di Francesco Cecchini –
Chi e’ il traduttore?
Un luogo comune afferma che tradurre è tradire, ma l’affermazione è un trito cliché privo di significato. Tradurre è capire e comunicare quello che si è capito. E’ un’attività necessaria perchè gli uomini, dagli incresciosi fatti della Torre di Babele, parlano e scrivono in lingue differenti tra loro.
Al lodevole tentativo di assaltare il cielo e detronizzare un Dio despota e mal sopportato, questi rispose “Ecco, essi sono un popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera ed ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo, dunque e confondiamo loro la loro lingua, perchè non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”.
Così fece, fondando in questa maniera la categoria dei traduttori. Da allora infatti, tra gli altri inconvenienti e certamente non il principale, per capire cosa scrive un autore, diciamo, kagico la maggior parte di noi ha bisogno che il testo sia tradotto nella propria lingua.
Anche chi, come me, legge lingue straniere traduce nella mente per capire ed anche imparare sia l’italiano che la lingua straniera. Inoltre è un’esercizio che perfeziona la scrittura. Fa capire come lo scrittore scrive e costruisce le proprie storie. Insegna a inventare le storie.
Non ho nessuna formazione, a parte poche ore di lezione nei pochi anni di scuole superiori. Conosco un paio di lingue forse tre. Una di queste, quella che più amo, è lo spagnolo. La scuola è stata lavorare e vivere in vari paesi dell’America Latina, tra questi il Perù.
Molti anni fa per un anno intero, un paio di volte al mese, andando da Lima ad Ancascocha, Cora Cora e da qui di ritorno sono passato per Puquio, un paese delle Ande centro meridionali, dove mi fermavo sempre per una sosta, per tirare il fiato e mangiare un boccone. Quando a Nazca, dopo aver alloggiato all’Hotel de Turistas, ascoltato Maria Reiche parlare delle linee, dormito poche ore, all’alba abbandonavo la Panamericana e salivo verso la cordillera iniziava un viaggio epico, ogni volta una storia, di molte ore per una strada stretta e di terra, fino alla puna, per attraversare l’altipiano e poi scendere alla diga di Ancascocha, a circa 3000 metri ed a una decina di chilometri dal pueblo di Cora Cora.
La descrizione del viaggio e la narrazione delle storie ora non importano molto. Ma non mi dimentico In alcuni punti strapiombi verticali , cieli limpidi da dicembre a maggio e nubi di polvere sollevata dall’auto, dalle poche corriere e camions. Durante l’inverno che inizia a giugno pioggie torrenziali, fango e frane. Nella puna le vicune a tratti corrono parallele all’auto. A volte si incontra l’Esercito a volte Sendero, c’ è sempre un biglietto da pagare per poter passare e continuare il viaggio.
Una sera in un caffé di Miraflores, l’Haiti racconto il viaggio ad un ‘amica di Lima, Maria studentessa di lettere all’Universita di San Marco ed ammiratrice Abigmael Guzman,il Presidente Gonzalo. Parlo della sosta a Puquio per mangiare in ristorante della Plaza de Armas. Caldo de pollo, cuyes arrosto, patate, chicha morada e caffè lungo e nero e Maria esclama con voce eccitata.
“Ma Puquio è il pueblo dove José Maria Arguedas ha trascorso parte della sua infanzia ed adolescenza, parlando il quechua prima che il castigliano. Arguedas, il grande scrittore peruano peruano, che ha scritto romanzi dove l’idioma dei conquistasores si incrocia con quello degli inca e con lo spagnolo delle Ande. A torto è stato definito infigenista mentre è un’inventore di scrittura con una coscienza sociale. Un grande crittore più grande di Palma, di Ciro Allegria e perfino di Vargas llosa”.
Maria dice Vargas losa con ironia ed una punta di disprezzo.
“Proprio a Puquio, Arguedas ambienta il suo primo romanzo del 1941. Yawar Fiesta, Fiesta de sangre , Festa di sangue. E’ il romanzo del Perù andino, figlio degli incas e degli spagnoli. Leggilo i tuoi viaggi dalla costa alla sierra non saranno più gli stessi. Sarà diverso quello che ascolterai e vedrai, perchè lo capirai meglio”.
Maria continua a parlarmi di Arguedas. Della sua vita, dei romanzi, Yawar Fiesta, El Sexto, Los rios profundos, della scrittura, dell’impegno, dell’infelicita e del suicidio. Da narratore dei miei viaggi andini divento un ascoltatore preso dall’uomo e dallo scrittore Arguedas, raccontato da Maria. Il giorno dopo non vado in ufficio, ma cerco il romanzo Yawar Fiesta nelle librerie del centro di Lima. Lo trovo in una all’inizio del Jiron de la Uniòn. Un piccolo libro tascabile pubblicato dalla Editorial Horizonte. In una copertina copertina gialla un toro nero con con un condor, dalle ali spiegatre legato al dorso che lo ferisce con gli artigli ed il becco. Da dorso del toro sgorgano fiotti di sangue rosso. La commessa mi dice che nel romanzo non viene descritta nessuna lotta tra toro e condor, dicono che nella sierra ancora le organizzino, sono una variante della yawar fiesta, ma forse sono tutte leggende. Lei viene da Ayacucho, ne ha sentito parlare ma ma non l’ ha mai viste.
Dopo il lavoro e la cena, rinuncio ad uscire ed inizio la lettura che termina la mattina del giorno dopo; è sabato, per fortuna, e posso dormire quanto voglio. Leggendo traduco mentalmente dallo scritto di Arguedas all’italiano, per fortuna le molte parole in quechua hanno a piè di pagina una spiegazione.Ayllu è il villaggio indio, chalos sono i meticci, yaku è l’acqua e cos’ via.
Alcune parti poche e non lunghe le traduco per iscritto. L’incipit per esempio, o meglio l’inizio dell’incipit.
“Tra ampi di erba medica , coltivazioni di frumento, fave ed orzo su una collina accidentata si trova il villaggio.
Dalla gola di Sillanok si vedono tre torrenti che scorrono avvicinandosi tra loro via via che arrivano alla valle del grande fiume. I torrenti scendono dalla puna correndo in letto brusco ma poi si distendono in una pampa irregolare dove c’è perfino un piccolo lago; termina la pianura ed il corsso dei fiumusi rompe un’altra volta e salta di cateratta incateratta fino ad arrivare innfondo all valle.
Il villaggio si vede grande, sopra il monte, seguendo la collina tetti di tegole si alzano dalla riva del torrente, dove crescono alcuni eucaliptos, fino alla cima; nella cima terminano perchè sul bordo della collina si trova la via Bolivar dove abitano i notabili…”.
Il romanzo racconta di una tradizione delle comunità indigene del Perù, la corrida india, dove il toro viene affrontato non in una plaza de toros da un torero, ma all’ aperto da centinaia di indios. Durante il massacro del toro e di qualche indios si suonano delle trombe le wakawak’ras , fatte dalle corna di tori uccisi ne negli anni precedenti. La tradizione rischia quell’anno di venire sconvolta da una ordinanza dell’autorità di Lima che proibiscono la forma selvaggia praticata dagli indios ed prdinina che la corrida avvenga nella forma civile praticata dagli spagnoli: in una plaza de toros anche se provvisoria e da un torero professionista. Alla fine le cose non vanno come ordinate. Il giorno della festa centinaia di toreri indios occupano Puquio. Cori di donne cantano inni che incitano il toro.
Ay turullay, turo, wak’raykuiari, sipiykuyari, turullay turo
Ay toru cornea pues, mat pues totro
Ahii toro. Dai incornalo, dai uccidilo, toro, toro.
Ed ancora
Turullay, turo, wak’raykunkichu sipiykunkichu turullay, turu!
Ay toro, toro como has de cornear, como has de matar, toro,toro
Ibarito, il torero venuto da Lima, si fa impressionare dai cori
“Senor Escobar potrebbe chiudere la bocca a queste donne che già vedono il mio cadavere”
Inizi a toreare , ma quando il toro si avventa sul suo corpo e tenta di travolgerlo, corre a gambe levate a ripararsi. Gli abitanti di Puquio lo sfottono ed incitano gli indios toreri ad affrontare l’animale che ne incorna uno e poi viene abbattuto con un candelotto- di dinamite.
Vede signor Sottoprefetto? Queste sono le nostre corride, la vera festa di sangue. Diceva l’Alcalde nell’orecchio dell’Autorità”
Della lettura ne parlo per telefono a mia moglie Elena che mi informa che il romanzo, tradotto da Umberto Bonetti è stato pubblicato da Einaudi, assieme ad altri lavori di Arguedas, I fiumi profondi, Il sesto
Quando a fine anno ritorno,per le vacanze di natale, in Italia è la prima cosa che leggo, Festa di sangue. E’ un’ottima traduzione che trasmette al lettore la storia drammatica di questa corrida india, ambientata nelle Ande del Sud. Bonetti inoltre sa conservare in italiano il sapore di uno spagnolo speciale influenzto dal quechua sia dalla la presenza di molte parole sia dalla struttura del testo, innanzitutto i dialoghi. Comparo la traduzione Bonetti con i pochi pezzi che ho tradotto e vi sono delle differenze, ma tutto sommato ininfluenti. Che importanza ha tradurre la parola varayok con alcalde invece che con saggio? O jiron con giron e non con via? O riachuelos con fiumiciattoli invece che con torrenti? Nessuna o molto poca agli occhi del normale lettore. Bravo Bonetti!
Leggo la traduzione italiana, con a fianco il testo originale ed anche quei pochi brani che ho tradotti. Al termine della lettura sono tentato di terminare il mio esecizio di traduzione, per migliorare italiano e spagnolo, anche se quello di Arguedas à molto speciale, molto peruano ed indio. Lo farò con molta lentezza e a saltoni, ma alla fine, dopo decenni, esiste un Yawar Fiesta tradotto da Francesco Cecchini. Alla fine posso pensare che anch’io sono un traduttore.
I miei viaggi Lima Nazca, Puquio, Anchascocha e Cora Cora attraversavano un Perù, ora, cambiato. La strada non è più di terra ma asfaltata. A Puquio non si mangia solo caldo de pollo e cuyes arrosto, ma anche cibo internazionale, pasta e bistecche. Cora Cora, un peueblo isolato e povero, nell’agosto di quell’anno veniva presa da Sendero Luminoso, e tutta la giunta comunale di Izquierda Unida, compreso il sindaco donna uccisa, dopo un proceso sommario nella Plaza de Armas Ora è un paesotto tranquillo, con molti commerci con la costa e Lima. Vi è anche internet.
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