di Monica Palazzi –
Se sei alla ricerca di un luogo poco conosciuto e non troppo menzionato dalle guide turistiche quindi senza (o quasi) il turismo di massa, però non per questo motivo non interessante “La Scarzuola” è sicuramente quello che fa per te.
La Scarzuola sembra un luogo magico quasi da favola ma che allo stesso tempo è in grado di riprendere alla perfezione le grandi opere del passato.
Difatti è detta “citta teatro” anche perché richiama strutture come la Villa Adriana, la Villa d’Este di Tivoli, il Colosseo e il Parco di Bomarzo per l’effetto gioco.
Questo luogo sospeso tra un’atmosfera fiabesca e di realtà ospita eventi, manifestazioni e tanti spettacoli durante tutto l’anno.
Dove si trova “La Scarzuola”?
La Scarzuola si trova in Umbria, ed esattamente nella frazione di Montegiove a Montegabbione che è in provincia di Terni.
Se si va Orvieto oppure sul lago Trasimeno un passaggio alla Scarzuola è certamente d’obbligo in quanto è a metà strada fra il Tevere, a est, e il comune di Città della Pieve che è ovest.
Come arrivare alla Scarzuola?
Per arrivarci, non è davvero molto difficile, tuttavia ecco qualche indicazione che potrebbe tornarti utile.
Bisogna prendere l’autostrada A1 e uscire a Fabbro quindi seguire le indicazioni per Montegabbione poi per Montegiove quindi poi ci sono (o per lo meno c’erano) le indicazioni per la Scarzuola.
Una volta usciti dall’autostrada si arriva in 30 minuti si arriva a destinazione.
Segnalo altresì che si tratta di una strada di campagna senza particolari difficoltà e percorribile da qualsiasi automobile però a velocità moderata dato che bisogna attraversare una specie di bosco.
Da dove nasce il nome “La Scarzuola”?
Il nome “La Scarzuola” nasce da una pianta palustre ossia “la scarza” che fu usata da San Francesco che proprio in questo luogo e con questa pianta costruì una capanna che poi divenne il posto dove fu fondato il suo convento.
La Scarzuola: la città ideale rinascimentale
La particolarità de “La Scarzuola” fu colta alla perfezione dall’architetto milanese Tomaso Buzzi (nato a Sondrio nel 1900 e morto a Rapallo nel 1981) che era anche un intellettuale davvero molto noto nell’ambiente culturale novecentesco.
Egli era uno dei maggiori architetti italiani dell’epoca in quanto era Maestro dell’Arte Decò e Cattedratico al Politecnico di Milano.
Il Buzzi volle progettare proprio qui la “sua” città ideale che si ispirava al Rinascimento e quindi all’idea umanistica in cui il mondo naturale si potesse fondere alla perfezione con l’intelletto.
Acquista il complesso di San Francesco con il parco adiacente per farne la sua città ideale nel 1956.
Il concetto base era quello di ricordare i teatri antichi della classicità greca e il centro è una vera e propria scenografia tra statue, bassorilievi, gradinate, vasche d’acqua.
Molto interessante e, sicuramente, particolare sono anche gli edifici in tufo (si tratta di una roccia magmatica, leggera e non troppo dura quindi facilmente lavorabile e assai porosa) con nomi simbolici come Torre di Babele o la Scala di Giobbe.
Si tratta, quindi, di manufatti che trovano la loro realizzazione completa nell’Acropoli in cui c’è una montagna di edifici vuoti (all’interno) che stupiscono e che cambiano prospettiva a secondo del luogo da cui si guardano.
Il senso di magico è dato, infine, dalle statue dall’aspetto mostruoso e ai motti con scritte moraleggianti e citazioni per lo più misteriose.
Oggi la Scarzuola è di proprietà del nipote, signor Marco Solari, che si è preso cura di questi luoghi dalla morte dello zio.
Fu il Solari a renderla visitabile al pubblico dal 2000.
È rinomata e conosciuta anche a livello internazionale e ogni anno richiama davvero tante persone.
Cosa era la Scarzuola prima dell’intervento dell’architetto Buzzi?
Prima di diventare la città ideale rinascimentale era chiesa e convento di San Francesco.
Stando a quando afferma la tradizione San Francesco nel 1218 passeggiando in preghiera per queste zone fu attratto da una nicchia dove si trovava una crocefissione dipinta e di cui oggi resta però solo una copia.
Certamente almeno agli occhi del Santo quello era un luogo assai speciale o, per lo meno così lo era, da quando una fonte d’acqua sgorgò prima da un cespuglio di lauro e poi da uno di rose che erano stati piantati entrambi dal Santo.
Fu per questo motivo che San Francesco decise allora di fare, come detto, una capanna con della scarza che era una pianta palustre locale e solo in seguito, nel 1282 per volontà di Nerio di Bulgaruccio dei Conti di Montegiove che era un signorotto locale, venne fatta una chiesa con oratorio non molto grande a forma di ottagono e con volta a botte.
Per ricordare la primitiva costruzione le venne dato il nome “Scarzuola” e data in gestione ai Frati Minori che in seguito l’ampliarono e la dedicarono alla SS. Annunziata e nei pressi si trovava il loro Convento.
Alcune particolarità proprio in questa chiesa furono sepolti lo stesso conte Nerio e alcuni dei suoi discendenti tra cui anche la figlia più piccola del Capitano di Ventura Erasmo da Narmi che è però conosciuto come il Gattamelata.
Nell’abside (è una nicchia della chiesa che è destinata ad accogliere una statua, oggetti di culto o come nel nostro caso un affresco) si trova un affresco che ritrae San Francesco in levitazione (è un evento paranormale di persone in trance che consiste nel sollevare se stessi oppure degli oggetti).
Il convento però venne poi abbandonato dai frati al suo destino fino al 1956 quando poi venne rilevato dal Buzzi.
Come prenotare la visita e quanto dura?
La visita non è libera (per maggiori informazioni andare sul seguente sito internet https://www.lascarzuola.it/ ma deve essere preventivamente concordata con il proprietario in quanto proprietà privata che poi ci accompagnerà (se non lui ci sarà il suo assistente con simpatico accento inglese) alla scoperta de “La Scarzuola”.
La visita al complesso ha la durata di circa due ore e il costo dell’ingresso (almeno quando ci sono stata io qualche tempo fa) era di 10 €uro a persona.
Un consiglio
Può capitare che durante la visita sia il proprietario sia il suo collaboratore colorino il racconto con esperienze “simpatiche” e assai particolari perciò si consiglia di non prenderli mai troppo sul serio ma, al contrario, con leggerezza e ironia. Però credo che il bello sia anche questo…
Una particolarità interessante
Fu lo stesso Buzzi a non lasciare spiegazioni circa la sua opera e che quindi resta di libera interpretazione da parte del visitatore.