di Annarosa Urilli –
Partecipanti: Ami e Mau
Mezzo: Honda Transalp 650 (anno 2003), soprannominata “Anamur”
Spesa complessiva: circa 1.600 euro
Itinerario e tappe:
1. Perugia – Milano
2. Milano – Bern (Svizzera)
3. Bern – Paris (Francia) 4. Paris – Luc sur Mer (3 notti)
5. Luc sur Mer – St. Malò
6. St. Malò – Roscoff
7. Roscoff – St. Guénolé
8. St. Guénolé – Vannes
9. Vannes – Blois (2 notti)
10. Blois – San Sébastian (Spagna)
11. San Sébastian – Camarasa
12. Camarasa – Carcassonne (Francia)
13. Carcassonne – Le Lavandou
14. Le Lavandou – Perugia
Numeri: il giro completo era di circa 5.100 km, ma alla fine ne abbiamo fatti 6.550.
DIARIO DEL VIAGGIO
1° tappa – Venerdì 3 agosto: Perugia –> Milano
Come ogni anno, partiamo di venerdì. Al mattino sia io che Ami siamo ancora al lavoro, alle tre del pomeriggio siamo già sulla strada per il nord: l’idea è quella di sfruttare ogni ora possibile!
Prima di partire compro un piccolo quadernino, per fare le nostre solite considerazioni e commenti su quanto faremo e vedremo. Scrivo qualcosa già in mattinata, mentre sono ancora in ufficio, e così fa anche Ami. Poi, via mail, assembliamo il tutto e lo stampiamo. Mau: “…è una strana eccitazione quella che sento dentro, non saprei spiegarla. La stessa che provavo da bambino quando mio padre ci portava ‘ai confini del mondo’ con una inaffidabile auto stracarica di figli e gatti e una roulotte sfondata di bagagli…”. Ami: “…mi ha sempre affascinato l’idea di vedere gente e posti nuovi, fin da piccola quando, arrabbiata, facevo il classico fagotto dei vagabondi e minacciavo di andarmene di casa…”.
Arriviamo a Milano all’ora di cena, nessun intoppo. Il camping “Città di Milano” è pietoso… Oltre che essere caro (23 euro), i bagni sono sporchi, i picchetti non c’è verso di infilarli nel terreno e la notte c’è un bordello di rumori che sembra di essere a Rimini. Al mattino, molto presto (saranno state le quattro!), capiamo che lì accanto c’è un’azienda agricola: sono i galli (tre o quattro…) a cantarcelo. Nel tormentato dormiveglia che segue mi dico che ora capisco cos’era tutta quella puzza di sterco che si sentiva. Come se non bastasse il gatto dei vicini si mette pure a miagolare! (io sono Ami, piacere!)
2° tappa – Sabato 4 agosto: Milano –> Bern
È una di quelle che io chiamo “Mau-tappe”, cioè l’allungare il tragitto per passare da qualche parte che non conosco. La destinazione principale è infatti la Bretagna, ma ho convinto Ami a passare per la Svizzera (e poi per la Normandia…) e di tornare via Spagna e Andorra. Fatto sta che la Svizzera, che non ho mai visitato, non mi colpisce più di tanto. Né le strade né le città testimoniano l’alto tenore di vita che gli svizzeri pensavo avessero. In realtà sembra un paese come gli altri, anche se il nostro passaggio è davvero troppo veloce per potersi fare un’idea sicura. I 18 km del traforo del Gottardo quasi ci fanno secchi: tra caldo e inquinamento tutto sembrava meno che di essere in Svizzera! Il campeggio di Berna è tipicamente montano, pulito, in riva al fiume Aare. Ci facciamo il bagno e, dopo un attimo di esitazione, ci lasciamo trasportare dalla corrente per alcune centinaia di metri, così come facevano gli svizzeri: che spasso! Impensabile una cosa del genere sul Tevere… Ma lì l’acqua è limpida e il fondo privo di pericoli. Insomma, la risalita mi ha messo un po’ in difficoltà, soprattutto quando ho pensato di fare un frontale con una barca ormeggiata…
3° tappa – Domenica 5 agosto: Bern –> Paris
Oltre 600 km di viaggio di cui i primi 200 nemmeno agevoli: per uscire dalla Svizzera e raggiungere un’autostrada degna di questo nome, dobbiamo pazientare non poco. Ci fermiamo ad est di Parigi, a 25 km da Disneyland. Sarà il campeggio peggiore dell’intera vacanza: molto caro (30 euro) e con un tipo alla reception che non fa che ridere (Ami dedurrà che era fatto). La serata però è fantastica, perché la passiamo nel Disney Village (appena fuori dal parco) ricordando i tempi in cui c’eravamo stati coi figli e sognando il momento in cui ci saremmo tornati (nel 2008?). Beviamo dell’ottima birra e mangiamo molto bene, mentre un’incredibile folla di turisti iniziava ad uscire dal parco. Ci torniamo di sicuro nel 2008!!!!!
4° tappa – Lunedì 6 agosto: Paris –> Luc sur Mer (Normandia)
Ci svegliamo nel camping di Parigi che piove: agh! Sfruttando un momento di pausa, smontiamo e carichiamo. Poi riattacca forte e aspettiamo sotto una tettoia proprio all’ingresso del camping. Infine sembra spiovere, indossiamo i nostri indumenti impermeabili e via. Piove fitto, mentre cerchiamo di districarci tra raccordi e tangenziali per uscire da Parigi dalla parte giusta. Sottovaluto clamorosamente la carenza di benzina: calcolo che ne ho ancora per 50-60 km e che prima di allora mi imbatterò certamente in un distributore. Invece no: l’unico distributore è proprio all’inizio, appena partiti. Mentre l’asticella si acquatta pericolosamente sotto il minimo, riduco la velocità e inizio a preoccuparmi. Compare infine il cartello del prossimo distributore: 10 km. Riduco ulteriormente, vado a 60-70 km orari. A 2 km dall’arrivo inizio a sentirmi al sicuro: al limite spingo! Ad un km e mezzo la moto inizia a singhiozzare: siamo in leggera salita e non pesca più benzina. Sembra fermarsi, ma non lo fa. A singhiozzi e stolzi ci porta fin dentro l’area di servizio: che culo! È andata, ma che non succeda mai più!
Piove tutta la mattina. Arriviamo a Rouen che siamo stanchi e infreddoliti. La visitiamo, è la città dove hanno bruciato al rogo Giovanna D’Arco. È molto caratteristica, molto carina. Si mangia Kebab davanti alla chiesa di St. Ouen, si indugia a lungo in quel bugigattolo che ci ridà un po’ di caldo. Poi si riparte, direzione Caen sulla Normandia. Da lì alla costa: l’idea è fermarci qualche giorno e visitare le spiagge dello sbarco del ’44. Ma prima ancora c’è un altro desiderio più forte: vedere l’oceano atlantico, toccarlo. Ed è proprio come me l’aspettavo: stupendo. Una spiaggia come tante altre, ma quella è la Manica, non è un mare chiuso. Piantata la tenda Ami si mette a cercare conchiglie (mi ha riempito casa a furia di prenderne in ogni spiaggia che incontriamo!).
Il secondo giorno (martedì 7 agosto), esploriamo la costa in direzione est. È dove sono sbarcati soprattutto canadesi e francesi. La cosa che subito mi colpisce è la presenza, in ogni paese e paesino, di monumenti commemorativi e di bandiere dei 4 stati protagonisti dello sbarco: Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Canada. Le spiagge sono tornate ad essere solo spiagge, ma il sapere cosa è successo lì, la carneficina che c’è stata e le implicazioni che ne sono derivate anche per noi che siamo nati molti anni dopo, fa venire i brividi. Visitiamo anche un museo, uno delle decine che ci sono. Niente di ché, un sacco di reperti e di filmati che spiegano. Continua a piovigginare e devo rimandare ancora il bagno che vorrei fare sull’oceano. Ci spingiamo fino a Le Havre, superando il Ponte di Normandia, una costruzione davvero notevole che, per di più, per le moto è gratis (altrimenti si pagano 5 euro).
Il terzo giorno (mercoledì 8 agosto), esploriamo la costa in direzione ovest, verso la famosa spiaggia di Omaha Beach, dove sbarcarono gli americani e dove si erge, nella collina proprio sopra, il più grande cimitero di guerra americano in terra europea, quasi 9.000 tombe. Il cimitero è lo stesso dove si sono girate le scene iniziali di “Salvate il soldato Ryan” ed è davvero impressionante.
La cosa che più mi colpisce (io sono Ami) sono le case. Tutte unifamiliari, non come i mega condomini a cui siamo abituati. Colorate, con inserti in legno, alcune con intere parti in legno, molte con un nome romantico, una con sul tetto un gatto giallo di ceramica inarcato a mo di soffio. Ma la più particolare è una casetta con il tetto a spiovente, tutto orlato e con dei gargoyles messi ad arte che ricordano quelli delle numerose chiese gotiche della zona (alcune veramente belle).
5° tappa – Giovedì 9 agosto: Luc sur Mer –> St. Malò
Decidiamo di tagliare la Normandia, tirando dritti per la Bretagna. Visitiamo Le Mont St. Michel: impressiona questo agglomerato di case e chiese a misura che ti avvicini via terra, ma dentro (secondo noi) si resta delusi: è vuoto. È un grande mercato di souvenir e persino la famosa alta marea che dovrebbe circondare la penisola di acqua non si fa vedere. Probabilmente non in tutti i periodi dell’anno è così forte da arrivare a lambire St. Michel. Fatto sta che il posto non ci colpisce, sembra artefatto e messo insieme per i turisti, non ha nulla di magico o misterioso, è soltanto una messe di cianfrusaglie in vendita e di ristoranti. Scrivo sul quaderno: “St. Michel è carina, niente più. L’ennesimo enorme mercato per turisti che spaccia per leggendo ciò che leggenda non è più. Dentro c’è il niente, è come una persona che sembra chissà ché e poi a vuota dentro. …Quando succede così vuol dire che quel posto non ha più nulla da raccontare, ma solo da vendere. … Sì, continuo a convincermi che le vere bellezze, i luoghi che valgono un viaggio, i posti che emanano energia, siano lontani dalle rotte turistiche più note e battute…”. Ami scrive: “Oggi un mezzo sogno avverato: le Mont St. Michel, tanto sognato e finalmente raggiunto, ma troppo pieno di turisti. Fin dall’inizio mi sono innervosita: chi urla, chi spinge, chi puzza. Giro abbastanza deludente in un’abbazia completamente spoglia…”.
St. Malò invece è carina, molto carina. È un altro luogo iperfrequentato dai turisti, ma ha conservato un poco di quel fascino di porto di pirati che è stato tanto tempo fa. Qui Ami mangia le agognate ostriche di Calvados (6 euro e 20 per tre ostriche, fortuna che a me non dicono nulla…). Precisiamo: le ostriche erano sei e a me fanno letteralmente impazzire, se poi consideri che erano accompagnate da una buona birra bretone… ma cosa vuoi di più!!? Forse un giorno torneremo a le Mont St. Michel, magari in uno di quei fuori stagione che a noi piacciono tanto.
6° tappa – Venerdì 10 agosto: St. Malò –> Roscoff
Partiamo con l’intento di esplorare la costa nord della Bretagna, suggerita con enfasi dalla guida. Vediamo ben poco e il famoso granito rosa si rivela più caratteristico come materiale di costruzione delle case che come massi giganteschi presenti nelle spiaggette. Ad ogni modo siamo stanchi e, probabilmente, non riusciamo a cogliere quel che di bello c’è da vedere. Il problema resta la grande massa di turisti, ma anche noi lo siamo e non possiamo lamentarci più di tanto.
Proseguendo verso Roscoff le cose migliorano, quanto a presenze. Il paesaggio si fa più caratteristico, i camper (quanti italiani!) si fanno più radi, mentre aumentano le presenze irlandesi. Piantiamo la tenda in un camping municipale (ormai abbiamo scoperto che sono i più economici) e girovaghiamo imbattendoci in una specie di sagra paesana, in cui un folcloristico gruppo suona musica bretone. L’atmosfera è bella, in molti si mettono a ballare in un modo che non avevamo mai visto, si tratta per lo più di balli di gruppo. Ami è affascinata da tutto questo: per via dei suoi interessi antropologici resta lì a lungo a guardare.
È freddino, sono giorni che sentiamo freddo. Probabilmente l’abbigliamento che ci siamo portati non è sufficiente: il caldo dell’Italia ci ha ingannati. Qui la temperatura è più bassa di 10-12 gradi e, quando è nuvoloso (cioè sempre…), anche di 15 gradi. Insomma siamo attorno ai 10 gradi di primo mattino e ai 17 verso le tre del pomeriggio. Ami si compra un pile: sembra che ogni anno debba andare così… l’anno scorso, in Turchia, nei pressi dell’Ararat, si è comprata un giacchino. Veramente il pile l’ho comprato già da giorni, non ce la facevo più! Eppure ero già ben imbottita, compreso anche il giacchino dell’Ararat… per il resto che dire? A me i bretoni fanno impazzire, soprattutto se fanno quelle loro danze a coppie e anche la musica mi affascina, mi rimanda a qualcosa di antico, ad un tempo in cui i castelli e roccaforti che abbiamo incontrato erano popolati e pieni di vita. Chissà forse ci sono già stata…
7° tappa – Sabato 11 agosto: Roscoff –> St. Guénolé
Tappa facile, corta, distensiva, fino alla Cornovaglia francese. L’atmosfera bretone continua a farsi sentire: casette caratteristiche tutte in pietra, paesaggi “irlandesi”, poca gente. E un sole che non tramonta mai: va giù verso le 9 e 30, lasciando il cielo di un azzurro spettacolare per almeno un’altra ora e mezzo. Giriamo per la costa, anche a piedi. È pieno di segnalazioni di pericolo per l’alta marea; è una zona di tempeste, una di quelle in cui fotografano quei grandi fari investiti dalle onde. Proprio ai piedi di uno di questi ci imbattiamo in un’altra festa e qui Ami perde ancora di più la testa: per un po’ ho “temuto” che andasse a ballare anche lei! Nel tardo pomeriggio andiamo a bere una birra e scrivo nel quaderno: “…i paesini sono desolati, chiusi, bui. Il mare ora si è ritirato e i fari si sono accesi. E mentre arriva la notte, io e Ami ci rintaniamo in un pub a bere birra bretone (la Britt). Ami l’antropologa sperava di incontrare qualche abitante con quello strano cappello lungo che si vede in certe foto, ma non c’è l’ombra di essere umano in giro. Questa loro “alta stagione” corrisponde al nostro “fuori stagione”… Eppure c’è un’atmosfera che mi piace, è come un ottobre romantico dove il mare e i fari parlano di storie passate, di viaggi e avventure. Anche noi portiamo fin qui la nostra avventura: 3000 km in moto non sono pochi, giorni di viaggio per strade sconosciute e freddo, fatica, stanchezza. Siamo alla Finistère, più in là c’è solo il mare…”.
Nemmeno l’ombra di un cappello, accidenti! Eppure siamo nel “Pays Bigouden” magari ci saremmo trovati in un’avventura alla Tintin.
8° tappa – Domenica 12 agosto: St. Guénolé –> Vannes
Ci spostiamo dalla zona di Quimper a quella di Vannes, passando per Lorient e Carnac. La prima è una tappa a caso e, come già altre volte, si rivela una delle migliori: a Lorient è l’ultimo giorno del Festival Interceltique, ci sono un mucchio di bancarelle con prodotti tipici e Ami (come ti sbagli?) diventa matta. Le regalo un cavatappi, bretone a quanto sembra. Più o meno è come gli altri. Però lei è contenta: se basta così poco…! Io invece sono alla perenne ricerca di adesivi del posto o di bandierine: a ognuno le sue fisse! A Carnac visitiamo invece i famosi menhir, una incredibile distesa di grandi rocce allineate messe lì 3-5000 anni fa dai nostri antenati, forse per scopi rituali.
A Vannes ci concediamo una cenetta al ristorante: Ami va ad ostriche, io a tagliatelle ai frutti di mare. Un Bordeaux rende tutto più allegro e la giornata si chiude alla grande. Vannes, tra l’altro, è una gran bella cittadina.
Se avessi potuto avrei comprato un sacco di altre “cianfrusaglie”, ma poi come le avremmo riportate? Io non so guidare la moto… (in realtà la so guidare, è che con quella di Mau non tocco i piedi a terra….). Carnac ci dà l’occasione di parlare degli uomini e del senso della vita. Mau è un fantastico compagno di viaggio, tranne quando guardo negozi e bancarelle o cerco un posticino romantico dove mangiare e lui se ne va lasciandomi a ragionare da sola; uffa!!!
9° tappa – Lunedì 13 agosto: Vannes –> Blois
Arriviamo nella valle della Loria con l’idea di visitare alcuni dei famosi castelli che vi si trovano. Decidiamo di piantare la tenda a Blois, una cittadina molto carina che più o meno è al centro della zona che vogliamo vedere. Ma prima ancora di cercare il camping visitiamo due castelli, Chambord e Cheverny. Belli, sfarzosi, il secondo è persino ancora “vivo”, nel senso che gli eredi ne occupano un’ala e due volte alla settimana il padrone si diverte ad andare a caccia di cervi con i suoi 100 (!) cani. Martedì 14, in effetti, mi sveglio sentendo il latrato dei cani, seguito poco dopo da alcuni spari. La faccenda andrà avanti a lungo, probabilmente il cervo non si è fatto beccare subito. Triste però! Leggo infatti sulla guida che i cani, il giorno della caccia, mangiano solo quel che riescono a cacciare; in altre parole, se il cervo non viene abbattuto, i cani restano digiuni. Per chi tifare allora? Per il cervo: i cani mangeranno il giorno dopo, il cervo no…
Il campeggio è municipale ed estremamente spartano. Però è pulito e ci dormiamo per 8 euro a notte, in due. All’inizio è praticamente deserto, poi si popola di alcuni camper, soprattutto italiani.
I castelli che vediamo il secondo giorno sono quelli di Chenonceau e di Chaumont. Nel primo c’è una fila pazzesca, almeno 100 metri. Dopo qualche esitazione la facciamo, in fondo non c’è fretta. Il castello è bello, ma non esaltante. Chaumont è invece una delusione, non è valsa proprio la pena di arrivarci e di pagare il prezzo del biglietto.
Molto carina la cittadina di Blois, che ha pure un suo castello. La sera, per festeggiare (che cosa? la nostra gioia, la successiva tappa, non so… scegliete voi!), io e Ami organizziamo una cenetta delle nostre: acquisto di una bottiglia di Bordeaux in un supermarket e di un paio di kebab da un nord africano, poi scelta di una panchina davanti al castello di Blois e via, si brinda!
I castelli non mi emozionano più di tanto, luoghi freddi e senza vita che lasciano intravedere storie lontane.
10° tappa – Mercoledì 15 agosto: Blois –> San Sebastian
È una discreta ammazzata, oltre 600 km di cui la prima parte sotto la pioggia battente. Partiamo che è ancora buio, piove, fa freddo. Ami si stringe a me, ma non serve. Per strada le cose migliorano e intanto continuo a notare come in Francia, specie nelle strade nazionali, i distributori siano spesso radi, separati anche da oltre 100 km. Soltanto dopo Bordeaux il tempo si fa veramente bello e, per il breve spazio del pranzo, diventa addirittura caldo. Con l’approssimarsi del confine con la Spagna, però, nubi minacciose ci annunciano che non sarà una passeggiata e che dovremo sudarci (per modo di dire, vista la temperatura…) ogni istante di tregua. A San Sebastian troviamo facilmente il camping sul monte Igeldo, facciamo appena in tempo a piantare la tenda e inizia a piovere. Piove di brutto, poi accenna a diminuire e ne approfittiamo per andare in città.
San Sebastian mi risulta estremamente piacevole. Ci sono un sacco di giovani, molti sono stranieri, non c’è il solito turismo “culturale”. Ami mi spiega che lì ci si va anche per divertirsi, molti giovani sono attratti dalla facilità di reperire droghe leggere, è insomma un po’ come andare ad Amsterdam. Io resto comunque affascinato dalla città e dalla sua gente. Ci sono centinaia di pub, la gente ha voglia di cantare e ballare (è anche ferragosto, d’altronde!), le strade sono affollate ma di una folla che non dà “fastidio”. Insomma mi ci trovo, mi piace. La pioggia non dà tregua e siamo in molti ad inzupparci. Io e Ami un po’ ci barcameniamo, ma è dura e per un attimo sembra che Ami non ce la faccia: mi dirà più tardi che stava per avere una crisi di nervi… Ci rifugiamo in un pub, beviamo una birra, ci restiamo per quasi due ore. Ami parla bene lo spagnolo, a tratti la scambiano per una di loro. Poi spiove, usciamo e Ami prende in mano l’iniziativa e mi porta in giro per pub e localini a mangiare in quei loro strani buffet a disposizione di tutti, in cui ti servi da solo. Poi i fuochi di artificio, veramente notevoli. Rientriamo in campeggio stanchi, mentre molti giovani solo ora si apprestano ad uscire. Ne deduciamo che rientreranno chissà quando e, ubriachi o fatti che siano, faranno un bel po’ di casino. Così sarà, anche se torneranno talmente tardi (alle otto di mattina) che a quel punto ci eravamo già riposati. Uno di loro farà un tale casino (urla e bestemmie a non finire…) che penso abbia svegliato l’intero campeggio!
Facciamo fagotto che pioviccica e questo è l’unico rammarico, perché S. Sebastian dev’essere davvero bella col sole!
Riassaporare la calda accoglienza e vitalità spagnola mi fa tornare estremamente giovane, tapas e musica, vicoli pieni di gente che ride e beve…
11° tappa – Giovedì 16 agosto: San Sebastian – Camarasa (Pirenei spagnoli)
Non chiedetemi perché siamo finiti a Camarasa, è una storia troppo lunga… Posso dire che siccome avevamo deciso di dedicare un giorno in più alla Bretagna, quattro invece dei tre previsti, quel giorno bisognava recuperarlo saltando una delle successive tappe, cioè allungando il percorso di una di queste. La scelta era caduta su Zaragoza – Carcassonne, la cui prevista notte ad Andorra veniva cassata. Partiamo quindi da S. Sebastian con l’idea di dormire a Zaragoza. Il tempo migliora appena e facciamo sosta a Pamplona, la città dei tori lasciati liberi per le strade (che festa assurda!). Su Zaragoza ho la segnalazione di un camping, il “Casablanca”, con tanto di indirizzo e commento di alcuni italiani che c’erano stati. Vado tranquillo, ma il camping non c’è. Arriviamo nel punto esatto, ma ci assicurano che a Zaragoza non c’è alcun camping, i più vicini sono a 80 km. Decidiamo di pranzare (Mc Donald’s), poi ripartiamo in direzione sud, verso Lérida. Lì dovrebbe esserci un altro camping, ma niente: alcuni segni testimoniano che c’è stato, ma è chiuso da alcuni anni. Decido di bruciare la mia guida campeggi: sì, appena a casa la brucio. Cominciamo ad essere stanchi, tiriamo diritto verso i Pirenei. La mia carta stradale è datata, però, e la strada C1313 che porta ad Andorra non esiste. C’è la C13, decido che può andar bene. In effetti va bene, ma poi diventa improvvisamente C26 e io, forse ormai troppo stanco per valutare intelligentemente, torno indietro e trovo la continuazione della C13, sulla quale ho la segnalazione di un camping al Km 38. Non lo trovo, quindi torno indietro e imbocco verso Camarasa, uno sperduto villaggio di 811 abitanti ai piedi dei Pirenei, dove c’è finalmente il cartello di un camping. Decidiamo di dormire lì, anche se siamo un poco fuori strada. Poi, dopo una doccia, le idee si fanno più chiare e capisco dove ho sbagliato: dovevo semplicemente proseguire per la C26.
Il posto è bello, anche se in questo punto i Pirenei sono particolarmente spogli. C’è un laghetto artificiale e molte opportunità di fare sport tipicamente montani (arrampicate, escursioni). Siamo a circa 500 metri di altitudine e io non vedo l’ora che arrivi l’indomani, quando saliremo fino ad Andorra.
Oggi è stata una tappa dura per me, tutto il giorno in moto a cercare campeggi che non esistono, mi sembra essere tornata in Turchia…
12° tappa – Venerdì 17 agosto: Camarasa –> Carcassonne
È una delle tappe più belle del viaggio. Appena partiti guardo il contachilometri e mi accorgo di aver superato i 5000 km di viaggio: tra poco, questo diverrà il secondo viaggio in moto più lungo della mia vita, superando quello fatto anni fa in Romania. Saliamo fino ad Andorra La Vella, trovandoci davanti ad un gigantesco mercato di elettronica, auto e accessori per la moto. È stato un paradiso fiscale dove conveniva comprare certi beni, adesso lo è molto meno e ci divertiamo a confrontare qualche prezzo trovando conferma al fatto che di “affari” non se ne fanno più. Ci infiliamo dentro un centro commerciale e prendiamo l’occorrente per un pranzo coi fiocchi: pollo arrosto appena cotto e vino. Poi troviamo una panchina libera davanti al torrente che attraversa la città e passiamo una bellissima oretta, sotto un sole ormai convinto di splendere. Ci si guarda ancora un poco attorno, poi si risale in sella e via, con l’idea di fare il passo a 2408 metri. Ma sbaglio e mi infilo nella galleria (a pagamento) che evita proprio il passo. Ostinato, esco e risalgo dalla parte opposta. E ne vale la pena: siamo davvero in alto e il paesaggio, sul versante francese, è molto più bello. Facciamo il pieno (la benzina costa come in Spagna, poco più di un euro al litro; in Francia sparano prezzi che sfiorano l’euro e mezzo) e giù, a capofitto verso Carcassonne. Invece di seguire la strada indicata, decidiamo di tagliare per Quillon. Finiamo col fare un altro passo, ma il posto è molto bello e fuori mano. A Quillon ci fermiamo, siamo lontani dalle rotte turistiche consuete. È un paese carino, sa di autentico col suo ponte e il suo castello medioevali. Qui in Francia è tornato il nuvoloso ma, in direzione Carcassonne, sembra sia sereno. Rimontiamo in moto e nel giro di poco Ami inizia a farmi un discorso sui Catari. Io non ne so niente, sono impegnato nella guida e l’ascolto superficialmente. Ma poi lei legge un qualche cartello, un’indicazione: “Ma è qui! È qui questo posto!”, mi urla con gli interfoni. Capisco in fretta che devo fermarmi e tornare indietro… Ami mi parla del “Codice da Vinci” e dei misteri di Rennes Le Chateau, io ci capisco sempre meno ma l’assecondo. Dopo poco mi ritrovo ad inerpicarmi su per una stradina che porta appunto a Rennes, anche se l’avviso che è tardino e che forse l’abbazia la troveremo chiusa. Così è, infatti, ma tutti i particolari che lei mi aggiunge su questa storia destano infine anche la mia curiosità, tanto che tornato in Italia mi documenterò approfonditamente.
Arrivati a Carcassonne, dopo qualche timore di non trovare posti liberi, ci fanno infine piantare la tenda sul parcheggio di un camping, naturalmente nessuno sconto sul prezzo.
A sera, solita cenetta acquistata in giro e bagnata da un buon vino, proprio sotto le mura della città. Carcassonne è molto bella, veramente un gioiellino. Erano anni che volevo visitarla, dopo averla vista di sfuggita dall’autostrada, diverso tempo fa.
Oggi finalmente la curiosità di Mau di vedere Andorra è soddisfatta, è dal lontano 2001 che me ne parla, da quando acquistò la cartina della Spagna che consultiamo in questo viaggio. Il posto non è niente di che, mentre sicuramente più interessanti sono Rennes Le Chateau e Carcassone.
13° tappa – Sabato 18 agosto: Carcassonne –> Le Lavandou
Dopo aver smontato la tenda, andiamo a fare colazione a Carcassonne. Dopo qualche esitazione, scelgo un bar, chiedendo un caffè (résctrect! Petit!) e un pain chocolat. La ragazza si distrae e il caffè diventa un bicchiere pieno di acqua sporca. Insisto per avere quello che chiedo, il padrone le indica quale pulsante deve premere per farlo ristretto, la ragazza si volta e sembra rifare il caffè, io mi distraggo ma con la coda dell’occhio colgo un fare furtivo… Dopo poco mi allunga un altro bicchierino con poco caffè; io lo guardo e sospetto fortemente che si tratti del semplice travaso dell’altro… Torno a lamentarmi, ma stavolta il padrone dà man forte alla ragazza e alla fine desisto, lo prendo e lo porto al tavolo insieme al pain chocolat. Il quale è pero bruciacchiato! E mica poco! Ma vaffanculo allora! Ami il suo quasi non lo tocca (bruciato alla grande) e io, con rabbia, me li mangio entrambi, mentre mi vengono in mente tutte le frasi in francese che avrei potuto dire a quei due imbecilli. Me ne vado senza salutare, nervoso come non mai.
Partiamo alla volta della costa azzurra. Quasi subito impattiamo su una stratosferica fila di auto dirette come noi verso il mare. Come gli altri motociclisti, faccio un po’ il pirata e mi butto sulla corsia di emergenza, andando piuttosto piano. Alla fine della giornata avrò fatto circa 50 km così, roba da galera… Avanziamo faticosamente, ogni tanto la fila riparte, ma è per poco. Comunque ce la facciamo e usciamo dall’autostrada all’altezza di Nimes per raggiungere Arles. Si tratta di un’idea di Ami, quella pazza romantica di Ami che vuol tornare nei luoghi (e possibilmente nello stesso ristorante) che ci vide agli inizi anni fa. Ritroviamo i posti, ma il ristorantino, proprio sotto l’anfiteatro romano, ha probabilmente cambiato gestione e non fa più quella favolosa pizza con formaggio di capra che Ami sognava. Pranziamo nel locale vicino, va bene ugualmente, brindando con birra di Marsiglia.
Poi raggiungiamo quest’ultima, alla quale ci legano pure parecchi ricordi. Ci fermiamo nel porto a bere birra in un pub inondato di francesi che guardano il rugby. A fatica riesco ad ordinare, poi la partita finisce e troviamo pure da sedere. È bello, sono belle queste cose! Mi sento felice, sembra che il mondo sia piccolo se si possono fare cose così! Erano anni che si diceva di tornare a Marsiglia, ed eccoci qui!
L’idea iniziale era quella di fermarci proprio qui a dormire, ma non ci sono campeggi nei dintorni e così propongo di proseguire lungo la costa: saranno chilometri guadagnati in vista dell’ultima massacrante tappa di domani. Usciamo quindi da Marsiglia e imbocchiamo l’autostrada in direzione Toulon. Qui iniziamo ad essere stanchi e, come sempre in questi casi, un po’ nervosi… Idee poco lucide, qualche disaccordo su dove arrivare, ed eccoci a vagare in direzione St. Tropez che proprio non me ne fregava di meno di andarci. Prendiamo la D559 che costeggia il mare, nella speranza di trovare più campeggi. Così è, ma sono tutti pieni. E poi è quasi l’ora di cena e le reception sono tutte chiuse. Alla fine rompo gli indugi ed entro in un camping che ha la sbarra alzata e nessun controllo. Penso: “Voglio vedere chi mi ferma!”. Sono talmente stanco che sarei disposto a fare a botte pur di entrare. Piantiamo la tenda e usciamo per cenare. Al rientro iniziamo a porci il problema dell’indomani: la reception apre alle nove ma noi dobbiamo assolutamente partire prima. Che fare? La sbarra viene chiusa alle undici di sera e si riapre alle sette: decidiamo di rischiare, se ci ferma qualcuno bene, sennò via.
Quella di Arles è stata una mia idea, una di quelle che mi escono così e che Mau fa quasi finta di non sentire, ma so che gli piace e immancabilmente mi ci ritrovo insieme al suo sorriso.
14° tappa – Domenica 19 agosto: Le Lavandou –> Perugia
Ci svegliamo alle sei di mattina, carichiamo la moto e, a motore spento, arriviamo alla sbarra. È ancora chiusa, non c’è nessuno. Ma c’è uno stretto passaggio per i pedoni e forse ci passo… Ci passo! Dopo altri venti metri accendo il motore e via! Ci sentiamo due ragazzini che hanno appena rubato un ghiacciolo… D’altro canto che potevamo fare?
La tappa fino a Perugia è davvero lunga, circa 670 km di autostrada che, se da un lato è comoda e facile, dall’altro è noiosissima e spaccaculo. Il culo inizia in effetti a spaccarsi verso l’ora di pranzo, ma a quel punto siamo già verso Firenze e il morale è alto.
Ci sarà tempo per ripensarci, ma intanto mi godo le belle sensazioni che sempre ho quando torno da un bel viaggio. E già penso al prossimo… forse l’Andalusia, perché no?
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