Europa

Norge – Bergen – Fjord

di Lucia Giachi – 

TUSEN TAKK – è la parola norvegese che significa – grazie.
Mi sembra il modo migliore per cominciare questo diario di viaggio, o di bordo (visto che ho passato più tempo in aereo o in nave che non sulla terra ferma).
Tutto è cominciato sull’aereo con la tregedia dei cambi di volo.
Santo cielo! Come si fa in un’ora (con mezz’ora e più di ritardo….e quindi in circa 25 minuti) a trovare la destinazione giusta fra la babele labirintica dell’aereoporto.
Ho fatto una tale corsa con bagaglio a mano, che più a mano non si può, (e… maledizione….era più pesante dell’altro perché non si sa mai….), tanto che arrivata alla scaletta dell’aereo, mi sono presi dei crampi alle gambe così forti che credevo di non riuscire neppure a raggiungere il secondo scalino. Ma il bello è venuto ad Oslo dove l’organizzazione nordica ha toppato clamorosamente.
Ero tranquilla. Tutta un’ora per mostrare il passaporto, ritrovare il bagaglio, riprenotare il volo….fattibilissimo !
Sennonché arrivo al controllo passaporti e sono circa la quarantesima di una sconfortante e sconfortata fila di persone….. naturalmente quella sfigata !
E’ chiaro che se una delle due file scorre, quando hai una fretta indiavolata, scegli quella sbagliata, secondo la collaudata legge di Murphy, postulato 2.
I minuti passano inesorabili. Ce ne vogliono 35 per fare 10 metri. Mi vedo perduta. Finalmente, superate quelle forche caudine mi precipito a cercare il bagaglio – miracolosamente c’è ! L’afferro e chiedo dove fare la prenotazione.
Nessuno mi capisce…..una vecchia impiegata non mi considera proprio. Al mio sconforto, una ragazza molto gentile fa del suo meglio e finalmente capisco.
Posso consegnare il bagaglio ? Neanche per sogno !
Te lo porti a mano alla postazione successiva.
L’efficienza nordica ha un grafico che cala a picco. Niente ascensori…scale e muscoli…….Arrivo trafelata credendo di vedere la scia del mio aereo che già si è involato. E invece c’è una fila pazzesca anche per l’imbarco. Sono la solita “circa”quarantesima, e mi sorbisco una mezz’ora di attesa, nella quale avrei potuto fare benissimo tutto con calma ……GRUNT !
Via da Oslo…..finalmente !

Il tratto successivo Oslo – Bergen è straordinario per il paesaggio variegato di acqua e terra verde che si intrecciano, si contorcono, vanno e vengono a chiazze, a serpente, come pennellate di un quadro impressionista.
Il viaggio in taxi verso Bergen è piuttosto lungo. Traffico incredibile. Tutto uguale, come in Italia e Firenze. Semafori, ogni cento metri, tutti rossi, col tassametro che corre.
La periferia, come sempre in questi posti così belli e particolari, è di uno squallore unico. Sembra facciano a gara per mortificare la bellezza…….casermoni, uno stile moderno già vecchio e brutto.
Non capisco perché ogni periferia sia anonima e triste…..forse per rendere ancora più miracoloso il passaggio dal brutto puro allo splendore che compare all’improvviso.
Bergen si stende multicolore, come una coperta fatta a quadri di lana avanzata, sulle pendici di una collina e circonda di pullulante movimento un’insenatura del fiordo, diventata porto.
E’ piccolo, grazioso, ma con tutto quello che ci vuole per essere un porto in piena regola.
Poso i bagagli. La camera è carina e dà proprio sul mare e su un vecchio castello.. Non esistono armadi (mistero !) così non ho il problema di disfare le valige. Mi riposo, distrutta dal lungo viaggio, che poteva essere tranquillo senza le peripezie di quelle rincorse affannose.
Ma, dopo un po’, vince la curiosità. Scendo a prendere possesso del mio sogno.
L’impatto è visivamente emozionante. L’albergo ha una posizione ottima. Si esce e siamo sul Briggen, la storica passeggiata lungo mare, rimasta intatta da secoli con le sue armoniose costruzioni di legno colorate, tutte in fila, lustre di vernice, di insegne elaborate e di sculture che si affacciano sugli angoli di queste casette, troll di pietra simpaticamente mostruosi e ammiccanti all’ingresso dei negozi, pescatori intagliati nel legno e teste di renna a guardia degli stipiti, come divinità pagane e……..di fronte il mare che entra nella terra con, all’attracco, decine di imbarcazioni.
Grazie a Dio non ci sono i lussuosi yatch che invadono le località “in”, ma solidi pescherecci, alcuni molto vissuti, scrostati che odorano salsedine.
Alla rada un veliero, con solo l’alberatura, senza vele, simile a una vecchia nave pirata. E’ lì stagliato, quasi a guardia dell’insenatura. Lo vedo proprio dalla mia finestra.
Costeggiando la banchina, dove questa curva e si chiude per proseguire sulla sponda di fronte, arrivo in una spianata brulicante di ogni ben di Dio……è il famosissimo Fish Market, il mercato del pesce.
E’ una festa di colori e di odori.
Mi trovo in mezzo a banchi stracolmi di merce. Tutti vanno in fretta, si muovono sicuri fra casse di pesce e clienti da servire, nelle loro cerate giallo vivo, altri scaricano dalle imbarcazioni ….e poi banchi di frutta disposta come in una tavolozza – fragole rosse, banane gialle, mele verdi…. altri banchi di fiori…..insomma…..un’ubriacatura di colori.
Sento dei versi di animali sempre più vicini, lì per lì penso siano anche quelli in vendita, tenuti in qualche gabbia.
Tanto per dare un’idea di che razza di tipo di mare sono….mi ricopro immediatamente e riconosco le strida dei gabbiani che ruotano a stormi sopra quelle invitanti golosità. Sono come i nostri piccioni intorno alla vecchina che gli butta il pane. E’ festa anche per loro, potranno abbuffarsi di tutti i pezzi di pesce ributtati in mare.
Mi fermo incantata affacciata sull’acqua. Sotto, le barche ondeggiano, tenute da corde ruvide.
L’odore è fortissimo, un odore acre, una delizia…..l’odore del mare, della salsedine, del pesce. L’aria è fresca e pura.
Sto a lungo a guardare i gabbiani che si gettano nell’acqua a volo radente e riprendono quota per un nuovo rifornimento.
Il suono delle loro grida riempie l’aria e, dall’aria i polmoni, insieme agli odori e al profumo dei colori.
E’ strano come i gabbiani, così apparentemente goffi e insignificanti quando posano sull’acqua, diventino grandiosi come aquile quando si sollevano e stendono le grandi ali nel volo veloce, o in quello lento, a cerchi calanti…..e si possono guardare con calma, seguire la loro via d’aria, quasi si lasciassero ammirare.
Forse c’è un grido particolare fra loro, forse quello che sto guardando dalle ali più grandi degli altri, che quasi si ferma sopra di me, in un’impossibile sosta sul peso dell’aria, è proprio lui – Jonathan !
E’ tanto ormai che ha imparato a volare e come sempre guida il suo branco.
Si tuffa nel mare. E lascia la risposta a me. Mettere alla prova le proprie ali nascoste.
Ciao Jonathan Livingston ! Ci rivedremo.

Parlare della mia prima notte a Bergen è strano perchè, uno, la notte la conosce, non ha mica bisogno di farci caso ! Chiude le finestre e dorme.
Provateci voi ! E’ un esercizio divertente.
Quando, verso le nove di sera, stremata dalla giornata piuttosto pesante, mi stendo nel letto, ho di fronte una grande finestra – le persiane non esistono, solo una piccola tenda trasparente.
E’ pieno giorno, la luce batte sul letto e uno si sente un po’ scemo a stare lì e cercare di dormire. Per fortuna non ho di questi problemi, non c’è nulla che mi impedisce di dormire, nemmeno la luce negli occhi.
Comunque è il primo giorno e il sonno è un po’ agitato. Mi sveglio a più tappe.
Ore undici e trenta – giorno pieno.
Ore dodici e trenta – l’occhio mi si apre sul cielo scuro. Un po’ faticosamente ma la notte è arrivata anche qui.
Corro alla finestra, lo spettacolo è di una dolcezza unica….le luci gialle del porto si offrono a sfiorare le sagome delle navi e dell’acqua. Laggiù il faro all’inizio dell’insenatura. Una vecchia torre illuminata mi sta di fronte. Gli alberi del veliero sembrano rami luminosi a guardia della notte.
Mi incanto un po’ a guardare poi riprendo a dormire.
Ore tre e trenta. E’ di nuovo giorno.
Non bisogna farci caso , e riprende la notte (almeno per me).
Il giorno dopo ho voluto fare una prova e ho messo la sveglia per controllare a che ora precisa faceva buio. Ma i conti non tornavano più.
Poi mi sono ricordata che era il solstizio d’estate, il 21 Giugno. La notte più breve dell’anno e, a parte Capo Nord, dove non si fa neppure vedere, qui è durata solo un’ora e mezza, dalle una e trenta alle tre.
C’è una cosa che capita spesso in questi casi.
A un certo punto apro gli occhi e penso: “Sarà una vita che ho dormito !… deve essere una bella giornata, forza su…alziamoci”….mi sgranchisco, vado alla finestra….”tutto a posto, poche nuvole……….coraggio la giornata promette bene “………….poi guardo l’orologio e sono le undici e trenta di sera.
A quel punto ti assale inevitabilmente lo sconforto “come ?…sono solo tre ore che dormo ?”. E non c’è soluzione, devo tornare a letto e chiudere gli occhi, nell’attesa che arrivi la notte, quella vera, o virtuale, o presunta. Insomma devo aspettare le sette !
Da notare, fra l’altro, che nel castello di fronte alla mia camera, in quei giorni danno ogni sera la rappresentazione della Turandot di Puccini. In particolare, una sera mi arriva all’orecchio, molto chiara, forse portata dal vento, l’aria finale ..”nessun dorma”.
Giuro che è un pezzo che adoro, ma è impossibile non pensare che in quei versi c’è stata da parte di Puccini una inconsapevole voglia di presa in giro verso i miei occhi che tentano di chiudersi su un’improbabile luce.
Meno male che “all’alba vincerò”.
Nonostante i miei impegni astrofisici, ho anche dormito molto……..

Oddio, veramente, il giorno dopo l’osservazione del solstizio, mi sono alzata alle sei per affrontare una lunga giornata – quella in cui avrei visto i fiordi.
Ho portato con me una piccola valigia, stipata di sciarpa, giacca a vento, calze di lana, per affrontare tutte le avversità possibili. Il viaggio dura dieci ore e qui il clima varia continuamente, così come la temperatura, e devo essere pronta a tutto. Anche se è sereno, non c’ da fidarsi……e poi andiamo ancora più a nord.
Timorosa di apparire ridicola, ho fatto la mia comparsa sul molo di partenza, trascinandomi il bagaglio appresso….e ho scoperto con sollievo che quasi tutti avevano avuto la mia stessa idea (un’ottima idea).
Comincia questo lungo viaggio verso qualcosa per me ignoto e lungamente atteso.
Grazie a Dio c’è un bellissimo sole anche se, appena la nave si muove, a una velocità sostenuta, il vento diventa molto forte.
Indosso l’attrezzatura d’emergenza e mi piazzo all’aperto, a poppa, dove si sono radunati tutti quelli come me – gli irriducibili.
QUELLI CHE………. per una foto o una ripresa sono disposti a patire tutte le intemperie.
Devo dire che la mia determinazione non è così costante, perché ogni tanto, prudentemente, torno dentro a riscaldarmi e sonnecchiare.
Ma ad ogni richiamo di immagini esaltanti, colte dal finestrino, non esito a riprecipitarmi fuori.
Se si pensa che, ad alta velocità, il percorso fino alla fine del più grande fiordo norvegese (Sognefjord) dura quasi sei ore, basta a dare un’idea della profondità quasi sconfinata di queste insenature in cui il mare si addentra per chilometri e chilometri, facendosi strada fra montagne che sembrano colline, o ripidi, altissimi dirupi, fra verde, rocce….neve o fioriture…laghi e ghiacciai.
Questo è il mio sogno e ci sono dentro. Una cosa “da urlo”, un’esaltazione pazzesca.
Lì, su quella specie di avamposto spazzato dal vento, il nostro eroico gruppetto di varie nazionalità (l’Italia è validamente rappresentata solo da me), stringe un silenzioso patto di amicizia………è tutto un sorridersi, scambiarsi foto, gentilezze. Si guarda intorno e poi ci si guarda fra noi, compiaciuti. Il senso è “che bello vero ?….non trovate che sia meraviglioso ?”.
Quando faccio le mie soste all’interno, continuo a essere stupita…….come fossero marziani, un gruppo di distinti giapponesi sta occupando un tavolo al centro. Gli imbecilli stanno facendo lì una riunione di lavoro !!. Nessuno si degna di dare uno sguardo fuori……impegnati fra relazioni e telefonini che squillano. Peggio per voi, non sapete cosa vi perdete, e neanche lo meritate !.
Ritorno con sollievo dagli amici del Fjord-fans-club a cui, a onor del vero, appartengono anche due figli del sol levante molto più intelligenti degli altri.
Non manca il macho che in maglietta a maniche corte, cerca di stabilire il record di sopravvivenza….ritto immobile sulla punta più ventosa e gelida.
Resiste per un tempo strabiliante. Lo vedo dopo un paio d’ore che ha ceduto a una leggera giacchetta. Solo per una questione di stile, non perché avesse freddo.
Il record opposto lo stabilisco io, accumulando strati a cipolla e aggiungendo al cappello il cappuccio del K-way per salvare le orecchie dal congelamento.
Ma ora voglio abbandonarmi al ricordo di quelle immagini indimenticabili.
Lo sguardo si trasforma in un “grandangolo” per poter contenere l’estensione di ciò che mi sta di fronte.
Da poppa si vede la scia enorme e spumosa che segna una via di mare. Ai lati si alzano alture verdeggianti, oppure pareti più aspre e rocciose. In mezzo all’acqua si incrociano isolotti dalle forme e i colori diversi, regno di uccelli e di solitudine. Non c’è che sole, mare, altezze, larghezze, profondità vertiginose da dare il capogiro.
E’ tutto uno spostarsi a destra poi a sinistra, non si riesce a scegliere qual è la vista più bella.
Mi inoltro in uno dei corridoi laterali, letteralmente proibiti, dove il vento è talmente forte che rischia di ributtarti indietro. Naturalmente aspetto che la velocità diminuisca, altrimenti il vento avrebbe la meglio sui miei scarsi cinquanta chili. E qui chi ti incontro ?
Un avventuroso giapponese di mezza età, di quelli intelligenti, che mi chiede di fargli una foto. Un evento unico ! Di solito sono i giapponesi che fanno foto…..stavolta sono io a fotografarli. Inchino di cortesia e via.
Nell’ultima mezz’ora, il capitano avverte che siamo alla fine del viaggio e che questo è il punto più bello e emozionante, perché il fiordo si restringe al massimo e diventa uno stretto corridoio.
Non chiedetemi come ho fatto a capirlo……è una sensazione interna.
E va bene !…. confesso che ho visto tutti precipitarsi fuori e ho capito che accadeva qualcosa di importante.
Lo spettacolo è degno di un dio, anzi di Dio, visto che l’ha fatto Lui.
L’impressione è nettamente quella della potenza della natura allo stato puro….e tu ti senti piccolissima e strabiliata.
L’aria è quasi gelida. Abbiamo da un pezzo costeggiato cime nevose, ma ora queste si stringono su di noi, come se la nave dovesse aprirsi un varco per passare….e noi siamo lì, sbattuti dal vento, con gli spruzzi sul viso (e anche sugli occhiali…mannaggia !)….come un gruppo di ragazzini entusiasti,, a naso in su che si guardano l’un l’altro con degli “OOOOHHHH !” di meraviglia, perché hanno scoperto un Ufo.
Lì nasce quell’unione che porta la visione della bellezza gli sguardi parlano “Che spettacolo eh ?….per mille corna d’alce !” (come si direbbe da queste parti).

Dopo questo momento magico di esaltazione e di scatti a ripetizione…..ecco che ci si para davanti, alla fine del fiordo, la cittadina di Flam.
Mentre le prime ore erano state accompagnate da un bel sole, nell’ultimo tratto, alla prima neve, il cielo si era scurito ed era pure caduta qualche goccia di pioggia (anche se ignorata). Quando la nave si ferma, invece, sembra di essere arrivati in un altro mondo.
All’improvviso, dopo la maestosità e la possanza del paesaggio selvaggio che ci aveva quasi schiacciato, sotto un sole apparso miracolosamente che rende
tutto dolcemente tiepido, approdiamo a una specie di villaggio delizioso e
colorato.
Pare un set cinematografico, allestito per filmare un film western, o meglio ancora “La casa nella prateria”. Con intorno una corona delle stesse maestose montagne compaiono, sì e no, una decina di casette di legno, ognuna di colore diverso (con nostalgia ho riconosciuto le piccole case costruite e incollate nella mia infanzia, o i mattoncini dei villaggi Lego).
C’è tutto. Il negozietto di souvenir, la Minibank (si chiama proprio così, e per rapinarla basterebbe un sacchetto del supermercato), il ristorantino…panchine di legno colorate per oziare beatamente al sole, dopo lo scatenarsi degli elementi della natura.
Non manca, come nel Far West, la minuscola ferrovia…un solo binario e il trenino locale, che ci riporterà a Bergen.
Questo treno e questo tratto ferroviario, per quanto sembrino un giocattolo, sono un capolavoro.
Una delle più alte ferrovie del mondo che si snoda sopra i mille metri a picco sulle vallate sottostanti e fa un percorso mozzafiato, considerato una delle meraviglie della Norvegia.
Nel treno ritrovo i vecchi compagni della nave ed altri nuovi. Anche qui si crea un clima di familiarità molto piacevole.
Siccome la bellezza del paesaggio, a seconda delle gallerie che portano il treno da un versante all’altro, appare ora a destra, ora a sinistra, non facciamo che precipitarci di qua e di là, pronti a scattare, con scambi reciproci di cortesie “prego, venga pure…..no, passi lei !” (naturalmente intuite dai gesti e l’espressione) e ci viene anche da ridere con tutto questo movimento tipo palla da tennis – destra sinistra – sinistra destra ecc…
Qui, devo dire che è successo un evento che mi ha riconciliato col popolo giapponese (così spesso indifferente e fissato col lavoro….e cioè una palla incredibile !).
Davanti a me un giapponese in giacca e cravatta sui trent’anni (apparentemente un yuppie rampante) sta leggendo – miracolo dei miracoli ! – un libro di fiabe “La leggenda dei Troll”…….e la legge proprio tutta, con attenzione, come un bambino che vuole vedere come va a finire. L’abbraccerei per la simpatia. Si contano sulle dita gli adulti capaci di amare le fiabe, senza sentirsi ridicoli e sminuiti. E accade raramente in ogni parte del mondo. Questo è sicuramente un mio simile, un “fratello”.
Quando mi sposto più avanti per una foto più azzardata, mi trovo seduta davanti a un altro giapponese…..(sono dovunque….per fortuna l’estensione della Norvegia è enorme e la loro percentuale rimane bassa, ma la concentrazione in quei pochi chilometri quadrati è altissima)…..sono circa dieci a uno con gli altri turisti.
Appena mi vede gli si illumina lo sguardo e con un suo misto di lingue……ma più che altro a gesti, mi fa capire che io sono quella che gli ha fatto le foto sulla nave (vi ricordate ?). Ora lo riconosco anch’io e ricambio il saluto sorridente.
D’accordo che gli orientali sono gentilissimi e cerimoniosi, ma la sua reazione
è di tale sconfinata ammirazione che mi lascia divertita.
Per me fare foto agli altri è un’abitudine normalissima, del resto sempre ricambiata, ma qui è diverso. Pare che l’onore che gli ho fatto sia tale da indurlo persino a presentarmi le figlie, due ragazze carine, molto simpatiche che parlano bene inglese………….”ma sapete chi è questa ?..(traduzione intuitiva)…è quella signorina che mi ha fatto una foto sulla nave…..è di Firenze….presentatevi su !”. Non manca l’apprezzamento sulla mia macchina Canon.
E’ un ometto divertente e anche lui mi riconcilia coi giapponesi. Anche noi simili….con la stessa testa a forma di macchina fotografica. Qui siamo a livello di “Affinità elettive”.
A un certo punto il treno fa una sosta in un punto particolare, per permetterci di godere lo spettacolo di una enorme cascata che cade a picco proprio a pochi metri dal treno.
Siccome l’interno del vagone era caldo, mi ero piano piano tolta i vari strati fino ad arrivare alla camicia. Questo richiamo mi coglie inaspettata e tutti ci affrettiamo a scendere.
Sorpresa ! Temperatura – 7° come Bolzano e, di fronte, una stupefacente cascata a due balze che sembra caderti addosso….gli spruzzi sono tali che ci raggiungono portati dal vento…simpatici ma gelidi. Il frastuono è enorme.
Sarebbe stato magnifico godere un po’ di quello splendore, ma il tempo di uno scatto è sufficiente a impedirmi di diventare una statua di ghiaccio.
Rientriamo tutti ridendo per il bello scherzo che ci hanno combinato, mezzi infreddoliti e umidi.
Il mio vicino giapponese poggia il libro di fiabe e, quando il treno riparte, si alza e tranquillamente scatta la sua brava foto dal finestrino.
Questo sì che è un ganzo, ci ha fregati tutti……fantasia tanta ma anche cervello. Niente freddo, tutto composto e senza schizzi d’acqua. Ci guardiamo e scoppiamo a ridere. E’ come se gli dicessi “Sei un bel furbo amico !”.
Dopo due ore c’è un cambio di treno. A questo punto arriva il crollo….mi sono svegliata alle cinque del mattino e ora non vedo l’ora di arrivare. Passano altre due ore in cui sonnecchio e mi riposo, anche perché il bellissimo ghiacciaio di Voss che costeggia i binari e mostra per chilometri chiazze di neve, come la pelle di un leopardo, purtroppo è dal lato opposto al mio finestrino. E’ come quando si sceglie la fila sbagliata.
Ma forse non è un male, perché questo mi permette di riposare un po’ in questo tratto finale.

All’arrivo a Bergen, mentre trascino la piccola valigia, sulle sue ruote…..mi sento chiamare….e mi accorgo che la striscia di stoffa che usavo per avvolgerla si è srotolata e mi segue come una lunga coda strascicante di circa due metri.
E’ uno degli stranieri, compagni di avventura fin dall’inizio che mi insegue sorridente e mi avvisa del buffo guaio. Lo ringrazio con calore.
“Good luck” – è il suo saluto – “Buona fortuna”.
Non è bellissimo ? Non ci conosciamo nemmeno. Mi colpisce molto, sono quasi commossa.
Il giorno dopo – domenica – tutti i programmi saltano clamorosamente, sia per il brutto tempo, che per le condizioni pietose dei miei muscoli indolenziti.
Questi due giorni sono stati così intensi ed emozionanti che ho esaurito la mia riserva di energie (se così vogliamo chiamarle). Insomma la spia segna rosso e devo fermarmi. La giornata scorre un po’ noiosa e sonnecchiante.
Due episodi la rianimano un po’.
Al mattino molto presto fa piuttosto freddo e sono alla ricerca disperata di una toilette. Quelle del mercato, essendo domenica, sono chiuse.
Tipica situazione in cui si vaga sempre più allucinati, domandando a destra e a manca. Quando dubito ormai di farcela, mi affaccio in una panetteria e chiedo dove posso trovare una toilette….cascano dalle nuvole, una ragazzina e la madre, ma vedendo il mio gesto di sconforto, la donna gentilmente mi invita a usare la sua. Rimango sempre più stupita della cortesia della gente e, per riconoscenza, compro una cosa qualsiasi (tanto non c’è nulla di cui si capisce cosa realmente sia). Per l’appunto costa molto – la sosta è stata cara. Poi scopro che sono biscotti pesantissimi, a mille calorie l’uno, però molto buoni. Li consumerò pezzettino per pezzettino, con parsimonia, nei giorni successivi.
Fa ancora freddo, sta quasi per piovere e devo rinunciare al progetto della funivia. Mi siedo al mio posto preferito….le panchine che si affacciano sull’acqua a respirare l’odore salmastro e seguire il volo dei gabbiani.
Poco dopo si siede accanto a me un’anziana coppia. Non so come comincia l’approccio….forse con l’accenno classico al tempo e a quel po’ di sole che si sforza di spuntare. Fatto sta che mi trovo con mia grande sorpresa a entrare in immediata sintonia con i due, tanto che ci scambiamo abbondanti notizie personali, commenti sull’Italia e Firenze in particolare. E’un po’ il mio passaporto….non appena la nomino si accendono gli sguardi…molti la conoscono già.
I due sono olandesi, di Amsterdam. Ma la cosa prodigiosa è che ci parliamo in inglese.
Ora – che io sappia sostenere una conversazione in francese è cosa ormai nota…..ma l’inglese ahimè ! Come era successo fino ad allora mi fa sentire l’idiota di turno.
Ma stavolta le parole escono normali, persino appropriate, mi lancio in opinioni e commenti a loro capiscono (questo è il vantaggio di non essere nessuno di noi inglese….ma l’origine delle nostre lingue è totalmente diversa).
Loro trovano difficilissimo l’italiano e la donna esce con un’osservazione tanto ovvia, quanto meravigliosamente vera…”Io vorrei che in tutto il mondo si parlasse una sola lingua !”. Parole sante signora….sapesse in quanti la pensiamo così ! Però finirebbe una grossa parte di divertimento dei miei viaggi. Non capire e cercare di farsi capire. A volte manda in crisi, a volte è buffo da morire.
Anche l’uomo interviene ma lo capisco meno. Comunque è buona regola rivolgersi all’interlocutore con un cenno affermativo e un sorriso che fa capire che si approva quanto ha detto e che è pure divertente. Capire non ha importanza, è questione di “savoir faire”…….tranne poi essere bruscamente smascherati se l’affermazione era drammatica o negativa.
Nel qual caso, per non passare da idioti, fingere di non capire, anzi essere naturali – non capire.
Dopo un altro pomeriggio di riposo, visto che è domenica, cerco per andare a messa, l’unica chiesa cattolica di Bergen che è piuttosto distante e si può raggiungere solo a piedi. Ma nei miei viaggi non ho mancato nessuna messa e, anche se un po’ affaticata, non posso perdere quella in norvegese.
La Norvegia è quasi totalmente atea e questo si nota non solo dallo scarso numero delle chiese, ma dal fatto che, quando ho cercato di visitarle, anche quelle di altre confessioni, pur essendo di domenica, le ho trovate sempre chiuse. Forse aprono solo per le funzioni.
Infatti quando sono arrivata alla chiesa di Saint Paul, mancava ancora un’ora e tutto era chiuso. Si avvicinano due vecchie turiste tedesche e, a gesti, cerchiamo di capire cosa succederà…….se è meglio andarsene o tentare di aspettare.
Io decido e mi siedo, determinata, su un gradino. Loro intanto vanno a cercare notizie. Quando sono di ritorno, proprio in quel momento, alle cinque e mezzo la porta si apre ed entriamo.
La chiesa è grande e piuttosto bella. Sull’altare c’è uno splendido crocifisso in stile moderno che ricorda in modo impressionante, come forma e per la posizione eretta e piena di maestà del Cristo, il famoso crocifisso francescano di S. Damiano ad Assisi, tanto che mi propongo, alla fine della messa, di chiedere al prete se ne ha un’immagine da potermi dare.
La chiesa è semivuota. Poco a poco si fa chiara la situazione. I fedeli sono tutti di altre razze, probabilmente immigrati e si occupano loro dell’organizzazione.
Due ragazze filippine indossano l’abito da chierichette e preparano rapide e silenziose l’altare (faranno anche le letture).
Entrano poi altri orientali, un negro e due donne indiane col tipico sari. La gente del posto è poca, considerato che anche io e le due anziane donne siamo delle turiste.
La messa è semplice e intensa. Il rito perfettamente identico, tanto che posso rispondere tranquillamente in italiano seguendo i vari momenti.
Naturalmente non capisco nemmeno una parola, non c’è nessun riferimento con nessuna altra lingua conosciuta che, di solito, mi faceva cogliere in qua e in là qualche elemento per capire di che letture si trattava. Qui niente.

Alla consacrazione, molto bello il suono di una specie di gong piccolo e squillante, toccato a turno dalle due ragazze filippine.
Al momento della comunione, io che ero in prima fila, mi volto e vedo arrivare una quantità enorme di gente….non mi ero accorta che la chiesa era piena. Allora mi ero sbagliata !
E invece no. Era solo un pullman pieno di turisti cattolici che si era fermato per assistere alla messa.
Poi salgo all’altare e faccio la mia richiesta al prete. Capisce che voglio fotografare il crocifisso e con molta gentilezza mi concede di farlo.
Ritorno a casa con i piedi ancora doloranti ma un po’ più contenta per essere riuscita a non mancare la messa norvegese.
Questa è anche la prima sera in cui scopro che, oltre a schifezze innominabili e incomprensibili a cui non ho osato avvicinarmi, andando avanti a panini…..c’è invece anche roba buona da mangiare.
Per esempio, del salmone affumicato squisito, patate lesse speziate e saporite, verdure con una buona salsa ( mi sono solo rifiutata categoricamente di fare aggiungere la crema acida).
Il giorno dopo ho trovato, in una lunghissima lista di cose immangiabili…ben nascosto….un semplice pollo arrosto con patate fritte. Che sollievo saper che esiste !
A proposito di scoperte ce n’è una di cui sono stata molto felice.
Ne parlava la guida della città, ma non ero ancora riuscito a trovarlo. Poi, dopo che varie volte ero entrata in quel negozio, senza accorgermene….vedo la scritta “Al piano superiore il negozio di Babbo Natale”…
E’ una cosa che farebbe strabiliare tutti i bambini e quindi anche me.Pensare che proprio da quelle parti esiste una vera città dove lui abita con le sue renne e dove i bambini di tutto il mondo gli scrivono lettere….è emozionante.
Dopo tutto chi mai ha detto che Babbo Natale non esiste ?
Venga qui, e sentirà sicuramente un giorno o l’altro, mentre gira nei boschi, la sua grassa risata (OH !…..OH !…..OH !…..) e lo scampanellare della slitta.
A proposito di boschi, qui intorno pullulano dei famosissimi troll (vedi i New Troll di venerata memoria)
Sono creature del Piccolo Popolo, come gli gnomi, le fate e gli elfi.
Si tratta di esserini alquanto brutti e pelosi che vivono di notte. Se li colpisce la luce del sole diventano di pietra. Per questo tante rocce strane hanno la loro forma. Sono creature generalmente tranquille ma, se provocate, possono anche arrabbiarsi e combinare scherzi terribili.
Anche tutto questo per me fa parte del grande sogno – natura e fantasia !
Ma torniamo coi piedi per terra.
Al mattino dopo ho in programma il tour di Bergen in trenino e la salita con la funicolare a mille metri. Ma il tempo, come tutte le mattine del resto, è cupo e non promette nulla di buono. Girello per il mercato del pesce, freddo e carico di odori pungenti.
Comunque, meglio che nulla, io tento col trenino.
Naturalmente sono l’unica italiana presente ma, per non so quale imperscrutabile fortuna, la cuffia con i commenti prevede anche la traduzione in italiano.
Mi piazzo in fondo al secondo vagoncino, la mia posizione preferita per fare foto e spostarmi liberamente. Tanto con questo tempo chi vuoi che venga ?
Errore ! Proprio il mio vagone si riempie all’inverosimile di un’allegra e rumorosa compagnia di spagnoli (tre anziane coppie che di solito sono le più casinose e indisciplinate).
Inizia il percorso, ma l’aria è scura e piovosa. Il vecchio signore davanti a me mi chiede di dove sono. Non mi spiace essere coinvolta, è sempre divertente fare amicizia.
Anche lui ha visto Firenze (ma chi non l’ha vista ?)….è di Maiorca e quando io provo a suggerire, con una battuta di spirito, che su quel treno si sta realizzando l’Europa Unita….francesi, tedeschi, spagnoli, inglesi, italiani….mi accorgo che ho toccato un tasto un po’ sensibile.
Infatti comincia a fare commenti : francesi (e fa il pollice verso) ….tedeschi….idem…..inglesi….idem… Pare che per gentile concessione, guarda caso, ritiene che solo spagnoli e italiani siamo gente civile, ricca di memorie artistiche (e già qui spunta il mio nazionalismo….”ma non diciamo sciocchezze….quale arte in Spagna ?….vogliamo mettere con l’Italia…ma via, non c’è confronto !”). Il sogno dell’Europa Unita non è durato che pochi secondi……..e quindi l’Europa in base alla qui presente saggezza popolare………..GN’A FÀ !
Un altro gioiello è l’affermazione che noi siamo uomini veri, mentre questa gente qui (i norvegesi e giù di lì…fino alle Alpi….sono dei barbari).
Mi viene da ridere pensando a Bossi. Questo sillogismo è perfetta.
Bossi si vanta di esser celtico…….i celtici sono barbari……ergo……Bossi è un barbaro !
La voce si è diffusa anche in Spagna.

Nel tratto di ritorno finalmente spunta il sole e si riaccendono i colori….in cuffia suona una musica dolce e trascinante di Grieg (naturalmente norvegese doc)…..non penso più né alla Spagna, né all’Europa unita……e mi beo ad ascoltare guardando il bellissimo panorama della baia che occhieggia fra gli alberi.
All’arrivo saluto i miei cugini (di origine latina) e, visto che c’è ancora tempo, ne approfitto per fare finalmente la salita con la funicolare. In otto minuti siamo a mille metri e il sole, che ci ha voluto bene e che ha allontanato tutte le nuvole, mostra in tutto il suo splendore il fiordo su cui sorge Bergen, multicolore con le decine di navi del suo porticciolo…..e poi l’orizzonte che si estende a vista d’occhio fino a perdersi in altri fiordi e, al di là di quelli, se ne vedono ancora, oltre specchi d’acqua luccicanti al sole.
La vista è così grandiosa che meriterebbe un po’ di tempo, stare lì su quelle panchine che si affacciano sul mare e sul cielo….ma mi attira un giardinetto che hanno costruito, lì sul cocuzzolo con tutti i giochini per divertire i bambini e c’è pure un enorme troll su cui i bambini si arrampicano, tranne quelli spaventati dal suo aspetto non proprio carino.
Davanti al chioschetto dei souvenir, una cesta contiene i famosi elmi vichinghi, quelli con le corna, e persino la versione femminile con tanto di trecce bionde in aggiunta.
Diventa la sosta preferita….il gioco dei grandi. Tutti vogliono provarli….coppie attempate di grossi tedeschi, si infilano gli elmi e si fanno le foto ridendo da matti, mentre gli amici intorno sghignazzano. Insomma è tutta una risata e mi voglio divertire anch’io. Afferro un almo con le trecce bionde, me lo ficco in testa e mi faccio fotografare. Ho completamente perso il senso del ridicolo. Certo avrei potuto almeno togliermi gli occhiali…..ma tutto è permesso nel regno dello scherzo.
Purtroppo è tardi e devo calare a valle.
Ho una mezza idea, il giorno dopo, (è ormai l’ultimo) di rifare l’esperienza dei fiordi che mi ha toccato moltissimo. Così….per chiudere in bellezza.
L’unico interrogativo è il tempo. Per ora ha prevalso il freddo e il nuvoloso, anche se con grandi schiarite. La parola d’ordine è variabile. Non mi resta che sperare in una giornata di sole.
Il risveglio del mattino è pieno di ottimismo….già verso le quattro la finestra davanti al mio letto mostrava un tempo sereno e luminoso. Quando alle sette mi alzo baldanzosa, grosse nuvole scure hanno già invaso tutto, e solo pochi sprazzi di sereno si contendono un posto nel cielo.
Preparo un kit da viaggio da fare invidia a Meissner, tutto incastrato in due zaini comodissimi da portare., con abbigliamento tipo settimana bianca (per fortuna ho portato tutto).
Arrivo mezz’ora prima sulla banchina fredda e ventosa leggermente titubante….si affaccia dall’imbarcazione una bella signora in abito lungo nero, certo estremamente leggero e con un enorme fiore giallo appuntato sul petto. Un’apparizione un po’ bizzarra di fronte ai miei abiti stratificati.
Mi dice che il tour si farà lo stesso, poi è tutto al chiuso e anche se fa freddo non c’è problema.
Sono talmente decisa a farlo che non avevo bisogno del suo incoraggiamento.
Devo rischiare perché, se va bene, non me lo perdonerei mai di aver rinunciato. E’ lo stesso miracoloso intuito che ho avuto il primo giorno….macché rimandare !…o la va o la spacca !
L’interno del battello, molto più piccolo della grande nave che ci ha condotto al Sognefjord, è grazioso e accogliente….tendine alle finestre, fiori dovunque. L’aria è calda e l’ambiente familiare.
Mi accingo a guardare il tutto dal finestrino. Comunque conoscerò un altro fiordo e, anche col tempo nuvoloso, questi luoghi hanno un fascino particolare ancora più misterioso.
Il primo tratto del viaggio effettivamente è un po’ triste perché l’aria nebbiosa rende tutto grigio, e poi siamo ancora nella parte iniziale del fiordo, quella ampia come un fiume.
Comincio a pensare che forse non è stata una buona idea ma ormai, almeno passerò il tempo in un posto carino, magari scrivendo il mio diario.
Non rinuncio comunque alle foto e mi sposto a destra e a manca per cogliere il meglio, anche perché ogni tanto esce un raggio di sole e conviene coglierlo subito perché rianima e fa risplendere il mare.
Mentre passiamo in un tratto già molto isolato del fiordo (dopo qualche centinaio di metri le case cominciano a sparire e domina la sola natura)….vediamo, su una sponda, una casa di legno con un porticato su cui stanno tre donne ! L’imbarcazione suona la sirena, forse per un’abitudine convenuta, e le tre signore con in mano una bandiera enorme della Norvegia, si danno a sventolarla festosamente e si sbracciano in segno di saluto, che noi ricambiamo sorridendo.
E’ triste pensare che l’isolamento di quel posto selvaggio sia rotto solo dal passaggio giornaliero di una sirena amica e di qualche cenno di saluto……………a meno che…….le vecchiette non abbiano svaligiato la banca nazionale norvegese e abbiano trovato lì il loro rifugio………oppure potrebbero essere tre feroci killer che, con i loro festosi saluti, traggono in inganno….. quelle povere donne sole ! Mi ricorda molto “Arsenico e vecchi merletti”.
Ritornando alla nostra piccola nave, qui dentro siamo in pochi, al massimo quindici persone ma, dall’aspetto, riconosco immediatamente i miei “fratelli fotomaniaci”.
Una ragazza fa da staffetta e, ogni volta che avverte qualcosa di bello, la vediamo schizzare fuori……..ed è un richiamo irresistibile per tutti noi.
Ora, dovete sapere che, mentre nell’altra grossa nave avevamo fatto tutto il viaggio a poppa, nell’unico angolo un po’ riparato, e quindi vedendo a ritroso le immagini che si allontanavano da noi, qui la situazione è diversa.
C’è una terrazza proprio sopra la nave che dà una visione a 360° dello spazio che attraversiamo, solo che……lascio immaginare la temperatura spaventosa che infuria lì sopra, grazie anche a un vento gelido che quasi fa barcollare.
Ma io sono qui e rimarrò qui, di tutto questo voglio godere al massimo a costo di passare direttamente all’ibernazione.
Sicuramente la temperatura è sotto lo zero. E quindi il mio equipaggiamento si dimostra perfetto. Calzoni di lana, con sotto due paia di collant e uno di gambaletti. Zona superiore composta di maglietta, camicia felpata, golf di lana, tuta para-vento, gilè trapunta imbottito e, per finire, giacca a vento. Foulard alla bandito che copre il viso e il meraviglioso caldissimo berretto di lana calzato fin sotto gli orecchi.
E ora sù, coraggio, lupo di mare ! In piedi a sfidare il vento insieme a pochi coraggiosi che hanno il privilegio di vedere premiata la loro incoscienza.
E’ il momento in cui l’imbarcazione si addentra in un varco di montagne sempre più stretto e il sole che spunta pallido crea una luce fantastica.
Passiamo a pochi metri dalla roccia coperta di muschio e l’acqua sotto ha un colore verde scuro, indescrivibile, cupo e cangiante.
Ci volgiamo indietro e gli stretti passaggi si richiudono dietro di noi. Ci segue la bianca scia ribollente e il sole che, tra le nuvole ormai quasi vinte, diventa giallo chiaro.
Direi che qui la commozione è veramente palpabile……io non sento più le mani, sono irrigidite dal freddo, ma non penso affatto ai miei dolori, al mal di gola o all’artrosi cervicale…..chi se ne frega !
Io sono lì davanti, in piedi, un pò barcollante, come se guidassi io e fendessi l’acqua scoprendo i passaggi rocciosi che si aprono a spiazzi improvvisi, incantevoli. E dopo, ancora nuovi costoni o piccoli tratti di terra piana, verdissima e fiorita.
E’ come passare da una porta all’altra su immagini sempre nuove. Quando ci si avvicina, ecco che le pareti di pietra ci sovrastano, stupende e irraggiungibili neppure con le foto……..il grandangolo è inservibile.

Siamo nel cuore della terra, nelle viscere della roccia, il mare è blu gelido o verde muschiato.
A un certo punto il vento è talmente forte che, oltre a farci barcollare, mentre sto seduta a cambiare rotolino in un punto che mi pare ottimamente riparato e con il mio berretto di lana ben calzato, una folata me lo porta via e lo fa volare sul parapetto. Mi vedo perduta…..basta un’altra ventata e cade in acqua.
Mi avvicino circospetta. E’ la tipica scena delle comiche, col tizio che si china a raccogliere il cappello che gli è caduto e quello, dispettoso, vola subito un po’ più in là…….e poi ancora……e ancora.
Non so come, riesco a riprenderlo e stavolta, per non farmi fregare, me lo reggo stretto con due mani, come vedo sta facendo anche un’altra signora, resa esperta dalla mia disavventura. Ci facciamo una foto in questa posa strana.
A questo punto anche gli eroi hanno bisogno di riscaldarsi.
Cedo e scendo a recuperare un po’ di calore, mi spoglio e quasi subito le mani riacquistano la circolazione. Prendo un tè caldo e ora mi sento veramente bene, con gli occhi ancora pieni delle meraviglie viste.
La ragazza, la nostra piccola vedetta, rientra anche lei…..ma mentre pensavamo di essere arrivati al punto massimo e di girare per tornare indietro, evidentemente viene allungato il percorso fino ad entrare nel più profondo di Obersfjord. Lo capisco perchè la ragzza si riveste e sale su.
La seguiamo fedeli e implacabili. E stavolta è davvero imprevedibile !
Non solo ora il sole è pieno, ma il vento è cessato e l’incantesimo di prima non è più, anche sofferenza e freddo, ma solo pace e tepore.
Ci sediamo a godere il calduccio del sole, mentre continuiamo, nell’immaginazione, a guidare noi, perdendoci sempre più nel labirinto dei canali.
Ogni curva ci viene incontro col suo carico di voglia di vedere più in là.
Ci guardiamo senza parole…..l’unica è “Wonderful !” e quel groppo alla gola che mi fa chiedere come può esistere un posto così. Dio era in giornata buona quando l’ha creato.
Non c’è che respirare a pieni polmoni………(e dove si ritrova quest’aria ?)….guardare l’acqua….guardare il sole, le montagne, le forme, i colori……ascoltare il rumore del mare. Sì perchè il meraviglioso è che questo è ancora mare, a circa cinquanta chilometri dalla costa.
Accade che a un certo punto gli occhi sono quasi stanchi del bello che vedi e non riesci più a trovare, dentro, a ogni nuova meraviglia, un’emozione ancora più grande di quella precedente.
Di nuovo scendiamo. Stavolta è pieno sole. Ripercorriamo con un’altra luce la strada fatta e stavolta posso riposare, con il capo appoggiato al finestrino, il sole caldo che mi batte addosso, la bellezza che mi scorre davanti. A volte chiudo gli occhi…..hanno messo una musica che rende perfettamente la pace e l’appagamento di quei momenti.
Un po’ sonnecchio. Sono due ore di dormiveglia. Ogni tanto riapro gli occhi e tutto il bello è sempre lì….poi anche questo finisce….entriamo nel porticciolo di Bergen e l’attracco segna la fine di una meraviglia a cui scioccamente volevo rinunciare.
Ho avuto ragione il primo e l’ultimo giorno. Anche solo per quelli vale la pena di essere venuta qui.
Tutto è andato ben al di là della mia immaginazione…..e poi il bello immaginato non può mai essere come quello vissuto!
Ora che è finita davvero e mi ritrovo sull’aereo, osservando le mie care amiche nuvole…..ripensando a come è stato duro lasciare quella straordinaria esperienza visiva ed emotiva…..mi aggrappo a quest’ultima speranza.
“Mi avete tolto i fiordi, almeno non toglietemi l’aereo !”
Ricordate la famosissima frase del film “Questo pazzo….pazzo mondo ?”.
Sono certa che capirete se ho una voglia irresistibile di gridare :
“FERMATE IL MONDO….NON VOGLIO SCENDERE !”.

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Marco

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