loro e la flotta di canoe era
l’equivalente dei banchettini colmi di frutta, verdura, cibo, tanto cibo.
Anche l’abbigliamento è cambiato.
Prima, sembrava che questa corporazione si dovesse distinguere dalle altre,
indossando delle tutine blu, e cappelli di paglia a cono, come copricapo.
Ora jeans e magliettine targate Gucci o Ravazzolo sono le più ambite. Solo i
copritesta non sono ancora sponsorizzati o firmati.
Prima era un continuo contrattare fra di loro. Dentro le canoe, vendevano,
compravano, mangiavano e forse anche defecavano.
Ora faticano di meno e ricavano molto di più.
E’ impossibile da credere quanti Bus, pulmini, macchine private, gite
organizzate, prendano d’assalto questo luogo.
Ed ai lati dei canali, come la gramigna, sono cresciute botteghe,
negozietti, bar, taverne di ristoro.
Quanto manca per creare anche dei bordelli ?
Però è sempre molto bello ed affascinante, e credo sia uno spettacolo unico.
Ma che mi suscita questa contrarietà, è la finzione con cui viene recitata.
Ormai è allo stesso livello del lavoro degli elefanti, delle danze
propiziatorie, dei tuffi dei coccodrilli, delle battaglie fra manguste e
cobra, dei massaggi rilassanti.
L’uomo bianco è proprio coglione.
Mentre, con la lunga e veloce lancia, ci portano dal parcheggio dei veicoli,
all’emporio navigante, lungo un ampio canale, contornato da bicocche su
palafitte, osservo un dimorante la stamberga che, seduto su un seggiolino
sulla veranda, scatta delle fotografie, al passaggio di questa moltitudine
ricca e da spolpare.
Fate bene !! Bisogna approfittarsene.
Hanno costruito pure dei cessi per i bisognini fisiologici.
Ho notato, usandone uno, che dentro l’orinatoio per uomini, invece della
capsula canforata antiodorifica che si usa in Europa, hanno lasciato dei
cubetti di ghiaccio.
Bravi ! In questo modo l’urea si mantiene più fresca e non si decompone
subito.
Non vorrei, però, anche questa volta, essere frainteso.
Per chi l’ha già visitato alcuni anni fa, quando era ancora “vero”, è
sconsigliabile, oggi, un’altra ispezione.
Per chi ci va, per la prima volta, invece, è un luogo folcloristico ed
affascinante e fa bene a farci l’escursione.
Giapponesi, giapponesine, sono dappertutto e numerosi.
A saltellini capitano quando meno te li aspetti. Sono come le formiche.
Ho provato a schiacciarne una decina, ma sono ricomparsi, più numerosi, con
quei buffi cappellini, le gambe storte, mediamente piccinini, il culo che
striscia per terra, l’andatura ad ambio, come gli orsi, o a balzelli.
Una cittina del Sol Levante, bellina, educata, tutta inchini e sorrisi, con
l’ombrellino colorato sempre aperto, forse anche nel “vespasiano”, è tanto
piccina che la testa le puzza di piedi.
Non danno noia, sono educatissimi, sorridono sempre, parlando tra di loro è
un continuo dondolarsi con gli inchini e spendono con noncuranza i loro
super “yen”.
A proposito, in tailandese, “yen, yen” non vuol dire “soldi, soldi”, ma
significa “fresco, fresco”.
Me l’ha insegnato Wilai per bere i suoi buoni succhi di frutta.
In Thailandia, ogni giorno sorgono nuove autostrade.
L’altro giorno, a Rayong, c’era una deviazione per il ripristino di un
raccordo.
Il giorno dopo, il raccordo stradale era già percorribile.
Lavorano anche la domenica con il caldo soffocante e le donne operaie si
riconoscono dal cappello a cono e il viso fasciato da un fazzoletto di seta.
Gli uomini, invece, si riparano dalla calura, anche con il passamontagna di
lana.
Dicono che sia più fresco, ma faccio fatica a crederci.
Nella terra dei Thai, di fame non si muore mai.
Verrebbe voglia di dire anche : nei paesi più avanzati, di fame muoiono solo
gli emarginati, ma qui, che siano belli o brutti, il riso c’è per tutti.
Mi sono indugiato a considerare quanti chioschi e banchetti per il cibo
siano sorti in ogni quartiere, ogni strada, ogni vicolo.
Mi sono chiesto a chi servono, così numerosi.
Mi hanno spiegato che è “cosa loro”.
I Thai difficilmente mangiano a casa. Sia di mattina presto, che di mezza
mattina, a mezzogiorno, per merenda, a cena, prima di coricarsi, a
mezzanotte, anche quando frullano, i Siamesi mangiano.
Si vedono masticare sempre, con la loro scodella di riso, accanto alla
pietanza, che può essere pollo, verdure, pesce, anatra od altro.
E zuppe, zuppe, zuppe.
Minestre di tutti i tipi, speziate, saporite, piccanti, delicate o sontuose.
Ma sempre brodi sono.
Ed il riso riempie lo stomaco, ma le poche calorie fanno venire nuovamente
fame di lì a poco.
Ho conosciuto un thailandese che si siede a mangiare almeno cinque volte al
giorno, ed è magrissimo come una scheggia.
Non come noi, che appena leggiamo la carta del menù, cominciamo già ad
aumentare di stazza.
Abbiamo visto due turisti, coniugi australiani, che da quanto trabordano, si
fa prima a saltarli, che girargli intorno.
Al contrario di ciò che si può pensare, per loro, mangiare, non è un
dissanguarsi per il costo.
Un piatto di riso con una pietanza, lo pagano 20 Bath = 1.000 lire.
Se prendono anche un piatto di pesce, o pollo o affini, allora il conto
arriva a 50 Bath = 2.500 lire.
Un impiegato di banca, che riceve un buon stipendio, guadagna l’equivalente
di 400.000 lire. Un operaio specializzato 250.000 lire. Il salario di un
poliziotto arriva a 3.500 Bath al mese = 175.000 lire, ma si può
arrotondare.
E allora il conto quadra. Non si svenano a sfamarsi.
E’ chiaro che è difficile permettersi una cena in un grande albergo, ma, in
genere, loro non ci vanno, ci mandano i bischeri come noi.
Una delle tante contraddizioni che distinguono i tailandesi, è la
considerazione che hanno per “l’uomo bianco”.
Che siamo dei rompipalle, lo pensano, ma non lo dicono. Gli facciamo troppo
comodo.
Ma chiaramente ci battezzano come sporcaccioni.
Non nel senso ludibrio della parola, ma proprio in quello igienico.
Loro non comprendono come si riesca a rimanere “puliti”, solamente con due
doccie giornaliere. Ne occorrono almeno cinque.
Il mio amico Italo, che ora è rimasto a grattarsi la pera a Bang Phae, ci ha
messo tutto l’impegno di cui è capace, per far loro comprendere l’assurdità
del convincimento.
Non hanno cambiato opinione, neppure quando “baffino” ha giurato che le mani
se le lava almeno sette volte al giorno, al contrario di loro, che non se le
detergono neppure dopo essere stati al cesso od essersi scavate la narici,
con i sottili ditini.
Fatte cinque doccie al giorno, secondo loro, uno è esentato da successive
pulizie, anche se necessarie e incombenti dal punto di vista sanitario.
Poi, quando insiste nelle sue dimostrazioni, gli altri guardano per aria,
glissano, fanno finta di non capire, cambiano argomento.
Stasera ci regaleremo un “colpo di vita” a Pat Pong, il quartiere
temutissimo da mogli e fidanzate.
Intanto mangio un ananas fresco e subito dopo mi faccio un bel bidet alla
cavità orale.
Vuoi mica che il bagnino della piscina vomiti al mio passaggio, dallo sporco
e dal puzzo che lui crede che io emani ?
Arriviamo a Pat Pong con la metropolitana.
Le bancarelle sono già operative, ma è ancora troppo presto per i locali
trasgressivi.
Le ragazze sciamano ancora per strada, sono ancora insignificanti, sembrano
le stesse che pochi minuti prima ho incontrato lungo il fiume nel ferry, o
accanto ai baracchini a mangiare la frutta.
Alcune si stanno preparando per la lunga ed operosa serata e si truccano
vistosamente, sedute ai tavoli affacciati sulla strada.
Stanno cambiando completamente il loro “look”.
Da anonime, diventano di colpo figure da copertina.
Non ci si ricorda più cosa ci sia sotto l’intonaco spalmato sul viso o sotto
i vestitini provocanti.
Cominciano ad arrivare i taxi pieni di giapponesi vocianti.
Per loro hanno preparato dei locali appositi. Verranno cullati, imboccati,
lavati, massaggiati a quattro mani, e per pochi yen vivranno per qualche ora
nell’anticamera del paradiso terrestre, manipolati ed attorniati da
ragazzine vestite, o da scolare, o da verginelle pudiche, o da bambine della
porta accanto.
L’occhio cade su un edificio a tre piani, dove sono istallate un centinaio
di macchine con “tapee rullant”. Qui, giovani e meno giovani corrono o
trotterellano o camminano con la gettoniera accanto.
A proposito della strategica organizzazione dei nipponici, ieri, durante il
tragitto per raggiungere i canali rurali, ci siamo fermati in uno spiazzo,
già predestinato per i turisti, dove si poteva bere e comprare oggetti di
artigianato.
Anche qui le giapponesine erano in assoluta maggioranza, divise a gruppetti
cappellinati.
Al termine dello shopping, aspettavano di salire nei Bus, e sul piazzale
sterrato del parcheggio, fumavano voluttuosamente una sigaretta, pompando a
ritmo vertiginoso come quando sai che è l’ultima.
La cenere non la gettavano per terra. Avevano attaccato al collo, con un
laccetto, un piccolo coso cilindrico con apertura e chiusura automatica.
Insomma, un piccolo portacenere portatile, e lì hanno deposto i loro
mozziconi spenti, al termine del rito con il Kalumeth della pace.
Poi, il ciccaio a pendaglio è stato rimesso in borsetta.
Se non troverò l’aggeggio, lo sostituirò con una boccetta per lo sciroppo:
La funzione è la stessa.
Cara gente Thai.
Imparate dal popolo del Sol Levante.
Attaccatevi al collo dei sacchi neri ove riporre i “vostri” rifiuti di
plastica, che abbandonate un po’ dovunque. L’aspetto delle vostre città
subirà un miglioramento notevole.
7 Marzo 2001 (mercoledì)
Mattinata dedicata ai massaggi al Tempio.
All’interno del Wat Pho, c’ è una struttura, largamente descritta nel diario
di un anno fa, dove insegnano l’arte del massaggio tradizionale e dove lo
mettono in pratica con i visitatori che lo richiedono.
Quest’anno è aumentato tutto, qui a Bangkok, ed anche il prezzo dei
massaggi.
Per un’ora di stiracchiamenti si pagavano 200 Bath =10.000 lire.
Ora hanno ritoccata la tariffa a 250 Bath = 12.500 lire.
L’ anno passato, mi era toccata la conoscente di Loredi. Oggi, come
massaggiatrice, mi scelgono un misto fra “Dumbo” e “Busso”.
Al contrario di Dumbo, però, non ha la proboscide, ma due orecchiette a
sventola, ragazzi, che tutti l’ambiscono per averla nelle regate, come
passeggera tattica.
I forellini del naso assomigliano tanto a quelli della su’ mamma, che mi
aveva servito un anno fa.
“Busso” era il soprannome di un nostro amico, che praticava il pugilato
dilettantistico.
Le aveva prese tante, che il naso era sulla stessa linea perpendicolare fra
la fronte ed il mento, così, come ce l’ha la mia vicina.
La “Michelin” pneumatici la potrebbe usare come “testimonial” per le
labbrone che si ritrova, ad uso copertoni antineve.
Però è giovane e un po’ bellina.
Di sicuro è simpatica, come tutte le ragazzine che non sono propriamente
delle “vamp”.
All’ora di pranzo, mi ricordo che in una guida del 1992 consigliavano un
ristorante fuori mano, lontano dai percorsi abituali.
Diceva il manuale, che, in questo grande locale, sulla sponda est del Chao
Phraya, ma molto a nord, si poteva pranzare a buffet, con specialità Thai e
giapponesi, quanto si voleva, al prezzo fisso di 90 Bath = 4.500 lire.
Vogliamo verificare, anche se sono trascorsi nove anni, tanti, e magari i
prezzi sono lievitati, o forse la trattoria è sparita.
Faccio da navigatore al pilota di un “taxi meter” che non conosce il
ristorante, non sa dov’è la via, non legge la cartina in inglese che ho
davanti, non parla una parola né di italiano o di qualche lingua europea. Sa
solo il Thai ed inventiamo una bella cooperazione.
Riesco a gesti a pilotarlo fino a destinazione, aiutandomi con la mappa
della città, ed effettivamente c’è ancora.
Funziona come descritto, non sono disponibili cibi e pesci pregiati, come
cercati e ingoiati sino ad ora, ma c’è tanta roba ed anche molto gustosa.
Dove starà la fregatura ? mi chiedo mentre attendo il conto finale. Convengo
che proprio qui stia l’inghippo temuto.
E invece no!!
Il pasto lo conteggiano 90 Bath = 4.500 lire, compreso il caffè.
La birra grande 100 Bath = 5.000 lire.
Una bottiglietta di acqua minerale 20 Bath = 1.000 lire.
Lo consiglio. Il suo nome è :
BAAN KHUN LUANG
E l’indirizzo : KAO ROAD 131/4 proprio accanto alla riva est del ponte
Krung Thon Bridge.
Questa zona di Bangkok è sconosciuta alla maggioranza dei turisti, ma mi
dicono che è piena di locali convenienti e raccomandabili.
Dall’altra parte del ponte c’è infatti il ristorante del nostro amico Winai.
Ritorniamo al Menam a metà pomeriggio e facendo a piedi il breve percorso
tra l’attracco del “ferry”e l’albergo, cerco dove gettare la mezza
sigaretta, rimastami in mano.
La potrei buttare nel mezzo di mucchi di rifiuti ai lati della strada, ma
per non incrementare le piramidi di sporcizia, preferisco farla incanalare
in un tombino grigliato della fognatura.
E così ho nuovamente incrementato le deboli casse comunali di Bangkok.
Non passano due minuti, che mi raggiunge un poliziotto.
Mi contesta l’infrazione e mi intima di pagare la multa. Sono 500 Bath =
25.000.
Non serve a nulla spiegare, anche ad altri due suoi colleghi, che era il
luogo più adatto per disfarsi della cicca senza imbrattare la strada, come
abitualmente i loro compaesani fanno con le bucce della frutta, verdura e
sacchetti di plastica.
Il corpo del reato l’ho gettato in un altro luogo che non si chiama
portacenere ?
OK, allora devo pagare !!
Al termine del verbale, durante la compilazione del quale, parlo con un
poliziotto che intende un po’ di inglese e gli faccio delle osservazioni
umoristiche, ma sempre molto leggere e serene, ci stringiamo anche le mani,
nel salutarci.
Ed è stato meglio buttarla sul ridere, perché, e questo è un consiglio
importante, se ti irrigidisci e vuoi discutere animatamente all’occidentale,
con lo stridore delle due lingue diverse e con la diversità dei sistemi di
comportamento, ci pensano poco a portarti al loro Comando per chiarire la
tua posizione.
Magari la chiariscono l’indomani, con tante scuse.
Capiranno anche che in realtà volevi preservare il paese dal degrado
ambientale, ma nel frattempo hai trascorso una nottata ospite della
municipalità di Bangkok, perché il funzionario era occupato, prima.
E questo è da sconsigliare !!
L’anno passato erano 300 Bath = 15.000 lire.
Quest’anno, con l’inflazione e la caduta libera della Borsa, nonché con il
rafforzamento del dollaro, la multa è stata più elevata.
Dopo aver salvato il dissesto finanziario del fondo per la preservazione
dell’ambiente, ci allontaniamo, non senza aver incenerito Gianna con
un’occhiataccia eloquente, con la quale le proibisco, categoricamente, di
sblaterare dei commenti evidenti.
Non sono un puntiglioso piantagrane, però questa sanzione è immeritata.
E’ un’altra delle tante contraddizioni dei thailandesi.
Ma questi episodi, al contrario, mi possono suscitare solo il desiderio di
augurare, durante il versamento dell’obolo, “tutto in medicine”, ma non mi
fanno mutare opinione sulla gente del posto e sul Paese.
Rimango sempre un profondo ammiratore del luogo e dei suoi abitanti.
Del resto, la durezza della Polizia, in Thailandia, è proverbiale, ma a
parziale giustificazione di alcuni metodi discutibili, l’altra faccia della
medaglia ti dice che rischia meno una donna sola nel pieno della notte, a
passeggio in qualche quartiere decentrato e semi deserto, che a mezzogiorno
in piazza Duomo a Milano.
Sono autorizzato a pontificare che “ogni rovescio ha la sua medaglia”.
Ora guardo con più profondo rispetto alle abitudini delle giapponesine con
il tubetto al collo.
Quanto multe avranno preso, prima di inventare i loro portacenere da collare
?
Mi rammento che a Rayong, quando mi contestavano la giusta sanzione per
l’inversione proibita, ho chiesto al gendarme dove gettare la cicca, e
costui mi ha indicato per terra, sulla strada.
Allora, sarete anche bravi, gentili, carini, ospitali, protettivi, ma anche,
talvolta, dei grandissimi pezzi di merda.
Cena a base di riso e pesce (che altro? direbbe Italo) in uno dei tanti
ristorantini sulla strada. E’ a conduzione familiare e fra i tavolini
giocano due cittini piccoli, figli del gestore, che ha la sua abitazione nel
retrobottega, divisa dalla sala dove si mangia con una tenda, e con la
televisione sempre accesa ad alto livello.
A proposito, lo sapevate che le telenovele thailandesi riescono ancora a
inebetire, meravigliare, incuriosire, emozionare gli ascoltatori ? E lo
sapevate che gli spettatori non sono, come da noi, dagli ottanta in su, ma
sono degli ottantenni in giù, fino ai cinque anni ? Cioè tutti. Guardano e
ascoltano a bocca aperta mentre si infilano in bocca le bacchette ripiene di
riso o di spaghettini cinesi e spesso sbagliano buco per l’appannamento dei
loro occhi commossi.
Ci gironzola intorno anche un piccolo cagnetto barboncino, che sembra fatto
di peluche e guaisce ogni volta che mi muovo a guardarlo.
Spesso mi si intrufola fra i piedi e sobbalzo dalla sorpresa di sentire un
corpo estraneo.
Anche Gianna è infastidita e d’un tratto prendo una specie di biscottino da
sopra il tavolo e lo offro, chinandomi e sorridendo, al cagnolino, che lieto
e festante, mi si avvicina con andatura grata e devota.
Gianna, rabbuiata, mi brontola: ma con tutta la rompitura di coglioni che ci
ha dato, gli vai anche ad offrire da mangiare ?
No, rispondo, mi serve per vedere dove ha la bocca, così sò dove tirargli
una scarpata nel culo.
Vicino all’Hotel Menam, ci sono diverse botteghe da sarto.
Gianna entra in una di queste, e l’Indiano (non pellerossa, Indiano
dell’India) le fa scegliere prima le sete e poi, da una rivista di moda, il
modello preferito.
In pochi minuti le prende le misure, concordano il prezzo e si danno
appuntamento per l’indomani, per la prova.
Il vestito sarà pronto in 24 ore.
8 Marzo 2001 (giovedì)
Altre incongruenze dei Thailandesi.
Anche se Bangkok si è urbanizzata, quasi a livello di Singapore, è sempre in
grado di sorprendere il viaggiatore.
La fiorente economia ha creato numerosi centri commerciali con aria
condizionata e ha dato vita a molti altri segni di civiltà.
Ma la città è ben lontana dall’essere resa più docile dalle idee
internazionali e dalla tecnologia, come quando duecento anni fa è stata
fondata.
Sotto la modernità apparente, si trova sempre l’irriducibile anima
thailandese.
Grattacieli in vetro e acciaio si elevano a fianco di guglie scintillanti
dei Templi.
Ghirlande di gelsomini dondolano dai lunotti anteriori dei taxi e dei Bus.
Monaci con la testa rasata e vestiti con teli arancioni camminano per le
strade, accanto a moltitudini di schermi televisivi che iniettano immagini
sincronizzate degli ultimi balli alla moda.
A proposito, ho visto un monaco anziano camminare a fianco di uno giovane,
un novizio.
L’anziano era molto arrabbiato, lo faceva capire dai gesti e dallo sguardo.
Diceva al giovane seminarista: Quanto volte te lo devo dire, che mi devi
chiamare “padre” e non “babbo” ?
Più del dieci per cento della popolazione vive nella capitale ed ogni giorno
pulmann stracarichi arrivano dalla provincia e portano persone che vengono a
Bangkok a cercare fortuna.
Ma la cosa che più sorprende, è che la città continua a funzionare bene.
I trasporti saranno anche un po’ lenti, ma sono numerosi.
Alle due del mattino, basta fare un cenno con la mano, ed immediatamente si
materializzerà un taxi.
Si può mangiare un piatto di riso o di tagliatelle, conditi con pietanze
gustose, da un venditore sulla strada, mentre ci troviamo accanto ad un
albergo di lusso da 200 dollari a notte.
A differenza di molte altre città, nonostante la modernità, a Bangkok, più
ci si ferma, e più ci appare “esotica”.
Oggi la giornata è piena di sole e nella “pool” i giapponesi hanno passato
la mano ai francesi, che schiamazzano e starnazzano come branchi di oche.
Ci sono parecchi giovani, e dalle faccie, alcuni devono essere anche un pò
cannati.
Il casino che fanno lo trasferiscono, poi, dalla piscina alle stanze.
Nel pomeriggio procediamo verso il “Siam Center” ove rivisitiamo i mercatini
di “Pratunam”, dove c’è tutto quello che si trova a Pat Pong, compresi gli
orologi bellissimi, ma falsi e che costano una miseria.
In precedenza ci siamo sderenati con una lunga passeggiata allo “Zen”, uno
dei più grandi, forniti e famosi centri commerciali di Bangkok.
Questa zona della città è il cuore buono della gente “in” di Bangkok.
Nella piazza pulitissima, davanti al Centro, si stanno tenendo dei concerti
di musica Rock e frotte di giovani passeggiano o sostano nelle vicinanze.
Sono riuscito a trovare il surrogato del portacenere tascabile.
Faccio fare da portacenere ai poliziotti che incontro.
Ogni volta che finisco di fumare, mi avvicino al militare più prossimo e gli
faccio intendere di voler gettare la sigaretta.
Faccio cenno e chiedo dove poterla buttare ed alcuni, imbarazzati, girando
lo sguardo e non vedendo nulla allo scopo, porgono la mano e la prendono
loro.
Gianna è riuscita anche a rifilargli due cartaccie, aggiunte al mozzicone.
Poi cosa ne facciano, non lo so. Magari vanno alla ricerca del primo tombino
nelle vicinanze.
Che stronzi, quell’altri, se ci ripenso.
Vicino ai mercatini di Pratunam vi sono tanti grandi ristoranti modello
europeo, pieni di cassette colme di pesce in bella mostra.
Sono dei piccoli “See Food Market” e l’ingresso ai tavoli è allettante.
Vogliamo però cenare in un locale dove ci eravamo trovati benissimo
l’altranno.
Ci andiamo. Si chiama “INTER”, me lo ricordavo dalla pena che faceva un anno
fa, e di più ancora adesso.
Abbiamo la conferma che merita una citazione. Si trova nella zona del “Siam
Centre”.
Dei medi-ristoranti è il migliore in rapporto a qualità/gentilezza/prezzo.
Dopo aver girovagato fino quasi a crollare, torniamo a buio verso casa, sono
quasi le dieci di sera e la sartoria indiana è ancora aperta, il vestito già
pronto ed anche impacchettato per essere portato via. Che tempismo !!
9 Marzo 2001 (venerdì)
Ci avviciniamo prestino al Memorial Bridge, nelle vicinanze del quale c’è un
grande mercato di fiori freschi.
Ci facciamo riempire due “box”, scatoloni zeppi di orchidee, spendendo in
tutto 12.500 lire.
Lungo i viali che dal “Wat Saket”, sulla collina d’oro (da visitare per lo
stupendo panorama sulla città) portano al monumento della Democrazia, le
orchidee fanno da cespugli intorno agli alberi. E’ appena terminato di
imperversare un grosso temporalone, con l’acqua fitta e grossa come le funi.
E’ servito a mitigare la calura, ma l’umidità è sempre più alta e si
continua a sudare.
Ulteriore lauto pranzo dal nostro amico Winai, che ci tratta sempre meglio.
Fra un “ceneriotto” (poliziotto portacenere) e l’altro, ritorniamo in
piscina per le ultime nuotate.
Ripassando nei pressi di alcune sale di massaggi “particolari”, ripenso
ancora e nuovamente ad altre incongruenze e contraddizioni della mentalità
thailandese.
Tempo fa, una signora di Como, dopo aver letto la mia cronaca dell’anno
passato, mi aveva scritto :”Ma dai, signor Mario, si aggiorni, non esiste
più la prostituzione in Thailandia, così come favoleggiano gli occidentali
!!”
La posso ancora smentire.
In Thailandia, la prostituzione è proibita dalle Autorità, come gettare le
cicche nei tombini delle fogne.
Però viene tollerata, per una relazione di stretta economia.
I mozziconi, non portando benessere, si debbono invece tassare, così
l’economia si adegua.
In Thailandia, il sesso a pagamento si è trasformato a livello industriale.
Forse è l’attrazione maggiore per un turismo che si espande sempre più.
Sembra che gli introiti del turismo provvedano al 25 % del prodotto
nazionale lordo (sono dati ufficiali).
Molto di più che non le spiagge ed i monumenti, il sesso organizzato attira
visitatori da tutto il mondo ed aiuta la nazione ad incamerare valuta
pregiata.
Questa industria prospera grazie alla qualità dei servizi e all’enorme
domanda che fa scavalcare gli indugi della morale.
Migliaia di giovani ragazze vengono reclutate nei villaggi rurali, anche con
inganni, ma il più delle volte con il consenso dei genitori, nel nome del
denaro che guadagneranno.
Non voglio e non sono in grado di approfondire l’argomento, ma vorrei
perlomeno sfiorarlo. Ciascuno se ne può fare l’idea che crede.
Le giovani ragazze sono spinte dal miraggio dell’emancipazione, sia pur
ottenuta con la svendita del proprio corpo.
Parlando con la gente thailandese, la traduzione del loro pensiero è che
fare l’amore non è peggiore che lavorare sotto il sole per pochi Bath, e
viene pagato assai meglio.
L’ambizione di queste giovani è divertirsi, lasciare la noia del villaggio,
nonostante che la tradizione continui ancora ad avere un grande valore.
C’è il miraggio dei bei vestiti, della disponibilità di denaro, le comodità
del modello corrente.
La prostituzione, però, in Thailandia, non esiste fuori dai circuiti
turistici, almeno così mi appare, ma posso anche essere smentito.
E’ qui che viene approfondita questa industria e la ragione di questo
atteggiamento risiede nel costume della società Thai.
La mercificazione, che dilaga, non viene osteggiata.
Anche se, teoricamente, i più non approvano, in realtà tutto appare
accettabile e normale.
Non si può, quindi, dare tutta la colpa agli stranieri (Farang), che calano
a frotte con i loro quattrini, portando alle stelle la domanda.
I thailandesi si adeguano ed il sesso non solo viene sempre più venduto, ma
anche sempre più reclamizzato alla luce del sole, e questa mia
considerazione non può essere smentita.
Di contro, non si possono considerare maiale, nella nostra valutazione,
tutte le thailandesi.
Nello stesso modo, un norvegese che di sera passeggia alle Cascine, non
potrà asserire che in Italia le donne sono tutte battone o che a Firenze
siano tutti “buchi” (pederasti alla fiorentina).
E’ vero, ce ne sono tanti, ma non tutti.
Però ora che ci ripenso, ce ne sono proprio tanti !!!
Mi diceva ed asseriva una mia carissima amica cosciale, che il genere umano
è un Computer e come tale si comporta in base a come viene programmato.
Se le tribù dell’Amazzonia sono state programmate a non avere vergogna delle
loro nudità, non credete che si meraviglino, se facciamo loro notare che il
topless è meglio che lo indossino sulla Costa Azzurra, o che la “Bernarda” è
meglio la nascondino con la foglia di fico ?
Se gli Esquimesi sono stati abituati a defecare dentro l’igloo, senza
paretine di ghiaccio che li nascondino, ed accanto all’ospite che in quel
momento stà gustandosi un bel salmone alla mugnaia, come si fa a convincerlo
di andare fuori a buco ritto con sessanta gradi sotto zero ?
Per i giapponesi, poi, è una vera manna.
In Giappone ci sono gli “incentive tour”.
Il viaggio nel Siam è il premio che numerose aziende offrono per la
produttività dei dipendenti.
E qui si sfogano, stì sfigati.
Diranno a Natale : lavorerò come un giapponese, ma poi a Pasqua..e si
fasciano i lombi perché non scoppino prima.
Poi c’è lo sfruttamento sessuale dei bambini.
Un’altra signora, di Ancona questa volta, mi scriveva che, con tutti i
controlli che Istituzioni Mondiali eseguono, contro la pedofilia, questa stà
limitando enormemente la sua portata.
Altro argomento da prendere con le molle !!
Ma siete sicuri che tutti siano inorriditi da questa pratica che si propaga
a macchia d’olio ?
Non credete che sia lo stesso discorso della prostituzione ?
In Thailandia la pedofilia è un fenomeno ancora diffusissimo.
Gli assistenti sociali sostengono che si tratti di veri e propri racket,
contro i quali il mondo intero stà costituendo un coordinamento
internazionale di controllo e denunzia.
Ma fatemi il piacere !!
Non venite a rompermi i coglioni con la serietà di queste intenzioni !!
Ma credete davvero che ci sia una volontà seria di stroncare queste pratiche
antiche almeno quanto l’epoca dell’antica Roma, da parte di quei paesi dove
più è concentrata questa attività lucrosa ?
Il mio amico Italone, (che sicuramente ora, senza di me, si stà già rompendo
i marroni), con la su’ moglie Wilai, thailandese purosangue, da una decina
d’anni vive a stretto contatto con le incoerenze del popolo thai.
Mi raccontava che non ha motivo di dubitare di un episodio riferito da un
suo amico australiano.
Costui, raccontava, stava passeggiando nel centro di Pattaya, quando è stato
avvicinato da un bambinetto di una dozzina d’anni, con l’offerta di
prestazioni sessuali particolari , in cambio di pochi Bath.
All’insistenza del cittino, che non si capacitava dell’immediato rifiuto,
l’amico di Italo ha creduto doveroso ed utile rivolgersi a due poliziotti,
che si trovavano lì vicino.
Costoro, stupiti dall’evento denunziato, hanno congedato il ragazzino
regalandogli venti Bath, ed hanno portato l’australiano al loro comando di
polizia.
Qui, il poveretto, dopo essere stato strizzato, verificato e passato ai
raggi ics, è stato trattenuto tutta la notte per accertamenti.
La mattina seguente, dopo altri interrogatori da parte di altre Autorità, è
stato infine rilasciato, ma con l’ammonimento, solo verbale, di non
ritornare più in Thailandia a creare loro altri problemi.
Meglio sorvolare !!
Mi racconta ancora il mì “Baffino” Italo, che, in effetti, da un certo punto
di vista, la signora di Como ha ragione.
E mi fornisce la sua versione, frutto di sue esperienze, sugli usi e costumi
del favoloso Siam, riguardo a ciò che noi consideriamo una mercificazione
del proprio corpo.
Ne è uscito fuori un trattato, che da un certo punto di vista divide
notevolmente le idee incarnate nelle teste dei vari abitanti le diverse
latitudini.
La prostituzione in Thailandia non esiste, per lo meno non nel senso che
intendiamo noi, osserva “Baffino”.
Nella cultura europea, si intende comunemente per “prostituzione” la
concessione di prestazioni sessuali in cambio di benefici materiali,
solitamente, ma non necessariamente sotto forma di denaro.
Una sua ex collega, tanti anni fa, in una megalattica e multinazionale
azienda telefonica, in Italia, usava pagare il dentista “in natura” e questa
forma di pagamento la faceva rientrare, nel giudizio del microcosmo
aziendale, nella categoria “prostitute”.
Nell’inconscio collettivo europeo, la prostituzione può variare entro una
gamma che ha, ad un estremo, le battone da strada, ed all’altro, le
signorine di buona famiglia, che sposano un vecchio bavoso, solo perché è
ricco.
Nel mezzo ai due estremi, vi sono tutte le varie “hostess, accompagnatrici,
massaggiatrici, mantenute, etc. etc.”, insomma tutte coloro che vanno a
letto con qualcuno, per una motivazione diversa da “un’attrazione spontanea
e disinteressata”.
A sottolineare questo fatto, nel matrimonio tradizionale europeo, fino a non
molto tempo fa, esisteva la famosa “dote”, cioè un insieme di beni (denaro,
lenzuola, supellettili varie) che rappresentando un contributo tangibile
alla costruzione del benessere della nuova famiglia, precisavano che
l’unione non era motivata da “interesse”.
Qui in Thailandia, continua il “Baffin-pensiero”, la cosa funziona
esattamente al contrario.
Il matrimonio tradizionale thailandese, anche oggi, prevede che la sposa
venga “comprata” dal marito, il quale versa al suocero od a chi ha diritto,
un compenso in denaro il cui ammontare viene pattuito in precedenza.
Forse una volta si pagava in bufali, oche, maiali, terra, ma oggi, prosegue
il mio amico italo-thailandese, posso testimoniare che si tratta di vil
denaro, come è capitato un paio d’anni fa, di assistere casualmente ad una
di queste “contrattazioni prematrimoniali”, al termine della quale, è stata
pagata in contanti la non trascurabile cifra di trentamila Bath (unmilione e
mezzo di lire italiane).
La coreografia era tipicamente Thai.
Tutti seduti in cerchio per terra, con al centro bottiglie di birra,
Stravecchio Mekong, Soda, Pepsi e stuzzichini alimentari superpiccanti per
stimolare la sete.
Oltre a portaceneri stracolmi, musica tradizionale, bambini vocianti e
casino generale,, erano presenti lo sposo, la sposa, i genitori di lei, il
secondo marito della madre della sposa, uno stuolo di figli, di primo e
secondo letto, nipoti, cognati, cugini e amici.
L’atmosfera era festosa e normale, niente di bieco o di sordido, solo un po’
di sovreccitazione alcoolica.
Nessuno, e tanto meno la sposa, appariva turbato o imbarazzato.
Le ragioni storiche della faccenda rientrano nel contesto che l’aspirante
marito era tenuto a dimostrare, alla famiglia della sposa, che era in grado
di garantirle un tenore di vita paragonabile a quello a cui era abituata, se
non meglio.
Qualcosa di simile avveniva tra gli Indiani d’America.
Lo sposo comprava la moglie pagandola in cavalli per dimostrare che era un
buon cacciatore ed un buon guerriero e che quindi con lui la ragazza non
avrebbe patito la fame. Più cavalli venivano pagati, e più la sposa e la sua
famiglia si sentivano onorati e fortunati.
A questo punto il quadro, già parecchio complicato, continua a raccontare
Baffino, peggiora, per il livello delle idee europee.
Ciò che per noi “civili” è condizione necessaria per attribuire ad una donna
l’appellativo di “prostituta”, e cioè il fatto di vendere i propri favori,
qui in Thailandia è addirittura istituzionalizzato nel matrimonio.
Si potrebbe obiettare che la prostituzione vera e propria è un’altra cosa.
Se si tratta di matrimonio è un rituale con radici storiche etc., ma anche
qui, la logica occidentale non funziona.
Per quanto possa sembrare strano, il confine tra un matrimonio ufficiale e
qualsiasi altro tipo di unione, è molto, ma molto sfumato.
Prosegue il mio amico Italo:
Da queste parti, viene considerato “matrimonio” qualsiasi tipo di convivenza
che preveda rapporti sessuali, specialmente se nascono dei figli.
Moltissime coppie, anche anziane ed anche conviventi da decenni e fornite di
figli e nipoti, non sono ufficialmente sposate.
Dal punto di vista dell’accettazione sociale della convivenza, non frega
niente a nessuno, e neanche al Governo, neppure del matrimonio religioso.
I due conviventi non sono tacciati come concubini o peccatori pubblici, e
tutti li considerano sposati.
Pochi si prendono il disturbo di ufficializzare la cosa in comune, anche
perché il non farlo non comporta praticamente alcun svantaggio, nemmeno a
livello di registrazione dei figli, i quali possono essere legittimamente
riconosciuti da chiunque, sposato o celibe, e perfino da persone che non
sono i loro genitori naturali.
Nessuno fa domande in proposito, basta che qualcuno firmi.
Da sottolineare che in tutti questi casi (semplice convivenza, matrimonio
religioso, civile o entrambi i matrimoni), l’unico punto fermo, rimane il
fatto che la donna “deve” essere pagata, indipendentemente con il tipo di
formalità che la coppia intende espletare.
Sempre e comunque “la passera si paga”, e questo è un concetto fondamentale
e molto radicato.
Ci sono due eccezioni a questo comportamento: i rapporti extraconiugali e
quelli prematrimoniali.
I primi (è sempre Baffino che ci illumina), vengono gestiti più o meno come
nella Sicilia d’anteguerra, nel senso che i casi sono notevolmente e
diversamente gestiti, se chi “mangia fuori dal piatto” è l’uomo o la donna.
Se è la donna, il compagno può scegliere fra diverse opzioni.
Fingere di ignorare (succede spesso), troncare il rapporto (poco frequente e
sintomo di modernità), oppure adottare un comportamento stile “Corleone” (in
tal caso ci scappa il morto, a volte due).
Se è il maschietto a correre la cavallina, le opzioni teoriche sono più o
meno le stesse, ma quella più praticata è quella di fingere di ignorare, ma
in questo caso, con molta comprensione per le “esigenze maschili” e con una
punta di orgoglio per le qualità virili del partner.
Motivo di riflessione molto più attenta, sono invece i rapporti
prematrimoniali, tra adolescenti, di età compresa fra i quindici ed i
vent’anni.
Da un certo punto di vista, sono gli unici motivati dalla semplice
attrazione fisica.
Si verificano tra compagni di scuola o di lavoro, o semplicemente tra
coetanei dello stesso villaggio o di villaggi vicini.
Fin qui niente di strano, ma le stranezze iniziano quando questi rapporti
vengono calati nella realtà thailandese, con particolare riferimento ad
alcuni elementi culturali.
Uno di questi elementi è la totale ed incredibile ignoranza della fisiologia
della procreazione e quindi di qualsiasi pratica anticoncezionale.
Quando si dice “ignoranza”, non si rende appieno l’idea.
Infatti i thailandesi non si limitano a disconoscere le pratiche
anticoncezionali, ma quando glie le spieghi, non ci credono.
Ti guardano con il loro sorriso ebete (è sempre Baffino che illustra),
biascicando qualche parola incomprensibile.
L’unico suono che si comprende nei loro farfugliamenti è la parola “FARANG”,
straniero, ed il senso generale è molto chiaro.
“Questi cazzi di Farang hanno sempre qualche stronzata da venderci. Ora
vorrebbero anche insegnarci come nascono i bambini”.
Il risultato pratico di tutto ciò, è che moltissimi, se non la maggior parte
di questi rapporti tra adolescenti, lasciano una conseguenza ben visibile a
forma di pupo o pupa, quegli esseri che fanno “ueee, ueee”, bevono latte e
si cacano addosso, oltre a prendere il morbillo, la pertosse, la varicella e
la rosolia.
I genitori di questi adolescenti si guardano bene dall’ insegnare ai loro
figli il sistema di evitare questi coinvolgimenti.
Se ne sbattono le palle, che è un piacere.
Mettono già nel conto, che succederà anche a loro visto che succede a tanti
e la cosa viene vista come un normale inconveniente della maturazione di una
persona, e poco importa se questo “inconveniente” sia a sua volta una
persona.
In genere, questo rapporto prematrimoniale viene riciclato in un matrimonio
vero, il che non significa che debba essere celebrato un rito religioso o
civile.
Basta che lo sposo-bambino vada a vivere con la sposa-bambina, di solito a
casa dei genitori di lei, e faccia il bravo ragazzo, cioè cercare un lavoro,
dare una mano in casa ed altro.
Resta basilare il fatto che la famiglia del neo-padre versi il solito obolo
a quella della neo-madre, dopodiché tutti vivono felici e contenti.
Questo però è un caso ideale e non frequentissimo.
Normalmente “lui” si defila ed il bambino rimane sul gobbo della ragazza (e
soprattutto sul gobbone della nonna), e può anche verificarsi che la
situazione rimanga invariata per tutta la vita.
Sono abbastanza frequenti i casi in cui madre e figlia abbiano subìto lo
stesso “inconveniente” per cui ci sono famiglie costituite da tre donne, di
tre generazioni diverse,e non perché tutti gli uomini siano prematuramente
defunti, ma perché non sono mai stati presenti, se non al momento
dell’orgasmo.
E’ su questo tipo di situazioni, che si inserisce il matrimonio thailandese
“normale”, cioè quello di interesse, continua “Baffino”.
Un uomo di mezz’età, benestante, comincia a frequentare la famiglia in cui
c’è un pargoletto di troppo, e manifesta la propria disponibilità ad
accollarsi morbillo, pertosse, pannolini, scuola ecc., in cambio di un po’
di passera e di qualcuno che gli prepari il “Tom Yam Kung”.
Pagando, s’intende, pagando.
Ricapitolando fino a questo punto: il matrimonio quasi non esiste, la
maggior parte delle persone si sono sposate in qualche modo due o tre volte
ed hanno figli da diversi partner.
Infine quando due si mettono insieme, non necessariamente il rapporto viene
impostato come definitivo, nemmeno a livello di intenzioni.
Può essere benissimo una soluzione temporanea, magari di qualche anno, con
lo scopo di superare un passaggio difficile della vita (per uno dei due) e
di avere un po’ di sesso e qualche comodità (per l’altro).
Ecco quindi che, se da una parte il matrimonio stesso tende a sconfinare
verso una qualche forma di prostituzione, dall’altra, vogliamo vedere come
accade il contrario?
Come cioè la prostituzione tende ad avvicinarsi ad un rapporto socialmente
omologato?
Dice sempre “Baffino” :
E’ come quando si fora una galleria e c’è una squadra che scava da una parte
ed un’altra che scava dalla parte opposta.
Si vengono incontro e, se l’ingegnere ha fatto i calcoli giusti, prima o poi
fanno cadere l’ultima parete di roccia che li divide e stappano la bottiglia
di champagne.
Solo che, quando la parete che cade è quella che divide la prostituzione da
un qualsiasi rapporto di coppia, il povero occidentale non ci capisce più un
cazzo e comincia ad avere delle crisi di sconforto intellettuale.
Dunque, cominciamo col dire che non è vero che la prostituzione non esiste
al di fuori dei circuiti turistici (e così il mio amico inizia a smentire le
mie affermazioni di poc’anzi).
Le “sale di massaggi” sono sempre state una tradizione in Thailandia, e
molto prima dell’arrivo degli occidentali.
Il concetto è analogo a quello dei luoghi ove le “geishe” giapponesi
celebravano la “cerimonia del tè” (e non solo quella) per i Samurai provati
da una lunga giornata di viaggi e di battaglie.
Effettivamente una volta non esisteva la distinzione tra le massaggiatrici
“vere” (cioè quelle che sanno fare i massaggi e che spesso non brillano per
sex-appeal) e quelle “con la vestaglietta numerata” (che magari come
fisioterapiste lasciano un po’ a desiderare, ma sono state molto più
generosamente dotate da Madre Natura).
Come le geishe ti preparavano il tè, queste ti stiravano i muscoli e se poi,
nell’uno o nell’altro caso, da cosa nasceva cosa……………questa non
era però scontata.
E quando avveniva, non era detto che tutto si esaurisse nel giro di un’ora o
di una notte. Poteva benissimo, visto che la professione della fanciulla non
era considerata disonorevole, nascere un rapporto di una settimana, un mese,
un anno o una vita.
Ora effettivamente in Thailandia esistono tre “punti caldi”, uno dei quali è
quel quartiere di Bangkok che si chiama Pat Pong.
Un altro è costituito da tutta la citta di Pattaya ed infine c’è una
spiaggia di Pukhet, che si chiama Patong Beach, che sarebbe molto bella dal
punto di vista paesaggistico.
Peccato che sia stata trasformata in un bordello a cielo aperto.
E continua “Baffino”:
In questi punti caldi è diffuso il sesso usa e getta alla maniera
occidentale, che in questa piccola trattazione vorrei lasciare per ultimo,
sia perché è l’ultimo arrivato in senso cronologico, sia perché è il meno
importante come impatto sulla cultura locale.
Quello che invece è importantissimo è il rendersi conto che tutta la
Thailandia, al di là della prostituzione in senso stretto, è una immenso
serbatoio di fidanzate più o meno temporanee o più o meno durature, molte
delle quali sono delle potenziali mogli (mentre altre assomigliano di più
alle nostre prostitute in quanto tendono a pilotare il rapporto verso la
brevità).
Comunque, mai meno di qualche ora.
“Una botta e via” è un concetto quasi sconosciuto, a parte i famosi punti
caldi, ma quelli sono anche molto recenti.
C’è sempre di mezzo il drink, la cena ed eventualmente la discoteca.
Insomma per un certo tipo di europei è il paradiso, perché vanno a puttane
potendosi permettere di far finta che non è vero, che hanno”rimorchiato”
grazie al loro fascino e, perché no, anche ai loro soldi.
In fondo che differenza c’è con uno che “cucca” facilmente a Viareggio o a
Taormina perché va in giro in Ferrari, dorme in un cinque stelle e offre
champagne tutte le sere? Anche lui in un certo senso “paga”, l’unica
differenza è che qui non c’è bisogno della Ferrari, busta un pickup a
noleggio, e se invece dello champagne si offre Mekong va bene lo stesso
(solo che costa molto meno).
Questo dal punto di vista del farang.
E da quello della ragazza?
Si considera una prostituta?
E’ considerata tale dagli altri?
Non più di tanto (mentre lo sarebbe sicuramente se indossasse un bikini in
spiaggia).
Dal suo punto di vista (bisogna tener conto che la quasi totalità di queste
fanciulle hanno una di quelle cose che fanno “ueee ueee”e che si sono
ritrovate come conseguenza dei giochi di gioventù) lei non fa altro che
cercare un rapporto più o meno temporaneo o più o meno duraturo (un giorno,
una settimana, un anno o una vita) che la aiuti a vivere, il che rientra
perfettamente nelle tradizioni.
Probabilmente la sua mamma al villaggio la sta aiutando a suo modo nella
ricerca, e se le capita di conoscere qualche “zio” benestante e in buona
salute, con una bella casa e venti “rai” di terra, magari le telefona e
quella molla il bar, salta sul primo autobus e se ne torna al paesello a
conoscere il marito che le ha procurato mammà.
Certo che se prima lei trova un farang al bar non c’è niente di male, anche
perché, si sa, i farang sono tutti ricchi (e questa non glie la togli dalla
testa neanche se li ammazzi, come il fatto che siamo sporcaccioni).
Insomma lei ci prova, e quasi tutte sono disposte a prendere in
considerazione l’idea di un rapporto duraturo che magari permetta loro un
trasferimento in occidente, con eventuale possibilità di far studiare il
bebè in Europa o in America.
E i punti caldi?
Quelli si liquidano con poche parole.
Sono nati all’epoca della guerra del Vietnam come retrovie, dove i marines,
ricalcando le orme dei samurai, venivano ogni tanto a ritemprarsi dalla
fatiche belliche.
C’è stato, come al solito, lo zampino dello Zio Sam.
Finita la guerra, ormai le strutture c’erano e sono state date in pasto agli
assatanati di tutto il mondo, come tutti sanno (tranne la signora di Como).
Vorrei concludere, continua “Baffino”, completando un punto che ho lasciato
in sospeso. Prima parlavo del fatto che la prostituzione esiste
indipendentemente dal turismo e ne ho accennato le origini storiche.
Poi però ho sviluppato l’argomento solo in relazione agli occidentali.
Ma come funziona la prostituzione per i thailandesi al giorno d’oggi?
Esiste?
Nei modi e nelle forme attuali è stata importata di riflesso dall’occidente?
Risposte: funziona alla grande.
Esiste eccome.
Assomiglia ben poco ai modi e alle forme occidentali e non c’entra
assolutamente niente con quanto si vede nei famosi “punti caldi”, che sono
stati predisposti più che altro per gli occidentali e per i giapponesi.
Senza andare a cercare tanto lontano: Rayong.
E’ una sonnacchiosa città di provincia, di sera vanno quasi tutti a nanna,
trovare qualcuno che parla inglese è un’impresa ardua ed i turisti sono una
specie rarissima e quei pochi sono solo di passaggio.
Eppure le sale di massaggio ci sono (non sto parlando del tempio dove
praticano i massaggi terapeutici tradizionali) e sono frequentate quasi
esclusivamente da thailandesi. Io non ci sono mai stato, però ci sono
passato davanti parecchie volte e poi ho i miei informatori.
Frequento invece saltuariamente, per dovere d’ufficio, un ristorante
“particolare”, quello dove ogni tanto porto i grandi cacciatori bianchi a
fare un safari.
Io ne conosco solo uno, ma so che ce ne sono altri.
Comunque ti posso dire che quello è sempre pieno di thailandesi.
Gli unici europei siamo io e i miei cacciatori bianchi (quando ci siamo).
Nessuno del personale parla inglese, neanche le ragazze (per questo è
necessaria la mia presenza e intanto scrocco pure la cena, tra l’altro si
mangia bene).
Quanto ai modi e alle forme sono garbati e simpatici, non senza una certa
poesia, e comunque molto “orientali”.
Niente a che vedere con i locali “hard” di Pattaya o di Bangkok.
Niente di volgare o di osceno.
I tavoli sono al buio e c’è un palco illuminato dove le ragazze si alternano
a cantare su una base registrata.
Cantano tutte piuttosto bene e sono abbigliate in modo sexy, ma non da
“puttane”.
Uno se ne sta lì, ascolta la musica e guarda le ragazze, con calma.
Nel frattempo consuma la cena che generalmente è ottima.
Se una delle fanciulle ha risvegliato gli istinti selvaggi di qualcuno,
questi non fa altro che aspettare che la suddetta vada a cantare un’altra
canzone, dopodiché fa un cenno ad un cameriere ed acquista una (o due o tre)
ghirlande di fiori che costano 300 baht cadauna.
Il cameriere provvede all’istante ad andare a mettere la ghirlanda (o le
ghirlande) al collo della cantante la quale, al termine della sua
performance, viene a sedersi al tavolo del generoso samurai.
Più sono le ghirlande e più la fanciulla è disponibile, in quanto lei e i
gestori del locale fanno fifty fifty del prezzo pagato per le ghirlande
stesse (naturalmente detratte le spese, peraltro irrisorie).
A questo punto il generoso samurai offre da bere, eventualmente da mangiare,
insomma fa’un po’ di corte alla tipa e poi, se lo desidera, se la porta da
qualche parte per placare le sue brame, a fronte di un ulteriore regalo, che
si aggira normalmente sui 500 baht (corrispondenti a 25.000 lire italiane),
quanto si doveva pagare di multa per quella cazzo di inversione errata.
Mi continua a raccontare “Baffino”:
Che io sappia, non esiste quel “reclutamento” di cui tu fai cenno.
Non esiste neanche la figura del protettore, inteso alla nostra maniera.
Si chiama “mama san” e non è un bieco mafioso, ma un serio imprenditore.
Le ragazze vanno a chiedere lavoro spontaneamente come farebbero in un
supermercato o in un lavaggio auto, e se ne possono andare quando vogliono,
come da qualsiasi altro posto di lavoro.
Se commettono qualche mancanza, non vengono né picchiate né minacciate, ma
“multate” attraverso una trattenuta sul loro fisso mensile (sì, perché hanno
anche un fisso mensile).
Da notare che fare il “mama san” non è mai l’unico lavoro.
E’ solo un servizio in più che viene offerto come optional all’attività
principale, che rimane sempre e comunque il ristorante, o il bar , o la
discoteca, o quel diavolo che è.
Non ci sono rapporti visibili tra prostituzione e malavita organizzata.
La mafia si occupa di droga, armi, contrabbando, ecc.
Ad esempio un business illegale molto lucroso, e strettamente legato ad un
potente racket, è costituito dal commercio clandestino di specie animali
protette.
Un cucciolo di tigre dell’età di tre mesi vale al mercato nero più di
cinquantamila dollari e, con un sovrapprezzo di diecimila dollari, può
essere consegnato a domicilio in Europa o in America!
Concludo con una nota di colore.
Se mai ci fosse stato, e non mi risulta, un calo nella domanda interna di
sesso mercenario, questo calo sarebbe stato spazzato via dalla caduta
dell’Unione Sovietica.
Ma che c’entra, dirai tu?
C’entra c’entra.
Perché da quando il vecchio Gorby è stato silurato e la Santa Madre Russia è
diventata quel gran casino che è oggi, a Pattaya si è verificato un fenomeno
che dai ricchi thailandesi è stato salutato come la manna dal cielo: sono
arrivate le russe!!!!!
E così adesso si possono togliere la soddisfazione di frullare delle donne
farang,che fino a pochi anni fa era un sogno proibito.
E questo penso che lenisca non poco anche l’incazzatura sotteranea che
sicuramente dovevano avere, per il fatto che invece i maschietti farang, con
le fanciulle orientali, per un motivo o per l’altro, hanno sempre avuto un
discreto successo.
Ciò è buono anche per le russe, che hanno visto salire le loro quotazioni
fino a diecimila baht!!! (sono 500.000 lire italiane)
Purtroppo per loro però, a differenza di quanto avviene con le thailandesi,
al loro seguito è arrivato un nutrito drappello di mafia russa, e quindi
credo che la maggior parte di quei diecimila baht finisca nelle tasche di
qualche Don Calogero moscovita (il quale sicuramente non si limita a
“multare” gli sgarri).
Ciò è molto visibile.
Infatti a Pattaya i russi vivono in una specie di circuito chiuso che ha le
caratteristiche di un ghetto.
Hanno i loro bar, i loro alberghi e i loro ristoranti (con le regolamentari
scritte in cirillico). Quando mettono il naso fuori, sono estremamente
malvisti.
Gli albergatori, a meno che non siano russi essi stessi, quando vedono un
passaporto dell’ex Unione Sovietica, dichiarano il tutto esaurito.
Tutti i russi in Thailandia sono considerati mafiosi e visti come il fumo
negli occhi.
E con ragione, perché uno dei loro divertimenti principali, quando vanno di
sera in qualche altro locale che non sia dei loro, è quello di ubriacarsi e
poi innescare una rissa da farwest, con tavoli, sedie e bottiglie che
volano.
Una volta tanto parteggio per i poveri, piccoli poliziotti thailandesi i
quali in questi casi, dopo che sono riusciti con fatica e con rischio (in
sette o otto) ad acchiappare uno di questi giganti biondi, alti due metri e
pesanti cento chili, lo mazzolano di santa ragione, prima di portarlo in
caserma per spiegargli che non deve rompere i coglioni.
Spero di essere riuscito a comunicarti un po’ di confusione, stà quasi
concludendo il mio amico.
Se è così, ho raggiunto il mio scopo.
In Oriente infatti c’è da preoccuparsi quando qualcosa sembra chiaro.
Alla base di questa chiarezza c’è molto probabilmente un equivoco.
Se invece un fenomeno appare incasinato, inspiegabile e contraddittorio,
be’…….di solito si è sulla buona strada, se non per capire, almeno per
“constatare” come funzionano le cose.
Da capire, a questo livello, c’è ben poco.
Voglio dire, se si prende in esame un fenomeno singolo, in questo caso “la
prostituzione in Thailandia”.
Funziona così e basta.
Per tentare una razionalizzazione occorre ampliare moltissimo la visuale e
fare un’analisi dettagliata di tutta la società thailandese, della sua
storia, dei rapporti tra le sue varie componenti, nonché delle complesse
interazioni con il resto del mondo.
Ci si trova poi inevitabilmente a fare le pulci a tutto il pianeta e si
finisce, come spesso accade in questi casi, a parlare di aria fritta.
E forte di questa lunga analisi, che personalmente mi ha trasferito il mio
grande amicone, ritorno in diretta all’Hotel a Bangkok.
Qui in piscina c’è il solito gruppetto di ragazzi francesi. Fanno un chiasso
della malora, ma è il loro tempo.
Fanno parte di una classe di una scuola superiore che ha deciso di far
trascorrere la gita scolastica in Thailandia.
Mica scemi, eh?
Il costo sarà stato come quello necessario per passare una settimana a
Curmayer.
Leggo ora su un quotidiano locale, in lingua inglese, che a settembre
inizieranno a demolire l’Hotel Siam Intercontinental.
E’ stato costruito 35 anni fa, ma è rimasta un’istituzione qui a Bangkok,
sia per l’architettura particolare a pagoda, che per gli immensi giardini e
strutture sportive, nel pieno centro della città.
Abbiamo fatto bene a soggiornarci l’anno scorso. Sarà un pezzo di storia di
Bangkok, che se ne andrà.
Al suo posto edificheranno una enorme struttura ricettiva e la durata dei
lavori è prevista in tre anni.
E’ l’ultimo giorno della nostra vacanza in Thailandia.
Stanotte torneremo in Italia.
Non ho voglia di continuare a descrivere anche la partenza.
Tornerò a casa mia e basta.
Ogni volta che ci si torna, in Thailandia, si impara qualcosa di nuovo.
Ad esempio, mai fidarsi troppo degli amici, specie se sono virtuali.
Italo, chiacchiera, chiacchiera, però non mi ha fatto conoscere
“Coscialunga”.
Però, mi ha insegnato tante altre cose.
Infine, se questo testo vorrà essere pubblicato, credo sia meglio
bonificarlo un po’, prima.
Non tanto per “Baffino”.
Vorrei vedere come lo trasbordano, tirando il carrettino lungo le strade
polverose e piene di sassi, come alla “Cascata”, su, in cima alla foresta.
E’ per me, soprattutto.
Vorrei evitare il disturbo, inevitabile, durante un prossimo auspicabile
controllo del passaporto, al “Don Muang”, aeroporto di Bangkok, che mi
ritenessero, anche solo temporaneamente, loro ospite, gratificandomi con :
“vieni di là, che te la diamo noi la tua cazzo di Tom Yam Kung.
No, grazie, non tengo appetito !!
Dopo una settimana dal mio ritorno, mogio mogio, dalla vacanza, Italone, via
e-mail, mi scrive, fra gli altri argomenti, che io non me ne ero accorto, ma
lui, oltre ad essere genovese di origini, è anche ebreo di nascita, in
parte.
La prima ed immediata domanda, che gli vorrei fare, sarebbe : ma hai sentito
dolore, quando ti hanno circonciso ? Ma questa, gli e la risparmio.
Invece, mi sento più di brontolarlo così : “ma cazzo, anche questa, ora ?!
La moglie “buddista”, va behh, passi, ma te ebreo !! Me lo potevi dire
prima, senza farmi perdere tempo!! Con che coraggio, posso raccontare ai
miei amici cristiani, che ho fatto combutta con uno, i cui antenati hanno
giustiziato il nostro Dio ?
Sì, direbbe lui, ma è successo poco più di duemila anni fa. Ma che ci
combina ? riprenderei io, l’ho letto solo oggi, al Catechismo, ed oggi mi
incazzo !!”
D’altro canto, anch’io, a Bang Phae, ero diventato “Sonteo”.
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