di Franco Talozzi –
Nel settembre del 1984, su interessamento del fotografo messicano Pedro Mayer, fui invitato, assieme all’amico tedesco Roland Gunter, a visitare il Nicaragua con un visto di ” cortesia” concessoci dal vice presidente, Sergio Ramirez. Fu una bella esperienza! La rivoluzione sandinista, guidata da Carlo Fonseca Amator, aveva vinto nel 1979. In tutto il mondo se ne parlava, esprimendo giudizi contrastanti sulle prospettive di quel nuovo regime. Daniel Josè Ortega ne era divenuto il presidente. Del ministero faceva allora parte anche il prete cattolico Ernesto Cardenal, principale esponente della “Teologia della liberazione” La ” Teologia della liberazione” in America latina, costituì in quel tempo la riflessione più critica; mobilitò un pensiero antagonista e rivoluzionario ai vari livelli del dibattito intellettuale, della pratica politica, della credenza religiosa e dell’esperienza quotidiana, orientando con nuovi apporti l’impegno al superamento ideale e materiale della disuguaglianza e dell’oppressione. Il movimento sandinista, guidato dal partito del FSLN, che aveva scacciato il Somosa, s’appressava in questo contesto a varare riforme sul campo socio-economico che erano invise al sistema capitalista mondiale. Tutto ciò mi suscitava interesse e curiosità a conoscere da vicino quella realtà in movimento.
Dopo aver soggiornato sulla capitale ed incontrato diverse personalità del governo e della cultura, desideravo visitare la cittadina di Estelì, perché da quel luogo era partita la scintilla della rivoluzione. Poi ad Esteli, mi dissero che il principale artefice della lotta armata era stato un prete. Purtroppo, in quella parte del Nicaragua, nascosti sulla montagna, c’erano i “Contras” -gli sconfitti dalla rivoluzione- che tentavano di riportare il vecchio regime al potere e di tanto in tanto facevano incursioni di guerriglia causando molti morti. La segretaria di Ramirez, Buanita Bermude, che era responsabile del nostro soggiorno, ci disse che il viaggio da Managua a Estelì comportava un certo pericolo. Forse per non aver riflettuto abbastanza o per spirito d’avventura, gli dissi che avrei voluto ugualmente fare quella esperienza.
La mattina dopo si presentò all’albergo dove aravamo alloggiati, un militare che indossava una divisa nuova fiammante e con molta cortesia ci disse che saremmo andati ad Estelì. Ricordo che l’amico Gunter era titubante, ma vista la mia franchezza- sarebbe meglio dire incoscienza – salimmo su la Jeep che il giovane militare di nome Ramon guidava. Notai subito, sul sedile posteriore una mitraglietta, che fece aumentare la preoccupazione non espressa di Gunter.
Managua sorge sulle revi sud del lago che porta lo stesso nome, la città si estende più di 20 km lungo il lago. Managua è una città senza molto interesse, il che non significa che sia una città disprezzabile o brutta. Di fatto non è né brutta né bella perché non da tanto l’impressione d’essere una città. Dopo la distruzione che causò il terremoto del 1972, e le devastazioni della guerriglia, Managua risorse con un esplosione intorno al vecchio centro che da la sensazione di una specie di urbanizzazione enorme e confusa. La Jeep – che non vi saprei dire di quale marca fosse – camminava a sobbalzi sull’asfalto accidentato. Iniziò a piovere. Ramon fumava in continuazione. Roland seduto di dietro di tanto in tanto allontanava con la mano il fumo che inanellandosi andava proprio nella sua direzione. Io ero euforico, non avrei mai immaginato di percorrere quelle strade e vedere quei luoghi in cui Sandino -il contadino rivoluzionario- aveva vissuto e combattuto la prepotenza delle multinazionali statunitensi.
Mi pareva di sognare: mi succede che quando leggo vicende e avvenimenti, la mia memoria li rappresenta immaginandoli anche nei particolari; cosi che qualche volta mi pare d’esserci già stato in quel posto o di aver udito cose che apprendo in quel momento.
La pioggia ci accompagnò per tutto il viaggio. Faceva un gran caldo. In lontananza, sul dorso d’una collina, disegnata con pietre di porfido bianche, si stagliava la siluette di Sandino, inconfondibile con il grande cappello di paglia. Ai lati delle via s’alternavano villaggi di povere case costruite con legno e soprattutto di lamiere. Piccoli barrocci tirati di ciuchi carichi di banane ed altri frutti esotici, ogni tanto apparivano alla mia vista. Ci fermammo una sola volta per bere una coca cola su una specie di bar. Una signora sulla cinquantina ci domandò in pochissimo tempo molte cose sull’Italia, tanto che Ramon gli fece cenno di tacere e di non importunarci. Giungemmo ad Esteli verso le undici del mattino. Esteli è una piccola cittadina ai piedi d’na montagna. Fummo subito ricevuti nel palazzo della municipalità dal segretario del fsln. Josè Francesco Lopez. Egli ci illustrò per più di un ora, le tappe che portarono alla liberazione di Esteli dal potere di Somosa. In particolare ci fece conoscere il contributo determinante che i cattolici avevano dato per la rivoluzione; ed in particolare i preti di campagna che parteciparono attivamente in qualità di comandanti di formazione da combattimento nella provincia di Esteli. Pranzammo in un collettivo di una cooperativa agricola.
Verso le otto di sera partimmo per fare ritorno a Managua. Quando ormai il sole declinava verso il pacifico e la montagna s’andava scurendo, all’ingresso di un ponte fummo fermati da due militari: un giovane e una donna armati di tutto punto. Parlarono con Ramon a bassa voce, la donna gesticolava facendo segni con la mano in direzione della collina vicina. Noi rimanemmo dentro la Jeep e guardavamo con apprensione a quello strano colloquio. Ramon salutò alla militare i due e venendo da noi ci disse: “non possiamo tornare stanotte a Managua perché la strada è interrotta”. Rolan gli chiese cos’era successo, ma Ramon balbettò qualche parola nel suo dialetto che non comprendemmo. Ci disse che avremmo dormito in una abitazione lì vicino, lungo la strada. Confesso che avemmo davvero paura. La Jeep fece dietro-front e, dopo circa un chilometro, si fermo in un piccolissimo agglomerato di casupole. Entrammo in una di quelle. Ci accolsero moglie e marito. Ramon parlò ai due, spiegando loro chi eravamo e perché si doveva passare la notte nella sua casa. Alle pareti della piccola stanza c’erano quattro fotografie del Papa polacco. La donna- adesso non ricordo il suo nome – mi fece domande sul Papa, su Roma e tant’altre cose ma sempre in ordine alla religione. I due erano devotissimi. Ci prepararono il letto nella stessa stanza dei Papi: ma sia io che Roland non chiudemmo occhio, avevamo paura! Si ripartì la mattina che appena albeggiava. Da Managua era venuta un’altra Jeep con due militari, i quali ci scortarono fino all’arrivo.
Quel viaggio fu per me una straordinaria avventura che mai dimenticherò.
Riflessioni: L’avventura.
L’avventura è per me una vicenda impensata, o per lo meno inconsueta. L’avventura è anche sognare cose desiderate e mai viste; ricercare emozioni o scoprire nuove realtà delle quali non sapevamo l’esistenza. L’avventura è anche il piacere di incamminarsi su strade sconosciute, correndo qualche pericolo, alla ricerca di forti emozioni, per conoscere, scoprire qualcosa di inusuale in circostanze particolari.
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