di Alessio Vremec –
Premessa.
Da piccolo, quando mi rigiravo il mappamondo tra le mani, il ditino si posava inesorabilmente sugli stessi due luoghi: l’Himalaya ed il Sahara. Questi sogni hanno sempre continuato a popolare la mia fantasia, ed ora, a 47 anni, in poco tempo, li ho realizzati entrambi: l’autunno scorso ho attraversato l’Himalaya, da Lhasa a Kathmandu, con la mountain bike, ed adesso, con la moto, sono stato nel Sahara.
Il Sahara, il padre dei deserti.
Il Grande Erg Orientale, l’ocra magico delle dune create dal vento. I Tuareg raccontano che il deserto fu donato da Dio agli uomini perche’ vi ritrovassero la loro anima.
Al mattino, poco prima dell’alba, quando gli amici ancora dormono nelle loro tende, di corsa mi allontano in mezzo alle dune, e quando, stanco, mi distendo a riposare osservando il sorgere del sole, riesco ad ascoltare il silenzio. Privilegio raro, questo.
Qualche volta mi sembra che, attraversarlo in moto, sia un po’ profanarlo, e rallento, mi insabbio, spengo il motore ed ascolto. Il silenzio.
Il silenzio, la quiete, l’immenso, l’infinito, l’immutabile, l’eterno.
Il ritmo rilassato, scandito dal giorno, dalla notte, dal vento.
La simpatia della gente, l’allegria dei bambini, la malizia delle ragazze.
La serenita’, la saggezza.
La quiete dell’anima.
Le notti stellate di una profondita’ sconvolgente.
La gioia delle serate attorno al falo’.
L’adrenalina della guida sulla sabbia.
…mi vengono i brividi.
Diario di viaggio.
1° giorno, Sabato.
Partenza da Genova, sotto una pioggia scrosciante, con 7 ore di ritardo, con il vecchio traghetto Habib invece del nuovissimo Carthage prenotato.
Siamo in 4 moto ed un Isuzu pick-up di appoggio. C’e’ Marco, il veterano con piu’ di 30 viaggi nel Sahara, con un incredibile Gilera RC600 preparato rally; Piero con un Suzuki 350, Roby con un KTM 640, ed il mio Yamaha XT600E.
Dopo 24 ore arriviamo a Tunisi, sotto la stessa pioggia di Genova, alle 11 di sera di domenica; dopo due ore di pratiche burocratiche usciamo dal porto e ci fiondiamo all’hotel Amilcar di Cartagine.
3° giorno, Lunedi.
Tunisi (Cartagine) – Le Kef. 262 km asfalto.
Partiamo con calma sotto un cielo nuvoloso che non promette niente di buono con destinazione Le Kef, 170 km a ovest di Tunisi. Percorriamo strade secondarie proponendoci di visitare Dougga e Bulla Regia (rovine romane), ma la pioggia riprende, cosi’ saltiamo le visite ed arriviamo a Le Kef bagnati ed infreddoliti. A Trieste ci dicono che fa caldo e c’e’ gente in riva al mare che prende il sole 😐 Ci sistemiamo all’hotel Residence Venus, dove apprezziamo in modo particolare le docce calde e le camere riscaldate (siamo a 800 metri di altitudine), oltre che la gentilezza del personale.
4° giorno, Martedi.
Le Kef – Feriana. 289 km, meta’ fuoristrada.
Dopo una visita alla Kashbah di Le Kef che sovrasta la citta’ e da cui si gode un magnifico panorama, partiamo in direzione sud-ovest, fino la confine con l’Algeria, poi decisamente verso sud, per sterrati e stradine secondarie. Finalmente splende un bellissimo sole, l’aria e’ frizzante, siamo sempre in quota.
Il paesaggio varia tra campi coltivati, alberi da frutta in fiore ed inaspettate pinete. Ci arrampichiamo fino alle pendici del “Table de Giugurtha”, una montagna di 1270 metri con la sommita’ piatta, da cui si gode una veduta meravigliosa.
Lungo uno sterrato a poche centinaia di metri dal confine algerino, veniamo fermati ad un posto militare, i documenti sono verificati con il computer collegato con quello della dogana di Tunisi, tutto a posto. Il comandante e’ gentile, parla un sacco di lingue.
I poliziotti per strada bloccano il traffico per farci passare. Un poliziotto, nella foga di sgomberare un incrocio al nostro passaggio, invita contemporaneamente 2 automobilisti, provenienti da direzioni opposte, ad avanzare, con il risultato che fanno un frontale davanti ai nostri occhi, increduli.
All’uscita dal paese di Feriana, un sasso lanciato con millimetrica precisione, mi colpisce giusto sul casco. Strano. Fino a questo momento, tutti i ragazzi che incrociamo ci sorridono e ci salutano. Durante le soste, si avvicinano, ci guardano, ci parlano, non sono per niente invadenti. Mi diverto a tentare di comunicare con loro con qualche parola araba, anche se tutti parlano Francese ed alcuni anche Inglese. Alla fine del viaggio conteremo 5 lanci di sassi (la mira e’ sempre micidiale) e migliaia e migliaia di saluti e di sorrisi. Evidentemente e’ un gioco di qualche bambino che non immagina quali danni potrebbe causare.
Dopo qualche chilometro, risaliamo il letto di un fiume sulla sinistra, dove facciamo il primo assaggio di sabbia. Gli amici iniziano a divertirsi. Per me che sono “principiantissimo”, quando sento la moto che affonda e che sbanda, mollo il gas e mi irrigidisco. Si lo so, mi hanno spiegato e rispiegato. Quando mi avvicino alla sabbia, devo rallentare e scalare una marcia, poi, non appena dentro, devo spalancare il gas, guida sempre in piedi ed il peso sul posteriore. Ma tra il dire ed il fare… Coraggio, sono qua anche per imparare.
Ci accampiamo sotto un magico cielo stellato e con un freddo cane, che ne’ il falo’ ne’ la grappa riescono a mitigare.
5° giorno, Mercoledi.
Feriana – Tamerza. 275 km, meta’ fuoristrada.
Continuiamo a risalire il letto del fiume, direzione est. Oggi cerchiamo un passaggio attraverso una catena di monti alti quasi 1000 metri verso Sidi Aich. Superiamo una diga, poi ci perdiamo un paio di volte, un occhio alla bussola ed uno alla cartina. Il pick-up si insabbia, io faccio la mia prima caduta (apri quel gas, maledizione), alla fine troviamo un varco, e sbuchiamo sulla strada pochi km prima di Sidi Aich. Sono stati 80 km di splendido fuoristrada, in un paesaggio da Far West. In un villaggio con un totale di 7 case di pietra bianca, ci scambiamo l’indirizzo di posta elettronica con un ragazzino di 12 anni.
Proseguiamo su asfalto per Gafsa, Metalauoi, e poi su sterrati verso le oasi di montagna. Ci accampiamo in un palmeto nei pressi di Tamerza. Mentre montiamo le tende, viene a farci visita una bellissima bimba con il cuginetto che abitano in una casa vicina. Facciamo amicizia, il tempo vola, arrivano le mamme che ci portano in dono una pagnotta calda e fumante, appena finita di cuocere per noi. Ringraziamo commossi ed imbarazzati.
6° giorno, Giovedi.
Tamerza – El Hamma. 125 km di cui 25 km sabbia.
Visitiamo le oasi di montagna, Tamerza, Mides e Chebika, in mezzo a decine di Toyota che scaricano vagonate di turisti. A Chebika giochiamo con la sabbia, il percorso ci piace e lo rifacciamo. Io riesco ancora una volta a cadere. Poi puntiamo verso sud-est. Ci fermiamo a El Hamma, nei pressi di Tozeur, al Desert Camping, aperto da poco da Lorenzo, un simpaticissimo emiliano trasferitosi da anni in Tunisia e che gia’ gestisce il Desert Camping di Douz.
Nelle dune nei paraggi, faccio la conoscenza con le prime insabbiate e naturalmente altre cadute. Marco mi dice che, quando si viaggia nel deserto, lontano da casa, si dovrebbe guidare non oltre l’ 80% delle proprie capacita’, meglio il 60%, in modo da avere sempre un largo margine di sicurezza. Col piffero! Io sono sempre al 100% anzi, al 110%, e ciononostante sono sempre l’ultimo della covata. 🙁
Per fortuna sulla sabbia si va piano, le cadute sono ben assorbite ed io sono super imbottito di protezioni: oltre a ginocchiere e safety jacket, indosso anche un paio di pantaloncini da snowboard della Dainese che mi proteggono i fianchi, le anche e l’osso sacro.
7° giorno, Venerdi.
El Hamma – El Sabria. 240 km di cui 180 di sabbia e piste.
Oggi attraversiamo il Chott el Jerid, l’immenso lago salato, asciutto gran parte dell’anno, la superficie scintillante sotto il sole. Ma non percorriamo la facile strada asfaltata che lo taglia a meta’. Andiamo a cercare un passaggio piu’ a sud. Le recenti pioggie hanno lasciato larghe pozze d’acqua, dobbiamo spostarci fino al confine algerino.
Da El Hamma in direzione sud-ovest: Tozeur, la splendida oasi dove le lacrime del profeta si trasformarono in una sorgente che fece crescere le miracolose palme da dattero, poi Nefta, Hazoua ed il confine algerino, e da qui in direzione sud-est attraverso la parte asciutta del Chott el Jerid per piste e sabbia. Come sempre i primi chilometri all’interno del deserto sono i piu’ difficili, vaghiamo tra dune traditrici cercando la pista giusta. Finalmente la troviamo. C’e’ tanta sabbia, ma viaggiamo abbastanza spediti, la concentrazione e’ altissima. Salto una duna, atterro con il posteriore sulla duna successiva. Il rimbalzo mi proietta in alto e finisco nuovamente a terra con una elegante capriola. Non mi sono fatto niente, applausi. Sbuchiamo sulla strada qualche km prima del bivio per El Faruar. Ad El Sabria, ci addentriamo nel deserto, passiamo vicino ad un fortino francese, e facciamo qualche chilometro in direzione sud. In lontananza, in mezzo alle dune, ci sono delle palme in cima ad un’altura, un ottimo riferimento, ma si sta facendo tardi. Ci accampiamo tra le dune, nel silenzio piu’ assoluto.
8° giorno, Sabato.
El Sabria – Douz. 61 km di cui 20 di sabbia.
Questa mattina, per riscaldarci, decidiamo di raggiungere l’altura con le palme, tutto dune per 8 km a 185° in direzione sud dal fortino. Sono sempre al 100%, teso e concentrato, ogni tanto riesco a tenere il gas aperto ed inizio a divertirmi. Le cadute (mie, solo mie, gli altri sembrano danzare) non si contano. Poi le dune si fanno piu’ alte, la sabbia piu’ molle, continuo ad insabbiarmi. Per uscirne, devo appoggiare la moto su di un fianco, poi riempire di sabbia la buca creata dalle ruote, rialzare la moto (167 kg a secco, 190 kg in ordine di marcia), spingerla fuori dalla sabbia molle oppure tornare indietro per prendere piu’ velocita’ o cercare un altro passaggio. Per fortuna, con il mio 1.95 di altezza, le gambe mi permettono di togliermi d’impaccio da situazioni critiche. E pensare che ho anche aumentato l’imbottitura della sella per alzarla ed avere una posizione di guida piu’ confortevole.
Sono madido di sudore. Prima di questa esperienza credevo che andare in moto fosse uno sport per niente faticoso. 🙁
Alla fine rinunciamo e torniamo indietro. Ci fermiamo a rinfrescarci al fortino, trasformato astutamente in ristorante tipico, con tanto di tenda berbera montata nel cortile. Un Tunisino, che si sta travestendo da Berbero perche’ un gruppo di turisti sta per arrivare a pranzo, ieri sera era andato dal fortino fino al palmento, quello che abbiamo tentato di raggiungere, e ritorno, con uno scassatissimo ciclomotore, c’erano dei turisti. Era passato alle 11 di sera al nostro campo, sbucato dal nulla, gomme strette da strada, consumate fino alla tela, senza luci in una notte senza luna. Ci dice che il trucco sta nel trovare il giusto percorso. Dal fortino questa mattina ci stava guardando, dovevamo tenerci piu’ a destra… 😐
Il Gilera ha problemi con la batteria, per fortuna ha anche l’avviamento a pedale. Se fosse successo al mio XT, sarei nei guai.
Nel pomeriggio andiamo a Douz, il piu’ grande palmeto della Tunisia, 400.000 palme da dattero. Ci fermiamo al Desert camping di Lorenzo, che pero’ e’ rimasto a El Hamma.
Marco ci fa conoscere un suo vecchio amico, Hedi, che gestisce un negozietto di artigianato nel Souq, e che parla perfettamente l’Italiano senza essere mai stato in Italia. Hedi ha appena terminato di scrivere, in italiano, un bellissimo libro sul Sahara tunisino. Ci mostra la bozza, sta per essere pubblicato in Italia. Ha impiegato 9 anni, qua il tempo ha un altro significato. Ha gia’ iniziato a pensare al prossimo libro, sulla storia del Sahara, ci fa vedere delle punte di freccia di 10.000 anni fa. Hedi ci affascina con i suoi racconti, la pacatezza del suo parlare, il suo prossimo viaggio in Algeria a raccogliere materiale per il libro, la sua convinzione che il turismo stia portando ricchezza materiale e miseria morale in Tunisia, l’abbandono delle tradizioni, le tentazioni che subiscono i giovani per il miraggio del guadagno facile legato al turismo e le frustrazioni che si scaricano inevitabilmente nella disgregazione della famiglia. E la sua filosofia di vita, cio’ che conta non si vede che con il cuore, l’importante e’ lasciare una traccia. Alla fine ci congediamo con la sensazione di aver incontrato un saggio.
9° giorno, Domenica.
Douz – Ksar Ghilane. 132 km pista, sabbia e dune.
I giochi si fanno duri. Da Douz puntiamo direttamente all’oasi di Kasar Ghilane in direzione sud-est, con bussola e GPS. Al camping comunicano le targhe dei nostri mezzi alla polizia, quando arriveremo a destinazione dobbiamo comunicarlo alla polizia locale. Se non ci vedono, vengono a cercarci.
La pista fino al “Cafe’ la Porte du Desert” e’ buona, solo all’inizio la sabbia e’ alta e segnata dalle tracce delle jeep che ci hanno preceduto. Passo i solchi in terza in piena accelerazione, in piedi sulle pedane. I primi giorni mi sembrava impossibile rimanere in equilibrio, era contro ogni legge fisica. Oggi navigo abbastanza sicuro e mi diverto.
Sosta al “cafe'”, per un classico the alla menta. Il gestore cerca di convincerci che non possiamo farcela a raggiungere Ksar Ghilane senza una guida, e guarda caso lui potrebbe fornircela… 😉
Prendiamo a destra in direzione sud. Le dune iniziano a cambiare colore, la sabbia bianca si trasforma nella magica sabbia dorata dei miei sogni: siamo nel Grande Erg Orientale!
Il giorno precedente c’era vento, la pista e’ coperta da dune di sabbia fresca, che diventano sempre piu’ alte e fitte. Mi insabbio una, due, tre volte. Poi riesco a tenere il gas un po’ piu’ aperto, non mi insabbio piu’, ma cado una, due, tre volte. Finalmente la pista diventa migliore. Sbagliamo strada e torniamo indietro. Alla fine arriviamo al fortino di Tisavar, costruito sopra un’altura dai Romani nel primo secolo A.C. per difendere i propri territori dagli attacchi dei Berberi. Da qui, in direzione sud-est, 2.5 km di bellissime dune ci portano all’oasi di Ksar Ghilane. E’ un percorso tecnico ma non impossibile, finalmente adatto alle mie migliorate capacita’, da fare tutto in un fiato. Arrivo all’oasi senza insabbiarmi e senza cadere, sono soddisfatto e mi sto divertendo.
Bagno rigenerante nell’oasi, l’acqua ha 36 gradi, e campo per la notte sotto gli alberi.
10° giorno, Lunedi.
Sosta a Ksar Ghilane. 26 km di dune.
Al mattino andiamo al fortino, poi puntiamo verso sud per tornare all’oasi cercando un passaggio attraverso una montagna di dune piu’ alte. Al pomeriggio facciamo il giro contrario. Sulle dune alte, mi insabbio e cado un sacco di volte. Invece il percorso oasi-fortino e’ bellissimo, riesco a stare a mio piacimento nei solchi delle jeep, mi sembra di essere su di un binario, dal quale gioco ad uscire e rientrare. Il gas aperto, una fontana di sabbia che si innalza dalla mia ruota posteriore.
Le guide tunisine, al volante di fiammanti Toyota, dopo aver frullato per bene i turisti nella lunga pista da Jerba, li conducono ora, instabili in groppa ai dromedari, fino al fortino. Al nostro passaggio ci fanno le foto, non sanno che anche il mio equilibrio e’ precario. Sorrido e spalanco il gas, per un attimo mi sento Meoni 😉
Alla sera sono distrutto, meno male che ci aspetta di nuovo il bagno nel laghetto dell’oasi. Ci arrivano notizie che mezza Italia e’ sotto la neve, a Trieste la bora soffia a 140. Mi tuffo e rituffo dalle palme, e godo.
11° giorno, Martedi.
Sud di Ksar Ghilane. 78 km di sabbia.
Direzione sud, a 20 km c’e’ una sorgente in mezzo al deserto. Prepariamo il campo nei pressi della sorgente, poi andiamo a giocare con una montagna di dune 5 km a ovest. Questa volta e’ veramente dura. Per fare i primi 100 metri, mi insabbio 9 volte. Tirare fuori la moto e’ ogni volta piu’ pesante. Invidio il DR350 ed il KTM, 30 kg di meno. Decido di rinunciare, sono madido di sudore e stremato. Gli altri proseguono fino in cima, e’ dura anche per loro. Nel pomeriggio rifacciamo il giro Ksar Ghilane – fortino – dune attorno al fortino e ritorno.
12° giorno, Mercoledi.
Ksar Ghilane – Matmata. 242 Km di cui 160 di pista e fuoristrada.
Fine dei giochi. Dalla sorgente, 20 km ci riportano a Ksar Ghilane, poi pista verso est per 70 km fino a raggiungere la strada asfaltata 6 km prima di Chenini. Che strano. Il primo asfalto dopo tanti giorni, non avrei mai pensato di apprezzarlo tanto. Percorriamo 80 km di asfalto con visite a Chenini, Tatauoine, Beni Cheddache, poi deviamo verso Matmata per bellissimi sterrati. Oggi c’e’ tempesta di sabbia che rende l’atmosfera surreale, il cielo e la terra hanno lo stesso colore. L’orientamento e’ difficile, diventa molto utile la piccola bussola che ho montato sul manubrio con il nastro adesivo. Arriviamo a Matmata dopo 70 splendidi km, ci fermiamo a dormire in un caratteristico albergo ricavato in una casa troglodita scavata nel sottosuolo per sfuggire alla calura estiva ed al freddo dell’inverno.
13° giorno, Giovedi.
Matmata – Tunisi (Cartagine). 440 km asfalto.
Dopo una visita a Matmata, tutto asfalto fino a Tunisi, con sosta pranzo e vista alla medina di Kairouan. Combattiamo con i venditori di tappeti e di souvenir che insistono per farci comprare la loro merce. Il paesaggio cambia radicalmente, il deserto cede lentamente il posto a coltivazioni di fichi d’india, olivi, poi alberi da frutta, frumento. I campi si fanno verdi, il territorio diventa collinoso. Gli ultimi 140 km sono autostrada, con percore al pascolo, ragazzi che giocano a pallone, gente a piedi, in bici, in motorino. Alla sera, ci facciamo un the alla menta in un caratteristico locale di Sidi Bou Said, dove proviamo a fumare il narghile’. Piace a tutti, tranne a me: una sola tirata, e tossisco per tutta la sera 🙁
14° giorno, Venerdi.
Visita a Cartagine e Sidi Bou Said. Poi ci imbarchiamo sul traghetto Carthage per l’Italia. Decine di moto, cariche come cammelli, ci fanno compagnia, in maggioranza Tedeschi ed Austriaci. Africa Twin e KTM le piu’ gettonate. A Genova, 21 ore dopo, esco sul ponte in maniche corte e ciabatte, sulle alture c’e’ la neve.
Fine
Preparazione moto.
Sul mio Yamaha XT600E del ’93 ho fatto i seguenti lavori.
– cambio olio e filtro
– cambio candela
– regolazione gioco valvole
– controllo distribuzione
– pulizia filtro aria
– controllo freni
– controllo sterzo
– controllo steli forcella e forcellone
– controllato il filtro benzina
– sostituiti catena, corona, pignone. Consigliato un dente in meno sul pignone (14 invece di 15)
– gomme nuove Pirelli MT21, con camere d’aria rinforzate.
Avevo prenotato dal gommista gia’ un mese prima della partenza le Michelin Desert con il posteriore da 140. Quando sono arrivato per montarle, il gommista ha guardato il cerchio posteriore, quello in acciaio da 17″ che monta in origine un 120/90, e mi ha detto non mi poteva montare il 140 perche’ il cerchio e’ troppo stretto. Ossia, come spazio tra le forcelle ci starebbe, ma con quel cerchio la gomma si deforma troppo, e, aggiungendo la bassa pressione di gonfiaggio ed il caldo, va a finire che la gomma raggiunge temperature cosi’ elevate da rischiare di far esplodere la camera d’aria.
Mi ha detto che avrebbe potuto montare il T63 da 130, sebbene secondo lui anche questa misura e’ troppo larga. Mi ha consigliato di rimanere sul 120, e cosi’ sono partito con il Pirelli MT21 da 120. Certo, tra gomme strette e peso della moto, sulla sabbia ho sofferto piu’ di tutti, ma credo che conti di piu’ il manico. In compenso, dopo 2170 km meta’ asfalto e meta’ fuoristrada, il posteriore l’ho limato di neanche 3 mm.
Sul manubrio ho montato una piccola bussola. Il modello piu’ economico e’ quello meno sensibile ai campi magnetici creati dal motore e quindi piu’ preciso.
– Ho eliminate le frecce ed gli specchietti, ed ho messo una protezione in gommapiuma davanti al faro anteriore per proteggerlo dai sassi sparati da quelli che mi precedevano, ma non serviva.
– Scorta di candela, filtro aria, leve freno e frizione, cavi frizione e gas, leva del cambio, maglia catena, olio motore, camere d’aria, kit riparazione camere d’aria, fusibile.
– Attrezzi moto, filo di ferro, cavo elettrico sottile e grosso (utile per mettere in moto quando parte la batteria), nastro americano, chiave di riserva nascosta da qualche parte nel telaio della moto.
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