di Giorgio Roncari –
Lungo il Ticino e i Navigli
Mercoledì 25 aprile – Laveno – Navigli – Pavia
“Speriamo che il cielo ce la mandi buona almeno un pò!” E’ quanto ci sentiamo di dire al momento della partenza da Laveno Mombello per il nostro raid in bici sul Po.Un mese fa era scoppiata l’estate con giornate di sole e caldo fino a 25°; quindici giorni dopo è tornato l’inverno con acqua a catinelle, neve sui monti e 5° e così è stato, salvo brevi parentesi, fino a ieri mattina, quando nevicava nei paesi più alti della Valcuvia. I siti metereologici on line che da una settimana consul- tiamo giornalmente, non sono mai stati in sintonia e le previsioni mutavano continuamente: da coperto con pioggie a variabile sereno. Questa mattina è una spledida giornata senza una nuvola e neanche tanto fredda. Speriamo bene, visto che da oggi tutti sono concordi nel prevedere bello.

Pedaliamo bordeggiando il Lago Maggiore. Siamo: Patrizio, mio nipote, Tiziano, mio figlio minore, io Giorgio e Rubens, l’altro mio figlio.

La voglia di fare il Po ci era venuta lo scorso anno al ritorno dal Cammino di Santiago, oltre 800 km fatti sul sellino nel mese di agosto. ‘L’anno prossimo il Po!’ avevo lanciato l’idea, e Po è stato.
Santiago si era rivelata una straordinaria e piacevole esperienza che mi ero divertito a programmare, percorrere e raccontare e così spero sia quest’anno. Intanto per cominciare, visto che non esiste ancora un attestato, ho ideato il ‘Documento del Po’, una tessera a fisarmonica a similitudine della ‘Credenziale’, il certifica- to ufficiale del Cammino di Santiago, da timbrare ogni tanto, magari in uffici turistici, o musei, o locali pubblici. Primo timbro, alle 9 alla pasticceria Zanoni di Laveno. Tiziano ha fatto la decalcomania <un “Po” in bici …> da incollare sul telaio, e Patrizio una maglietta con stilizzate le tappe, insomma ci siamo sbizzarriti.
Risalire o scendere il corso del grande fiume in questi ultimi anni è diventato un tragitto sempre più appetito dai ciclisti e quaderni di viaggio si possono trovare in vari siti internet. Ci siamo procurati la ‘Ciclovia del Po’, una pubblicazione in due volumi che descrive l’intero percorso sia sulla sponda sinistra, sia su quella destra le quali, quanto a lunghezza, divergono di poco e sono sui 700 Km.

Noi abbiamo deciso di partire da casa, da Laveno appunto, scendere il Ticino e i navigli e, come prima tappa, fermarci a Pavia. Nei giorni successivi, zigzagando fra le due sponde, approderemo a Pila, oltre Porto Tolle, il punto più orientale del delta. Una pedalata piana di circa 600 km in sei giorni, con tappe di 100-120 km. Per dormire cercheremo alberghetti a prezzi modici e magari ci appoggeremo a ostelli o campeggi. Nel Polesine, visiteremo Grillara da dove ottantanni fa partì mio suocero; soprattutto per i miei figli che non hanno mai visto i luoghi nativi del loro nonno.
Poiché questa biciclettata, nel nostro immaginario, vuole essere la continuazione ideale di quella di Santiago, faremouna deviazione fino a S. Giacomo Po, vicino a Mantova a reiterare i ‘riguardi giacobei’ perchi ce li aveva chiesti l’anno scorso. Siccome poi sul Cammino è usanza raggiungere Finisterre, sull’oceano, per bruciare simbolicamente un indumento, giunti ai bordi del mare ci inventeremo un gesto allegorico.

Da Pila infine raggiungeremo Rovigo per ritornare in treno a Milano e Laveno.
Molto probabilmente troveremo dei lunghi tratti di strada sterrata quindi è stato naturale preferire le bike alle bici da corsa: Patrizio e Tiziano hanno la mountain, io la city e Rubens una city ibrida, dice lui, ma per noi è una mezza corsa.
Per il bagaglio ci siamo affidati alla esperienza dell’anno scorsoe quindi siamo partiti con un equipaggiamento leggero composto di un po’ di vestiario sportivo e borghese, qualche effetto per l’igene e alcuni attrezzi per la meccanica, cercan- do di rimanere sotto i quindici chili.
A Laveno ci avevano raggiunto alcuni amici e parenti per salu- tarci e augurarci buon viaggio, altri hanno telefonato. A Ispra, a casa sua, abbiamo recuperato Rubens che stava litigando con il suo bagaglio.

“Ma non potevi pensarci prima…” gli chiediamo. “L’anno scorso andava bene” è il Rubens pensiero. Si è portato anche il PC perché, a suo dire, deve lavorare (è nel campo compra-vendita auto Jeep). Tira, molla, lascia, c’è voluta mezz’ora prima di riprendere il cammino. Tiriamo un po’ sulla statale per recuperare tempo ma a Sesto Calende il mercato affollato ci rallenta ancora. Ci incamminiamo sull’alzaia del Ticino dove c’è un certo traffico di podisti e ciclisti.Passato la chiusa della Miorina che regola l’afflusso delle acque del lago, ci fermiamo per una foto alla scenografica diga del Panperduto dove partono il Canale Villoresi che arriva fino all’Adda, e il Canale Industriale. Svassi, folaghe, germa ni, gallinelle e trampolieri popolano il Ticino.
Un ciclista incuriosito dalle nostre magliette vuole sapere. “Vi invidio” ci dice e, affascinato, ci accompagna per un lungo tratto. Si chiama Dino, è di Appiano Gentile, ha qualche anno meno di me e, come me, fa il parrucchiere. Per stuzzicarlo di più gli raccontiamo del Cammino di Santiago fatto l’anno scorso.

Appena oltre la diga-ponte di Porto Torre, un’altro dei numerosi sbarramenti sul Ticino, Rubens buca. Tiziano, gommista alla Shell di Laveno e meccanico per l’occasione, la ripara. Altro tempo perso. Dino ci saluta augurandoci anche lui il buon viaggio.
Il cielo prende a coprirsi di nuvole e noi incominciamo ad avere fame. Proviamo a Nosate, al baretto vicino alla chiesetta di S. Maria in Binda ma è preso d’assalto dai ciclisti. Deviamo allora per Turbigo dove riusciamo a farci una pizza ad una tavola calda e il secondo timbro.
Ritorniamo in sella con il cielo che ha preso a gocciolare ma per fortuna, ben presto arriva il vento a spazzare le nuvole. A Turbigo, dove il paesaggio è dominato dai sei camini della centrale Enel, comincia il Naviglio Grande: 26 km. Siamo in ritardo sulla tabella di marcia che prevedeva l’arrivo a Pavia alle 17,30 – 18 e anche i km sono di più di quelli calcolati.
A Castelletto di Cuggiono, vediamo un tandem super accessoriato, a Bernate un battello che solca il Naviglio. Tra Porto Vecchio e Robecco alcuni smottamenti rendono un tratto di strada assai difficoltosa.C’ètantagente senz’altro invogliata dalla giornata di festa.
Alle 16, dopo 85 km, siamo ad Abbiategrasso. Sosta per una bibita e timbro. Anche qui gente sorpresa della nostra impresa. “Siete matti” ci dice qualcuno. “Bravi, bravi” ci incitano altri. Telefonata all’Hotel Stazione di Pavia, dove avevamo prenotato, per avvisare che ritarderemo. Ripartiamo. Tiziano e Patrizio nel passarsi la macchina fotografica di quest’ultimo, la lasciano cadere: salta l’obbiettivo e non è più utilizzabile.

E’ cominciato il Naviglio di Bereguardo, 17 km. Questo canale, a differenza del Naviglio Grande che è quasi sempre infossato fra le sponde, corre a livello del territorio circostante, c’è più visualità, però non si incontra un paese, solo qualche bivio verso borgate che si scorgono in lontananza e poche cascine. Il resto è solo campagna a perdita d’occhio con, all’orizzonte, i profili dei monti dell’Oltrepò pavese. Anche i ciclisti si fanno rari. Un gagliardoventocontrario ci rallenta la marcia, scapigliando le cime degli alberi. Nelle vicinanze del bivio di Besate, a Tiziano scoppia letteralmente la gomma dietro. E’ proprio una giornata storta, troppi auguri alla partenza! Il danno è più grave
del previsto, il cerchio si è crepato e ha tagliato anche il copertone che sarebbe da cambiare ma non l’abbiamo. Ripariamo alla meno peggio. Domani vedremo il da farsi. Alle 18 siamo a Bereguardo. E’ tardi. Rinunciamo a visitare la Certosa così come abbiamo fatto per l’abazia di Morimondo. La via più corta passa da Sanvarese, Torre d’Isola, S. Lanfranco e misura una quindicina di km. Arriviamo a Pavia che sono le 19,30. Abbiamo fatto 120 km e più di 10 ore di strada.
Troviamo subito l’albergo. È vicino alla Minerva. “Non guardatela negli occhi che porta sfiga” dice Tiziano che in queste zone ha fatto il servizio civile nella Croce Rossa.

Ci fanno mettere le bici nel cortile e ci danno due stanze. E’ un buon ambiente che ci costa solo 20 € a testa. Ne spendiamo invece 22 per cenare, cosa che ci fa sforare dal nostro budget. Domani saremo più oculati nello spendere. Telefonate per rassicurare tutti e per Tiziano sarà la prima delle chilometriche chiamate serali. Poi a dormire. Come prima tappa la Minerva non ha aspettato che la guardassimo negli occhi, ci ha visto da lontano.

SUL GRANDE FIUME
Giovedì 26 aprile
Pavia – Piacenza – Cremona

Mi alzo alle 7 e in attesa che gli altri si sveglino, giro un po’ in bici per Pavia. Per me sarà così tutte le mattine. Partiamo alle 8,45. Giornata bella. Visi- tiamo un po’ il centro, uno sguardo al Duomo, al vuoto lasciato dalla Torre Civica crollata nel 1989 che causò quattro morti, e al monumento del ‘Reggisole’ dal cavallo con le palle gialle. Quindi passiamoilPonteVecchio,più noto come Ponte Coperto, in direzione di S. Martino Siccomario, in senso contrario al nostro percorso, dove, ci siamo informati, c’è un negozio ‘Decathlon’.
Tiziano ha deciso di comprare una bici nuova perché questa, oltre al cerchio dietro, quello che, per via dei rapporti sarebbe più difficile sostituire, ha una delle rotelle del cambio con vari dentini rotti e, sinceramente, è vecchiotta. Ci vogliono due ore per preparare la bici nuova (130 €.) e smantellare quella vecchia che lasciamo in un cassonetto appresso al centro commerciale. I pezzi smontati: portapacchi, gomme, ecc., è Rubens che se li carica. Sembra la bici di un robivecchi.
Quando ripartiamo, sono già le 11. Dobbiamo rifare il Ponte Vecchio, attraversare di nuovo Pavia e prendere per il Ponte della Becca. Sebbene sia una città piccola, è comunque dispersiva; bisogna viaggiare a passo d’uomo, schivare macchine e pedoni,rispettare i semafori e poi non sappiamo neanche bene quale strada prendere. Per fortuna incrociamo un signore in bici che, incuriosito dalla nostra tenuta, compresa la nostra difficoltà, ci fa da guida portandoci fuori città abbastanza speditamente. Ci ha preso in simpatia. Si chiama Eugenio, ha 58 anni, pensionato e abita a Valle Salimbene un paesino vicino a Pavia. Ci saluta indicandoci la via per il ponte, consigliandoci di non prendere subito gli argini del Po perché è una strada sassosa, non adatta alle gomme leggere di Rubens.
Abbiamo tenute variopinte da ciclisti, meno Rubens che, sopra i pantaloncini imbottiti porta sempre un paio di larghi bermuda.
Venti minuti e siamo al Ponte della Becca: un lungo e stretto budello dalle nervature in metallo che supera contempraneamente il Ticino ed il Po che sotto le sue arcate si uniscono. E’ il primo ponte in ferro costruito sul grande fiume, nel 1912; distrutto durante la II guerra mondiale, è stato ricostruito com’era. Denota tutti i suoi anni e limiti, ma è un pezzo di storia e lo fotografiamo.

Il grande fiume, appena incontrato, lo perdiamo subito per seguire la provinciale come consigliato da Eugenio. Lo ritroviamo solo dopo un’ora a Portalbera, dove ci fermiamo a mangiare pane e salame sugli argini, all’ombra di una house-boat. Ce ne sono parecchie nella golena di Portalbera, ci dicono che sono le chiatte del vecchio ponte smantellato una trentina di anni fa, adattate a casette per week end. I nostri sguardi sono attratti dal grande fiume che qui fa una curva e vi è un isolotto. In fondo il ponte moderno che porta a Spessa.
“Quanto sarà largo il fiume – fa Patrizio – 500 m?” “Mi sembrano troppi” dico.
“Per misurare la distanza sull’acqua – dice Rubens – si deve fare una stima e raddoppiarla.”
Ha ragione lui perché, sulla nostra cartina che è in rapporto 1,5 cm = 1 km, la larghezza, qui, è quasi di 1 cm, quindi circa 600 metri.

Ritorniamo in sella che sono le 13,30. Poco dopo attraversiamo Arena Po. Di fronte si vede San Zenone Po il paese del giornalista Gianni Brera, dove sfocia l’Olona. Una decina di km e, tra Parpanese e Dogana Po, si entra in Emilia, nella provincia di Piacenza.
“Và che centrale elettrica” fa Patrizio che lavora all’Enel, indicando in lontananza quattro camini bianco-rossi. ‘ENEL CENTRALE ARNALDO AMALDI’ si legge in fronte. Sarà la prima di numerose altre.
Stiamo pedalando nel silenzio su una ciclabile ben segnalata, a tratti sterrata e con pozze, fra distese di campi e prati, superando una miriade di piccole borgate, alcune poco più di cascinali. Sono luoghi già di partigiani e vari cippi ricordano i caduti della Resistenza. Le montagne dell’Oltrepò si fanno più lontane. Più d’una volta vediamo bisce schiacciate sulla carraia. Ci capita anche di scorgere animali insoliti: un ramarro velocissimo, due ciconidi in volo, una lepre in fuga, un fagiano che scappa spaventato …
Vediamo un trattore con uno strano macchinario attraccato dietro dove, cinque o sei persone sedute su seggiolini sospesi, infilano piantine di riso in un rullo bucherellato davanti a loro che, girando, le semina. Mondine meccaniche.
Siamo partiti tardi ma stiamo recuperando: alle 14,30 abbiamo fatto 55 km, appendice per S. Martino compresa. A Porto Tidone la ciclabile è interrotta da una palizzata davanti al passaggio a livello della ferrovia; mi pare di aver letto che la decisione era stata presa dopo la morte di un ciclista travolto dal treno. Dobbiamo fare una deviazione e passare la ferrovia sotto il ponte, sugli argini del Tidone. Sorpresa! il fiume è gonfio e la via allagata. Lo guadiamo in sella e ci troviamo su una strada in terra battuta dove riluccicano infiniti frammenti di vetro. Passiamo con attenzione quel tratto che finisce all’altezza di una fattoria. Neanche il tempo di dire ‘è andata bene’ che a Patrizio esplode la gomma posteriore, un botto che richiama fuori casa un paio di ragazzi.
Bucare dietro è più antipatico perché è più complicato togliere e rimettere la ruota tra catena, cambi e borse. Sostituiamo gomma e copertone con uno di quelli della vecchia bici che avevamo tenuto. Ci vuole mezz’ora e intanto si fa vedere una gazzella dei carabinieri. Che abbiano sentito il botto? Ora manco solo io a bucare.

E’ una giornata calda e assolata. Ci fermiamo al paese seguente, Rottofreno, per un gelato. Siamo all’altezza dei grandi meandri prima di Piacenza e la ciclabile diventa lunga e contorta quindi, a Calendasco, decidiamo di abbandonarla per la più diretta provin- ciale n. 10. Da qui passa la ‘Via Francigena’ che timidamente sta ricomparendo e già avevamo incontrato a Pavia. Passato il Trebbia comincia la lunga periferia di Piacenza. Visita in centro: Municipio, piazza Cavalli, Duomo. Foto e timbro all’Ufficio Informazioni, (quando ci fermiamo, facciamo sempre marchiare il nostro documento), dove ci salutano due ragazze di Milano anch’esse in giro sulle due ruote, che stasera pernotteranno qui.
Sono le 17, abbiamo fatto 85 km, ne mancano ancora una quarantina. La bici nuova di Tiziano pare vada bene. Focaccia e bibita. L’albergo di ieri sera l’avevamo prenotato da tempo ma da qui in poi lo faremo alla giornata. Nei miei appunti c’è il telefono dell’Ostello Archetto di Cremona, l’unico che troveremo nelle nostre sedi di tappa, cosa curiosa se pensiamo che sono tutte città. Chiamo e blocco una stanza family, come la chiamano, per 22 € a letto.
Tre quarti d’ora e ripartiamo. Calcolando che alla nostra media ci vorranno quasi tre ore per arrivare a Cremona, decidiamo di accorciare il tragitto ritornando sulla trafficata SP 10, transitando da Roncaglia, passando il Nure e poi Caorso. “Dov’è la centrale nucleare?” chiedo a Patrizio e lui indica un basso manufatto circolare un po’ distante. “Tutto lì! E io che pensavo a chissà quale obbrobrio.”
A Monticelli d’Ongina, stanchi del grosso traffico, ritorniamo sulla ciclabile che ci porterà fino al grande ponte per Cremona. Anche se la ciclovia è ben segnalata, può capitare che qualche cartello sia spostato o si sbagli a interpretarlo e così ci ritroviamo di nuovo sulla SP 10 ben prima del ponte. Abbiamo comunque guadagnato km e tempo. Un’altra ora e siamo in vista di Cremona. Sono le 19,30. Percorriamo il lunghissimo ponte di ferro con il fondo a griglie da dove si vede il fiume scorrere. I ponti più recenti sul Po, sono tutti lunghissimi perché costruiti con sopraelevate che vanno imboccate centinaia di metri prima delle sponde del fiume.
Chiediamo informazioni a una donna in bici, qui c’è tanta gente che usa questo mezzo favorita senz’altro dal terreno piatto. Fa la stessa strada e ci scorta fin quasi all’ostello. Sono sempre tutti gentili e stupiti della nostra avventura, e come se si sentissero in dovere di aiutare dei coraggiosi, anche se un pò ‘fuori’. Il Torrazzo compare quasi all’improvviso in fondo ad una lunga strada con i profili delle case che fanno da quinte. Bello, imponente e altissimo.
La ragazza dell’ostello, cortese, ci fa portare le bici nella corte e poi ci da le chiavi del locale dove c’è anche la cucina. Patrizio fa la doccia per primo e quando esce, il bagno pare una piscina tanto è bagnato per terra. Per risparmiare decidiamo per pastasciutta e pollo allo spiedo che andiamo a comprare io e Rubens. Facciamo così una cena in famiglia, io cucino e Patrizio lava poi i piatti.
Pensavamo di uscire ma siamo stanchi, anche oggi abbiamo fatto quasi 120 km e siamo stati in giro 11 ore, senza contare che il sole ci ha scottati e ora abbiamo la tipica abbronzatura bicolore del ciclista, occhiaie comprese. La pelle ci brucia e ci fanno male sedere, collo, polsi, ginocchia e altre parti. Non facciamo ritegno di creme. Decidiamo così di rimandare a domattina la visita della città.

SULLE TRACCE DI DON CAMILLO
Venerdì 27 aprile
Cremona – Brescello – Mantova

Alle 7 mi alzo. Un ospite mi offre il caffè che ha appena fatto. Mi racconta che abita nelle case popolari Aler ma siccome sono in ristrutturazione, ha fatto un contratto col comune e per 500 € lo alloggiano un mese all’ostello.
Partiamo attorno alle 9,30. Girovaghiamo un po’ per il centro storico di Cremona dominato dal Torrazzo, stupendo, slanciato ed elegante, facciamo co- lazione in piazza Duomo e la foto con Stradivari. Ci sono varie statue che celebrano il celebre liutaio fra le quali, una opera del nostro Floriano Bodini. Oggi passeremo da Brescello, il paese dove Guareschi ha ambientato le storie di Don Camillo e Peppone. E’ una giornata serena e calda, infatti non passa molto che ci alleggeriamo dei vestiti.
Troviamo il Po appena dopo il parco, dove riempiamo le borracce di acqua frizzante a una fonte naturale. Di nuovo lo lasciamo appena imbocchiamo la ciclabile della Golena del Po, una lunghissima pista elevata, asfaltata, che percorre gli argini fra i vari appezzamenti della campagna. Terminerà a Casalmaggiore dopo 50 km.
Girovaghiamo dentro e fuori, in mezzo al verde e al nulla, solo qualche cascina o minuscola borgata, incontrando pochissima gente e qualche sporadico mezzo. Al lato della strada una biscia stà lottando con un gatto il quale, spaventato dal nostro arrivo, molla la preda che, un po’ malconcia, fila a nascondersi nell’erba.
Avremmo dovuto passare per Stagno Lombardo ma probabilmente abbiamo preso una via secondaria, più lunga, e così il primo paese che incontriamo, dopo 25 km è S. Daniele Po del quale, in lontananza, si scorge la grande chiesa in stile gotico inglese, grigia, solenne, ricca di pinnacoli; veramente suggestiva. Sono le 11 e faciamo un veloce spuntino sui gradini del sagrato.
Rimontiamo in sella sempre nel deserto verde di prati e campi in parte arati. In lontananza le vette dell’appennino piacentino. Nello sfogliare la guida che ho legato al manubrio, sbadatamente muovo il conta chilometri che cade.Fortunatamente Tiziano è dietro e si accorge.
Avvicinandoci a Casalmaggiore i paesi si fanno più numerosi, li individuiamo da lontano per i campanili che svettano sopra le macchie di pioppi e ontani. Abbiamo capito che un paese è capoluogo di comune se possiede il bacino, quegli alti sifoni simili a enormi funghi che fioriscono in tutta la valle padana, le frazioni ne sono sprovviste.
Passiamo Motta Baluffi, Torricella del Pizzo, costeggiamo la grande lanca di Gussola dove, all’ingresso del paese un cartello ricorda che qui è nato Angelo Bergamonti campione motociclista degli anni 60-70.
Le lanche sono tratti di fiume morto, il vecchio letto abbandonato dal Po che ha preso un nuovo corso a seguito di qualche straripamento, ricco di vegetazione e fauna palustre. La golena invece è lo spazio di terreno, alberato o fitto di cespugli, tra gli argini maestri e il corso normale del fiume. Ci sono poi le mortizze che sono le lanche ormai prosciugate e stagnanti.
Viaggiare sull’argine rialzato è più duro che sulla strada normale perché si è ai quattro venti e l’asfalto è più grezzo e fa più resistenza e siccome oggi c’è un pò di vento e un sole che brucia, è anche peggio. Ci fermiamo a scambiare qualche parole con tre donne zavorrate come noi che ci vengono incontro. Sono di Carpi, vogliono arrivare a Lecco, poi Busto Arsizio e, via navigli, giungere a Milano. Superiamo Martignana e alle 13 siamo a Casalmaggiore dove mangiamo un panino in riva al Po che finalmente rivediamo.

Casalmaggiore è il centro principale del- la zona, una gradevole cittadina dove il cotto la fa da padrone, con una grande piazza dov’è il signorile Municipio. Notevole è anche il Duomo. Notiamo pure un torrione in mattoni con orologio che, con sorpresa, scopriamo essere il bacino della città.
Caffè in piazza e due parole con un vecchietto appassionato di due ruote, che mostra parecchia curiosità per le nostre bici, sommeggiate di zaini, borse e decalcomanie. Foto a Patrizio seduto sugli scalini del comune appresso a un cartello che lo vieta.
“Bello neh! – ci fa uno in bici – solo noi a Casalmaggiore ci abbiamo queste cose qui.”
E’ passata un’ora e ripartiamo. Non siamo neanche a metà strada. 5 km ed entriamo in provincia di Mantova, altrettanti e arriviamo a Viadana. Un lunghissimo e trafficatissimo ponte di ferro ci porta di là dal fiume, in provincia di Reggio Emilia. Lo per corriamo su un corridoio esterno ai piloni portanti, stretti tra guard rail e ringhiera e se dovessimo incrociare qualcuno, si farebbe fatica a passare.
Alle 15 siamo a Brescello, nella piazza della chiesa del Cristo parlante. Qui tutto ricorda l’epopea del ‘Mondo Piccolo’ di Giovanni Guareschi: le statue di don Camillo – Fernandel e Peppone – Cervi, il busto di Guareschi, le gigantografie delle scene dei film, la campana, il carro armato, la locomotiva, il museo. Ci sono perfino due bar in piazza titolati ai due protagonisti, noi beviamo quattro birre al ‘Caffè Don Camillo’ dove facciamo il timbro.

“Qui al sabato e alla domenica c’è un mare di gente.” Ci dice la barista. A un negozietto prendiamo una calamita con i due eroi in bicicletta (nobles oblige), qualche altro ricordino e via di nuovo a pigiare sui pedali. Ora non lo immaginiamo nemmeno, ma di qui a un mese questi paesi saranno sfregiati dal terremoto.
Finalmente viaggiamo ai bordi del grande fiume perché finora l’avevamo fatto solo per brevi tratti. Purtroppo fino oltre a Boretto la pista è ai margini della provinciale e non è il massimo. Ritornati nella campagna, percorriamo un lunghissimo viale alberato, due file di pioppi, che, da Gualtieri, per due km e più, vanno dritti verso il Po creando una spettacolare scenografia.
Ci affianca un ciclista, si chiama Claudio, è di Guastalla, cittadina che noi sfioriamo solamentee dov’era vescovo il valcuviano Mons. Zaffrani.
“Da ragazzino il Po l’ho fatto con mio padre in barca. – ci dice – Per quello che so io questo è il punto più largo.”
Ci racconta pure come lui sia un appassionato di maschere tribali e che il più grosso collezionista del genere è di Varese “…poi ha venduto la sua raccolta al Comune di Milano che vuole fare un museo sulle culture del mondo.”
Ci dice pure che ha un cugino sarto a Roma che ha creato i co- stumi per ‘Amadeus’ e altri film. Nel breve tempo di un incontro, la gente ha voglia di raccontarsi e anche noi parliamo.Ci saluta dopo alcuni km suggerendoci di percorrere la strada normale: Luzzara – Suzzara (mai distinto d’acchitto i due paesi tra i quali passa il confine fra Emilia e Lombardia) – Borgoforte – Mantova, perché la ciclabile è sterrata, si perde in mille volute e sarebbe lunghissima. Accettiamo il consiglio perchè sono le 17 e mancano ancora una trentina di km.
Arrivare è una pena. Le vie sono trafficate, le gambe dure, il sedere atrofizzato, ma è soprattutto il sole che ci ha cotto e sfiancato. Cerchiamo di ripararci come possiamo, Patrizio si ripara la testa con una maglietta e pare un faraone. Passare Suzzara è una cosa infinita. Macchine e camion ci sfrecciano vicini. I cartelli si divertono a imbrogliare le distanze. <Mantova tot km>; due km dopo sono tre in più. Ti cadono le gambe. Capiremo poi di aver fatto la lunga tangenziale. Ci tocca anche pompare la ruota posteriore di Rubens perchè, lentamente, si va afflosciando.
Passiamo il Po a Borgoforte, abbiamo fatto già 115 km ma c’è ancora parecchia strada e le bici sono diventate pesanti. Dopo aver attraversato una lunga serie di centri abitati senza soluzione di continuità, arriviamo finalmente a Mantova. Sono le 19. Ci vogliono ancora 30 minuti per arrivare all’Hotel Bianchi, vicino alla stazione, che avevamo prenotato da Brescello con una telefonata: 120 € per una family, ampia ed elegante; colazione inclusa. Anche qui si possono sistemare le bici al sicuro. Siamo in giro da 10 ore e abbiamo fatto 130 km. Sarà la tappa più lunga.
Doccia (Patrizio per ultimo, dopo l’inondazione di ieri sera) e cena in una locandina del centro dove mangiamo riso alla mantovana, ossia con salsiccia. Siamo parecchio indolenziti ma ugualmente, prima di ritornare ci perdiamo un po’ per le strade di Mantova. C’è una fiaccolata organizzata dai sindacati.
Rientriamo a mezzanotte. Domattina la visiteremo meglio.

TRA GONZAGA ED ESTE
Sabato 28 aprile
Mantova – Ostiglia – Ferrara

Avevamo deciso di anticipare una mezz’ora la partenza ma il vantaggio è andato a farsi benedire perché, dopo una lauta colazione, ci accorgiamo che la gomma di Rubens è a terra e la dobbiamo cambiare. E quattro! Riusciamo a partire che sono le 9 passate. Le nostre condizioni non sono delle migliori: ossa e muscoli indolenziti e il soprassella pesto, però è una bella giornata calda.
Visitiamo la città dei Gonzaga, incantevole, storica e ricca di monumenti. In piazza delle Erbe cominciano ad apparire bancarelle. In piazza Sordello dov’è il palazzo ducale, vi è un raduno di auto d’epoca sportive. Qualche acquisto, timbro all’ufficio informazioni, foto col Rigoletto e via. Stasera saremo a Ferrara, la città degli Este.

Perdiamo un’ ora e mezza per uscire dalla città.
“Ma porco cane non potevano metterli questi benedetti cartelli!” Sacramentiamo per l’assenza di segnali che indicano la ciclovia. Con noi c’è anche una coppia modenese di mezza età. E’ un vai e torna in base alle indicazioni che ci fornisce la gente. C’è chi è troppo stringato e chi è prolisso di particolari: ‘il campo sportivo, il distributore, il semaforo, il ponte …’ e al terzo dettaglio siamo già in confusione. Alla fine troviamo la strada giusta. Si tratta di un sentiero nel bosco che costeggia il Mincio, a fianco del forte napoleonico di Pietole (il paese di Virgilio e del mio amico Enzo) immerso nella palude, quasi nascosto da erbacce e arbusti, paradiso per topi e pantegane.
Ad Andes ci dividiamo, i modenesi vanno diretti a Governolo, noi invece deviamo per S. Giacomo Po, come programmato, per rinnovare le ‘attenzioni’ dello scorso anno. Allungheremo di qualche chilometro ma lo facciamo volentieri. Pedaliamo quasi un’ora; passiamo S. Biagio, Bagnolo S. Vito, (siamo nella patria di Learco Guerra, nato nei paraggi, a S. Nicolò. Tutti santi qui.) e finalmente, quasi a mezzogiorno, entriamo a S. Giacomo Po. E’ un villaggio ricostruito nel 1900 dopo essere stato rovinato da un’alluvione. La chiesa però è chiusa e non possiamo accendere il cero come volevamo.
“Se volete potete chiamare la perpetua – ci dice un tizio seduto al bar in piazza – però ha novant’anni ed è sorda”. Non fa nulla, è l’intenzione che conta e noi ci abbiamo messo tutta la buona volontà.
Foto alla chiesa e a un asino che, offeso, si mette a ragliare infuriato come se gli avessimo rubato l’anima. Riprendiamo l’argine, sterrato a tratti, osservati dal Grande Fiume, fino a Governolo dove, attraversato il Mincio, ci fermiamo a mangiare due panini su una panchina di un parchetto.
Ripartiamo che sono le 13, abbiamo fatto finora solo 25 km.Alla mattina non abbiamo mai reso molto, ma oggi è stato anche peggio. Rinunciamo perciò a visitare, come da piano di viaggio, l’abbazia di S. Benedetto, importante sì, ma di là del Po, che ci avrebbe allungato di molto tragitto e tempo.
Pedaliamo solleciti verso Ostiglia, 20 km. Viaggiamo sempre sull’argine con, a destra, le acque calme del Po e a sinistra la pianura verde mantovana. Qui c’è un paese ogni 4 – 5 km che individuiamo a distanza, dal campanile.
Sustinente, Libiola, Torriana, Serravalle e siamo a Ostiglia. Sono quasi le 14,30. E’ un grosso borgo ma non c’è in giro molta gente. Gli ‘Aratori del Po’ stanno allestendo una fiera di vecchi trattori. Fa parecchio caldo. Una birra, due parole con qualcuno del posto e riprendiamo.
“Anche questa qua, và che centrale – fà Patrizio mentre aggiriamo la grande centrale, all’uscita di Ostiglia – e và che ciminiere alte”. Fa davvero impressione.
Si è alzato un pò di vento contrario e, sull’argine, dà parecchio fastidio. Sul cammino di Santiago c’erano salite dure ma la discese poi ti lasciavano rilassare; viaggiare in pianura invece vuol dire pedalare continuamente per delle ore altrimenti la bici non va avanti. Per questi motivi, oggi le nostre condizioni sono peggiorate. Io non riesco a pedalare in piedi per via di un menisco che mi fa male, a scapito del posteriore, Tiziano è assillato da un ginocchio grosso come un pompelmo, Patrizio ha i tendini che gli danno noia, ma è Rubens il più tormentato perchè gli si è gonfiata una caviglia come uno zampone. Gli fa male, fatica tremendamente a pedalare. La velocità diminuisce.
“Ci vuole carattere.” Ripete Rubens e noi ce lo mettiamo tutto. “Chi ve l’ha fatto fare…” ci par di sentire. Nessuno, è così e basta! E’ comunque bellissimo.
Procediamo a volte raggruppati, altre distanziati, pedalando piano, ogni tanto fermandoci un attimo, ma procediamo. Rubens capita che risponda alla chiamata di qualche cliente o del suo socio Valentino e allora rimane indietro.
Patrizio ha comprato una radiolina che ha fissato sul manubrio e così riusciamo a distrarci ascoltando il Varese che oggi vince.
Dopo Correggioli si entra nella provincia di Rovigo. Arriva Melara, poi Bergantino, il paese dei giostrai e della mia amica Ivana, dove siamo assaliti da una bufera di fiori di pioppo; già altrove li avevamo trovati ma qui sembra nevichi. Di là del Po, ci accompagnano per un lungo tratto le quattro ciminiere di un’altra centrale Enel, quella di Sermide. Cartelli biancorossi regolano la navigazione sul fiume.
Altri 20 km e siamo a Castelmassa, che ci accoglie nella sua grande piazza. Ci fermiamo a riposare e chiamare a Ferrara per dormire. Dobbiamo fare più di una telefonata perché è sabato,
c’è il ponte del 1° maggio e sono tutti completi. Troviamo infine, all’Hotel Pizzeria da Santo’ di Pontelagoscuro, sobborgo di Ferrara. Per 45 € a testa ci danno quattro camere singole. Non è ciò che volevamo spendere ma non potevamo fare diversamente. Tra spuntino e telefonate intanto se n’è andata un’ora. Mancano ancora più di 30 km.
Avanti sull’argine fino a Ficarolo, dominata da un altissimo campanile, paese dove, nel 1152 avvenne la rotta più disastrosa conosciuta, quando il Po cambiò il proprio corso e la geografia di tutto il Polesine. Da qui, per evitare l’ampia ansa, scendiamo sulla provinciale. C’è più traffico ma si viaggia un po’ più spediti. Lontano, verso nord, compaiono delle montagne; che siano i Colli Euganei?
A Stienta ci fermiamo alla farmacia per del ghiaccio secco e lasonil. A Occhiobello, paese tristemente noto per la grande rotta del 1951 che allagò tutto il Polesine, riprendiamo l’argine. Facciamo gli ultimi 5-6 km in ginocchio. Alle 19,30 passiamo il ponte a S. Maria Maddalena e in 5 minuti arriviamo all’Hotel di Pontelagoscuro. Non è Ferrara centro, ma abbiamo risparmiato, con sollievo, una decina di km.
Siamo sfiniti. Rubens zoppica vistosamente. Abbiamo fatto 106 km e oltre 10 ore sul sellino. Ci fanno portare le bici in cantina. Ce ne sono molte altre. Tiziano chiama per salutare un suo amico di Besozzo
che abita a Ferrara. Doccia, pizza, una fetta di torta al cioccolato tiepido che ci dicono essere una specialità del posto e in camera. Speriamo che antidolorifici e riposo ci risanino un poco.

IL MULINO DEL PO
Domenica 29 aprile
Ferrara – Pila – Contarina

Partiamo alle 9 sotto un cielo coperto. Oggi giorno importante, un centinaio di km e arriveremo alle foci del grande fiume, alla Pila. Poi ritorno, percorrendo più strada possibile verso Rovigo. Abbiamo quindi deciso di non andare a Ferrara perché fuori dalla nostra rotta, cosa che ci avrebbe fatto perdere, tra andare e tornare, due buone ore, per una visita che sarebbe risultata comunque frettolosa. Pazienza, del resto anche il Po un giorno ha deciso di non passare più da Ferrara. Andremo invece a Grillara e chissà se riusciremo a rintracciare la casa del nonno.
Questo tempo ci permette di viaggiare freschi, non come nel caldo di ieri. Eravamo così cotti dal sole e dalla fatica che non ci siamo nemmeno ricordati di far timbrare i nostri Documenti del Po; solo partenza e arrivo.
Il riposo e i medicamenti hanno fatto da panacea e siamo abbastanza in forma. Non abbiamo quasi più disturbi, tranne Rubens che ha sempre la caviglia enorme. Gli fa male forzarla e allora carica tutto sull’altro piede che ha legato stretto con un elastico alla pedivella. Farà tutto il resto della strada, fino a Rovigo pedalando con una gamba sola.Eroico e di carattere: l’Enrico Toti del Polesine.

Filiamo sull’argine a fianco di prati colorati di gialli fiori di colza che qui coltivano intensa- mente e fanno da coreografia. I paesi si succedono ogni 5-7 km, li scopriamo dallo spuntare dei campanili oltre gli argini, o dietro macchie di pioppi o salici: Francolino, Borgo, Sabbioni, Fossa d’Albero, Ro. A un paese sulla sponda destra, la nostra, ne corrisponde, quasi sempre, uno sulla sinistra.
“Toh! un paese senza campanile, che novità è questa.” Faccio all’apparire di una borgata dove fa bella mostra di se una grande chiesa sprovvista di campane, neanche un campaniletto a vela. La cosa ci incuriosisce e scendiamo dall’argine. E’ Guarda Ferrarese.
“… il primo fabbricato sotto l’argine era la chiesa umile, col breve sagrato… (Riccardo Bacchelli, ‘Il mulino del Po’)”. Recita un cartello.
Non c’è in giro nessuno, poi appare una donna. “Come mai non c’è il campanile?” le chiedo.
“Son stati i tedeschi…” ci risponde col suo accento ferrarese e ci racconta come una volta c’era una torre campanaria tirata giù dai tedeschi nell’ultimo conflitto perché dicevano che salivano i partigiani a sparare, “…il prete, però, ha fatto il quarantotto e ha salvato le 4 campane. Sono state custodite in chiesa per un bel pezzo e ora sono sul sagrato…” e ce le mostra sotto un portichetto.
E’ cortese e preparata, le piace raccontare, ha una cartelletta sottobraccio che fa tanto maestra. “La chiesa una volta era più piccola e girata. – ci dice ancora – Questo è il paese dove Bacchelli ha ambientato il ‘mulino del Po’ . Il mulino ora l’han rifatto a Ro, che è il capoluogo, come monumento.”
La ringraziamo e chiediamo se c’è un tabaccaio perchè dobbiamo caricare il cellulare. Ci dice di provare all’Alberone, il prossimo paese. Cerchiamo ma nulla. Qui c’è una chiesa nuovissima con un piccolo campanile.
Ci viene incontro un gruppo di una cinquantina di ciclisti che tirano come forsennati. Ci fermiamo a farli passare. L’ultimo si ferma a chiederci da dove veniamo. E’ sorpreso e compiaciuto perchè lui è di Solbiate Arno e spesso pedala fino a Laveno. “Ti ho già visto – dice Rubens – ricordo la tua bici”.
Si chiama Renato, è uno di quegli atleti un po’ pazzi di triathlon, è qui in macchina con la moglie e ieri ha nuotato nel Po, ‘era caldo’. Ci meravigliamo non tanto per la temperatura del fiume, ma per il fatto che abbia nuotato in acque che a noi paiono poco salubri. A Cologna si può ricaricare e ci fermiamo. C’è un matrimonio. Salutiamo Renato, andrà poi a trovare Tiziano al distributore dove lavora.
“Minchia quanta strada…” sbotta, non proprio in puro ferrarese, una donnetta, forse appena uscita da messa, al bar ove ci siamo fermati per un caffè. Ci scappa da ridere. Anche lì si chiacchiera e c’è sempre chi, cordiale, vuole darti qualche dritta. Ritorniamo a pedalare sull’argine, sono quasi le 11 e abbiamo fatto 30 km.
Mi diverto a fare un’ultima previsione: “Ora non dovremmo bucare più.” Lo dico quasi per scaramanzia ma è sufficiente un solo km: “Porcaccia di quella vaccaccia – s’infiamma Rubens – gufo della malora, mi stà andando a terra la ruota”. Non si può far altro che ridere e pompare. Fortunatamente tiene, anche se, prima di Pila, dovremo gonfiarla ancora. Potremmo definire questo viaggio: ‘campagne, campanili e forature’.
A Serravalle il grande fiume si divide e comincia l’ampio delta, noi seguiamo il Po di Goro. Avvicinandoci alle foci ci pare che la strada sia sempre in leggera salita, forse è solo un miraggio dovuto al tanto pedalare. Costateremo invece al ritorno, di come l’impressione fosse esatta. Sicuramente il fenomeno è dovuto all’innalzamento delle terre del delta per via dei detriti che il grande fiume si porta con sé.
10 km e siamo ad Ariano Ferrarese dove passiamo il ponte ed rientriamo in Veneto, nell’omonimo paese del Polesine; un comune vastissimo di 80 kmq, la metà di Torino, con un numero infinito di frazioni e località, fra cui Grillara.
Sono le 13 e abbiamo fatto circa 55 km. Ci fermiamo per una piadina in un bar vicino alla piazza. Come sempre scambiamo qualche opinione con la gente del luogo. Qui non pronunciano le doppie, si mangiano le ‘elle, storpiano le ‘gl’ e le ‘z’, e aprono le ‘e’. Ci dicono che Ariano era un comune con 16.000 abitanti ma se ne sono andati in tanti e ora non sono neanche 5.000. Le statistiche rivelano come molti di questi municipi, dopo aver avuto un naturale incremento demografico, ora contano la stessa popolazione dei tempi dell’unità d’Italia.
Da Ariano prendiamo la strada lunghissima e diritta che ci porterà a Grillara. E’ una desolazione vedere paesi spopolati, case chiuse, cascine abbandonate, a volte cadenti. La campagna è spoglia, non si vede una macchia, se non ai lati del Po,epochissimialberi, non si capisce quanto sia coltivata e quanto invece lasciata a prato. Scarse sono le aziende agricole. Anche qui sempre silenzio.
Alle 15 meno un quarto arriviamo a Grillara. C’ero venuto 33 anni fa, mi ricordo di una casa bassa, disabitata e trascurata, addossata ad una morena. Un cartello indica ‘Zona delle dune’, potrebbe essere qui. Troviamo un uomo che sta trafficando in giardino. Gli dico perché sono li, faccio un nome e lui (che ci tiene a farci sapere che ha lavorato a Gorla) conosce la casa del nonno, è li vicino. Non pensavamo proprio di riuscire a ritrovarla. E’ ancora la stessa, un piano, una porta due finestre e chissà come facevano a starci tutti che erano una dozzina. Siamo soddisfatti. Foto e si riparte. E’ ritornato il sole. Oggi gioca la serie A e così ci distraiamo un paio d’ore ascoltando la radiolina di Patrizio.
Costeggiamo lo Scolo Veneto in direzione Porto Tolle, un lunghissimo canale scuro strapopolato di grossi lucciperca e qualche pesce rosso. Un cartello avvisa che è permessa solo la pesca ‘no kill’, ovvero si deve ributtare il pesce. Superiamo, su un lungo e soprelevato ponte, il Po di Gnocca e planiamo a Porto Tolle, il paese che non esiste. Si perché questo è il nome convenzionale di tutto il comune, che di Ariano si fa un baffo: 227 kmq, un quinto della provincia di Varese, con 10.000 abitanti. Il municipio è a Cà Tiepolo, dove ci fermiamo per un gelato.
Riprendiamo. Siamo di nuovo sul Po Grande che dobbiamo scavalcare a Fraterna. Ora solo pochi km ci separano dalla Pila.

Pensiamo di piegare a destra sull’argine dopo il ponte, anche questo soprelevato, ma non c’è la rampa, solo un’angusta scaletta e siamo costretti a seguirlo e fare un lungo giro sulla provinciale, fino a Ca Zuliani.
Da qui viaggiamo per 5 km in una fettuccia di terra, tra gli argini del Po, le cui acque stanno più in alto del territorio intorno, e l’immensa sacca palustre delle valli di Ca Zuliani. In fondo, di là del fiume, l’ultima centrale Enel. A parte corvi, che abbiamo trovato ovunque, gabbiani e qualche raro trampoliere, nessun’altro volattile. Il paradiso della fauna, ci è stato detto, e nella sacca di Scardovari, più a sud: aironi di ogni specie, garzette, germani, tarabusini, svassi, ecc.
A Pila arriviamo alle 17,30. Abbiamo fatto 96 km. Il nostro viaggio è durato 5 giorni e 570 km. Cinque forature, una bici andata, e una macchina fotografica distrutta.
Nell’avvicinarci studiavamo il gesto simbolico che avremmo fatto per chiudere il nostro viaggio. Pensavamo a un atto liberatorio, a qualcosa da lasciar andare nelle onde. E così siamo andati tutti in riva al fiume e abbiamo gettato una bottiglia con dentro un foglio sul quale abbiamo scritto la data, le tappe del nostro raid e i nostri nomi. Come nei migliori film e nei più bei romanzi. (Che cosa avevate pensato?)
Pila è l’ultima località stabilmente abitata, ed è meta di turisti festivi, come oggi che c’è il ponte del 1° maggio. Al baretto che troviamo, beviamo qualcosa e facciamo il timbro.
Ci fermiamo in tutto un’ora, riparazione camera d’aria di Rubens compresa, (speriamo sia davvero l’ultima volta) prima di rimetterci in sella per il ritorno.

Più strada facciamo stasera e meglio sarà domani, così risolviamo per una tirata unica di 25 km sul Po Grande, fino a Contarina dove cerceremo da dormire. Per la prima volta ci mettiamo in formazione da corsa e, con cambi regolari, pedalando lingua fuori, in un’ora arriviamo a Contarina, nel comune di Porto Viro, un altro dei municipi mostro. Anche Rubens fa la sua parte e, dopo tanti chilometri, handicap vari e borse pesanti, non è certo cosa da ridere tenere i 25 di media. Ogni tanto qualcuno ci osservava incuriosito sfilare veloci.
’Affittasi appartamenti a partire da 15 €’ è il cartello che espone un albergo all’ingresso di Contarina. E’ Villa Carrer, una grande casa patrizia d’epoca. Forse andrebbe un pò “rinfrescata” ma ha un certo fascino. Sotto il portico una Jaguar. Entriamo in un elegante salone d’ingresso, c’è silenzio, pare non ci sia nessuno, poi, all’improvviso come un fantasma, appare un uomo sulla cinquantina.
“E’ tutto pieno – ci dice, garbato, col suo accento veneto – ci sarebbe un appartamento ma è in disordine”.
“Ma noi siamo come boy scout” dico.
“Mia moglie non vuol fare brutta figura – ribatte -… però ve lo faccio vedere.” E’ un bilocale, sala, stanza e due bagni al secondo piano. Vorrebbe e non vorrebbe per via della moglie. Alla fine lo convinciamo e ce lo dà per 80 €, colazione compresa. Non fa nulla poi se dobbiamo portare su due brande e prepararle e c’è puzza di fumo. Oggi abbiamo fatto 121 km e viaggiato 10 ore e mezza. L’inconveniente è che in questo paese il posto più vicino per mangiare è a oltre 2 km, sull’argine buio. E pensare che l’albergatore si era offerto di accompagnarci in auto.

“Che cos’è?” chiede stupito il cameriere a Tiziano che gli ha appena ordinato una panachet. ”Birra e gazosa!? – straluna – Mai! La birra non si rovina.” E così anche Tiziano, come noi, beve una gustosa cervogia doppio malto. Altri 2 km per tornare, ma è stata comunque una bella serata, una buona pizza e una piacevole conversazione.

POLESINE BASTARDO
Lunedì 30 aprile
Contarina – Rovigo – Laveno

“Ma in questa casa hanno girato qualche film?”
chiedo a Francesco, il proprietario di Villa Carrer, che ci sta servendo la colazione.

C’è anche la moglie che si scusa per la stanza in disordine. Sono le 7,30, siamo forse i primi clienti che si alzano. E’ un avvocato pentito, come dice lui, che si è messo a fare l’albergatore. Alto, cortese, con uno spiccato senso dell’umorismo, sorride alla domanda.
“Si – risponde – ‘Polesine Bastardo’ ma è la storia di un usuraio…” si schernisce e a noi scappa un risolino. Poi ci dice che è stata costruita dai dogi Contarini, ampliata due secoli dopo.
Intorno alle 8 salutiamo e partiamo per Rovigo distante 45 km circa, dove dobbiamo arrivare pima di mezzogiorno per prendere il treno e cominciare il ritorno.

E’ coperto, stanotte ha piovuto. Pedaliamo sull’argine passando la grande conca di navigazione che mette in comunicazione il Po Grande con quello di Levante, che si vede vicinissimo. Poco oltre i numerosissimi pannelli solari del recente campo fotovoltaico. Passiamo Cavanella Po, Mazzorno Sinistro e, dopo 11 km siamo a Bottrighe. Seconda colazione, ultimo prelievo al bancomat, e via verso Adria, nella trafficata provinciale.
Sulle strade di lunga tratta, le segnalazioni sono a misura di auto e così, se le segui, ti trovi a pedalare sulla circonvalazione, come abbiamo fatto noi, allungando il tragitto. Come ci era già capitato a Suzzara.
Come ieri sera procediamo in formazione, ma Rubens ha sempre la caviglia gonfia e non tira. Pedalare per centinaia di chilometri con una gambasolaèdavvero dura. Ogni tanto gli diamo una spinta. (L’infiammazione è dovuta ai legamenti del ginocchio, gli dirà il fisiatra, e ne avrà per oltre un mese.)
Autotreni in successione ci sfiorano, rotonde e incroci richiedono attenzioni maggiori. Passiamo Villadose e alle 11,30 siamo davanti alla stazione di Rovigo. 3 ore e 30 per fare 46,500 km precisi, alla media di 19,4.

Il contachilometri generale segna 643 km da Laveno, 55 le ore che siamo stati in strada e 37,30 quelle, tolte le soste, di effettivo pedalare, e 17,6 la media.
Il primo treno è alle 12,40 e così abbiamo il tempo di quattro panini in stazione e un caffè al bar dove ci facciamo fare l’ultimo timbro. I biglietti, mezzi compresi, costano in tutto 77 €. Si deve cambiare a Verona. A Brescia sale una coppia di ragazzi di Borgomanero anche loro in giro in bici. Hanno fatto Borgomanero-Mantova-Lago di Garda-Brescia in due giorni: il primo ben 180 km. Dialoghiamo un po’. La ragazza sembra stanca e si lamenta sopratutto per il sedere.

In testa però ci era rimasto quel ‘Polesine Bastardo’ che ci aveva fatto sorridere e, incuriositi, siamo andati a fare un giro in Internet. Abbiamo così scoperto che si tratta di un film seriale dove vengono narrate le avventure di ‘Nutriamen’, una specie di mostruoso supereroe del Polesine che, morso da una nutria geneticanente mutata per via dell’inquinamento, si trasforma in una nutria umana e combatte il male e i cattivi. Un film demenziale parlato strettamente in dialetto polesano che,dallerecensioni,pareabbiaunbuon successo in loco. Meglio dell’incredibile Hulk.
Quando non ci appisoliamo, facciamo a gara a ricordare luoghi, persone e particolari. Ci divertiamo come bimbi e riusciamo a trovare anche i nomi per le noste bici. La mia siccome ha fatto il Cammino di Santiago è la ‘Jacobea’. Tiziano la battezza ‘Black Gate’ (cancello nero) per via del colore e del peso. Patrizio che ci ha allietato tutto il tragitto con lo ‘gnik-gnik’ dei pedalini, la chiama ‘Cigoliña’. Rubens, infine, dato che ha bucato tre volte, la denomina ‘Meravijosa’.
Insomma siamo sull’euforico demenziale.
Sarà la reazione alla malinconia che s’insinua al volgere del termine di qualcosa di bello, qualcosa per cui hai sognato, gioito, imprecato e che noi abbiamo fatto in famiglia. Un’occasione, ora che siamo grandi e viviamo sparsi, di stare ancora tutti insieme, come una volta, per un tempo alquanto lungo. Vuoi mettere!
Senza sottovalutare che, in quest’epoca dove tutto va di corsa, riuscire a muoversi con tranquillità, come appunto con la bici, ti fa scoprire mondi e sensazioni nuove, eppur antiche.
Alle 13,30 siamo alla Centrale di Milano. Pioviggina. Non possiamo neanche lamentarci perché il cielo c’e la mandata davvero buona mentre qui, invece, non ha mai fatto molto bello. Con le nostre bici cariche attraversiamo la città sotto l’acquerugiola, fino alla stazione delle Nord. I biglietti costano 40 € globali. Sono gli ultimi soldi. Abbiamo speso (bici nuova e regalini a parte) per mangiare, dormire, colazioni e spuntini, 1.200 €, ossia 300 a testa, ovvero 50 € giornaliere a cranio. Meno del preventivato.
Arriviamo a Laveno alle 19,30. Piove sempre. Saluti, abbracci e l’appuntamento fra due giorni per rivedere le foto.
“… e l’anno prossimo che faremo?.”

Sul percorso del Ticino e del Po da noi seguito s’affacciano 12 provincie, ne abbiamo attraversate 9, non siamo entrati nei territori di Novara, Lodi e Parma.
Dei 643 km km totali, in ogni provincia ne abbiamo percorsi circa: Va 45 km – No 0 km – Mi 52 km – Pv 65 km – Pc 70 km – Lo 0 km – Cr 75 km – Pr 0 km – Re 38 km – Mn 80 km – Fe 58 km – Ro 160 km.

E’ possibile scaricare la versione Pdf di questo racconto che contiene altre immagini, i dettagli del percorso e delle tappe del cicloviaggio di Giorgio, Rubens, Tiziano e Patrizio.

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Pubblicato da
Marco

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