In Brianza
Salvatore C. è stato un tranquillo imprenditore della Brianza, titolare dell’International Wireless Company. La sua azienda con il nome di Fleming operava a Milano sin dal dopoguerra nel settore dell’elettronica e radiocomunicazioni, nella produzione di componenti per la GBC e la Telefunken. Si trasferì poi a Lomagna, dove cambiò il nome dell’azienda in Faraday e in seguito in I.W.C. (International Wireless Company). La catena di montaggio ancora non esisteva, ma nel suo stabilimento si producevano 300 radio il giorno. L’azienda, nel periodo di maggiore sviluppo, superò il numero di cento dipendenti. Le radio venivano esportate in Francia, Germania, Spagna, Grecia, Cipro, Egitto e Marocco. La Turchia e la Tunisia, paesi che avevano adottato misure di protezione, acquistavano solo componenti elettronici che venivano assemblati sul posto. Negli anni ‘60 la liberalizzazione dell’importazione dei prodotti elettronici mise in seria crisi tutte le aziende italiane ed europee del settore, tra le quali la Marelli, Phonola, Magnadyne e Geloso, tutti marchi dal glorioso passato. Salvatore afferma che negli anni Ottanta, per i produttori italiani del settore, stava iniziando la fase di disarmo; era ormai impossibile combattere ad armi pari con la concorrenza della produzione di radioricevitori provenienti dall’Oriente. Le radio giapponesi erano trenta volte meno costose di quelle italiane. Ciò era in gran parte dovuto al costo della manodopera asiatica molto più basso di quello europeo. Delle 135 imprese italiane del settore, 120, tra cui la Radiomarelli, Magnadyne, Europhone e Transcontinental imprese con migliaia d’addetti, chiusero, fallirono o furono acquistate da multinazionali. Un vero smacco per la patria di Alessandro Volta e di Guglielmo Marconi!
Una vita nel segno dell’ottimismo
Salvatore ha vissuto una vita intensa ed avventurosa, studiò a Malta, si diplomò perito radiotecnico all’ Istituto Montani di Fermo. Durante l’ultimo conflitto mondiale fu ufficiale di fanteria e interprete in vari campi di concentramento italiani. A Soriano del Cimino (VT) prese parte alla preparazione dell’invasione di Malta (operazione C3), che non fu mai attuata. Tutta la sua vita è stata improntata all’ottimismo, che non gli viene meno nemmeno ora che è ottuagenario. Sostiene di aver sempre avuto una mentalità internazionale, universale, non ha mai concepito la discriminazione degli uomini in base al paese di provenienza. Ai suoi tempi non c’erano davvero moltissime persone che la pensavano come lui! Verso la fine di luglio del 1980, decise di fare un viaggio d’affari per visitare e contattare direttamente i clienti più importanti, sparsi attorno a tutto il bacino del mar Mediterraneo.
Il viaggio era inteso all’acquisizione di nuove commesse ed all’eventuale recupero di crediti in Italia e all’estero. Armato di buona volontà, coraggio ed accompagnato dalla consorte Rina, si mise in marcia con una vettura Opel Rekord diesel familiare. Il viaggio iniziò da Lomagna (allora in provincia di Como), piccolo centro situato a12 Km a nord di Monza, in direzione Lecco, che all’inizio degli anni ’60 non raggiungeva i 1.000 abitanti. In quel periodo era considerata zona depressa, tanto che le aziende che vi s’insediarono beneficiarono di dieci anni a tassazione ridotta. Salvatore non portò con sé campioni, ma solo il materiale indispensabile per far conoscere i suoi prodotti. Non dimenticò l’inseparabile minuscola radio portatile dotata d’auricolare.
Si dirige verso sud, ma nel frattempo a Bologna…
Non ricorda precisamente la data della partenza, ma un particolare ci aiuta senz’altro. Il viaggio comportò diverse tappe e soste. La prima nei dintorni di Bologna dove, dopo aver visitato un cliente, si fermarono a pranzo. Durante il pasto, tramite la minuscola radio, appresero che era scoppiata una bomba all’interno della stazione ferroviaria di Bologna. La moglie Rina ricorda addirittura di aver udito in lontananza il boato della deflagrazione. Il fatto accadde sabato 2 agosto 1980 e sarà poi ricordato più facilmente dagli Italiani come la “strage della stazione ferroviaria di Bologna”. Strage perché ci furono 85 morti e 200 feriti. Ricorda Salvatore che più che un viaggio, si trattò di un’avventura ormai parcheggiata tra i ricordi più belli. Fin dalla sua prima auto, una Balilla, ha sempre avuto l’autoradio. Allora le poche che si trovavano in commercio erano costosissime. Quando i transistor ancora non esistevano, lui l’aveva costruita da solo con le valvole termoioniche. Come antenna aveva adattato il portapacchi (opportunamente isolato). La musica riprodotta da apparecchi a valvole, in ogni modo, era migliore e meno aspra di quella dei moderni sistemi digitali. Dopo aver visitato il suo agente di Ariccia, a sud di Roma, pernottò a Genzano sui dolci colli Albani. Il mattino successivo di buon’ora proseguì per Napoli e Reggio Calabria con sosta a Polla in provincia di Salerno. Salvatore ci tiene a precisare che a quei tempi l’autostrada A/3 (Salerno – Reggio Calabria) si percorreva bene, non era quell’inferno che si sente descrivere oggi dai telegiornali. Anche se erano i primi giorni d’agosto il traghetto per Messina non richiese lunga sosta per l’imbarco. Fu tranquillo anche il trasferimento fino a Palermo. Qui Salvatore commise un errore. Con l’intento di trovare un motel fuori città, si avventurò in strade secondarie sempre più isolate e solitarie che, date la zona e la notte subentrata, non facevano presagire nulla di buono. La moglie, apprensiva, attraversando quei paesi deserti, bui e dai nomi tristemente noti come Alcamo e Calatafimi, si sentiva molto a disagio. A Caccamo trovarono un bar ancora aperto, chiesero se fosse possibile pernottare. Il gestore fece alcune telefonate, squadrando Salvatore da sotto la burritta, che dopo aver ringraziato preferì proseguire velocemente verso Trapani, dove giunsero in piena notte. Stanchi com’erano, si addormentarono in auto confidando nella buona sorte. Verso le 5,00 del mattino incominciò un gran viavai; egli non si era accorto di essersi fermato nella zona del porto. All’apertura del più vicino bar si rifocillarono con un’ottima colazione a base di cornetti e brioche caldi e si consolarono, in parte, della non certo riposante nottata. Si recarono di corsa all’agenzia per acquistare i biglietti d’imbarco con l’auto sul traghetto della Tirrenia e dopo qualche ora finalmente partirono per Tunisi.
L’accogliente Tunisia
Dopo diverse ore di tranquilla navigazione, non del tutto confortevole dato il sovraffollamento estivo del traghetto, giunsero al porto de La Goulette. Le operazioni doganali e di sbarco furono d’ottima qualità: tutto il personale si dimostrò cortese e disponibile verso gli Italiani. Il porto si trova a ben dieci chilometri di distanza dalla capitale tunisina. Raggiunsero il centro città, ma loro non avevano una prenotazione e data la stagione turistica in corso, gli hotel di maggior prestigio erano al completo. In città Salvatore aveva diversi clienti, uno dei quali gli consigliò un albergo piccolo ma centrale, confortevole e pulito, “La maison doreè” in rue de Hollande et d’Alsace. Questa via inizia da avenue de France a soli quattro isolati dalla parte più bassa della Medina. Il giorno successivo fu dedicato a risolvere problemi di lavoro con tre clienti; restò però del tempo per fare un giro turistico nella città e ovviamente alle rovine di Cartagine con vista esterna del palazzo presidenziale. Fecero un ricco pranzo in un prestigioso ristorante proprio in riva al mare di Cartagine. Non mancò la visita al piccolo e ordinato souk ed alla zona commerciale dei prodotti artigianali locali. Poi un veloce sguardo alla città moderna che in realtà non offre granché di caratteristico. Salvatore godette della gradevole città, tanto da conservarne un piacevole ricordo. Per Salvatore, allora, prevalevano gli impegni di lavoro, quindi visitò altri clienti, con i quali era già da tempo in contatto e ottenne delle buone commissioni. Il giorno successivo, dopo aver lasciato l’autovettura Opel nel parcheggio antistante l’aeroporto di Tunisi, s’imbarcarono con uno sconsigliabile, traballante, piccolo aereo dell’Air Malta, diretti nell’isola di Malta.
Malta, l’isola del cuore
Dopo un breve volo, l’aereo atterrò con grande sollievo all’aeroporto di Luqa. Le operazioni doganali, a differenza dell’arrivo in Tunisia, furono lunghe e fastidiose. Con un malfermo autobus (scarahbank in maltese) raggiunsero La Valletta (El Belt) ove alloggiarono all’hotel Osborne (in South Street). Rivedere quest’hotel, che era il massimo ai tempi in cui Salvatore abitava nell’isola, fu una delusione: era rimasto lo stesso di mezzo secolo prima. Ciò nonostante alloggiarono bene e il nostro imprenditore afferma che dovendo tornare a Malta vi si fermerebbe volentieri, non fosse altro per motivi nostalgici. A Malta, oltre alla capitale, Salvatore prese contatto con i clienti delle seguenti località: Msida, Floriana, Sliema, Senglea ed Hamrun. Dai clienti fu accolto bene, ma le commissioni furono poche. Approfittò dell’occasione per far conoscere alla moglie i luoghi dove aveva trascorso l’adolescenza. Nell’isola si fermarono tre giorni, durante i quali Salvatore tentò, senza successo, di rintracciare i vecchi compagni di scuola. Alla Valletta fece visitare alla consorte molti luoghi interessanti che ricordava con grande nostalgia: la cattedrale di San Giovanni, con il dipinto di Caravaggio e la statua di S. Paolo con l’anulare mancante.
Visitarono anche Hasting e Barracca due giardini che frequentava spesso dai quali si gode un ottimo panorama sul porto di Valletta con vedute della Cospiqua e del forte Sant’Elmo. Visitarono anche la scuola che aveva frequentato prima dell’ultimo conflitto mondiale, i negozi e la città in genere. Questi luoghi risvegliarono, in Salvatore, i ricordi di quando era ragazzo ed abitava alla Valletta con i genitori, gestori dell’albergo Italia, uno dei primi a fornire il servizio d’acqua corrente in camera. Ripensò alla borsa, ove riponeva i libri per recarsi all’Istituto Italiano Umberto I negli anni dal 1929 al 1935. Il papà aveva acquistato la cartella da Mamo in strada Zaccaria (a quei tempi i nomi delle strade erano scritti in italiano). Nell’isola, per via della base navale, c’era allora un gran movimento di ufficiali inglesi. Furono clienti dell’hotel Italia il noto compositore Pietro Mascagni (1863 – 1945), il sacerdote Refice Licinio (1885 – 1954) compositore lirico e il baritono Basiola Mario. Salvatore mostrò la città vecchia, vero gioiello d’architettura che piacque molto a sua moglie Rina. Egli ricorda che la capitale dell’isola, quando ancora non esisteva La Valletta, si chiamava La Notabile, come vollero i Cavalieri di Gerusalemme (anziché Rabat come è ritornata a chiamarsi oggi). Assistettero alla festa religiosa che si tiene a Mosta, dove si trova una veramente bella ed interessante chiesa tenuta come un gioiello e che possiede la seconda cupola al mondo per dimensioni, dopo quella di San Pietro a Roma. Questa festa religiosa stupì e divertì molto la moglie. Essa si svolge con un folclore tutto particolare; comprende funzioni religiose, processioni in costume e luminarie che durano almeno tre giorni, con inni, canti liturgici ed interminabili preghiere. Nel palco sovrastante l’entrata vi è un gigantesco organo e durante le funzioni sono presenti musicisti (anche più di 20) con i loro strumenti a corda e ottoni. Dopo le abbondanti libagioni, le feste finiscono sempre con interminabili e chiassosi fuochi d’artificio (giggifogu), che per la loro intensità e rumore ricordano più una guerra che una festa! Il terzo giorno di permanenza nell’isola di Melita (come chiamarono Malta i Greci), Salvatore ritornò a Tunisi con il solito traballante aereo.
Lasciarono l’ospitale Tunisi dirigendosi verso occidente, attraversando le dolci colline e le cittadine di Bieja e Tabarka, dove alloggiarono ottimamente prima di avventurarsi in Algeria.
L’inquieta Algeria
Alla frontiera in questo turbolento paese, iniziarono i problemi seri. Ricordiamo che l’Algeria aveva raggiunto l’indipendenza dalla Francia il 5 luglio 1962 dopo quasi otto anni di sanguinosa guerra di liberazione. Il governo era allora mono-partitico socialista. Alla dogana furono trattenuti per ore ed ore e interrogati su tutto. Le stesse domande furono richieste da più funzionari diverse volte. Fortunatamente erano stati avvisati di non parlare in inglese, ma solo italiano o francese. Appartenere al mondo anglosassone o peggio americano equivaleva ad essere incriminati. Dopo più di cinque ore fu dato loro il via libera alla prosecuzione del viaggio. Salvatore ricorda però che la vera liberazione fu uscire dall’Algeria! Quella nazione si rivelò subito povera ed oppressa. Vigeva lo stato di polizia e i due coniugi videro pattuglie armate dappertutto. La prima disavventura la subirono nella città di Abbana dove, ad un incrocio con auto ferma, un fanatico, armato di coltello, vibrò un colpo ad una gomma della Opel Rekord rendendola inservibile. Fortunatamente trovarono un po’ di comprensione ed aiuto da alcuni passanti che gli diedero una mano e indicarono un gommista. Dopo la sostituzione del pneumatico, proseguirono il viaggio fino alla città di Costantina, dove cenarono ed alloggiarono in uno dei migliori alberghi della città. Ma regnava la miseria totale: il mobilio delle camere era scadente, per cena furono serviti solamente una strana minestra, un uovo, mezzo pomodoro e una foglia d’insalata. In modo poco accorto fecero una breve passeggiata notturna nei dintorni dell’albergo. Il giorno successivo si rimisero in marcia per la capitale Algeri. Qui Salvatore tentò invano di allacciare dei rapporti commerciali con l’Ente di Stato, unico autorizzato agli acquisti dal governo socialista. Mercoledì 20 agosto 1980 raggiunsero la città di El Asnam con pernottamento nel modestissimo hotel du Cheliff. Poco più di un mese dopo il rientro in Italia, Salvatore rivide in TV lo stesso albergo completamente distrutto dal terremoto: il tetto si era appoggiato alla cantina! Infatti, il 10 ottobre 1980 la città e l’Algeria nord-occidentale furono colpite da un terremoto d’intensità 7,3 gradi Richter dove perirono 4.500 persone.
La meta del viaggio
Con gran sollievo oltrepassarono la frontiera del Marocco e pernottarono ad Oijida. Salvatore ricorda che fu per loro come svegliarsi da un incubo, come uscire da un tunnel e rivedere la luce, tornare a quella che per loro era civiltà. Dopo una breve sosta a Fès, proseguirono verso Casablanca, loro principale meta. Nella città, Salvatore si trovò subito a suo agio tanto da affermare che ritrovò il suo mondo abituale. Kadiri, suo principale cliente e grande importatore, era anche cugino del re Hassan II. Salvatore e la consorte furono invitati a pranzo e, in qualità di ospiti europei, furono muniti di posate, lì si usavano unicamente le mani. La moglie di Kadiri, donna bellissima, prese posto accanto al marito solo al termine del pranzo. Se avessero avuto più tempo a disposizione sarebbero stati introdotti anche a corte. Casablanca era già una città molto sviluppata dal punto di vista turistico. Alloggiarono in un hotel di dieci piani. Salvatore voleva visitare anche Marrakech, altra città imperiale, ma la moglie non ne volle sapere. Il nostro imprenditore aveva buoni rapporti commerciali con il Marocco: i suoi clienti erano precisi e pagavano puntualmente.
Il ritorno in Europa
Alla fine del piacevole soggiorno nel Maghreb raggiunsero Tangeri, presero il traghetto per Algeciras in Spagna. Proseguirono per Cadice, ove pernottarono in un albergo dal tipico stile spagnolo, arredato con mobili dalle dimensioni e peso impressionanti. Il giorno dopo partirono per Lisbona capitale del Portogallo dove apparve loro il contrasto tra la maestosità delle piazze e palazzi centrali e la miseria delle periferie. Transitarono con l’auto sul ponte 25 April (costruito a somiglianza del Golden Gate di San Francisco), dal quale si può ammirare lo splendido panorama della città lusitana (ho visitato Lisbona anche io e devo dire che è molto cambiata in meglio da allora). Raggiunsero Oporto per contattare alcuni clienti, poi visitarono il santuario di Fatima. Giunti di nuovo in Spagna, pernottarono ad Avila. Visitarono brevemente la capitale Madrid e la bella città di Barcellona sul Mediterraneo. Nonostante il breve tempo durante il quale viaggiarono in terra spagnola, Salvatore e la consorte ebbero occasione di ammirare numerosi luoghi piacevoli. Da qui puntarono decisamente verso la Francia e dopo Nizza, Genova e Milano rientrarono a Lomagna.
L’autovettura non dette loro alcun problema meccanico, nonostante avessero percorso 10.000 km in meno di due settimane. L’unico rammarico fu il lato turistico del viaggio considerato marginale e seguito con minore attenzione rispetto a quella che avrebbe richiesto l’importanza dei luoghi visitati durante il lungo viaggio. Ciò nonostante acquisirono un ricco bagaglio d’esperienze ed emozioni in gran parte positive.
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