Africa

Air – Tenere, le piste del silenzio

di Davide Bergami –

Ancora una volta partiamo per un’immersione totale, anche se solo per una decina di giorni, nell’amatissimo deserto del Sahara. La brevità del viaggio è dovuta al fatto che a casa lasciamo il nostro piccolo Luca di nove mesi; dieci giorni possono essere pochi per un viaggio di questo genere, ma possono risultare anche molto lunghi senza il nostro piccolo cucciolo d’uomo.Vi lasciamo immaginare la bonaria ironia di colleghi e amici (solo quelli a cui i viaggi non suscitano alcun interesse) sul nostro strano modo di fare le vacanze. Com’è possibile passare le ferie in un ambiente così selvaggio e ostile, quando nel mondo ci sono tanti posti più belli, comodi e divertenti ??.

Se si sfogliano le pagine di un atlante e ci si sofferma sull’Africa Settentrionale, ci si rende subito conto dell’enorme estensione del deserto del Sahara; una regione geografica gigantesca, un mondo ancora poco conosciuto nonostante il dilagare planetario del turismo di massa, che fortunatamente si dirige verso altri lidi.

Il deserto è tutto e nulla; il deserto ti fa dimenticare che esiste un’altra realtà da qualche parte. Questi spazi inimmaginabili a volte sono troppo grandi per essere compresi da chi come noi vive ammassato nelle nostre città; il tempo che scorre in un’altra dimensione, questi silenzi mai provati, il respiro del vento, il poco o nulla a disposizione che diviene il tutto invita alla riflessione sul troppo che abbiamo. Nel deserto si ha solo bisogno dello stretto indispensabile e non del superfluo.

Più che un viaggio in un luogo esotico e lontano, diventa un viaggio all’interno di noi stessi.

Note sul paese

La meta del nostro viaggio è il NIGER e più precisamente il massiccio montuoso dell’AIR e le dune del Ténéré che, in continuo movimento e spinte dal vento, qui vi si addossano.

Il NIGER, privo di sbocchi sul mare, è per dimensioni il secondo paese dell’Africa Occidentale (pari a quattro volte l’Italia) ed uno dei meno popolati.

Nella parte settentrionale del paese si riscontra dapprima una fascia climatica prettamente arida, con caratteristiche di deserto e predeserto; in prossimità delle aree più meridionali si comincia a risentire degli effetti di un clima megatermico umido con caratteristiche di savana. Il passaggio tra queste due aree climatiche avviene molto gradatamente tramite quella fascia di raccordo conosciuta come Sahel.

A questa distinzione climatica, corrispondono vari gruppi etnici diversi tra loro con attività economiche ben differenziate: da una parte le etnie sedentarie dedite all’agricoltura e dall’altra le etnie nomadi dedite all’allevamento.

Nella zona meridionale circostante il fiume Niger, che dà il nome a tutto il paese, si concentra la quasi totalità della popolazione. Qui le precipitazioni medie sono di 350 ¸ 400 mm annui e segnano il limite dell’agricoltura possibile senza bisogno di irrigazione; le principali colture sono quelle cosiddette alimentari di base come miglio, sorgo, riso e quelle introdotte più recentemente come arachidi e cotone.

Le etnie sedentarie presenti nella regione meridionale del paese si distinguono in tre gruppi principali: SHONGAI e ZARMA nella parte occidentale, gli HAUSSA nella parte centro-meridionale ed i KANOURI nell’estremità orientale ai confini con il Tchad.

I nomadi occupano le zone settentrionali desertiche e sono rappresentati: dai TUAREGH, concentrati nel massiccio dell’AIR, dai TEBU sparsi nella parte orientale del paese fino alle oasi meridionali del grande Erg di BILMA e nelle vicinanze del TERMIT. Infine dai PEUL e BORORO che si spostano in tutto il territorio nigerino che va dalla parte sud-occidentale dell’AIR all’intera zona meridionale del paese fino ai confini con la Nigeria.

A nord di AGADEZ, tra la piana del TALAK a occidente e il deserto del Ténéré ad oriente, si trova il massiccio montuoso dell’AIR (o AZBINE in lingua Haussa), meta principale del nostro viaggio.

Lungo quasi 400 km e largo 250 circa, con una superficie totale di 80’000 kmq, è uno dei cinque grandi massicci sahariani insieme all’HOGGAR -TASSILI, TIBESTI, ENNEDI e all’Adrar degli IFORHAS.

Questa catena montuosa di inconsuete dimensioni, formatasi tra i 600 e i 200 milioni di anni fa, è praticamente un plateau disseminato di piccoli e grandi sassi, lanciati in epoche preistoriche da vulcani, dai colori che bruno-rossastri. Nel suo complesso il rilievo si presenta come un altipiano di 800 metri, sul quale si elevano creste e picchi vulcanici, isolati l’uno dall’altro da vallate pianeggianti che sono chiamate kori (letti asciutti dei fiumi); qui inoltre vi è la presenza di numerose “ghelte” laghetti di acqua fresca, di palmeti e oasi con rigogliosi giardini. Queste piccole e grandi valli fluviali, costituiscono una vasta rete idrografica la cui orientazione, quindi il convoglio delle acque durante la breve stagione delle piogge, è generalmente rivolta verso la depressione occidentale del TALAK.

L’AIR è inoltre percorso in varie direzioni anche da piste molto antiche, che ne raccordano la quasi totalità delle località abitate.

Dimora dei Tuaregh, i KEL AIR nomadi e sedentari, è il punto di partenza delle lunghe traversate che compiono le carovana di dromedari per l’acquisto e il trasporto del sale (per uso animale) dalle lontane saline del KAOUAR.

Il gruppo Tuaregh, popolo di stirpe berbera, è in gran parte costituito da fiere popolazioni nomadi che non si rassegnano al loro declino e alla marginalizzazione economica. Agli inizi degli anni novanta una brutale repressione da parte dell’esercito a causa delle loro rivendicazioni di autonomia sfociò in una guerra civile conclusasi nel 1995 con un “cessate il fuoco” tra lo stato centrale ed i ribelli Tuaregh asserragliati nell’AIR. L’anniversario della firma dell’accordo del 1995 è diventato giornata di festa, chiamata Journée de la Concorde.

Il NIGER è stato duramente condizionato dalle siccità che hanno colpito il sahel negli anni 1973 e 1984. Anche se dalla fine degli anni ottanta in poi le precipitazioni sono tornate su valori normali, resta sempre elevato il rischio che questa fascia marginale del deserto, dove i deficit pluviometrici sono ricorrenti, venga in un futuro prossimo colpita da anomalie climatiche che potrebbero avere conseguenze ancora più drammatiche.

Queste disastrose siccità hanno provocato anche una drastica riduzione della consistenza del patrimonio animale, in parte sterminato dalla fame e in parte trasferito nei paesi confinanti. Nel paese l’allevamento del bestiame, principalmente zebù, ovini e dromedari, costituisce l’attività più importante nel settore dell’economia, concorrendo a formare all’incirca il 15% del valore del prodotto interno.

Il dramma delle siccità e soprattutto la forte pressione demografica, hanno evidenziato che il sahel è un ambiente ecologicamente fragile, incapace così di sopportare un’eccessiva pressione antropica.

Le scarse precipitazioni, inoltre hanno fatto sì che la portata del fiume Niger, in questi ultimi due decenni, si sia ridotta di circa un terzo con conseguenze catastrofiche per i circa 110 milioni di persone che vivono lungo le rive di questo fiume. L’anno scorso la scarsità di acqua era tale che, gli abitanti di NIAMEY guardavano dai ponti un fiume praticamente in secca. Il forte inquinamento unito alla drastica di diminuzione della portata di acqua del fiume, ha effetti disastrosi sulla navigabilità del fiume e di conseguenze sulle economie locali, considerato che il fiume Niger è l’unica fonte di approvvigionamento di acqua per l’agricoltura e il bere di tutto il paese.

Il NIGER, indipendente dal 1960, è una delle tante entità politiche artificiali prodotte dalla storia coloniale, come lo si può facilmente desumere dall’andamento pressoché rettilineo di alcuni tratti di confine, fissati dalla Francia quando si trattò di definire i vari stati che facevano parte dei possedimenti coloniali in Africa Occidentale. Questo paese, sprovvisto di vie di comunicazione moderne, è praticamente privo di risorse esportabili, ed è tra i paesi dell’ex colonia francese quello che versa nella situazione più critica, dove la durata media della vita è di circa 47 anni con un elevata mortalità infantile e un reddito pro capite medio che è, come in tutto il sahel, ai limiti della soglia di sopravvivenza.

Nel corso degli anni settanta, con la scoperta dell’uranio nella zona di Arlit, il Niger divenne il secondo produttore del continente africano. Per circa un decennio il paese beneficiò di consistenti introiti; il calo del prezzo dell’uranio, unito al progressivo assottigliamento della rendita mineraria, ha fatto sì che la sopravvivenza economica di questo stato dipenda ormai in larga misura dall’esito delle trattative sulla riduzione del debito estero, nonché dagli aiuti internazionali.

Ora un altro dramma sta investendo questo paese: la “nuova tratta degli schiavi”.

In questi ultimi anni migliaia di persone cercano di fuggire dai loro paese di origine, principalmente quelli del Golfo di Guinea per la miseria e la disperazione in cui versano, nell’illusione di poter entrare clandestinamente in Europa. Le rotte dei clandestini fanno tutte tappa ad AGADEZ, l’imbuto dentro cui passa tutto il traffico verso l’Italia, per poi affrontare il temutissimo Ténéré ed il Sahara nella terra di nessuno tra Niger e Libia. Un vero e proprio popolo in fuga, che affronta i 4-5 giorni di viaggio nel Ténéré, ammassati come bestie su vecchi camion Mercedes 6×6 fino a DIRKOU, divenuta ora l’oasi degli schiavi; una vera e propria prigione a cielo aperto, dove il Ténéré ed il Sahara sono le sue sbarre.

Qui nella grande roulette in cui ci si gioca la vita, solo pochi fortunati potranno raggiungere le coste libiche e affrontare poi, su inumane carrette del mare, il famigerato canale di Sicilia, per approdare a Lampedusa, porta d’accesso all’Europa meridionale.

Il viaggio

Questo viaggio è stato effettuato con SPAZI d’AVVENURA, tour operator di Milano fondato da un medico milanese Piero Ravà, che ad AGADEZ è presente con un proprio ufficio, veicoli fuoristrada e guide italiane con decennale esperienza di questi luoghi, coadiuvate egregiamente da personale locale.

Il lungo viaggio di avvicinamento al deserto nigerino, è iniziato il 22 novembre da Bologna via Parigi con i nostri amici Claudio e Roberta; qui insieme a Mirella, Daniela e Paola, tutte provenienti da regioni del Nord Italia, con la nuova compagnia aerea libica AFRIQIYAH AIRWAYS, raggiungiamo la capitale NIAMEY via TRIPOLI. A causa di un forte ritardo sul volo TRIPOLI – NIAMEY, prendiamo possesso della nostra camera all’hotel Gaweye soltanto verso l’una di notte. Un breve riposo, sveglia alle quattro di mattina e alle cinque in punto partenza in pulmino per una lunga galoppata su asfalto di oltre undici ore, con un totale di quasi mille chilometri, per raggiungere, alle porte del deserto nigerino, l’antica città carovaniera di AGADEZ.

Lungo la principale direttrice nigerina, ci dirigiamo verso est, parallelamente ai confini di BENIN e NIGERIA, nella regione più popolosa e fertile del paese; qui in un paesaggio savaneggiante, attraversiamo numerosi villaggi di capanne e curiosi granai a forma di salvadanaio, costruiti in paglia e fango, tipici dell’etnia HAUSSA. Insolite sono anche le minuscole moschee dalla ruspante architettura in terra, con i fedeli che si apprestano alla preghiera.

Siamo coinvolti nel colorato commercio che si sviluppa lì attorno: i ragazzini con i loro rudimentali carrelli si spostano vivacemente con l’intento di vendere bibite fresche, mentre le donne, avvolte nelle tradizionali “pagne” (foulard che sono legati in vita come gonne e sistemati sul capo a protezione del sole) vendono frittelle dolci e salate accanto agli uomini, che sistemano intorno ad un fuoco ricco di brace, dei saporiti spiedini di carne.

Passato il villaggio di BIRNI’n’KONNI, dove effettuiamo una breve sosta per il pranzo, la strada piega decisamente verso nord, rendendo evidente il graduale cambiamento climatico-ambientale nel passaggio da sahel a deserto vero e proprio; è possibile incontrare talvolta i nomadi PEUL che transumano con le loro mandrie. Mano a mano che si procede, diventano sempre più rare le coltivazioni di miglio e sorgo, lasciando spazio a distese sabbiose e ciottolose. A TAHOUA, la strada ripiega verso est passando per il suggestivo lago artificiale di ABALAK, incassato tra enormi dune morte coperte da una rada vegetazione di tipo arbustiva.

Non si spalanca nessuna porta per entrare nella stanza del deserto; capisci che ci sei già dentro dalle pareti dell’orizzonte che si sono improvvisamente dilatate, tanto da farti perdere i punti di riferimento.

Arriviamo in tarda serata all’hotel Tiene e dopo una doccia ristoratrice ci aspetta una cena all’eccellente ristorante “Le Pilier” di proprietà di Vittorio Gioni, un italiano residente qua da molti anni.

Qui incontriamo Piero Ravà, che l’indomani mattina, con due fuoristrada Range Rover, guiderà il nostro piccolo gruppo alla scoperta del massiccio dell’AIR e delle genti che lo popolano.

L’indomani, usciti dalla città, si comincia a salire verso Nord in un paesaggio di pianure solcate da grandi oueds; occorreranno due giorni per arrivare a KOGO, ultima piana della valle di ZAGADO, prima delle grandi dune del Ténéré. Si segue il corso del kori TELOUA, molto verde e rigoglioso nonostante che oramai siamo alla fine del mese di novembre. Quest’anno le piogge si sono protratte fino agli inizi di ottobre e la loro abbondanza ha fatto sì che si possa godere ancora di una vegetazione lussureggiante, costituita principalmente di acacie, palme dum e tamerici. Costeggiamo poi i massicci di GUISSET e BILET dai quali si dipartono rigogliosi kori; ANOU MAKKERENE e MELLETS tra i più grandi e intensamente popolati da famiglie di nomadi TUAREGH. Abbiamo il piacere di incontrare un paio di piccole carovane di dromedari (qui chiamate TAGHALAMT) che trasportano fin qui blocchi di sale per uso animale dalle lontane oasi di FACHI e BILMA; appaiono dal nulla e scompaiono nel nulla, sembra una favola d’altri tempi, una visione, ma qui è pura e semplice realtà quotidiana.

Durante il procedere dinoccolato dei dromedari scambiamo un rapido saluto con i nomadi che li conducono, donando a loro alcuni capi di abbigliamento di lana, utili per le fredde notti dell’inverno nigerino.

 

Proseguendo fra picchi vulcanici e kori, prima del villaggio di ELMEKI, attraversiamo un territorio arido e desolato, dove il suolo è cosparso da migliaia di sassi di varie dimensioni, neri come la pece, che paiono precipitati disordinatamente qua e là. Sembra un’immagine provenire direttamente dal pianeta rosso, in realtà siamo in terra nigerina.

Percorriamo talvolta a fatica ripide e tortuose piste; qui le parti meccaniche dei fuoristrada sono messi a dura prova, per poterci addentrare in questo microcosmo unico nel suo genere.

Ancora verso nord, superando il massiccio dell’Adrar EGALAH e proseguendo lungo il kori ASSODE`, costeggiamo il sito dove era ubicata l’antica capitale omonima e centro carovaniero e commerciale; oggi, accanto alle sue suggestive rovine, gravitano numerose famiglie nomadi. Attraverso il kori ZILALET, ci dirigiamo verso est per raggiungere la piccola oasi di TCIHN-n-TOULOUS, ultime verdi coltivazioni prima dell’arido ambiente dell’AIR settentrionale.

TCIHN-n-TOULOUS è un piccolo villaggio Tuaregh; abitato dai Kel OWEY; qui l’acqua del pozzo è veramente buona, consentendo così di ripristinare le nostre scorte oramai esaurite.

La sosta per il pranzo viene fatta in genere all’ombra delle grandi acacie, dove di solito ci tengono compagnia i bambini Tuaregh di qualche accampamento vicino. Vengono improvvisati piccoli mercatini ricchi di vari articoli fatti a mano come orecchini, collane, oggetti in pietra saponaria, ma soprattutto le magnifiche e caratteristiche croci Tuaregh.

Dopo il pranzo ci attende il fatidico magico rituale del the; un rito antico che è rimasto immutato con il passare dei secoli. Il the nel deserto viene servito per tre volte in piccoli bicchierini di vetro; è un the scuro, schiumoso e dal sapore forte. Le teiere sono generalmente tre, molto colorate e messe a turno sulla brace per fare ribollire l’acqua; senza perdere una goccia e con un abile gioco di mano il the viene passato da una teiera all’alta e miscelato con lo zucchero. Ed ecco pronto il primo the, “amaro come la morte”, poi viene aggiunta altra acqua alle foglie che hanno già dato e con solo un pizzico di nuovo the, qualche fogliolina di menta ed altro zucchero, ecco pronto il secondo “forte come la vita”. Infine ancora acqua, tanto zucchero e tanta menta, ed ecco il terzo the “dolce come l’amore”.

Questa consuetudine si ripete immancabilmente sia nel dopo pranzo che alla sera sotto il cielo stellato; ci vuole tempo per farlo, ma il tempo non manca mai nel deserto.

La discesa verso il Ténéré la si intraprende percorrendo per tutta la sua lunghezza l’ampio kori ZAGADO, incassato tra il massiccio del TAKOLOKUZET a est e i monti TAGHMER a ovest. Nella parte terminale del kori, che si allarga come una vera e propria foce fra le grandi dune, un evidente affioramento della falda permette la crescita di una vegetazione abbastanza sostenuta.

Siamo nella piana di KOGO, dove posiamo il secondo campo; qui nomadizzano alcune famiglie dei Kel TEDELE, ceppo Tuaregh tra i meno meticciati del Niger, che ci accolgono con la loro usuale gentilezza.

Le tende vengono posate vicino all’accampamento di Iussuf, un Tuaregh che vanta un’amicizia decennale con Piero Ravà; abbiamo così l’opportunità di conoscere lui e la sua famiglia, donargli qualche maglia di lana e un po’ di collirio e comperare un piccolo capretto del suo gregge, che sarà la nostra cena per il giorno seguente.

A volte basta veramente poco per dare sollievo a gente che non ha accesso a nessun presidio sanitario; medicine e medicamenti che per noi possono essere banali, sono in molti casi risolutivi.

Questi Tuaregh, pur vivendo vicino ad AGADEZ, preferiscono condurre una vita arcaica; l’attrattiva della città non ha ancora fortunatamente fatto presa su di loro.

Fino a qui il massiccio dell’AIR ci ha offerto uno dei paesaggi più spettacolari di tutta l’Africa Occidentale; un territorio aspro e roccioso dove picchi granitici e vulcani oramai spenti da millenni si contrappongono agli innumerevoli kori tappezzati di acacie e palme ombrose, sotto le cui volte trovano riparo le tende dei nomadi.

Il giorno successivo si riparte in direzione di ISSAOUANE, prosecuzione naturale della valle di ZAGADO, che, scorrendo verso nord-est, va a perdersi nelle sconfinate piane del Ténéré. Il terreno è ora sempre più sabbioso; la nostra meta è ARAKAO, in lingua Tuaregh TCHI-n-TABOURAK che significa “chela del granchio”. Qui lungo i margini orientali dell’AIR l’incontro e scontro tra sabbia e roccia dà vita ai più svariati e spettacolari paesaggi. ARAKAO è un anfiteatro naturale che si apre verso il Ténéré con un solo passaggio attraverso il quale il vento ha sagomato un cordone di dune alte più di 200 metri, che sembrano toccare il cielo.

La particolare conformazione di riparo lo ha reso in un remoto passato zona di elezione per gli insediamenti umani. Ci inoltriamo a piedi lungo il kori ARAKAO dove è possibile ammirare delle splendide incisioni rupestri di epoca “bovidiana” (circa 6’000 anni b.p.) raffiguranti scene di caccia, animali selvatici e personaggi rituali.

E’ difficile credere che in questi luoghi la natura, con un lento processo sviluppatosi nel tempo, abbia mutato radicalmente l’ambiente trasformando boschi, montagne verdeggianti e fertili valli in un arida distesa di sabbia, di sassi, di canyons dove il sole e il vento sono i dominatori incontrastati. Eppure in ogni parte di questo immenso deserto, incisioni e pitture rupestri riportano le scene di questa realtà, pervenuta sino a noi attraverso l’opera degli artisti di allora.

Nel tardo pomeriggio di questa calda giornata, Piero Ravà ci conduce lungo un sentiero in salita che ci porta in cima alla chela meridionale di ARAKAO. Qui, da una posizione assolutamente privilegiata, ammiriamo questo anfiteatro naturale di roccia; il nostro sguardo, senza più riferimenti e senza limiti, si perde tra le rocce dell’AIR e le sabbie del Sahara centrale. Al tramonto, nelle sue immediate vicinanze, posiamo i nostri igloo sulle soffici sabbie del Ténéré; è l’ora più bella a queste latitudini, quando, alla luce del crepuscolo, le ombre si fanno più lunghe e i contorni delle figure più morbide.

Al campo ci prepariamo per la cena che consumiamo seduti su di un tappeto sahariano vicino al fuoco; il nostro sguardo è rivolto di tanto in tanto verso l’alto, a riconoscere in questo stellato cielo d’Africa qualche costellazione o qualche stella cadente.

Le serate trascorse in compagnia di Piero non sono mai monotone; i suoi racconti e le sue esperienze prima di viaggiatore, poi di guida con alle spalle più di duecento traversate sahariane, sono una preziosa fonte di conoscenza sul deserto che nessun libro o pubblicazione ci potrà mai dare.

Quando ci stendiamo per dormire, circondati dallo sterminato mare di sabbia, la maestosa parata delle stelle che compongono la Via Lattea, illumina la notte.

Iniziano presto le giornate nel Sahara, a farci da sveglia sono i primi raggi del sole che filtrano attraverso le tende; usciamo all’aperto e ci accorgiamo che il nostro cuoco ha già acceso il fuoco e si sta dando da fare per prepararci la colazione.

Subito dopo, mentre lo staff ripiega il campo e prepara le macchine per la giornata che ci aspetta, ci troviamo a percorrere cordoni di dune camminando su sabbia vergine, dove le rare tracce di passaggio umano vengono assorbite e cancellate.

Lasciato ARAKAO alle nostre spalle, ci inoltriamo verso nord attraversando la regione di ILLAKANE in direzione del pozzo di FARIS. Dopo un primo tratto sabbioso, proprio a ridosso del massiccio, incontriamo una zona caratterizzata da affioramenti marmorei dai colori bianco-blu che ricordano la cenere; a causa di questi le dune sembrano delle vere e proprie isole di marmo bluastro. Arrivati al pozzo, situato ai piedi del monte TAGHMERT, ripristiniamo le nostre riserve idriche e vista l’abbondanza di acqua, ci concediamo una vera e propria “doccia sahariana”.

Puntiamo poi decisamente in direzione nord, attraversando le sinuose dune dell’Erg di IZZANE, per arrivare fino all’Adrar CHIRIET, dove posiamo il nostro campo per la notte.

L’Adrar CHIRIET si presenta come una vera e propria isola di granito nero, in contrasto con le morbide tonalità delle sabbie del Ténéré che la circondano.

Anche qui abbiamo l’occasione di inerpicarci sulle rocce nere e ammirare dall’alto il grandioso spettacolo di come prepotentemente le dune del Ténéré abbracciano questa inusuale formazione rocciosa.

Ci troviamo ora entro i confini occidentali della Riserva Naturale e Nazionale dell’AIR e del Ténéré, che racchiude una delle più esclusive e preziose biosfere del nostro pianeta. Ampia più di 70’000 kmq, ospita progetti per il rimboschimento, l’autosufficienza d’acqua e la ricostruzione della fauna selvaggia.

Al centro della riserva c’è l’esclusivo Santuario degli ADDAX, una meravigliosa antilope dalle corna a spirale, oramai al limite dell’estinzione. A dire il vero Ravà ci ha detto che oramai l’ADDAX in questa zona è solo un lontano ricordo; gli ultimi esemplari di questo splendido animale si trovano solamente più a sud, vicino all’isolato massiccio del TERMIT.

Alla sera intorno al fuoco, un cielo incredibilmente stellato ci fa da tetto; siamo tutti quanti letteralmente soggiogati dal fascino di queste dimensioni che non ci appartengono e a cui non siamo abituati.

L’indomani mattina, prima di lasciare definitivamente CHIRIET, ci arrampichiamo su di una duna per ammirare il maestoso Erg di BREARD; tutto attorno a noi, sin dove lo sguardo riesce ad arrivare, è una cavalcata di dune che si rincorrono senza fine, come onde di un oceano.

Affrontiamo gli ultimi cordoni dunari di questo viaggio e ci dirigiamo verso l’importante pozzo di TEZIRZEK, sede di splendidi graffiti rupestri.

Qui troviamo i nomadi Tuaregh; con gesti faticosi antichi e per noi inusuali, portano faticosamente in superficie pesanti recipienti in pelle ricolmi di acqua. E’ la routine della dura vita del deserto che affascina, forse perché ci richiama ad una manualità di sopravvivenza a cui il nostro mondo moderno ci ha completamente disabituato.

Rientriamo definitivamente nell’AIR, lungo una pista piuttosto dissestata che ci permetterà di raggiungere IFERUANE, un’oasi di montagna abitata dai Kel FERWAN, in larga parte sedentarizzati.

Sede di una gendarmeria (dove è obbligatoria la registrazione), IFERUANE è un villaggio dove le caratteristiche “pailottes”, capanne a forma di zucca rovesciata, sono disseminate all’ombra delle acacie e all’esterno, una cintura di palme che ombreggiano le coltivazioni dei giardini, crea un’isola verde nel cuore del deserto, dove un habitat di vita relativamente più facile ha determinato l’insediamento di numerosi gruppi umani.

Visitiamo lo splendido giardino del nostro autista Illi, un vero e proprio orto dove è possibile coltivare ogni sorta di verdura, grazie alla preziosa acqua di un pozzo. Approfittiamo della sua ospitalità per posare le nostre tende nel cortile di casa sua.

Il giorno seguente da IFERUANE si prende la pista che gradualmente si allontana dalle montagne dell’AIR in un paesaggio di picchi minori isolati e di accampamenti Tuaregh installati in prossimità di verdi pascoli per i loro animali. Raggiungeremo quindi la strada asfaltata che collega ARLIT e AGADEZ, dove rientreremo a metà pomeriggio.

Isolata dal mondo, è il confine naturale tra il sahel e il deserto; situata ai piedi del massiccio dell’AIR, circondata dal Ténéré e dalle sterminate pianure dell’AZAOUAGH, Agadez è oggi il centro amministrativo del dipartimento di gran lunga più esteso della repubblica Nigerina.

Agadez è una delle città più antiche del Niger, con un passato ricco di eventi. Poco nota fino agli inizi del XV secolo, acquista importanza quando Illisawan, sultano dei Tuaregh dell’AIR, decide di abbandonare il nomadismo e fa di Agadez la sua capitale. Nel XVI secolo l’antica città dei Tuaregh conosce il suo massimo splendore, diventando un importantissimo crocevia dei traffici carovanieri tra l’Africa nera e l’africa sahariana.

La città è stata, fino al momento della colonizzazione (circa cinque secoli) il centro politico, amministrativo, religioso e commerciale del sultanato Tuaregh. Dopo la colonizzazione francese e fino a pochi anni orsono, Agadez è stata scarsamente influenzata in senso negativo dai rapporti con il mondo occidentale; ora è una città vera e propria di oltre 50’000 abitanti, punto di partenza dei turisti per i tour nel deserto.

Purtroppo ora, come detto in precedenza, Agadez è diventata una tappa fondamentale del lungo viaggio che compiono le genti dell’Africa occidentale, per tentare un approdo nell’opulento continente europeo.

La periferia della città, causa la forte urbanizzazione avvenuta soprattutto dopo i devastanti effetti della siccità nel sahel, risulta molto degradata. Sono visibili numerose discariche di immondizia a cielo aperto, dove donne ma soprattutto bambini vanno alla ricerca di qualcosa di utile per sopravvivere; a tutt’oggi Agadez ha perso molto del fascino e del misticismo che ammaliò Heirich BARTH, l’esploratore tedesco che la visitò e la descrisse verso la metà dell’ottocento.

Il simbolo di quest’oasi dai colori ocra è l’originale sagoma piramidale del minareto con travi in legno della Grande Mosquée, classico esempio di architettura sudanese, unica superstite di altri due edifici andati distrutti. La moschea, detta anche del Venerdi, è opera del santo Zakarya vissuto nel XVI secolo; il minareto alto circa 30 metri e parzialmente caduto è stato ricostruito come era e dove era nel secolo scorso.

Una volta posati i nostri bagagli in albergo, abbiamo il tempo di gironzolare per Agadez; la nostra meta principale è il Vieux Quartier, la zona vecchia della città dove poter visitare le botteghe dei famosi artigiani, girovagare senza meta lungo le strette e tortuose strade osservando le caratteristiche abitazioni in stile sudanese.

La prima tappa però è la terrazza dell’Hotel de l’AIR, un tempo il migliore della città; ora, attraversando il salone a pian terreno e salendo le strette scale, ci accorgiamo del suo stato di abbandono, tuttavia rimane il punto migliore per fotografare la moschea ed il suo minareto.

Nel Vieux Quartier le case sono tutte costruite in banco, un impasto di argilla, sterco e paglia, con facciate talvolta decorate con motivi geometrici, talora dipinte.

Sulla terrazza dell’ufficio turistico, si può godere di una vista panoramica di questa antica città carovaniera e in lontananza, sul filo dell’orizzonte, avvistare i primi rilievi dell’AIR.

Il nostro girovagare nelle strette viuzze ci porta a contatto con numerosi bambini; siamo attorniati da curiosi nullafacenti e interessati procacciatori di improbabili acquisti, che aumentano in maniera esponenziale alla durata della permanenza nello stesso punto.

L’attività principale ad Agadez è l’artigianato e numerose sono le botteghe sparse un po’ dappertutto in città, come sarti, lavoranti del cuoio ma soprattutto fabbri-gioiellieri. Questi ultimi con materiali ferrosi e di rame forgiano pugnali da braccio, le celebri spade Tuaregh (la takuba), lance e le parti decorative delle selle. Con l’argento di antiche monete, sempre commisto con altri metalli, creano caratteristici anelli, bracciali, orecchini e soprattutto le celebri “croci” di vari modelli. La “croce di Agadez” è il più tipico dei gioielli Tuaregh, ed è un antichissimo ornamento che identifica le diverse località e tribù, ma non è assolutamente una croce di ispirazione cristiana, anche se alcuni modelli ne assumono vagamente l’aspetto.

L’ultima cena in terra nigerina la facciamo come al solito al ristorante “Le Pilier”, dove insieme a Piero Ravà, trascorriamo le ultime ore ad Agadez, conversando piacevolmente.

L’indomani mattina partenza di buon ora per il lungo trasferimento via terra, che ci riporta nella capitale Niamey. Il rientro in Europa avviene di notte; un lungo fulmineo volo notturno ci riporta in maniera traumatica dentro la nostra realtà di tutti i giorni, lontana anni luce da quella che abbiamo appena lasciata, immersa in un altro tempo, in un altro spazio, in un altro mondo.

Il “mal d’Africa” esiste davvero, è una realtà, non una leggenda. Questo continente esercita su di noi un’attrattiva che è difficilmente spiegabile in termini razionali, ma è tuttavia fortissima sotto il profilo emotivo. Il “mal di Sahara” è un male ancora più sottile, più misterioso, forse perché è un male che viene dal profondo del nostro animo e di conseguenza è ancora più difficile da descrivere.

Il deserto non si può spiegare, come non si può spiegare un tramonto infuocato, un arcobaleno dopo una pioggia tropicale o l’azzurro del cielo.

Qui, in questo pezzo di mondo, il fascino che esercita il “rumore” del silenzio, il senso di solitudine e la bellezza selvaggia di questi paesaggi che sono di sabbia e roccia, contribuiscono a formare delle sensazioni che una volta entrati nel nostro animo non ne escono più.

Bisogna semplicemente partire per un viaggio nel cuore del Sahara, per vivere queste sensazioni sulla vostra pelle; queste foto che ritraggono luoghi e genti del Niger altro non vogliono essere che un invito a provare le nostre stesse emozioni.

 

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Pubblicato da
Marco

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