di Maria Berluzzi –
Sono tornata in Europa dopo qualche mese trascorso al Cairo, pero’ la mentalita’ araba ed il tenore di vita continuano a piacermi molto. Il calore e la cordialita’ della gente si e’ impronta nella mia memoria e fanno sembrare ancora piu’ grigia e triste l’Austria dove trascorro i prossimi mesi. C’e’ un congresso internazionale di cardiologia e chirurgia cardiotoracia a Damasco dal 3 al 7 dicembre, me l’ha detto Raschid, un mio amico egiziano. “Come! I’m waiting for you!”
Pero’. Una bella scusa per andare in Siria, questa e’ la prima cosa che mi viene in mente (Il congresso di per se’ mi interessa, ma non essendo una cardiologa o simile non puo’ essere il motivo principale per cui andare a Damasco.) Faccio il visto per la Siria, e successivamente inizio a pensare…
E’ fattibile o no questo viaggio? Ho i soldi, ho il tempo per andarci? Ha senso andarci per una settimana solo? In teoria no. In pratica parto.
S-i-r-i-a. E’ il suono della parola. Sa di Oriente, di donne dagli occhi belli sotto i veli, di moschee e di preghiere mussulmane che a volte sembrano musica. Sa di quella gentilezza e cordialita’ che e’ tipica di quei paesi. E sa di famiglie grandi che con legami forti tra di loro.
Mi sono mancate queste cose.
Sono passati piu’ di due mesi da quando sono partita dall’Egitto, e un po’ i ricordi di quel Raschid che non riesce a comprendere me ed i miei punti di vista si sono impallidite. Quello che mi e’ rimasta nella mente e che ci rimarra’ per sempre sono le cose belle.
Quando finalmente decido di partire (Me ne pentirei se non lo facessi; certe occasioni vengono una sola volta, e questa potrebbe essere una di loro!) e’ Sabato, il 4 Dicembre. Vado alla stazione centrale di Milano, all’unica agenzia di viaggi aperta che trovo, e chiedo se c’e’ un volo per Damasco per il 5.
C’e’, mi dicono, ma costa un patrimonio.
“Allora magari un volo per Beirut?”
Il ragazzo alza la testa e mi guarda turbato.
“E’ vicino… posso prendere un pullman da Beirut a Damasco!” dico come se avessi fatto la pendolare tra le due citta’ da anni.
Non mi sembra del tutto convinto, ma si volge di nuovo verso il computer e mi cerca un volo per Beirut, mentre io mi sto chiedendo se ci saranno degli autobus.
Sono fortunata e riesco a pescare un volo a 400 Euro (Ahia! Ma “dove c’e’ gusto non c’e’ perdenza”!), parte da Milano il giorno successivo alle 21.30, e arriva la alle due di notte.
Sono sempre stata cosi’, a fare le cose all’ultimo minuto.
Una volta che ho fatto il biglietto sono tranquilla, e la tranquillizza si trasforma in una vera e propria gioia di partire e di tornare nel Medio Oriente quando sono sulla navetta che porta a passeggeri, la maggior parte di loro essendo arabi, dal gate all’aereo. Mi ero trovata bene al Cairo l’estate scorsa, e non vedo l’ora di tornare in quei paesi (e-)strani, con la loro gente cosi gentile e generosa. Mi rendo conto che mi e’ mancato l’ “Oriente”!
Non so un granche’ della Siria, della storia e della politica, so solo che sento un forte impulso di andarci. E questo, per me, e’ piu’ che sufficiente.
Dopo di aver fatto un visto di transit per il Libano (gratuito se ci si ferma per meno di 48 ore) esco dall’aeroporto di Beirut alle due e mezza di notte, mi accendo una sigaretta (Dal soggiorno al Cairo so che e’ piuttosto raro qui che una donna fuma; effettivamente non ho visto neanche una in Egitto, ma ahime’ – sono una dipendente, che ci posso fare) e dico al tassista che fiuta dollari vedendomi di aspettare un attimino. Non ho la minima fretta di muovermi, anche perche’ dubito che ci saranno mezzi per il Damasco a quest’ora.
E non ho neanche fretta di arrivare a Damasco, perche’ so che che li’ mi aspetta il mio amico egiziano, e conoscendolo prevedo che non mi fara’ stare da sola per un secondo.
Il tassista poi mi porta ad una specie di pullman e taxi; ovviamente non ci sono pullman a quest’ora, ma ci sono i taxi (un mezzo molto usato in tutto il Medio Oriente, anche per distanze lunghe), e mi ritrovo al buio circondata da uomini che fumano (fumo anch’io a questo punto!) e che non parlano una parola d’inglese. Ma nessuno mi molesta (ne sono quasi sorpresa… sono diventata cosi brutta? Ma non e’ quello – e’ un segno del rispetto per le donne che generalmente regna in questi paesi qui. In Italia mi hanno rubato di tutto: cellulari, contanti, bancomat eccetera eccetera, pero’ qui non e’ mai successo niente.), e alla fine vado con uno di loro; il viaggio da Beirut a Damasco dura tre ore e mi costa dieci euro.
Non sono del tutto convinta se e’ un tassista questo qua, ne’ se la macchina e’ un taxi, pero’ decido di fidarmi (se sono destinata ad arrivare a Damasco ci arrivero’ e basta), e lasciamo dietro di noi Beirut per andare in direzione est. Il mio repertorio di vocaboli arabi e’ presto esaurito, e allora mi limito a guardare le montagne che stiamo attraversando.
Damasco e’ vicino davvero. Ci vogliono meno di tre ora per arrivarci, e se non ci fosse la frontiera in mezzo, con mille controlli e fogli da compilare e domande a cui rispondere ci mettevamo ancora di meno. Non so se le domande – chi sei, cosa fai, dove vai – me le fanno perche’ sono obbligati a controllare bene tutti quelli che attraversano la frontiera o piuttosto per semplice curiosita’… in ogni caso tutta la procedura finisce con un caloroso “Welcome to Siria!”
Per le cinque sono all’albergo a Damasco dove Raschid mi aspetta. Essendo un mussulmano praticante, e’ sveglio a quest’ora perche’ tra poco c’e’ la prima preghiera del giorno e gli piace iniziare presto la giornata. Arrivata nella mia stanza, mi sdraio sul letto per un minuto e vedo una freccia sul soffitto che indica la direzione del bagno. Simpatica la cosa, ma veramente l’avrei trovate anche senza questo gentile aiuto.
“How sweet you are” mi dice Raschid quando glielo dico (“Quanto sei rincoglionita” vorra’ dire…), spiegandomi che la freccia ovviamente non indica la direzione del bagno, ma quella di Mecca.
Damasco.. che dire di Damasco.
La prima cosa che va nell’occhio e’ la montagna sulla quale ed in fondo alla quale e’ situata la citta’. Poi a guardare meglio noto che e’ pulita, ordinata, meno rumorosa ed incasinata del Cairo ed e’ possibile camminare a piedi tranquillamente quasi ovunque, date le dimensioni non troppo estese. E’ dicembre e fa un freddo cane, e infatti nel giro di tre giorni tossisco ed ho il naso chiuso che scorre. Mi chiedo come fa la gente ad andare a Sharm el Sheik d’inverno – non e’ molto piu’ al sud e queste temperature vanno forse bene per pattinare, ma non per fare il bagno.
E’ tranquilla, tutto e’ stato tranquillo da quando sono arrivata a Beirut, nessuna traccia di violenza. Oserei dire che e’ un paese in cui si puo’ viaggiare senza aver paura.
Pochi giorni dopo la mia partenza una bomba esplode in una macchina nelle vicinanze di un ospedale a Damasco, causando la morte di alcune persone. Anche nel Libano, qualche mese dopo, ci sono rivolte. Ma ci ri-andrei subito, anche perche’ ormai ci sono pochi posti davvero sicuri in questo mondo.
Mi ero gia’ preparata psicologicamente a non poter dormire, e cosi andiamo a fare prima colazione all’albergo. L’albergo e’ di lusso (non proprio il mio stile ma per questa volta faccio una eccezione) ed il buffet e’ abbondante.
C’e’ anche della carne dal suino, e senza accorgermi che e’ suino la prendo e mangio. Raschid mi guarda male e dice “E’ necessario che mangi questo?”
Bhe, no, non e’ necessario, pero’ io mangio quello che c’e’ e neanche sapevo che era suino.
Poi, vivere e lasciare vivere no?
Andiamo al congresso che si tiene in un centro cardiologico, e tra rapporti sull’endocardite dovuta a brucella in Turchia e metodi nuovi per trattare la fibrillazione atriale mi addormento. Non ho dormito tutta la notte e sono troppo stanca.
Il pomeriggio facciamo un giro per i mercati e negozi con Khalid, un collega egiziano di Raschid. I due non si sopportano, e la cosa mi diverte. Il collega fa una battutina volgare davanti a me, e da allora Raschid ce l’ha con lui: come si permette a fare una battuta del genere davanti a me, una donna? (Sto per dirgli che so fare battute assai peggiori di questa, ma forse e’ il caso di tacere questa volta…)
In fondo e’ un tratto positivo di Raschid, tipico dei mussulmani: vuole proteggermi e lo trova offensivo se qualcuno parla in una certa maniera davanti a delle donne. Adoro la cortesia con cui vengo trattata ovunque ma non voglio vivere in una casa di vetro, protetta da tutta la malvagita’ che c’e’ fuori.
Khalid ha il volo di ritorno per il Cairo tra qualche ora, e prima di partire vuole comprare un regalo per sua figlia di nove anni. E per la moglie niente? “Sono divorziato” mi spiega, e la cosa non mi sorprende piu’ di tanto, perche’ divorzi non sono una cosa rarissima neanche in Egitto.
Ascolto la sua storia… e scopro che la ex-moglie proibisce o cerca di proibire a lui di portare regali alla figlia, questo non perche’ le da fastidio che il padre abbia contatto con la figlia, ma per dimostrare che non ha bisogno di regali e che riesce a cavarsela da sola.
Non approvo cosa fa, pero’ riesco a comprendere un certo desiderio delle donne di essere indipendenti in questo loro mondo comunque dominato dai maschi.
Il corano dice che davanti a Allah gli uomini e le donne sono uguali, ma non lo sono nella vita quotidiana. Vorrei poter dire che lo sono ma non sarebbe vero.
Nonostante il grande rispetto e la stima ed ammirazione per le donne, hanno uno spazio abbastanza ristretto nella societa’, con quelle proveniente da famiglie ricce avendo piu’ possibilita’ e scelta di determinare loro cosa fare nella vita, e quelle povere di meno.
C’e’ a chi questo ruolo va bene e a chi no.
Khalid ha lavorato in Italia per un anno (ecco dove ha imparato a fare le battutacce!), portando con se moglie e figlia, e dopo la separazione era “sfuggito” in Arabia Saudita per tre anni, per poi tornare al Cairo, trovandosi ora davanti alla questione come continuare la sua vita. “Vorrei tornare in Italia” dice, “la vita la’… non e’ come in Arabia Saudita per esempio… e’ normale, capisci?”
Trascorro qualche altro giorno a Damasco e nei dintorni con Raschid, e quando e’ arrivata l’ora di partire ho visto appena abbastanza dalla Siria per sapere che dovro’ tornare per vedere di piu’.