di Luciana Coletti –
Viaggio in Nepal e in Tibet con il pellegrinaggio al Kailash, nell’anno del cavallo.
Tra tutti i miei diari di viaggio questo mi è particolarmente caro perché racconta le emozioni per arrivare ad una delle mie mete-sogno, il superamento di molti miei limiti e soprattutto perché mi ricorda il nostro indimenticabile amico, l’alpinista estremo Christian Kuntner che ha perso la vita nel maggio dell’anno scorso sull’Annapurna, l’ultimo degli ottomila che gli mancava. Mio marito ed io amiamo i viaggi “fai da te” e iniziamo molto presto a programmarli e organizzarli. Per questioni di lavoro possiamo affrontarli soltanto nei mesi estivi.
Nel gennaio di quell’anno Christian ci disse che avrebbe voluto andare al Kailash (montagna sacra tibetana dal quale nascono i fiumi sacri dell’India) perché era l’anno del cavallo e quindi un’occasione speciale per vivere un avvenimento unico per la gente di quei posti. Uno dei miei grandi, immensi sogni da una vita. pardon. da più vite, era quello e allora. decidemmo di parteciparvi senza pensarci due volte.
Si aggiunsero a noi due nostri amici, più loro figlio di 20 anni e un altro amico, amante della montagna e dei viaggi, che appena puó parte per qualsiasi avventura.
Con Christian eravamo in sette, un gruppetto di amici di vecchia data.
Un viaggio del genere richiede di affrontare determinate difficoltà a livello fisico e non solo, molta flessibilità, una bella dose di capacitá d’adattamento, pazienza e apertura agli imprevisti. Lo sapevamo ed eravamo pronti ed entusiasti. Iniziò quindi un periodo di allenamento fatto di fin
Ma lascio la parola al diario che peró presenteró in più puntate per questioni di lunghezza. Ecco la prima.
27 LUGLIO 2002
Siamo pronti! Si parte!
Non ho quasi dormito. Sono felice ed emozionata come una bambina! Tutto é pronto!
Prima di chiudere la porta di casa, ultima controllatina alla lista per vedere se c’é tutto. (Per viaggi del genere non si usano valigie, ma i sacchi “da marinaio” oltre che i bidoni delle spedizioni.) Ho ridotto al minimo gli indumenti da portare via, ma la stessa cosa non mi é riuscita con i libri che voglio leggere durante il viaggio. Abbiamo naturalmente anche gli zaini. Christian ha messo in un bidone speck, formaggio di malga e schüttelbrot (pane secco e sottile tipico delle nostre parti) e ci dice che è una meraviglia mangiarli alla fine di un trekking. Noi sorridiamo e gli crediamo senza fatica.
Partiamo alle 23 da Monaco con la QATAR AIRWAYS. Durante il volo succede quello che capita spesso: pasti ad orari stranissimi. Ci portano la cena a mezzanotte e la colazione alle 3.30!!! Pazienza!
Mi svegliano nel momento dove ero riuscita a chiudere gli occhi, per darmi una salvietta rinfrescante di cui non avevo bisogno e che non volevo. Pazienza di nuovo! Sorrido ugualmente perché sono felice di trovarmi in volo verso il mio sogno.
Scalo a DOHA(Emirati Arabi) alle 5 del mattino, ora italiana, (qui siamo avanti di un’ora) e fuori a quest’ora ci sono 36°.
All’interno dell’aereoporto VENTI gradi in meno, “grazie” all’aria condizionata. E’ come passare dal forno al frigorifero.
Il volo per Kathmandu parte alle 8.30.
Dopo un volo di 4 ore e mezza atterriamo nella capitale nepalese.
Sono E-M-O-Z-I-O-N-A-T-I-S-S-I-M-A!
Il cielo è colmo di nuvole e prima di toccare il suolo cerco di vedere qualcosa dall’alto. Intravedo solo casette a 2-3 piani sparse nel verde intenso della vegetazione, molte terrazze, probabilmente coltivazioni di riso, dei nastri marroni che a guardarli bene riesco a distinguere. Quelli larghi sono fiumi, quelli stretti le… “strade”.
L’aereoporto “sa” molto di militare: freddo e poco accogliente. Dopo aver fatto il visto e ritirato i bagagli, usciamo. Temperatura non eccessiva – 29°- ma é l’afa ad essere opprimente.
Ci attende un mini pulmino e tre ragazzi ci accolgono con le collane di fiori.
Lungo le strade che ci porteranno alla nostra pensione, inizio ad immergermi in questa nuova cultura, paesaggio, atmosfera.
Mi stupisco ogni volta di come nel giro di “un paio d’ore” ci si possa trovare “in un altro mondo”. L’anima fa fatica a capacitarsene. Il corpo si adatta con piú velocitá.
Sembra un sogno bello… molto bello! Ma é REALTA’!
Vengo avvolta da mille stimoli, di tutti i generi che sembrano sopraffare i sensi e… “mi gira la testa”.
Odori piacevoli e altri meno, colori sgargianti, “disordine” per occhi provenienti dall’Europa, poca pulizia, macchine rumorose, moto puzzolenti, insegne di mille forme e colori, animali in mezzo alla strada, gente che non si sposta all’arrivo di un veicolo, case fatiscenti, spaghettate di fili della luce che attraversano le vie, che le accompagnano.
Poi ecco… l’architettura nepalese dei palazzi, alcuni stupa, dei tempietti.
E i volti orientali che i sorrisi illuminano incredibilmente e tanti bellissimi occhi che sembrano onici.
Sento una gioia in me che è difficile da esprimere e forse per alcuni anche da capire. Ma la sento ogni volta che posso immergermi in un mondo nuovo. Non mi importano le condizioni igieniche precarie, il non poter mangiare e dormire come a casa. Non mi interessa se avró troppo caldo o troppo freddo, se ci saranno molte zanzare o dovró stare attenta a non essere derubata. Tutto ció diventa secondario, marginale. Logicamente sto attenta a determinate cose, ma non mi preoccupano. La gioia di poter essere LI’, in quei posti, nel meraviglioso mondo su cui viviamo, mi rende FELICE, CARICA, colma di qualcosa di caldo e luminoso e anche vuota per accogliere quello che sará.
Arriviamo alla nostra pensioncina/hotel. La nostra camera è davvero deliziosa. Decidiamo di andare subito a fare un giretto in cittá. Siamo nel quartiere Thamel, quello dove si fermano i turisti prima di iniziare i trekking o il viaggio in Nepal. Tantissimi i negozietti pieni, stracolmi DI TUTTO, sia per le spedizioni che per accontentare turisti in cerca di ricordi. Vediamo pochissimi stranieri e Christian ci dice che essendo il periodo del monsone, ora è bassa stagione. Ci porta a cenare in un ristorante dove viene ogni volta che arriva a Kathmandu. E’ un cliente fisso e amato. Lo conoscono e lo salutano con grandi abbracci e sorrisi. Mangiamo su una terrazza che ci fa ammirare un tramonto sulla cittá, sui tetti delle case. Mangiamo, beviamo, ridiamo, parliamo di quello che ci aspetta.
Ci sono momenti dove non mi sembra vero di essere dove sono. Devo continuare e ripetermi: “Non sto sognando! Sono a Kathmandu. siamo in Nepal e andremo al Kailash! Sto VIVENDO un mio sogno!”
Andiamo a nanna presto visto che in aereo non siamo riusciti a dormire un granché… e poi per domani voglio essere in forma!
Voglio assaporare ogni minuto, ogni attimo di ció che mi aspetta.
KATHMANDU, 28 LUGLIO 2002
Stanotte ha piovuto molto. Le nuvole hanno
Ci siamo avvicinati e abbiamo chiesto di mostrarcelo. Con un sorriso, tanta gentilezza e pazienza ci hanno fatto vedere come farlo e tutti e 5 abbiamo provato… e riprovato e provato ancora! Immaginate 5 turisti intenti ad aggrovigliare le dita in maniera strana ma con molto impegno ed attenzione, come bambini con la voglia di fare qualcosa di bello… e ad un tratto qualcuno grida: “Ecco! Ce l’ho fatta!”
Si puó davvero gioire delle piccole cose! In pratica le mani diventano una “ciotola” che contiene un ipotetico fiore di loto formato dalle dita. Sembra impossibile, ma vi assicuro che è piú facile di quello che puó apparire con le parole.
Dopo aver bevuto una birra in un bar con vista sullo stupa, abbiamo proseguito con altri due taxi verso la periferia di Kathmandu.
Viaggiamo, viaggiamo… e Christian a un certo punto si accorge che i ragazzi che guidano il veicoli nei quali abbiamo preso posto (non si possono definire taxisti!), non sanno dove portarci. Stiamo infatti andando cosí, a casaccio. Christian lo capisce perché ormai qui é davvero di casa. E dire che aveva pronunciato bene la parola SWAYAMBHUNATH, quasi sillabando questo difficile nome dello stupa dove volevamo dirigerci. Ma niente.
Si vede che la pronuncia deve essere stata orrenda.
Li fa fermare di botto con il suo tono deciso li apostrofa con la sua impulsività e un inglese dall’accento tremendamente tedesco. Li manda “a quel paese” consigliando loro di fare un altro mestiere, mentre noi rimaniamo a bocca aperta. Ne ferma altri due al volo e questa volta arriviamo incredibilmente a destinazione, senza alcun problema.
Questo stupa, simile all’altro, è posto su una collina, con una bellissima vista sull’intera cittá. Rimaniamo un bel po’ in quel posto speciale, assaporando il sole e la leggera pioggerellina che ogni tanto spruzza tutto. Io, come sempre, mi perdo nell’osservare le persone e in questo caso anche le numerose scimmie che girano dappertutto dispettose e agilissime. E’ bello “perdere tempo” per entrare nell’atmosfera che regalano certi luoghi, le persone che ci passano, lo popolano. E i nostri viaggi sono sempre stati e saranno tutti all’insegna della calma, di ritmi lenti, non di “mille cose e luoghi” in poco tempo.
Alla sera secondo approccio con la cucina nepalese e lo facciamo in un locale con la musica assordante, ma ottime pietanze piccantissime, tanto che beviamo birra a tutto andare.
Alle 23 siamo tutti nelle nostre camere, ma il percorso fino all’hotel è stato molto… allegro e all’insegna delle risate a crepapelle. Sará l’euforia della vacanza iniziata o l’effetto della birra? Non è importante sapere la causa. E’ bello vivere così, gustando il più possibile cibi e atmosfere, luoghi e persone, ridendo anche per “stupidaggini”.
Domani partenza per NEPALGUNGJ.
A Kathmandu ci dedicheremo ancora, con più tempo, al ritorno.
KATHMANDU, 29 LUGLIO 2002
Siamo seduti all’aeroporto e stiamo aspettando il volo per Nepalgunj nel sud, zona tropicale e di malaria. Lí pernotteremo solamente, in attesa del volo per Simikot dove inizierá il nostro trekking. Christian dice che lí fará un caldo bestiale. Vedremo.
Stamattina abbiamo separato le cose che possiamo lasciare qui, da quelle che ci serviranno per la spedizione. A Carla è purtroppo scoppiata una venuzza nell’occhio e con Christian e suo marito sono andati all’ospedale per chiedere se puó affrontare le altitudini che ci aspettano. Il medico li ha tranquillizzati e le ha dato delle pastiglie e delle gocce. Prima di lasciare la camera, un’altra doccia godendola particolarmente, in quanto chissà per quanto tempo non riusciremo a farne un’altra.
Il volo che stiamo aspettando (sono le 13) partirá solamente alle 16 e noi cerchiamo di ingannare il tempo alla meglio e secondo i gusti di ciascuno. Gli uomini hanno indetto un campionato di carte. Carla riposa il suo occhio, suo figlio ascolta musica e io, naturalmente, scrivo il diario.
Sulla pista, ad un tratto, mi cade l’occhio su strani movimenti. Cerco di mettere a fuoco, sgrano le pupille… guardo meglio… non credo a quello che vedo! Ma… sí! Sono delle scimmie che gironzolano senza problemi tra un atterraggio e un decollo!
NEPALGUNJ, lunedì, 29 LUGLIO 2002
Atterriamo dopo un’ora di volo durante la quale abbiamo avuto la fortuna di avere una vista sulle cime
A me, al primo momento, sembra di non riuscire a respirare. Christian l’aveva detto! Ci “accolgono” un sacco di militari con i fucili spianati. Che strana sensazione!
All’uscita dall’aeroporto troviamo le jeep che sono venute a prenderci. Saranno cosí basse a causa dell’altezza media dei nepalesi? Un po’ di disattenzione e… sbeeeeeng… sbatto la testa entrando da dietro.
Per arrivare all'”hotel” percorriamo un tratto a mio parere interessantissimo, sudando tantissimo nonostante la jeep sia aperta. Incrociamo un sacco di gente a piedi, a dorso di mulo, con il carretto tirato da cavalli e in bici. Ci rendiamo conto di essere gli unici stranieri nel giro di km e km. La strada è in buona parte sterrata quindi la polvere che si alza non è poca. Ogni tanto qualche mucca in mezzo alla carreggiata che non pensa neanche lontanamente di spostarsi e nessuno oserebbe invitarla a farlo.
Vediamo tantissimi negozietti vecchi, “trattorie” all’aperto, tanti rifiuti dappertutto, baracche e sempre tante insegne di mille colori. Provate a indovinare qual’è quella che ho trovato anche qui come DAPPERTUTTO, anche in luoghi sperduti e remoti? Dai… è facile! “Naturalmente” quella della bevanda con la lattina rossa e la scritta bianca!!!
Mentre proseguiamo mi sento in un bagno di sudore, i miei capelli sono bagnati come se avessi fatto una doccia. Rifletto sul fatto che una zona come quella che stiamo attraversando non deve essere molto diversa da come era 50 anni fa, tranne che per le insegne. Arriviamo al nostro “hotel”. Definirlo cosí è decisamente generoso, ma non è poi cosí male. C’è una semplice, ma spaziosa sala da pranzo e le camere sono grandi anche se l’odore di muffa è molto forte. Tralascio di spiegare come è il bagno ma vi assicuro che tutto ha la parvenza di esser stato pulito con impegno. Certo il concetto di pulito nostro è differente, ma non importa.
Nella nostra camera la luce è fioca, ci
Siamo sorvegliati speciali? C’è pericolo? Le nostre menti cercano ipotesi e quella piú plausibile e tranquillizzante, visto che nessuno ci vuole spiegare, è che sia a causa delle vicinanza con l’India e degli avvenimenti politici degli ultimi tempi.
Cena nepalese con birra danese e gechi trasparenti che simpaticamente si arrampicano sulle pareti della sala da pranzo per eliminare le zanzare che intanto si sono fatte vive per benino.
Anche in questo ambiente l’afa è tremenda e la birra fresca è un piacere UNICO. Finito di gustare piatti davvero saporiti e dopo chiacchierate di ogni genere, Christian ci annuncia che domani la sveglia la dará alle 4.
Nessuno replica o si lamenta, anzi, ci diamo la buonanotte e ci ritiriamo nelle nostre stanze. Io mi butto sul letto vestita di tutto punto perché:
1. non avevo voglia di cercare il pigiama nel sacco a causa dell’afa; 2. per “un paio d’ore” di sonno non vale la pena spogliarsi; 3. essere giá belli pronti alle 4 del mattino è un vantaggio per chi ha la carburazione lenta come me anche quando si sveglia ad ore “cristiane”.
Domani inizieremo il trekking! Non vedo l’ora! Che emozione!
NEPALGUNJ – SIMIKOT – martedí, 30 LUGLIO 2002 Stamattina sveglia alle 4 dopo una notte da bagno turco. Il condizionatore, oltre ad andare a singhiozzo, verso la mezzanotte
Colazione alle 4.30. Per me vuol dire non riuscire a mandare giú nulla. Anche solo un tè é una gran fatica. Le jeep ci vengono a prendere alle 5 e una volta arrivati all’aeroportINO, dopo 45 minuti, è iniziata una vera e propria perquisizione a piú gradi.
1. grado: PRIMA di entrare nell’edificio vero e proprio, quindi nel “cortile” antistante. Praticamente subito dopo essere scesi dalle jeep.
2. grado: davanti alla porta d’entrata
3. grado: in cabina donne/uomini e non solo lo zaino, ma anche TUTTO ció che c’è all’interno, nei minimi dettagli, quindi ogni sacchettino, astuccio, libro, custodia, piega, tasca. Una poliziotta molto scortese e dall’espressione arcigna, mi requisisce due accendini che porto sempre con me anche se nessuno di noi fuma, perché… perché non si sa mai!
Sono le 7.30. Stiamo aspettando da circa due ore e in TEORIA dovremmo giá essere in volo, ma sembra che le cose non siano cosí semplici.
Eccoci ancora qui. Sono le 10.15 e siamo ancora bloccati a terra. Sembra che i problemi siano legati alle condizioni atmosferiche a Simikot. E intanto gli altri aspettano giocando a carte e io leggendo, ascoltando musica, sognando, fantasticando e scrivendo.
La compagnia con la quale voleremo si chiama YETI AIR. Evidentemente nomen est omen: non è facile né da vedere, né da… prendere.
Finalmente alle 12 ci dicono che il nostro aereo è pronto. Lo raggiungiamo a piedi e prima di salire un poliziotto ci fa capire che vuole perquisire un’altra volta i nostri zaini.
EEENNNOOO! Basta! Non per essere polemici, ma quando é troppo é troppo! Gli facciamo vedere I cartellinI della security che certificano i tre percedenti controlli e… ci lascia salire senza dire più una parola o tentare altro.
Riusciamo a decollare alle 12.30 dopo quasi SETTE ore di attesa e un’alzata alle 4 del mattino che non é servita a nulla. Stiamo facendo un corso accelerato di pazienza e posso dire che siamo ottimi allievi. Prendiamo tutto con una calma… da buddisti. Bene! Molto bene… direi! Nel nostro aeroplanINO solo noi, con TUTTI i “bagagli” (zaini, ma anche bidoni e sacchi) stivati davanti ai nostri nasi, in cabina.
Voliamo più o meno a quota 3500m, con portellone dietro il mio sedile che non tiene chiuso bene!!! SIG! Con la mia fervida fantasia immagino cosa succederebbe se si aprisse. Scene viste in vari film si alternano a titoli sui giornali, del tipo: “Turisti altoatesini dispersi sulle nevi himalayane!” Faccio finta di non sentire l’aria che entra dal portellone e osservo con particolare attenzione i piloti (un uomo e una donna) che sembrano sereni e sorridenti.
Dopo un volo di un’oretta atterriamo a Simikot, un villaggio incastonato tra i monti, su una pista d’atterraggio in terra battuta che a vederla dalla cabina di pilotaggio, pare grande quanto un. francobollo. Scendiamo e sentiamo subito che l’aria è PIU’ fresca, ma il sole, dove non c’è il venticello, è COCENTE. Un cambio sia di clima, sia d’altitudine non indifferente nel giro di pochissimo tempo. L’afa è sparita e si respira meravigliosamente anche se siamo a 2850m.
Accoglienza eccezionale: una fila fitta di abitanti si è addossata al recinto della pista per osservare noi, nuovi arrivati! Mi sento decisamente a disagio. Cerco di fare la disinvolta, saluto con la mano sorridendo e vengo contraccambiata con calore. Una volta scaricati tutti i bagagli, l’aereo riparte subito, prendendo la rincorsa e buttandosi nel vuoto dopo 100m (dicasi cento!!!) di “pista”.
Conosciamo i nostri compagni di viaggio locali: Biman, l’eccellente, simpaticissimo cuoco di tutte le spedizioni di Christian, Chandra, il capo degli sherpa e altri 3 ragazzi che guideranno i 3 dzo (incorcio tra yak e mucca) e i sei muli/cavalli che trasporteranno i nostri sacchi e bidoni oltre a tutta la cucina da campo, le tende, cibi e quanto ci servirá per il trekking. Decidiamo di “pranzare” sedendoci a terra. Biman ci prepara del tè e dei panini. Dobbiamo aspettare un’altra eternità prima che Christian riesca a farsi firmare i permessi. Tutto in questi posti viene fatto con estrema calma, senza fretta. E’ davvero un altro modo di vedere le cose, di considerare il tempo, la vita. E noi ci stiamo adattando davvero bene.
Nel frattempo arrivano sempre piú bambini che
Una volta sistemata la burocrazia, Christian ci dice che possiamo partire. Gli chiedo se è il caso di mettere gli scarponi per il percorso di questo pomeriggio, ma lui risponde che vanno bene anche le scarpe da ginnastica che indossiamo. Finalmente muoviamo i primi passi. Non mi sembra vero!
Adrenalina a mille!!! Che bello! Che bello! Che bello!!!
Mi guardo ancora intorno…
Voglio fotografare tutto nella mia anima: montagna altissime che qui sembrano più basse visto che siamo noi più vicini alle loro vette, colori sgargianti, cielo sereno, la nostra piccola carovana che si mette in moto, il villaggio che diventa sempre più piccolo sotto di noi.
La prima bellissima sorpresa, una volta allontanati dal villaggio, sono molte donne che stanno facendo il bucato e la “doccia” a una cascata. Alcune hanno dei gioielli, soprattutto orecchini molto, molto belli.
Poco
Saliamo senza problemi di 280m, fino a quota 3130m. Difficile diventa invece la discesa di 700m su un sentiero pieno zeppo di ciotoli, sassi e molto, molto ripido, soprattutto se… – CHRISTIAAAAAAN!!! – …non si hanno le scarpe giuste! Quando gli dico che FORSE erano meglio gli scarponi, non mi risponde, ma sorride sornione come per dire: “Dai che ce la fai anche cosí!!!”
Certo… per lui le cose sono differenti, ma per me scendere un sentiero
Lungo il percorso incontriamo tante persone che tornano a casa dai campi e tutti salutano con un sorriso e il loro NAMASTE’.
Il nostro primo campo lo montiamo vicino a delle rocce. Le nostre 4 tende sono presto montate. Dopo una cena abbondante cucinata egregiamente da Biman, siamo più che pronti per andare a nanna. Abbiamo sulle spalle una levataccia alle 4 dopo una notte praticamente insonne, un’attesa lunghissima all’aeroporto e una camminata di 3 ore e 45′ sotto un sole caldissimo. In più non dimentichiamo la differenza di altitudine e di clima nel giro di poco tempo.
Ci sono proprio tutti gli ingredienti per renderci cotti e pronti a puntino… per il sacco a pelo.
Sono le 20.30 e nel campo non si ode più neanche una voce. Provo ad addormentarmi, ma non ci riesco. Sará l’emozione? La stanchezza? O l’altitudine?
La mia curiosità da bertuccia prevale sulla paura e mi permette di prendere il coraggio a 4 mani, di uscire dal sacco a pelo, di prendere la torcia elettrica, di aprire la cerniera della tenda per vedere di cosa si tratta, ma… qualcuno in quel momento fa scappare la bestia!!! Uffa!
Intanto mio marito, mi chiede cosa sto facendo e se ho bisogno di qualcosa. Gli rispondo: “Niente, niente… Dormi pure!” ma il mio cuore batte, batte.
Mi ri-infilo nel sacco a pelo e provo a dormire.
KERMI, 31 luglio 2002
Stamattina sveglia alle 6 con un tè portato davanti ad ogni tenda da Biman in persona. Stanotte ha piovuto, ma stamattina è tutto asciutto. Facciamo colazione all’aperto e dalle facce noto che non sono l’unica ad aver dormito così-cosí e … ad aver sentito QUEL rumore. Fonti ben informate dicono che era un asino che uno degli sherpa ha scacciato.
Partiamo prima delle 7.30 dopo aver
Subito dopo la partenza mi sento una stranissima debolezza addosso. Cammino piano, piano e devo fare diverse soste. Decido di prendere un’aspirina e… dopo qualche minuto vomito e questo mi fa sentire subito meglio, come rinata. Le ipotesi di questo malessere possono essere tre: 1.la stanchezza di ieri, 2. l’uovo mangiato a colazione che solo a pensarci mi fa rivoltare lo stomaco anche adesso 3. il gran sole di ieri che ha arrostito la mia testa sensibili ai colpi di sole dopo un’insolazione bestiale e famigerata sul fiume giallo, in Cina. Da allora è un mio punto debole e devo stare particolarmente attenta.
Passiamo attraverso diversi villaggi con le case tipiche, fatte di fango e col tetto piatto sul quale viene accatastato lo sterco di yak che funge da combustibile. Da ogni buco, angolo, finestra, viottolo spuntano visi sorridenti che ci salutano. Namasté… Namasté…
Frotte di bambini ci accompagnano per un bel tratto, sorridendo, chiedendo penne, scherzando e dicendo: “ UOTS YOR NEIM? MAI NEIM IS…”
Incrociamo anche molte carovane di capre nane che fra le corna hanno un simpatico ciuffetto e sulla schiena portano sacchetti di sale.
Pranziamo accanto a una cascata. Io mangio pochissimo. Prima di partire metto i piedi in ammollo sotto la cascata e… ancora un po’ mi si staccano di brutto. L’acqua è gelida!!! Ma come sferzata d’energia non é male! Riprendiamo il cammino su una salita ripidissima. Lo stretto sentiero che ci accingiamo a fare è un taglio nella roccia a strapiombo sul fiume Karnali. E’ incredibile come gli animali che portano i nostri bagagli e tutto il resto, riescano ad inerpicarsi su questi sentieri pieni zeppi di sassi e ciotoli! Christian ci precede agile come uno stambecco e… dietro a uno sperone roccioso eccolo con la videocamera che immortala sorridendo e commentando, le nostre facce affaticate, paonazze e sudate.
Dopo un’ora sento che ritorna il malessere,
Non vedo l’ora di arrivare al campo di stasera. Il percorso mi sembra eterno. Dopo 6 ore di cammino (calcolo sempre le ore NETTE e non ci aggiungo mai le pause), finalmente intravedo il giallo delle tende che questa volta Christian e gli sherpa hanno giá montato per noi. La sua si trova sul tetto di una… capanna? Casupola per viandanti? Stalla? Mah! Ma è proprio posizionata sul tetto di un edificio basso con una porta e una finestrella, nel quale abbiamo visto entrare alcuni passanti che dormiranno lì sulla paglia, in compagnia delle capre.
Mi sdraio… cerco di riposare. Dopo due ore mi sento di nuovo meglio. Ci ritroviamo tutti per cena e poi… a nanna subito! Il primo giorno di trek è alle spalle. Non ho iniziato molto bene… ma sono molto ottimista, visto come sto adesso che sono seduta nel mio sacco a pelo, nella nostra tenda, con la torcia elettrica sulla fronte per scrivere queste pagine.
YANGAR (2925slm), 1 AGOSTO 2002
Notte passata in maniera molto irrequieta. Mi saró svegliata almeno mille volte e girarsi e rigirasi in un letto non é un problema, ma farlo in un sacco a pelo fa in modo che ad un certo punto ci si senta stretti, come imprigionati in una camicia di forza.
Il percorso del mattino ci fa passare in mezzo a un paesaggio molto simile a quello delle Alpi: pini, abeti, montagne innevate come sfondo. Il tempo è sempre bello, il sole scotta sulla pelle. Per fortuna ogni tanto qualche nuvola lo copre.
Scopro il mio corpo forse per la prima volta in maniera cosí intesa e ravvicinata. LO SENTO, lo percepisco come non mai. D’altra parte nella vita di tutti i giorni non è cosí usuale camminare per 6 ore!
Sento le gambe che non faticano a seguire i piedi che ormai sanno con sicurezza dove e come appoggiarsi.
Sento il fiato che nelle salite fa fatica a raggiungere un ritmo normale e i polmoni a volte sembrano infiammarsi.
Sento la pelle che si surriscalda e diventa sensibilissima.
2 e 3 AGOSTO 2002 – da 2905 a 3830m slm
(Cerco di condensare i due giorni e scrivere solo gli avvenimenti salienti.)
Sveglia sempre alle 6 e i miei sonni, a causa dell’altitudine, sono sempre irrequieti. Ma queste due ultime notti sono state disturbate anche dall’abbaiare continuo di un cane e da mio marito che a causa della dissenteria è entrato e uscito dalla tenda “cento” volte.
Noto
Ci sono molti torrentelli scintillanti e cascatelle, ma anche tanta polvere a causa di un venticello che la sollevava ad ogni passo.
Fa molto caldo e al campo del 2 agosto andiamo al fiume a lavarci, dopo sole 5 ore e mezza di cammino questa volta. La notte del 3 piove tantissimo e a un certo punto, tocco la parete della tenda e sento che è bagnata e che lo stanno diventando anche i sacchi a pelo, gli zaini e pure gli scarponi, che naturalmente abbiamo con noi in tenda e non abbiamo dimenticato fuori. La colpa è nostra che non abbiamo ancora imparato a montarla come si deve.
Partiamo sotto un cielo plumbeo e una pioggerellina fine, fine, ma fitta, fitta. Ecco davanti a noi, quasi subito, un dislivello di 250 metri RIPIDISSIMI da fare su un sentiero dai 1000 ciotoli, dove cercare con attenzione un punto d’appoggio sicuro, che non mi faccia cadere con il pericolo di rotolare in basso. Mio marito è molto debole per “le corse” della notte sotto la pioggia e allora andiamo avanti slowly, slowly…
Arriviamo in cima e i nostri portatori ci dicono di aver sentito che i maoisti fermano i turisti di passaggio, per rapinarli “ufficialmente” di 100 dollari a testa, proprio dove vorremmo fare il campo stasera. Christian decide allora di fare due tappe in un giorno.
Ci guardiamo t
Camminiamo… camminiamo… e ancora camminiamo. Dietro ad ogni dorso nessuna macchia gialla (colore delle tende) ma solo un lunghissimo nastro che sembrava non finire piú e continua inesorabilmente ad entrare e uscire dalle valli laterali. Io inizo ad avere le mani gelate anche perché la temperatura è scesa di molto. Credo che sia anche colpa della stanchezza e per aver mangiato pochissimo durante tutta la giornata.
Ad un tratto K. prende le mie mani tra le sue che sono caldissime e giuro che in quel momento è la cosa piú bella del mondo. Abbiamo alle spalle 8 ore di cammino, di cui solo mezz’ora di sosta. Ad un certo punto sento dentro di me l’impulso di ridere e piangere contemporaneamente.
Rinfrancati da qualcosa di caldo, iniziamo a salire verso le tende.
Arrivata, tolgo la giacca a vento m’infilo alla velocitá della luce all’interno del sacco a pelo per non disperdere il calore corporeo.
Il motivo? Soprattutto cercare di evitare i maoisti. Proprio per questo, Christian ci dá nuove disposizioni: domani sveglia alle 5 e si raccomanda vivamente che per andare in bagno (qui vuol dire al primo masso vicino alla tenda) usare il meno possibile la torcia elettrica.
Piccola parentesi: naturalmente durante tutti i giorni in tenda, andare al gabinetto, vuol dire appartarsi dietro a qualche cespuglio, masso, albero o quando il luogo non offre altre possibilitá, solo fermarsi lungo il sentiero, lasciando andare avanti gli altri.
Ci ritiriamo nelle nostre suites gialle, molto intime anche se poco… arredate.
Buonanotte. Speriamo di non avere visite sgradite stanotte.
4 AGOSTO 2002
Ci svegliano alle 5 dopo aver passato la notte
Christian dice che è meglio andare via al piú presto e che ci fermeremo a farla prima della grande discesa.
Il paesaggio è fiabesco, mistico, unico e anche un pochino inquietante. Siamo avvolti dalla nebbia. Tutto é estremamente silenzioso. Tutti, tranne Christian, siamo più addormentati che svegli, piú rattrappiti che freschi, più silenziosi che mai. Non è più buio, ma c’è pochissima luce. Siamo pronti per fare la tappa piú impegnativa di questo trekking nel Nepal: il passo NARA a 4430m. Gli altri partono e dopo un po’ non lo vediamo più, inghiottiti dalla nebbia. Noi due iniziamo con calma per colpa mia… che come sempre sono la tartaruga del gruppo. Ad un tratto, eccoci alla base di una parete che non avevo visto da lontano, sempre per la nebbia. Intanto ha ricominciato a piovere. Sempre la solita pioggerellina fitta, fitta che a differenza di quella che abbiamo avuto quando eravamo piú in basso, é anche fredda. C’é anche un vento fastidioso e tagliente! Imbacuccati nelle nostre giacche e pantaloni di goretex, con tanto di cappuccio, berretto e guanti, iniziamo la scalata. Guardando verso l’alto arrivo a una conclusione: è in assoluto la parete piú ripida che abbia mai affrontato
Intanto la pioggia é cessata. Rimane il vento freddo e forte che peró ora ci… spinge.
Ad un tratto… una delle persone che ci vengono in contro in senso inverso é… una faccia nota!!! “Ma quello é uno dei nostri sherpa!” Sí!!!! Christian ce l’ha mandato con una pentola piena di verdure, pane e riso piú un thermos di té. Mangiamo in un punto un po’ piú ampio in modo che gli animali che passano, riescano a farlo senza venirci addosso. Ma spazio per sederci non c’é. Rimaniamo in piedi, appoggiati con la schiena alla parete.
Mentre assaporo il cibo, guardo anche gli yak che mi passano accanto placidi e sicuri.
Arriviamo al campo alle 13 e ci mettiamo sdraiati sulle giacche a vento a farci riscaldare dal sole. Dobbiamo aspettare fino alle 16 i nostri animali (con tende e tutto il resto). Appena arrivano facciamo asciugare all’aperto le tende e tutto ció che era umido. Prima di cena Christian monta la doccia da campo che usiamo per la prima volta. Bisogna risparmiare acqua se vogliamo farla tutti e sette e cosí facciamo. Ci togliamo gli strati di polvere con un rigagnolo d’acqua calda che esce da una specie di otre sulle nostre teste, all’interno di una cabina di plastica simile a una tenda, ma alta e stretta. E’ una vera goduria, difficile da provare nella vita di ogni giorno, dove tutto é scontato… troppo scontato. Cena ottima che io divoro. Alle 21 a nanna. Sono veramente stanca, ma veramente felice! Tra le altre cose anche perché abbiamo evitato l’incontro con i maoisti.(Giorni dopo, abbiamo appeso che il gruppo successivo era stato “beccato” e che avevano richiesto non solo i dollari, ma si erano fatti consegnare anche macchine fotografiche e orologi!!! Che fortuna la nostra!!! Merito anche di Christian, sicuramente!)
Domani passeremo il confine con il Tibet! Kailash, stiamo arrivando! Sogno, sei sempre piú vicino!
TAKLAKOT (Purang per i cinesi) – 3700m – 5 AGOSTO 2002
Ieri sera Christian ci aveva detto che al mattino, per
Cosí… volenti o nolenti ci dobbiamo dare una mossa e fare colazione alla svelta. Io ho gli occhi gonfi, ma la Nutella che mi sono portata da casa la troverei anche ad occhi chiusi. Attraversiamo un ponte e saliamo verso il confine col Tibet, con la Cina. Il nostro trekking in Nepal finisce qui.
Arriviamo a quella che è la base militare dove ci controllano MINUZIOSAMENTE i sacchi e gli zaini.
Ci rimango molto, ma molto male. Per me che adoro i libri, lasciare qui una mia “creatura” é un vero dolore!!!
Mio marito ed io iniziamo a sentire anche un po’ di emozione perché… lo dico sottovoce… abbiamo nascosto da qualche parte, delle immagini del DL per regalarle ai pellegrini che incontreremo nel kora, cosa che fa loro tanto felici. Fortunatamente il nascondiglio non è alla portata d’intelligenza militare!
L’attesa si fa lunga perché i controlli sono minuziosissimi. Una volta finiti, saliamo sulle jeep e ci portano nell’ “hotel” dove ci tengono letteralmente segregati, fino all’arrivo dei militari che dovranno validare i nostri visti. Ci accompagna un militare che, più dalle stelline che dal fisico, sembra essere un pezzo grosso.
Christian insiste, chiedendogli di ridarci i libri e di strappare solo le pagine non…”idonee”, ma… non cede. Alle 13 arrivano gli altri ufficiali da chissá dove, solo per noi. Quello che parla anche un po’ d’inglese ci spiega con affabilità che in Cina sono VIETATI libri con l’immagine del Dalai Lama e con questo ci fa capire con decisione che il discorso é chiuso definitivamente.
Ognuno di noi deve presentarsi singolarmente, col passaporto per essere identificato e “schedato”. Ci affibbiano una… “guida” che sará il nostro accompagnatore ufficiale in Tibet, dove, come è noto, non si puó girare a proprio piacimento.
Il paesaggio fino a qui è stato magnifico, sotto un cielo sereno e azzurrissimo. Le montagne hanno mille colori, ci sono pinnacoli di terra che sembrano torri della cattedrale di Gaudí a Barcellona. Ed ecco tanti ghiacciai e nel fondovalle il fiume Karnali che scorre libero, ampio, solenne, dopo le gole nel quale era stato costretto fino a quel momento. Attraversiamo un paio di villaggi. La pista è stretta, piena di sassi.
La jeep deve passare in mezzo a fiumiciattoli e… ad un certo punto, qual’é il posto migliore per bloccarsi? Naturalmente in mezzo all’acqua! Se avessi aperto lo sportello sarebbe entrata di sicuro tanto era alta nel punto dove ci siamo arrestati.
L’autista prova ad accelerare… e niente! Mette le ridotte oltre al 4×4 e… ancora niente!
Per un momento
In questo momento sono le 18.30. K ed io siamo appena tornati da una perlustrazione al paesino: tantissima sporcizia e militari dappertutto.
Gli unici mezzi a motore che si vedono, sono camion che trasportano terra, che un escavatore jurassico sta togliendo dalla strada. Mi siedo su un divano e sento le gambe che formicolano da cima a fondo. Non riesco a spiegarmi il perché. In questi casi sento sempre un bisogno “indispensabile e necessario”, di dare un motivo alle reazioni inusuali del corpo, non fosse altro che per tranquillizzarmi. Credo che sia per l’altitudine e con quest’ipotesi mi calmo anche se continuo a dirmi che é ben strano! Ceniamo nella stanza dove ci hanno “segregato” fino alla vidimazione dei visti. Alle 21 va via la luce, ma noi con la lampada sempre a portata di…fronte, raccogliamo le nostre 4 cose e ci dirigiamo nelle nostre camere: due stanze comunicanti. Nella prima 2 letti semi-matrimoniali
06 AGOSTO 2002 – TAKLAKOT –> MANASAROVAR
Notte
In questo viaggio, fino ad ora, abbiamo scoperto che tutto è relativo: i canoni di pulizia personale e quella degli ambienti. Anche il tempo.
Per la partenza di stamattina arrivano due nuove jeep. Per tutto il resto abbiamo un camion, niente piú dzo, muli. Parte la prima jeep con la famigliola madre, padre e figlio. Poi la nostra, con Christian J., mio marito ed io,
TENTA di fare altrettanto, ma… niente!
L’autista apre il motore, tira… stacca… e riattacca qualcosa e… via anche noi.
Viaggio di 70 km che dura tutta la mattina in mezzo a paesini, radure immense e una luce limpidissima e forte che rende tutto vivissimo.
Arriviamo a un primo lago… e poi al meraviglioso MANASAROVAR, il lago magico del Tibet, che ha una carica d’energia, un’atmosfera STRAORDINARIA!
Qualcosa di fantastico. Indescrivibile! Quanti anni l’ho sognato!!! Quanto ho letto su questo luogo! Quante immagini ho cercato, visto!!! E… ora sono QUI… sulle sue sponde!
Non mi sembra vero!
Arrivati al lago ci dirigiamo quasi subito al piccolo, ma meraviglioso monastero sulle sue sponde, dove vivono, pregano e meditano solo due monaci che ci accolgono sorridenti e felici di vedere qualcuno. Per arrivarci, una salita non molto lunga che richiede peró passi lenti. Siamo a 4600m. Il fiato diventa di nuovo subito corto.
Arrivati in cima e andando sul tetto lo sguardo puó spaziare fino a un orizzonte lontano. Rimaniamo tutti senza parole e prima di fotografare veniamo rapiti, assorbiti dalla bellezza nella sua espressione più semplice, piena e primordiale. Stiamo tutti zitti, in un silenzio che mi sento di definire religioso, di rispetto e stupore oltre che gratitudine. Dopo un bel po’ torniamo all’interno del convento e lo visitiamo con calma grazie alla cortesia e dolcezza dei due monaci.
Scendiamo fino alle jeep. Mi allontano dagli altri che vanno a passeggiare lungo le sponde nonostante le zanzare dalle antenne pelose.
Mio marito sa che ci sono momenti dove ho bisogno di stare sola proprio per ascoltarmi dentro, aprire quei canali invisibili che mi permetteranno di diventare una sola cosa con quello che sto vivendo. Non è un volerlo escludere dalle mie esperienze. Assolutamente no. Ci sono momenti molto intensi che viviamo in due, voluti, cercati e trovati. Ma ho anche bisogno della “solitudine” per entrare in contatto con una parte del mio giardino nascosto. Mi viene in mente la canzone di Zucchero (Ahum – da Shake)…
Sono seduta sulle
Sono qui… ORA… IO… in questo briciolo d’eternitá che non ha tempo e che mi immerge in uno spazio infinito non solo fuori, ma anche dentro di me.
I miei occhi spaziano con calma, quasi al rallentatore, in modo da assorbirne ogni frammento.
Ciò che in qualsiasi altro posto potrebbe risultare brullo, qui è luminoso e intriso di libertá. Sembra eliminato tutto ció che è superfluo per lasciare spazio soltanto a ció che è essenziale, che dá forza, che rende intensa la bellezza della terra nei suoi colori e forme originali. La coulisse di brulle colline viola, rosa, arancione sembrano onde di un immenso oceano di terra. E davanti, sul “palcoscenico” le acque calme del lago, dai colori che variano dal turchese al blu cobalto. Qui sembrano esistere solo la Terra, il Cielo e l’Acqua che nella loro trilogia primordiale si frappongono all’infinito.
Provo un brivido a guardare il blu delle volta celeste che sembra sostenermi, farmi volare. E’ una tonalità cosí profonda e pulita che tutto intorno impallidirebbe se la luce non modellasse le forme con nitida plasticità.
Io che adoro fotografare, sento che qui è impossibile fissare su pellicola ció che sto vedendo e considero quasi un peccato al cospetto degli Dei, rinchiudere l’infinito e questa toccante armonia, in rettangoli sempre TROPPO piccoli. Continuo a guardare… assorbire come una spugna che non diventa mai satura.
Tutt’ad un tratto ho l’impressione di avere delle ali che
Sí… qui sto capendo il vero significato della parola INFINITO.
Lo vivo, lo vedo, lo sento in me, DENTRO e FUORI di me, in quest’esperienza dove mi scopro colma di vita tanto da traboccarne. Sì… si puó piangere anche quando la bellezza e l’armonia diventano palpabili.
Nel primo pomeriggio raggiungiamo un gruppetto di baracche adiacenti ad un altro monastero non più sulle rive del lago, ma su una collinetta poco distante.
Qui passeremo la notte. Dormiremo in una grande stanza dalle pareti e il soffitto ricoperti da stoffe colorate. Anche qui il pavimento è solo in terra battuta. Noi 6 dormiremo insieme in questo dormitorio, mentre Christian ha deciso di farlo in una specie di sgabuzzino, tutto solo. Alla domanda del perché risponde che il russare di alcuni di noi non gli permette di dormire. Lo prendiamo in giro per un po’, ma lui fa altrettanto con noi. Sono le 16 e gli uomini preparano una merenda a base di speck. Noi due donne facciamo un sonnellino nella jeep. Dopo esserci rifocillati andiamo a zonzo e ci troviamo immersi in una luce magnifica, quella del tardo pomeriggio.
Il monastero che è poco lontano da noi, sembra impacchettato nelle bandierine colorate di preghiera. Rimaniamo a fare il pieno di sole e Luce vicino a un chorten dove arriva un pellegrino che ci gira attorno pregando. Si assapora un’atmosfera davvero diversa. A volte mi sembra di essere sospesa da terra, non di camminare, ma di muovermi su dei cuscinetti d’aria. Strano…
Mangiamo
7 AGOSTO 2002 – MANASAROVAR –> DARCHEN
Notte molto irrequieta perché mio marito che oltre a far fatica a respirare, ha avuto di nuovo un forte attacco di dissenteria. Io invece, nel mio sacco a pelo facevo la sauna. Ma se mi scoprivo, congelavo. Ho dovuto andare al gabinetto a mezzanotte. ACCIDENTI! CHE NERVI! Ciò vuol dire uscire all’esterno del gruppo di baracche. Solo lì si trovano gli unici “servizi pubblici” per tutti, quindi devo vestirmi (la temperatura di notte a questa altitudine è freschetta!), mettermi gli scarponi, cercare la lampada e… avventurarmi nel… labirinto, mezza addormentata.
Il viaggio fino a Darchen
DARCHEN – Kora intorno al KAILASH – 8 AGOSTO 2002
Stanotte ho dormito malissimo sia per l’emozione, che per le tante domande… dubbi.
Mio marito ce la fará davvero o sará troppo dura? Non vorrei che si sforzasse solo perché sa che senza di lui non andrei. Riusciró a superare i miei limiti fisici? Mai arrivata a quasi 5700m. Se penso che il Monte Bianco è alto 4810m mi vengono altri dubbi… qualche paura. E se ad un tratto soffrissi il mal d’altitudine? Mi ripeto che abbiamo fatto una buona acclimatazione e quindi da questo punto di vista devo stare tranquilla.
Avró forza, energia a sufficienza? Mi dico che dove c’è una volontà c’è una via… un viottolo, un sentiero! E la mia volontá è enorme, immensa, a patto di poter vivere quest’esperienza col compagno della mia vita. Senza di lui rinuncerei senza pensarci, anche se questo è uno dei miei grandi sogni, da più vite.
Ma al mattino, come per miracolo, sta meglio. Molto meglio. Riesce addirittura a far colazione dopo una giornata dove ha bevuto praticamente solo tè e mangiato qualche biscotto. Il tempo al mattino è nuvoloso.
Prima di muovere il primo passo ci guardiamo, ci abbracciamo e partiamo… verso quella che sappiamo fin d’ora sará una delle esperienze piú toccanti, profonde e emozionanti della nostra vita.
Il percorso
C’è da fare ancora un’ultima salita per arrivare al campo con le tende quando il tempo sta migliorando decisamente e le nuvole lasciano spazio al sole.
KAILASH 9 AGOSTO 2002
Sveglia alle 5. Di notte ha piovuto. Ho avuto un sonno irrequieto pieno insicurezze alternate alla fiducia di farcela. La mia volontà mi avrebbe fará superare le limitazioni del corpo? Esco dal sacco a pelo, mi vesto, indosso la giacca a vento, gli scarponi. Mi lavo come i gatti con l’acqua che uno sherpa mi dá in una ciotola. Mi sento debole. Ho gli occhi gonfi. E’ ancora buio. Smontiamo le tende, prepariamo gli zaini che cerchiamo di tenere il piú possibile leggeri. Mandar giú un solo biscotto o un sorso di tè è un vero e proprio sacrificio. Partiamo alle 6. Ci sono giá moltissimi pellegrini che ci precedono sul sentiero e ci raggiungono. Prima salita importante, il primo dei tre passi che ci aspettano.
Piano, piano – continuo a dirmi – un passo alla volta. Ce la farai!
Il sentiero è stretto e s’inerpica a serpentina. Bisogna proseguire in fila indiana.
In quest’anno del cavallo del calendario tibetano, ci sono piú pellegrini del solito che fanno questo pellegrinaggio chiamato kora. Sempre piú gente ci accompagna e noi accompagniamo loro. Persone di tutte le etá, vestiti in maniera per noi “incredibile” e ai piedi scarpette di gomma e tela.
Avanziamo un passo dopo l’altro in una nebbiolina che ci avvolge. Tutto sembra irreale. Scorgiamo delle ombre, sentiamo il cantilenare dell’ “omani padme hum”.
Il mio respiro diventa sempre piú veloce. Devo fare delle frequenti pause, prendere fiato. Mi sposto di lato, faccio passare gli altri.
Riprendo il mio cammino, la salita dopo essermi fermata ad osservare. E’ dura, faccio fatica. Al primo passo la nebbia si dissolve. Le bandierine colorate che sventolano sono una gioia. Vuol dire che siamo arrivati ad un altro passo. La zona è disseminata dappertutto di stracci colorati che rivestono i mucchi di pietre e il terreno. Si tratta del cimitero di Shiva. Vicino a noi, intorno a noi una fila ininterrotta di esseri umani spinti da qualcosa di molto potente che permette di affrontare difficoltà e disagi fisici notevoli.
Trovo un ritmo che mi permette di superare il gran dislivello con piú facilitá: 70 passi – piccola pausa per riprendere fiato – altri 70 passi. Non mi siedo perché il rialzarmi richiederebbe un grande dispendio d’energie. Sono felice di essere qui, di poter vivere quest’esperienza. Mi passano accanto giovani, donne, bambini, anziani. La maggior parte si ferma per guardarmi con curiosità, per sorridermi, per darmi coraggio con parole che non hanno bisogno di traduzione o solo per dirmi “Tashidelé!”
Giovani
Siamo quasi a 5700m e tutt’ad un tratto il mio corpo non è più una zavorra.
Davanti a me, di fianco a me e dietro di me gente che prega, che mormora, che ride, che canta, che respira affannosamente. Mi accorgo che la salita non mi pesa piú. E intanto il cielo è quasi privo di nuvole. Improvvisamente in lontananza vediamo sventolare altre bandierine. E’ il segno che siamo arrivati in cima, al passo principale, il Dolma-la. Siamo circondati da pezzi di stoffa coloratissimi che riempiono l’aria di preghiere che riesco a percepire. Pellegrini cantano, mormorano o mani padme hum. Tutti sono sereni, felici… luminosi. Sono euforica, mi sento leggera, soddisfatta, piena e grata. Cerco quasi correndo – incredibile! – un posto dove legare le nostre bandierine con le preghiere. Le appendo insieme a migliaia di altre e con loro le mie 1001 emozioni.
E i pensieri vanno, corrono da un angolo all’altro della mia anima, del mio essere lí in quel momento che è intriso d’eternitá. Mio marito mi abbraccia e mi dice che posso essere orgogliosa di me stessa. Ci guardiamo intorno e i respiri profondi che facciamo non sono dovuti solo all’altitudine, ma alla voglia di immagazzinare con essi il più possibile, in ogni nostra cellula.
Arriviamo alle loro tende, li salutiamo rifiutando il tè caldo che ci vogliono offre perché non sappiamo dove sia il nostro campo e quanto tempo dobbiamo ancora camminare. Non riusciamo a capire perché Christian abbia deciso di montarlo cosí lontano. Incontriamo un monaco che viene dal senso opposto e cerchiamo di sapere dove si trova ‘sto benedetto monastero di Milarepa. Lui ci fa capire che la strada è ancora lunga. Dietro ogni dorso di montagna speriamo di vedere il “famoso” e familiare giallo, ma niente e… sono giá le 18. Inizia a far buio. Ad un certo punto, una figura viene verso di noi. Scopriamo che si tratta del nostro “accompagnatore ufficiale” con un thermos di tè caldo e ci spiega che il campo è ancora abbastanza lontano. Non so se interpretare quell’abbastanza in senso positivo o negativo. Per fortuna il maltempo è finito e alle nostre spalle c’è una luce bellissima che ci incanta.
Chiudo la cerniera del sacco a pelo e…parto all’istante per il mondo dei sogni nelle braccia di Morfeo. E che non mi chieda di andarci a piedi!
KAILASH, 10 AGOSTO 2002
Risveglio dopo una notte nella quale non mi devo essere mossa neppure di un millimetro. Non sento male da nessuna parte, neanche ai piedi. Smontiamo il campo, visitiamo il monastero e poi ci avviamo verso la fine del kora su un sentiero pianeggiante. Solo due ore e trenta di cammino ed arriviamo alle jeep e al camion che ci aspettano. Torniamo a Darchen e rifacciamo il percorso dell’andata. Le jeep devono cercare la pista in mezzo a mille fiumi, fiumiciattoli, torrenti che scorazzano liberi nella valle. E’ bellissimo. Proprio come piace a me: attraversare il fango, guadare, cercare con le gomme un appiglio solido non visibile a occhio nudo. Arriviamo al MANSAROVAR dalla parte opposta e montiamo le tende giusto in tempo, prima di un temporale. Ci ritiriamo nelle tende a giocare a carte o a riposare. Io mi addormento e quando a causa di un chiasso che non riesco bene a identificare, metto la testa fuori dalla tenda per vedere di cosa si tratta, non riconosco più il nostro campo! Si sono aggiunte tende di nomadi a destra e a manca, ci sono camion e bambini che gridano, adulti che accendono fuochi e chiacchierano ad alta voce. Dopo un po’ cala la sera e Chandra ci prepara un’ottima cena che gustiamo fino in fondo.
MANASAROVAR,–> LATHSE –> SHIGATSE, 11 – 15 AGOSTO 2002
Da oggi in poi ci muoveremo con le jeep per 1200 km nel Tibet occidentale, verso LHASA. Attraverseremo paesaggi incantevoli, diversi passi, su strade molto sconnesse, in mezzo al fango, alle buche grandi e piccole, fangose e secche, alla polvere e ai guadi. Zone di una bellezza indescrivibile, dai colori nitidi e forti. Non l’aria rarefatta alla quale ormai siamo abituati, ma campi gialli e addirittura rosa ci tolgono il fiato.
Passiamo per villaggi con le tipiche costruzioni tibetane, tante bandierine colorate sui tetti, ma anche bandiere cinesi e purtroppo tanti rifiuti moderni: plastica su plastica. Per la prima volta dopo due settimane, siamo sotto i 4000m. Le nostre schiene vengono messe a dura prova dal fondo “stradale”. Incontriamo nomadi con capre e cavalli che questo problema di sicuro non lo hanno. Gente dalla pelle scura e dagli occhi scintillanti.
Ci mettiamo 4 giorni ad arrivare a LATHSE e pernottiamo nelle nostre tende lungo i fiumi, in mezzo a una natura a tratti aspra e per me estremamente affascinante. Colline di roccia spolverate di sabbia, si alternano a distese immense dove l’occhio si perde e l’unico movimento che percepisce è la polvere alzata dalla jeep che ci precede. Prima di arrivare alla cittadina in stile – ahimè – molto… cinese, troviamo il primo asfalto e dopo tanto tempo scendiamo in un “hotel” molto semplice, dove posso lavarmi solo con un po’ d’acqua in una bacinella. Ma dormiamo finalmente in un letto. Meraviglioso!
Il giorno dopo decidiamo di andare a far visita a un monastero in una valle laterale. Arriviamo in un piccolo paesino, SHALU, immerso in campi di frumento.
Stretti viottoli ci portano al gompa (monastero) e dappertutto sventolano colorate bandierine di preghiera.
Ad ogni angolo
In questo luogo sacro il tempo, in maniera inclemente, sta lasciando purtroppo tracce indelebili.
Entriamo nell’edificio principale. Gli occhi fanno fatica ad adattarsi alle scarse condizioni di luce. Siamo nel luogo dove i monaci si ritrovano per le preghiere. Gli occhi intuiscono delle sagome, ma non le distinguono.
Ad un tratto raggi di sole penetrano la semioscurità e danno forme concrete alle silhouettes intraviste.
Sono i mantelli gialli dei monaci, arrotolati a forma di cono sui tappeti, nel punto dove si siedono per recitare le loro preghiere.
I fasci di luce ci permettono di vedere affascinanti e preziosi oggetti per le cerimonie, pile di scritture sacre avvolte nei tessuti dai colori sgargianti.
E poi sulle pareti, sulle colonne di legno, i mandala dipinti con perizia, ma anneriti dal fumo delle lampade di burro di jak che riempiono l’aria con un odore acre. Un monaco ci viene incontro e ci salutata con un sorriso che sprigiona tantissima serenitá. Ci avverte che nel pomeriggio ci sará una puja (messa). Non sto più nella pelle.
Nel frattempo ci porta a visitare gli angoli piú segreti del convento.
Gallerie semi-buie ci portano in “cappelle” dove troviamo statue di divinitá maschili e femminili, alcune dai volti orrendi. Poi di nuovo mandala dove riconosciamo molti dei simboli di buon auspicio: il nodo dell’eternitá, la ruota d’oro a otto raggi, il fiore di loro, il vaso dei grandi tesori, il parasole prezioso. Arriviamo sul tetto e da lí godiamo ancora meglio del paesaggio circostante. Giallo oro a perdita d’occhio interrotto qua e lá dal verde intenso dell’erba. Sui tetti piatti delle case lo sterco di yak, il fumo che si leva in spirali armoniose e una selva delle solite, immancabili bandierine.
All’ombra l’aria é pungente, ma incredibilmente, il sole scotta sempre e ancora. Mi siedo e apro tutti i canali d’accesso al mio spirito. I miei occhi avidi cercano di fissare indelebilmente ogni particolare.
Il tempo si ferma come ogni volta che avverto con grande intensitá la presenza di qualcosa di immenso, di potente. E’ acqua che viene offerta ad un assetato nel deserto e la mia anima vi si abbevera con ingordigia.
Arriva il momento della preghiera. La gente del villaggio si accinge ad entrare nel gompa: donne dai gioielli incastonati di turchesi o coralli, uomini con lunghi capelli corvini raccolti a coda, bambini dagli occhi meravigliosi, anziani pieni di dignitá e serenitá. Tutti sorridono…
… tashi delek… tashi delek…
Ci mettiamo in un angolo per non disturbare.
Iniziano i canti accompagnati dal suono argentino delle campanelle e da quello profondo e vibrante dei tamburi.
Poi il “gracchiare” delle trombe e soprattutto le voci profonde, profondissime e cantilenanti dei monaci.
Brividi intensi percorrono tutto il mio essere fisico e spirituale. Sono suoni e ritmi che rapiscono totalmente l’anima portandola in uno stato simile alla trance.
Ci sono da fare dei movimenti ben precisi
Mi sento colma, piena… “completa”. Suoni, luci, profumi, odori, ritmi, l’incontro con la gente, il paesaggio, l’atmosfera speciale di questi luoghi mi regalano un’armonia interiore incredibile. Non voglio andare via.
Salgo nella jeep con un magone infinito. Dobbiamo partire per SHIGATSE.
Il nostro viaggio nel Tibet più autentico e assolutamente meno turistico, finisce qui. Nei giorni seguenti visiteremo LHASA e i dintorni per poi tornare con un volo a KATHMANDU e da lí verso casa.
Ma questa voglio che sia un’altra storia.
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