Un mese di volontariato in India e due settimane in giro per la Thailandia e la Malesia da sola.
Ammetto che non sono andata in India per reale spinta idealistica ad aiutare il prossimo. I motivi veri sono stato una sete di conoscere e un certo bisogno di esperienza.
Ero – e lo sono ancora – alla ricerca non so di che cosa ma di qualcosa che mi fa stare bene dentro.
“Nessuno fara’ un’esperienza che non e’ stata determinata per lui.”
(detto arabo)
(Buddha)
PREFAZIONE
Muoio. Mi butto nell’Arno. Si, e’ quello che faro’. Domani probabilmente. Come ha scritto Nietzsche? “Sometimes the only way of getting to sleep at night is by promising to kill myself in the morning.” Per oggi mi limito a stare al letto piangendo. I miei sonniferi dove sono? Non li trovo, allora che faccio, chiamo qualcuno? Tanto, nessuno mi puo’ aituare, ho perso l’unica persona al mondo che mi capiva e con chi potevo ridere e parlare di tutto. Come faccio a sopravvivere?
Tanti perche’, tanti dubbi, tanti di quei pensieri inutili che ti consumano, tante email deliranti (Porca miseria, spero che li abbia cancellati!) e il mondo che non se ne frega di quanto io stia soffrendo.
Volontariato in India? E vabbe’, perche’ no. Non e’ che sia tutto ‘sto gran stimolo, ma a Calcutta non c’e’ il Gange? Mi posso buttare anche li, almeno quello e’ santo.
Ottimo motivo per fare un volontariato, lo so.
Ma l’India poi e’ anche un paese molto spirituale no, e tornero’ sicuramente magra, abbronzata e saggia!
E se mi piace rimango li, cosi non devo piu’ vedere nessuno da qui!
3 aprile, ore 14.55: Sto partendo! Non mi sono dimenticata di mandare un’ultimo email all’uomo per colpa del quale le mie amiche hanno dovuto sopportare infinite lamentele, informandolo che sto benissimo e che parto. “Voglio sapere tutto! Com’e’ il clima li, cosa mangi, tutto! Tienimi sempre al corrente!” (Mentre io mi diverto con la mia ragazza, ha dimenticato!) Vaffanculo, io parto!
Calcutta, citta’ della gioia
Eccomi, sono arrivata in India – dopo un po’ di problemi; l’aereo non poteva atterrare a Calcutta, allora mi sono ritrovata a Bangkok, ma sembra che delle cose cosi siano normali qui – se ho imparato una cosa fino ad ora e’ che bisogna essere paziente come lo e’ la gente qui.
In pratica significa che cerco di trattenermi con i miei attacchi di rabbia.
Non ho lo shock culturale del quale tutti mi hanno parlato, ma Calcutta e’ gigantesca, incasinatissima (le strade di Napoli rispetto a queste qua sono stradine di bosco!), affollatissima, molto sporca – ma ora non mi metto a descriverla perche’ ci metterei due giorni, e un po’ mi mancano le parole: E’ UN ALTRO MONDO.
Le cose non vanno come vanno in Europa, cioe’ non e’ che la mattina puoi andare in un bar a prendere un caffe’ etc. Ho trovato un casino affascinantissimo qui! E nello stesso tempo tutti sono tranquillissimi, e’ quello che mi stupisce.
Ho la casa – praticamente nei slums – con cinque studenti/esse di medicina italiani ed un’australiana (e un ratto e una centina di scarafaggi – altro che Rudi, lo scarafaggio ormai domesticato di una mia amica a Milano, vorrei vedere il suo sguardo se vedesse i suoi fratelloni qui! Uno si e’ piazzato nella doccia, ma e’ tranquillo pure lui e non si muove quando fai la doccia.).
Il fatto di stare 24 ore su 24 con sei altri e’ stato un po’snervante all’inizio, ma da quando abbiamo preso l’abitudine di metterci sul nostro “balcone” (immaginatevi un buco lungo cinque metri e largo uno con attorno delle mura alte ed in alto un’inferriata…) le cose vanno decisamente meglio…
Loro si trovano meglio di me nella clinica dove facciamo il volontariato; io sinceramente non mi sento molto a mio agio trattando non so quanti pazienti che non conosco e con chi non posso parlare (sono poveri e quindi non parlano l’inglese, ed io il Bengali non lo imparo in poche settimane). Per la maggior parte sono dei bambini – con degli occhi brillanti come non li ho mai visti – che hanno delle malattie dermatologiche, quindi bisogna pulire le lesioni, mettere varie creme (i “dressings”) etc. etc., pero’ non so quanto senso abbia tutto cio’ perche’ l’igiene e’ NON ESISTENTE qui. Cioe’ tu disinfetti tutto per quanto sia possibile e loro poi vanno a giocare nella terra.
Non so se rimarro’ qui fino alla fine del mese com’era previsto. Noto che gli altri sono molto piu’ entusiasti per quanto riguarda il progetto. Io mi sento un po’ imprigionata e poco indipendente – stiamo nella clinica tutto il giorno e la sera spesso ci fanno andare a dei meeting e congressi (e viva la pubblicita’… “These are our volonteers, all medical students from Europe!”). Non vedo l’ora di fare qualcosa per conto mio e di girare un po’… chissa’ se ci riusciro; come ho detto, non e’ l’Europa qui e tutte le cose sono nuove, non avrei mai pensato che potesse essere un problema trovare un posto dove comprare della carta igienica!
I mezzi pubblici sono una cosa per se’ qui.
C’e’ la metro (l’unica in India!) che va presa nella stessa maniera come si fa da noi.
(Fai un biglietto, lo timbri, entri.) Se sei donna sei fortunata perche’ in mezzo di ogni carozza ci sono dei posti riservati alle donne e quindi la probabilita’ di trovarne uno aumenta. E mentre la metro si mette in moto osservi gli uomini e le donne con le loro saree e banti – il punto in mezzo agli occhi che non ha nessun significato religioso ma che serve semplicemente per rendere piu’ belle le donne – in tutti i colori. Preparati ad un sacco di domande curiose da parte di loro e non esitare a chiedere qualunque cosa a chiunque – cercheranno ferventemente di aiutarti e di risponderti!
E poi ci sono i pullman.
Numeri? Non esistono. Fermate? Nemmeno.
Il modo di arrivare dove vuoi arrivare consiste nel fermare un pullman che piu o meno va nella direzione in cui tu pensi che si trovi la tua destinazione. C’e’ da meravigliarsi, considerando che Calcutta non e’ un paesaccio con una strada sola, ma funziona questo sistema! E non dimenticare che tutti sono sempre disposti a darti qualsiasi informazione o consiglio.
Infine, le distanze brevi si fanno in moto-rickshaw, il mio mezzo preferito.
Veramente adesso che ho imparato a girare a Calcutta (arrivando poi nei posti in cui voglio arrivare!) penso di poter girare in ogni citta’ del mondo!
Cos’era che voleva sapere l’uomo che mi ha lasciato per un’altra? Com’e’ il clima?
Fa caldo.
Ma sono un pesce nell’acqua per quanto riguarda questo. I miei capelli sono diventati diversi, piu’ voluminosi; una mia coinquilina l’ha definito giustamente “come se si avesse un carciofo sulla testa”. Anche lo sporco non mi infastidisce – basta uscire di casa per per due minuti e hai uno strato di fuliggine addosso; dicono che un giorno a Calcutta e’ come fumare un pacchetto di sigarette, secondo me anche due (fanno poi tre, con quello che mi fumo davvero).
Ma non solo i miei capelli sono cambiati, anche il modo di vestirmi. Non metto piu’ i soliti pantaloni stretti ma tutto largo… c’e’ chi direbbe che finalmente mi vesto in maniera piu’ femminile – beh, secondo me mi vesto semplicemente piu’ da barbone.
E l’altra domanda? Il cibo?
Sopportabile.
Si mangia con le dita ed esclusivamente con la mano destra (buon sapore… riso e varie cose definibili o meno insieme al sapore dei mani disinfettati, in maniera dilettantesca poi!)
Senza voler entrare troppo nei dettagli… diarrea fino ad ora niente – si si, e’ inevitabile mi hanno detto, ma dove?
Le zanzare invece mi stanno puntando di brutto, ma spero che la profilassi per la malaria faccia effetto.
Il Gange non l’ho ancora visto.
NON HO PAROLE
Ok ritiro tutto cio’ che ho detto sul progetto qui, mi sta piacendo di piu’. La mattina c’e’ tantissimo da fare, andiamo in degli ambulatori (chiamiamoli cosi) “outdoor” dove c’e’ un milione di gente di ogni eta’ che viene trattata (il dottore scrive su un foglio – forse dovrebbe essere una cartella? – cosa bisogna fare, e noi lo facciamo: pian piano sto capendo meglio come funzionano le cose qui e cosa bisogna fare e mi trovo meglio ora; anche se un po’ mi sento una injecting-wound-cleaning-and-blood-pressure-measuring-machine), nel pomeriggio siamo nella clinica “indoor” dove ci sono ca. 20 bambini stazionari.
All’inizio ero un po’ scandalizzata per la mancanza di igiene (Disinfettano le lesioni con del disinfettante diluito con acqua da rubinetto! Poi gli stessi istrumenti per tutti i pazienti…
almeno le siringhe le usano una volta sola, ma e’ da poco che lo fanno!), ma l’altro ieri ho visto un’ospedale pubblico e rispetto a questo la nostra clinica e’un vero paradiso!
C’era un bambino nuovo di dieci anni (sembrava molto piu’ piccolo; la madre spesso non sa l’eta’: “He was born in october or novembre” – “Which year?” – “She doesn’t remember.”; ce lo traduce qualcuno della clinica), aveva una specie di fasciatura su una gamba. Quando l’abbiamo tolto eravamo shockati. Aveva una ferita profondissima, infettata, piena di pus e tessuto necrotico e che ne so che cos’altro. Ho cercato di disinfettare il tutto un po’ con una siringa senza ago, ma una donna della clinica ha preso un pezzo di cotone e l’ha messo nella ferita (“per pulire”) con tutte le fibre che ci si sono attaccate. A questo punto abbiamo detto che bisognava immediatamente portare in un pronto soccorso il bambino – non piangeva, non sentiva niente al piede – io spero che non lo perda!
“O.k. you can go to the hospital.” ci dicevano (molto preoccupati!).
Un’ora in pullman all’ospedale (una tortura per il bimbo), li un pronto soccorso che ti veniva da piangere – un gabinetto sporco di un qualsiasi bar sarebbe stato meglio! – ed un dottore (miracolo che abbiamo trovato uno) che ci diceva: “This is not an emergency . It’s a surgical case. (Grazie dell’informazione. Non pensavo fosse uno. Ha solo un buco dalla grandezza di un’arrancio nella gamba.) Come tomorrow morning.”
Poi il dottore alla “nostra” clinica (che in realta’ e’ un centro per malnutrizione, non un vero ospedale) ci ha spiegato che per loro qui un’emergenza e’ quando uno sta praticamente morendo. Anche lui non sembrava molto toccato della cosa. “We do primari health care here, we can’t cure everything.” Tutto e’ molto diverso qui, e non si puo’ cambiare le cose, ed accettarle a volte non e’ facile!
Stamattina di nuovo all’ospedale col bambino. Ore e ore da un “reparto” all’altro, nessuno se ne fregava del bambino che aveva gia’ gli insetti nella ferita! E’ stato frustrante, deprimente e da urlare! E’ roba da matti, l’aspetto della gamba e’ spaventosissimo. Ma loro qui ci vivono con queste cose, sono tranquilli fintroppo, prendono tutto come dovuto. Mi sembra che a volte non lottino abbastanza, ma non sono qui per giudicare; e’ la loro cultura, la quale mi affascina molto poi. Hanno altri valori; non e’ quello che uno possiede che vale (Bella cosa secondo me; perche’ alla fine che ci fai con tutti i soldi etc. che possiedi? Mica te li puoi portare dietro quando muori.), ma quello che si ha dentro. Per quello forse che riescono a vivere in certe condizioni orribili (nei miei occhi, nei loro magari no) senza lamentarsi o sentirsi eccessivamente a disagio.
Mi chiedo se il fatto di accettare tante cose e’ il motivo per la incredibile poverta’ e squallidita’ qui, o se al contrario e’ la poverta’ che li fa vedere le cose in questa maniera.
Non lo so.
Ci vorrebbe molto piu’ tempo per comprendere la mentalita’ e non pretendo di conoscerla bene. Ho solo le mie impressioni – le donne con le loro saree in tutti i colori, gli odori, le belle statue della dea Kali nascosto dietro qualche angolo sporco e tante altre cose.
A loro modo sono ricci, molto ricci, ed e’ un sentimento che ho anch’io ad un certo punto: mi sento molto ricca perche’ piena di impressioni.
E comunque insisto: Calcutta ha un suo fascino! Certo, e’ squallida, ma le persone sono gentilissime, in qualsiasi situazione ti trovi; poi la cosa che colpisce e’ che c’e’ una poverta’ estrema e poi una ricchezza delle stesse dimensioni, cioe’ persone in giacca e cravatta accanto ai poverissimi. Poche settimane sicuramente non bastano per comprendere un paese ed una cultura, ma penso che possano comunque servire per vedere con altri occhi il proprio paese.
(Ma chi era che ha detto che Bari assomiglia al terzo mondo?? Non sono mica tanto d’accordo!)
PROBLEMI DI SALUTE
I due ragazzi qui hanno avuto la febbre molto alta e la diarrea, noi femmine eravamo sane… vi potete immaginare le prese in giro… “Eh, i maschi non reggono nulla!” – avrei fatto meglio a stare zitta, perche’ ho passato i due giorni piu’ brutti da non so quanto tempo ieri e l’altro.
Ormai ero convinta di avere una resistenza contro tutto, ma all’improviso mi e’ venuta la febbre, diarrea e piu’ che altro nausea e vomito per 24 ore in continuazione, ero uno straccio alla fine.
Sto sviluppando una leggera avversione contro il cibo indiano, anzi, diciamo che i noodles ed i egg roll mi fanno schifo, e della birra indiana non ne parlo neanche. Non pensavo che avrei avuto delle difficolta’ col mangiare del cibo diverso per un po’ di tempo, ma – OLIVE FORMAGGIO PANE ALTAMURA SEPPIE INSALATA DI MARE FOCACCIA PANINO CON TONNO E POMODORO GRANITA AL LIMONE scusate e’ piu’ forte di me…
La febbre mi e’ passata, ma la nausea ce l’ho ancora; secondo me e’ anche l’inquinamento. Pero’ ora due altri hanno la febbre altissima e la diarrea… non so se siamo capitati in un periodo sfavorevole o se siamo cosi immunodepressivi (o sfigati?) noi. Ci ammaliamo a turni.
DUE GIORNI IN UN VILLAGGIO – LA SEMPLICITA’ ASSOLUTA
Gli ultimi giorni sono stati diversi del solito, siamo andate (io e due altre) in un villaggio un paio di ore al sud di Calcutta, a visitare delle scuole e poi abbiamo dormito li, che bello, nella natura e lontano dal chaos di Calcutta. Senza acqua, senza bagni, senza elettricita’ – fantastico. (vabbe’, ammetto che una doccia sarebbe stata carina come cosa.)
Gente carinissima, tutti curiosi, bambini che ci hanno fatto cantare, gonfiare i nostri guanti (“ballon!”), disegnare e giocare, donne che ci hanno pettinato i capelli (erano inorridite dai capelli corti di una delle ragazze), due ragazzi indiani che ora sanno cantare “L’arca di Noe’” e “Bella ciao”, poi io mi sono affezionata in particolare ad una vecchietta un po’ rude, per non dire brutale, che ci ha fatto venire nella sua capanna e che ci ha infilato in bocca delle radici – non sapro’ mai cosa sia stato – ed una canna! E’ incredibile come si riesce a ridere con questa gente semplicissima che non conosce altro che la vita qui e che non sa l’inglese; ma con cinque parole di bengali e con l’aiuto dei gesti riesci a comunicare in qualche modo. Sembrano cosi diversi da noi, ma hanno un’umorismo e ridono delle stesse cose come noi!
Devo dire che e’ stato molto bello (due giorni di pausa dalla clinica, bambini sofferenti, malaria, tubercolosi e lezioni sulla malnutrizione), pero’ d’altronde non ho mai avuto un momento di quelli veramente belli, in cui sei felice e senza desideri e non pensi al giorno prossimo. (Forse un momento in cui non ho pensato a domani l’ho avuto, ma molto probabilmente era dovuto al fatto che temevo di morire precocemente per colpa dell’autista di un pullman che guidava come se facesse l’ultima prova prima di un’atto di camicazee.)
E’ un’esperienza fantastica qui, ma non sto trovando me stessa qui e non ci potrei vivere. Tra qualche giorno lascio l’India e gli altri, vado a Bangkok da sola, non so quando ho deciso cosi, ma e’ una specie di sfida, mi voglio mettere alla prova. Chissa’ dove andro’ a finire. Mi rimangono duecento dollari e la voglia di vedere tanti posti.
Non so come ho fatto ma sono arrivata a Bangkok
La seconda volta all’aeroporto di Bangkok.
Questa volta non mi rendo conto dove sono, sono in uno stato delirante.
Sto male di nuovo; mi e’ nausea, vomito e diarrea, molto piu’ preoccupante dell’altra volta. Dopo ore di vomito e diarrea continua sto morendo dalla sete ma appena bevo una gioccia d’acqua vomito all’istante, alla fine quasi quasi non ce la faccio piu’ ad arrivare al bagno, e’ uno sforzo immenso alzarmi dal letto.
E tutto cio’ proprio al mio ultimo giorno a Calcutta. La mattina dopo ho il volo per Bangkok, e lo prendo con pura forza di volonta’.
Viaggio orribile, e la situazione peggiora all’aeroporto di Bangkok, ci metto tre ore per uscire, mi devo fermare ad ogni singolo gabinetto (Pero’ li adoro questi gabinetti qua! C’e’ anche la carta igienica!), all’ultimo poi mi ci chiudo dentro, mi metto per terra e piango. Non ce la faccio piu’ ad alzarmi perche’ istantemente mi viene una nausea insopportabile.
Eh si, e’ cosi che comincia il mio viaggio solitario nell’oriente.
Una povera disgraziata seduta al cesso dell’aeroporto a piangere.
In qualche modo arrivo a qualche albergo – proprio in Chinatown, con degli odori di cibo ancora piu’ intensi che a Calcutta! – e dormo subito per non so quante ore.
“One night in Bangkok and the world’s a different” … no, non vale per la mia prima notte li.
Il giorno dopo sono ancora molto debole ma grazie a Dio (e a due chili di farmaci) va meglio.
Rispetto a Calcutta Bangkok mi sembra un paradiso. Ci sono delle zone che assomigliano a Calcutta, ma li tutta la citta’ e’ cosi, anzi, molto peggio. Strano, quando ero arrivata a Calcutta non ho avuto un grosso shock culturale; mi sta venendo solo ora che sono partita.
The’ freddo, vendono del the’ freddo qui, non ci posso credere! L’avevo sognato in India!
Il primo che compro per strada mi viene dato in un sacchetto di plastica e per non irritare il mio stomaco ancora offeso non lo bevo, pero’ C’E’ del the’ freddo!
E ci sono strade larghe, con cinque o sei corsie (si, hanno delle corsie qui!), e vie dove cammino da sola, nessun’altra persona!
Insomma, nella mia euforia faccio un milione di foto di strade perfettamente normali.
Saro’ mica traumatizzata da Calcutta?
Pero’ Bangkok non e’ la mia meta, lascio la metropoli e vado verso il sud. Cerco di ignorare il grasso biondo con la tailandese con la faccia da puttana sul treno davanti a me; queste cose si vede che fanno parte dalla vita qui – mi ci devono essere tante altre cose che ci sono da scoprire, e sono quelle che mi interessano.
Dopo lo shock dell’India la Thailandia con le sue facce asiatiche e sorridenti mi sembra un paradiso. Chi se ne frega degli Europei ed Americani che vengono qui a scopare, mica sono uno di loro; penso che bisogna fare degli approcci diversi a questo paese.
Koh Samui. Decisamente troppo turistico qui. Puo’ essere bello quanto vuole, non mi piace essere uno tra tanti turisti.
Tipi strani. “Just relax, sit down and have a drink… I’m here since last week, just hanging around, doing nothing, I’m kind of waiting for an inspiration you know, the right vibration that’ll come from out there (indica con la mano verso il mare)…. I only have a terrible headache all the time.” Ah ci credo!
Continua. “Why did you come here instead of travelling in India? It’s not that I want to criticize you, maybe I’m telling you this because I am waiting for someone who tells me things like that” Oh, manco ti conosco, non dirmi dove devo andare! E grazie della bibita, io mi sposto, ciao ciao.
Mi viene il mal di testa dal non fare niente. Che ci fai su una spiaggia per ore e ore? Mi rompo. Sole sole sole cibo cibo cibo. Leggo il libro piu’ noioso che abbia mai letto in vita mia. E’ troppo passivo. Non sono una turista pigra che e’ arrivata qui in aereo direttamente per stare due settimane al mare, ignorando completamente il paese in cui si trova. Non voglio tornare dall’Asia come dopo un semplice viaggio di piacere. Sono irrequietata e non voglio stare ferma. Sto pensando di chiedere ai proprietari italiani di un ristorante se hanno un lavoro per me.
Tutto mi sembra strano. Pochi giorni fa ero ancora in India che mi sembrava l’inferno, ma ripensandoci mi vengono in mente tante piccole cose che mi convincono sempre di piu’ dal contrario.
Malesia
Wow, la Malesia davanti a me! Anche se l’accoglienza alla frontiera non e’ molto invitante (mi hanno dato un foglio con scritto “Be forwarned death for drug traffickers under malaysian law”) mi e’ simpatica istintivamente, dal primo momento.
Ho ancora girato un po’ in Thailandia, ma senza un’entusiasmo particolare – un momento debole e di solitudine mi passa ascoltando una casetta con Liguabue (si, sono “sempre sulla mia strada”!), Litfiba (“Qual’e’ qual’e’ – la mia direzione – sto viaggiando senza biglietto in qualche direzione…”) – e Siria.
Ma come diavolo ho potuto mettere delle canzoni di Siria su una casetta con Ligabue e Litfiba?? Atto da pazza scatenata, in piena crisi sentimentale. “E chiudo gli occhi, e ti vedo sei li, e sia come sia, e’ finita cosi…..”.
No no, si cambia casetta. Alanis Morisette, che e’ meglio. “And I’m here to remind you of the mess you left when you went awayyyyyyyyyyyyy”, si, cosi va meglio.
Prendo un treno per la Malesia. Due notti in seguito su dei treni, con gli stessi vestiti e senza doccia…. Perche’ non mi sento schifosa? Non so cosa hanno questi treni che mi piace cosi tanto. Forse e’ il sentimento di andare avanti, verso cose nuove, o forse e’ semplicemente il fatto di andare: “L’essere che non viaggia non ha pace, dunque andate!”
Il cameriere sul treno e’ uno scherzone, mi prende in giro e mi fa le smorfie che contraccambio.
Finalmente ho quel sentimento fantastico che non so descrivere ma che cerco in ogni attimo della mia vita: sono felice forse?
Mangio un’insalata, ma manca una forchetta. Faccio quello che ho imparato in India: lo mangio con le mani, e mi sembra una cosa normalissima, mi ci sono abituata! Oh oh, altro che saggia, tornero’ in Europa da barbone!
Kuala Lampur
Che citta’ stupenda! Ne sono incantata. E’ molto pulita, molto westernizzata, e con molte influenze arabe. Sono iperattiva, ho una ardente voglia di girare per ore e ore per le strade e di non stare mai ferma per non perdermi niente, spesso non mi accorgo neanche che ho fame (ecco tutto il segreto della mia magrezza – mi dimentico di mangiare!).
Ho sempre preferito le citta’ vecchie, ruine etc., ma trovo bellissima K.L. che definirei abbastanza moderna. Non so pero’ come mi sarebbe sembrato se non fossi stata a Calcutta e anche a Bangkok prima.
Non mi sento piu’ estranea in Asia.
Ho l’impressione che tutto il mondo e’ mio e che casa mia non e’ un luogo o un posto – casa mia e’ dentro di me.
I malesiani sono un popolo troppo simpatico e non mi fanno sentire molto estranea qui. Curiosissimi, perfettamente normali, e spesso e’ un piacere e un divertimento parlare con loro – siccome la Malesia e’ stata una colonia dei briti parlano benissimo l’inglese, il che rende le cose molto piu’ facile.
E’ strano come il mondo ti sorride quando gli sorridi tu.
Chi se ne frega se dormo in una guest house senza finestra, sto bene!
“Do you know how to get to the twin towers?” Mi giro. E’ un ragazzo la cui provenienza non posso classificare, ne’ dall’aspetto della faccia ne’ dall’accento. Eh no, non so dove si trovino i twin towers, sono appena arrivata. (E devo vedere un milione di cose, per cui non fermarmi, voglio aggiungere.) “We can go to visit the city together!” E di nuovo NO, voglio correre attraverso la citta’ da sola in questo momento. Basta. Niente spiegazioni. Una volta in vita mia non mi sento obbligata a spiegare tutto a tutti.
E lo accetta senza insistere e senza chiedere niente, il che mi fa impressione.
Giro freneticamente per la citta’, e la sera ci rincontriamo a mangiare crabs in Chinatown, dopo andiamo al Beach Club, la piu’ famosa discoteca di K.L., ed e’ cosi che trovo un compagno di viaggio (che si rivela di origine libanese).
Viaggiare da soli significa momenti di noia e di solitudine.
Ma significa anche liberta’ assoluta.
Se e’ un bene o un male non lo so. Non ho avuto nessun problema col fatto di viaggiare da sola, anzi. Ero libera di fare tutto a modo mio, di andare dove volevo andare e di andarci quando volevo.
Durante tutto il viaggio non ho mai avuto un’orologio, mi sveglio quando mi sveglio, e poi decido dove andare, senza mai sapere dove dormiro’ la notte (e se dormiro’!) e dove saro’ il giorno prossimo. Ho le mie poche cose sulle spalle e mi sento a mio agio! Non prenoto ne’ negli alberghi, ne’ faccio i biglietti dei treni o dei pullman gia’ un giorno prima. Vado alla stazione e prendo il prossimo treno che c’e’. (Di conseguenza vado spesso a finire in terza classe, ma mi va bene!)
Ora ci vogliono compromessi. “Facciamo autostop visto che non ci sono pullman per la’!” – “No, non mi va tanto” – “Ma a me va.” – “Ho capito, ma guarda che…..” …. Mi sta frenando un po’.
D’altronde e’ una persona meravigliosa, che pensa sempre prima a quello che voglio fare io.
Ci fermiamo a Kuala Lumpur per altri tre meravigliosi giorni…
templi buddisti mai trovati, ma un’intero pomeriggio a camminare sotto la pioggia leggera; essere portata sulle spalle del mio nuovo amico che, passando ad una fermata di un pullman, grida “one ride – one rangeeeeeeeeeeee!”; mango sbucciati col mio temperino regalato….
Il mondo e’ fantastico!
Perhentian Island
…solo dopo di esserci stata leggo che sono le isole piu’ belle della Malesia! Pur non avendo visto altre concordo. Sono paradisiche – remote, con poca gente (altro che Koh Samui! Penso che in Tailandia ci sono alcuni posti da evitare, e Koh Samui e’ uno di quelli.), nessun negozio, nessuna macchina, nemmeno strade, mare da sfilata ed una natura spettacolare!
Si trovano al nord-est della Malesia, e dopo una notte in pullman da Kuala Lumpur arriviamo li.
L’est della Malesia e’ una zona molto islamica e fai bene a non andare in giro con le spalle scoperte. Sulle isole invece puoi fare tutto cio’ che vuoi, e quando il vicini del nostro bungalow – su una collina in mezzo il verde e semplicissimo – ci vendono del dry gin (L’alcol e’ una merce molto rara ma molto ricercata!) siamo a posto! I vicini sono una coppia canadese che volevano fermarsi sulle isole per un paio di giorni, ma e’ da un mese che sono qui… i pochi bar-ristoranti sulla spiaggia sono sempre in ricerca di persone che lavorino per un paio di ore la sera, in cambio per vito e alloggio. E d’altro non c’e’ bisogno.
Mi sento me stessa in questo posto abbandonato, lontano dal mondo.
Come questo oceano circonda la terra verdeggiante,
cosi nell’anima dell’uomo c’e’ un’insulare Tahiti,
piena di pace e di gioia,
ma circondata da tutti gli orrori della vita a meta’ sconosciuta.
Non allontanarti da questa isola,
che potresti non tornare mai piu’.
(Herman Melville, Moby Dick)
Il Ritorno
Devo andare. Devo andare? Cosa mi impedisce di rimanere qui? Non ne sono sicura.
Ho il volo da Bangkok per Calcutta e da li per l’Europa tra tre giorni. Devo andare a Bangkok.
Lascio il mio amico sulle isole, prendo un traghetto, e sono sola di nuovo. Dopo di essermi fermata a Kota Bharu al nord della Malesia per una notte attraverso la frontiera Malesia-Tailandia a piedi – un sentimento fantastico!
Selamat tinggal Malesia, bye bye, mi rivedrai!
Faccio un’odissea di un viaggio per Bangkok – 24 ore in treno in terza classe (pero’ costava molto poco, circa 7000 lire e non chiedetemi quanti euro sono, vi rendete conto!).
Ma anche se e’ scomodo lo preferisco ad un viaggio da turista in prima classe; sono circondata da tailandesi – tanti sguardi e sorrisi interessati e calorosi e gesti di simpatia.
C’e’ una vecchietta che si siede accanto a me alla porta aperta del treno a fumare una sigaretta; mi fa un gesto “Ho mal di testa” – allora le do il mio tiger balm, lo guarda scetticamente, poi quando sente l’odore capisce che cos’e’ e lo prende gratamente. Poi un altro gesto “Stai attenta di non cadere quando parte il treno!”.
Sono queste le cose in cui sta il senso del mio viaggio.
Le persone anziane mi fanno sempre commuovere. Quante cose belle e brutte avranno viste nelle loro vite, quanto avranno pianto e sofferto, e quanti momenti belli avranno vissuti. Mi affascinano le loro faccie con le rughe, traccie della vita, i loro occhi, spesso cosi radianti e cosi pieni di saggezza, e questa meravigliosa pace che diffondono. Saro’ mai cosi io?
Poi guardando questa vecchietta (insieme al marito – sempre sorridente, anche dopo 15 ore senza dormire, ha lasciato il posto accanto alla finestra alla donna, in modo che lei ci si potesse appoggiare e cosi dormire un po’) la cui lingua non capivo, mi vengono in mente le mie due nonne, morte poco fa tutte e due, che non erano mai state all’estero. Culture e vite cosi diverse, eppure avranno gli stessi pensieri, le stesse preoccupazioni, sono semplicemente persone con tanti anni sulle spalle e con tanto amore dentro di se’.
Tornare a Bankok non mi piace perche’ odio tornare indietro. Voglio andare AVANTI, non fare strade che ho gia’ fatte.
Comunque credo fortemente che ci sia qualche dio o qualcosa che mi guarda e guida e che fa si che certe cose accadono. Non ho mai avuto paura viaggiando, sono stata molto fiduciosa; e non lo ero per niente quando sono partita.
Forse per quello che sentivo di dover andare via.
Sto partendo per l’Europa. Ho il volo via Amman in Giordania (dormo li una notte e wow!! – un altro paese dove devo andare prima o poi! Meno male che non ho piu’ foto da fare, se no ne avrei fatto almeno 30 di indicazioni stradali arabe, pubblicita’, riviste e cento altre cazzate)
e Roma (mannaggia, due ore ferma nell’aereo a Roma per colpa di due romani fusi che non arrivano ed i cui bagagli sono gia’ caricati e devono essere scaricati di nuovo – per motivi di sicurezza – se fossero dei terroristi?
Eh si, poi dopo una mezza eternita’ arrivano, altro che terroristi, due rincoglioniti, tutto qui.)
Sto sclerando e per scendere a Roma – la impassibilita’ e pazienza asiatica non si e’ ceduta a me si vede.
E rieccomi a casa (sono a casa?) ora.
Con la testa piena di ricordi – tante cose viste e fatte, e sono cose che non mi potra’ prendere nessuno.
Ma sapete una cosa? La viaggiatrice intrepida e cosi forte si trova davanti agli stessi problemi come prima di partire, e davanti a nuovi.
Riciao, dubbi e paure miei! Lo sapevo che mi avreste aspettato qui, vi devo ringraziare della pazienza forse?
No, ma grazie di avermi lasciato un’attimo per respirare.
“Cosi se hai amato qualche donna e qualche paese, ti puoi ritenere fortunato,
perche’ anche se muori, dopo, non ha importanza.”
(E. Hemingway)
EPILOGO
(LIFE GOES ON)
Messaggio (Eh si, sono di nuovo in possesso del mio cellulare – non me lo sono portata dietro in Asia e non mi e’ mancato.):
“Mi manchi. Mi sento sola senza di te. La mia vita e’ un disastro. Vorrei avere 70 anni ed essere saggia e tranquilla. O 30 e laureata almeno. E’ una continua lotta.”
Risposta: “Hai capito”