di Ena Villani –
Dovevamo essere più partecipanti, ma alla fine restammo in quattro (donne), decise, fino all’ultimo: da due mesi prima, incrocio di telefonate in Libia e a Roma, insistenze per ottenere il visto e il timbro in arabo sui passaporti, arrivati a soli 3 o 4 giorni dalla data fissata, Pasqua! Ecco il gran giorno, dopo gli ultimi preparativi, ormai non si può tornare indietro, dico alla parte di me che vorrebbe – ad ogni viaggio – farmi rinunciare: per fortuna prevale poi la scelta giusta.
Una volta passati in Libia, i controlli lungo la strada saranno sempre frequenti, per tutto il viaggio: Hamadi si è fatto un’abbondante scorta di fotocopie del suo permesso per accompagnarci in giro: ha un’agenzia di viaggio tutta sua, perciò è anche conosciuto molti dei poliziotti di guardia non gli chiedono neanche di mostrare il documento, limitandosi a scambiare con lui i pacifici convenevoli d’uso, le benedizioni di Allah che si alternano in sequenza veloce, sempre uguale. E’ la fratellanza insita nell’Islam, l’informalità, l’immediato familiarizzare nei rapporti interpersonali senza le sovrastrutture del “diaframma” che separa le classi sociali, distanzia fra loro quelli che si sono
appena conosciuti (“ognuno al suo posto”) , se non nascono, col tempo, amicizia e/o confidenza.
E’ ormai sera – siamo in Libia! Per me è un’emozione speciale, arriviamo a Sabratha, ci fermiamo per mangiare un bel cuscus in un ristorante molto illuminato e rumoroso: riprendiamo la strada, sempre chiacchierando animatamente tutti e cinque – infine, eccoci a Tripoli (dov’ero già stata due volte, molti anni fa). Il nostro hotel è “El Waha” (l’oasi), in centro una bella hall, buoni quadri che vado a guardare, per deformazione professionale. Ci danno le camere, io riesco ad abbinarmi con la ragazza inglese, tipo tranquillo, parla poco, le altre due si troveranno meglio, fra loro. Rovesciamento di borse per raccapezzarsi sul contenuto e riordinarlo, uno sguardo; dall’alto balcone, su Tripoli di notte tutta illuminata: si vedono le cinque torri moderne, il mare. Stanche, presto a letto.
Mercoledì 19 aprile – Sveglia e colazione, bella mattinata di sole, rivedo il panorama alla luce del giorno e per me è straordinario essere finalmente tornata in questa città che mi è così cara. Oggi si va a visitare il sito archeologico di Leptis Magna, ad un 50 km.da Tripoli.Lungo la strada, sempre con Hamadi, ci fermiamo ad un bar, per il the (e il “bagno,” ovviamente alla turca). C’è un tenerissimo cuccioletto bianco, che ci gira intorno – diamo anche un’occhiata a un mercatino, sull’altro lato della strada. All’arrivo assaporo un’aria cristallina, fa caldo ma è secco e ventilato, si sta benissimo: la guida locale è Hagi Salah (fra i musulmani si fregia dell’appellativo “haji”chi è stato almeno una volta in pellegrinaggio alla Mecca, lui lo ha fatto addirittura 7 volte!)
Giovedì 20 aprile – Si parte, presto, alla volta della “mia”sospirata, mitica Ghadames (una seconda patria sentimentale).
Venerdì 21 aprile – Mi sveglio alle 6, colazione – e poi si esce nella bella mattinata di sole per andare alla città vecchia, patrimonio dell’Unesco per la sua architettura particolarissima. Ci accompagna la guida locale Mohamed Ibrahim Kut Kut, simpatico uomo maturo, alto, dolce (come quasi tutti quelli dell’interno,del grande Sud). Parla un po’ di italiano – come tutti a Ghadames, si ricorda del mio Ab. di quando lasciò la cittadina natale per andare in Italia non vi tornò mai più (ora, che forse sarebbe stato possibile, è troppo tardi….). Entriamo nell’antica medina, un’alternarsi scenografico di luce e ombra in stradine e cortiletti cinti da muri merlati, ad ogni angolo terminanti con le punte degli ”sharafin” (che dovrebbero tenere lontani gli spiriti maligni). Dietro i recinti si ergono alte e verdi palme, si indovinano giardini..gli archi precedono lunghi corridoi totalmente bui, dove a volte bisogna camminare a tastoni: è la famosa “città inferiore”, fresca, ombrosa, tutta imbiancata, arieggiata: anticamente era riservata agli uomini, mentre le donne circolavano al di sopra, sulle terrazze delle case, comunicanti fra loro. Forse è, in parte, così anche adesso.
E’ un’inestricabile dedalo di viuzze dove chiunque, non del luogo, si perderebbe: ogni tanto incontriamo operai che lavorano al suo restauro: Ab. ricordava, quando era lì da bambino, della gente che vi circolava al buio: ognuno emetteva uno strano”mh-mh” per non scontrarsi con gli altri, incrociandoli, dopo 60 anni il luogo non è cambiato, ciò è affascinante! Dopo una bella scarpinata con le debite soste qua e là per fotografare e video-riprendere, attraverso aperture luminose di cielo blu, percorriamo- stanche e accaldate – un vialetto con al centro un rivolo d’acqua e lunghi tronchi di palma, adagiati per terra: la meta è il bar all’esterno della medina, dove ci concederemo un desiderato the. Da lontano vedo arrivare il primo tuareg (a Ghadames ce ne sono molti) – accanto a me siede la nostra guida, mi dice di essere sposato, 9 figli, ”galante, come da copione”, ma in modo discreto e gentile. La mia ex –amica al solito si lamenta (ma è lei a provocarli -ultime cartucce!..) che gli uomini la insidiano: ci assillerà per tutto il viaggio!. Torniamo nella città vecchia per il pranzo, in una delle belle case decorate a mano dalle donne, in rosso(una volta, mi raccontava Ab., lo facevano con il tuorlo d’uovo).
curiosare ancora un po’- poi a casa, a dormire.
Sabato 22 aprile – Stamattina andremo al museo, è tornato Mohamed Ibrahim, la guida di ieri alla medina – per accompagnarci – c’è un po’ di venticello e il sole splende, al solito.Entriamo e, nelle prime 3 o 4 sale vediamo reperti vari, la storia di Ghadames, bei manufatti tuareg, costumi tipici su vecchi e stralunati manichini europei, strumenti musicali, vasellame, ecc. E’ meno piccolo di ciò che sembra, questo museo! Segue la visita al vicino villaggio di Tunin, attraverso giardini
costeggiati da piccoli corsi d’acqua: le voci di una mamma e bambino nel folto del palmeto, l’improvviso passaggio di un gregge. La prossima meta è un picnic ai 2 laghi Mezajem: bisogna attraversare una zona pietrosa e desertica, la berlina di Hamadi non è adatta per quel terreno e lui ci propone l’auto di ieri (guidata da Abubaker) che però non piace alle signore, che s’impuntano e lui irritatissimo e, suo malgrado, brontolando, prende ugualmente la sua vettura. Sotto il solleone avanza con cautela (quelle tacciono..), sperando che l’auto non si rompa proprio lì, fra le rocce, dove non c’è anima viva, si vede, a un certo punto, anche un miraggio, lungo il percorso che sembra interminabile – anche per la tensione che lo accompagna. Infine delle basse quinte di vegetazione verde scuro, da lontano, annunciano finalmente l’arrivo ai laghi: sono due, contigui,uno più profondo dell’altro, c’è molta gente. Sulle rive, roulottes e molte tende, le donne da un lato e gli uomini dall’altro: le prime si bagnano vestite (ottimo”trucco”, già visto in Messico, per rimanere sempre freschi); sono quasi tutti studenti e studentesse in vacanza. Vengono a conoscerci, curiosi e timidi, allegramente, tutti vogliono darci la mano: ci offrono squisiti dolcetti e il fatidico the, scambiando con noi euforiche frasi in inglese (e veloci commenti fra loro, in arabo dialettale, che non riesco a decifrare). Vestita semplicemente come tutte, con velo sulla testa, ci saluta una signora che – mi dice Hamadi – è una donna importante nel Paese, amica personale di Gheddafi. Abbiamo il costume da bagno sotto i vestiti, ma un po’ il tempo disponibile è poco e un po’ ci vergogniamo (sono tutti vestiti) anche se l’acqua è fresca e invitante, col caldo! Batterie intere di Coca Cola e aranciata Mirinda sono sistemate a riva, nel secondo lago, davanti a noi, che abbiamo cercato riparo all’ombra del verde: alla nostra destra i giovani maschi sguazzano in acqua o, dentro le tende, cantano, accompagnandosi con percussioni.
E’ il tramonto..l’aria rosata e sonnolenta, le case dorate dall’ultimo sole..Spostandoci in macchina ogni tanto vedo dei tuareg addossati ai muri rossastri della cittadina: uno di loro suonava l’”udh” (liuto), ascoltato da un amico-sarebbe stata una bella foto! Ancora negozi, cerco uno “shesh” (turbante)colorato, non c’è: vedo un bracciale che mi piace, ma il proprietario non lo vende, è l’ultimo rimastogli e serve da modello per l’artigiano che dovrà replicarlo! Stasera mangiamo
fuori, in un grande bar-ristorante in centro, quasi di fronte alla medina: dopo, sedute fuori a fumare una sigaretta, nel relax della sera parliamo in italiano con dei vecchietti arzilli. Hamadi viene a prenderci, porta le altre a casa e poi me a fare un lungo giro di visite ai parenti (oggi è il nostro ultimo giorno a Ghadames). La prima è finalmente la casa di mio cognato Y.che ci accoglie con calore, insieme alla bella moglie,formosa ed euforica e le tre bambine: ci offrono non il the, stavolta, ma caramelle e chewing-gum: siamo seduti sugli onnipresenti bassi materassini rivestiti a fiorami, intorno al tappeto. Hamadi traduce in e dall’arabo domande e risposte che s’incrociano,Y. va a cercare senza trovarle, vecchie foto del mio Ab.- in compenso me ne danno una della mia defunta suocera A, che non ho mai conosciuto: ha gli stessi occhi pazienti e amorevoli di quello che fu il mio compagno: che emozione avrebbe avuto nel tornare qui!…. Anch’io lascio delle foto di Fatima e del mio nipotino, vogliono conoscerli! Prima di congedarci mi regalano 2 bei cesti di vimini, coloratissimi ventagli, altri oggetti da portare a Napoli. Ci salutiamo, molto commossi : una delle bambine parlerà poi a scuola di questa mia venuta dall’Italia) mentre risalgo in macchina intravedo Y. che quasi piange, nascondendosi: era stato in ospedale, mi disse Hamadi, in pericolo di vita perché fumava troppo).In me lui ritrova il fratello mai più rivisto dall’adolescenza- ed io lo evoco in lui..anch’io mi commuovo..ci rivedremo ancora nella vita? Chissà…Visitiamo poi la famiglia di un’anziana donna avvolta in veli colorati:mi abbraccia ripetutamente, altrettanto commossa mi parla in stretto arabo che non capisco, credo che sia una vecchia zia di Y., ricorda Ab molto bene..tutta gente semplice e buona, mi sento molto arricchita dall’incontro con loro. Concludiamo con la casa di una bella ragazza per metà algerina, piuttosto moderna, che potrebbe diventare la seconda moglie di Hamadi, anche se io mi auguro il contrario: per quanto lui mi dica che le due si conoscono e sono d’accordo, che questo è il costume, faccio fatica a immaginare che la prima ne sia proprio contenta! Mi viene in mente ”Vince l’ultima”, il titolo di un mio quadro. Quando torniamo a casa,alle 23, le altre già dormono:vengo a sapere che le donne di casa erano venute per farci indossare i loro tipici costumi e fare delle foto! Mi sarebbe piaciuto molto, ma alle mie compagne la cosa non interessava..no comment!
Domenica 23 aprile – Oggi è Pasqua: sveglia alle 4 e partenza alla volta di Germa, più di 1000 km.a sud: lascio con dispiacere la cameretta – sul tavolo metto qualche “peluche”in regalo per la piccola Dikra e un mio catalogo: la macchina già fila nell’oscurità, i radi negozi e case hanno, di notte, luci fortissime che restano sempre accese per illuminare il buio pesto. Pare che Gheddafi abbia concesso qui l’energia elettrica gratis: c’è la luna – cantiamo per tenere sveglio Hamadi alla guida, intanto man mano rischiara. All’alba segue l’aurora, sempre ingoiando chilometri sul rettilineo: nel deserto, ai bordi dell’asfalto, vagano cammelli selvatici – E‘ ormai giorno e continuiamo a correre, si comincia a vedere qualche sperduto villaggio, poi, all’ora di pranzo ci fermiamo a Brak (o oltre). Si mangia in un ristorante all’aperto e poi subito via, nel caldo feroce: passiamo Sebha:oltre Germa,un the al primo campeggio Alfaw e poi finalmente quello sospiratissimo nostro, di Erawan, dove arriviamo nel pomeriggio. Somiglia allo”Zèribas”di Djanet (Algeria), è ben organizzato: il mio bungalow, il N°10, è ampio e arioso, tutto imbiancato anche all’interno, una finestrina triangolare al fondo, i 2 materassini sono poggiati su un muretto basso che gira tutt’intorno alle pareti – la porta (simbolica!) è di rada paglia e, meraviglia delle meraviglie, il pavimento è..sabbia! C’è la luce elettrica e una presa per ricaricare la batteria della telecamera. Continuo, fortunatamente, a dormire con la compagna inglese, malgrado le bizze insopportabili della rompiscatole: un bel sonno, poi doccia rinfrescante, mentre si fa sera: Fuori, bella aria di campagna, lontani cani che abbaiano: dopo un giretto orientativo si va a cenare in uno stanzone poco illuminato, con lunghi tavoli – vi si aggira un gatto elemosinante. Dalla finestrina nel muro ci passano un ottimo pollo, che però è, al solito, subito criticato: dopo cena andiamo alla “boutique”del campeggio(sempre senza vedere altri ospiti), ne avevamo intravisto qualcuno, dove saranno? Lì troviamo tre fratelli del Niger – alti,euforici e cordiali- che vendono bellissimi gioielli tuareg in argento: monili vari, piccole selle da cammello, fennec e gazzelle stilizzate- tutto bello, ma caro! ”Les italiens” dicono ridendo – pare che siamo gli unici a contrattare sempre sul prezzo: io ne faccio il pieno, solo visivo, con la telecamera, anche se mi costa un “p‘tit cadeau” in danaro. Poi ce ne torniamo ai bungalows, nel vento della sera, è splendido smuovere la sabbia coi piedi scalzi, giù dal letto! Buonanotte, Sahara.
Lunedì 24 aprile – Dopo essermi svegliata una volta alle 4, mi ri-sveglio con il canto del gallo: silenzio, cinguettìo di uccellini, che pace! Scrivo a un mio caro amico nel.. contiguo Sahara(algerino)a soli 70 km.da qui! Metto un po’ di sabbia nella busta per testimoniare che sono lì di persona: andiamo alla posta e finalmente, dopo tanti tentativi, riesco a parlare con mia figlia,per rassicurarla. Raggiungiamo poi l’altro camping, l’ “Alfaw”,con i bungalows rotondi, a forma di“tucul”:su una terrazza coperta prendiamo il the, di fronte a un nutrito gruppo di guide tuareg, tutti intabarrati nei loro veli, perlopiù bianchi.Si scambiano vigorosi saluti, parlano animatamente e cerco di individuare qualche parola del loro “tamasheq”- ognuno di loro guiderà il proprio gruppo nel deserto- un pullmann rosso a due piani aspetta lì dirimpetto, accanto ai fuoristrada. Ripartiti alla volta della vicina Ghat, corriamo fra sagome di roccia che spuntano dalla sabbia ocra- una di esse, sulla destra, sembra una città fantasma, con guglie e pinnacoli: l’asfalto, spaccato dal calore, ci costringe a ogni tanto a deviare dall’autostrada e percorrere tratti sabbiosi. Si arriva a Ghat mentre il muezzin sta chiamando alla preghiera, cerchiamo e troviamo l’hotel El Kalaa(“la fortezza”,o “la cittadella”) e il sollievo della sua hall fresca e ombrosa, dopo il sole torrido e abbacinante di fuori. Anche qui ci sono quadri e begli oggetti di artigianato sahariano: Hamadi è seduto sui divani con un giovane tuareg (è Khammou, che ci accompagnerà poi nel deserto).All’imbocco del corridoio, uno specchio con tre oblò, rivestito di lana blu-viola con lunghissime frange…Ci danno le stanze, finalmente la camera… che ci accoglie con una bella notizia: sul vetro della finestra(che dà su un giardino a piano terra) italiani di passaggio hanno riparato una rottura con del nastro adesivo, sul quale hanno scritto”attenti ai topini!”. Finora avevamo incontrato solo qualche innocuo scarafaggio campagnolo nelle docce, che restava immobile al suo posto,(impaurito da noi,giganti!) per cui uno si rassegnava a conviverci pacificamente. L’albergo abbondava pretenziosamente in moquettes e parati di stoffa, un po’ assurdo con l’abituale torrido clima desertico,tanta sabbia tutt’intorno….meglio l’ essenziale e areato campeggio! Usciamo a mangiare in un bar- ristorantino, subito dopo, sotto il sole, la visita di Garama (l’antica Germa,capitale dei Garamanti), grigia cittadella di fango disseccato: qua e là sono sparsi dei tratti di piccoli binari per i carrelli necessari al restauro. Fino a un certo punto ci accompagna Hamadi, sostituito poi da una guida locale: la vecchia medina è meno suggestiva di quella di Ghadames, anche se al tramonto il sole la indora, migliorandola- in vista del Forte (“El Kalaa”) ci viene chiesto se vogliamo montarvi, ma nessuno ne ha voglia! All’uscita, mentre ci riposiamo un po’, un “targui”si accoccola di fronte a noi, a pochi metri e ci osserva attentamente in silenzio, alla fine mi chiede una sigaretta che gli offro volentieri. Dopo la visita alla medina ci aspetta un’altra trottata nella calura, lungo la principale (ed unica)arteria che taglia Ghat, con Hamadi, che è arrivato nell’auto di un amico, fresco come una rosa: per fortuna il sole è al tramonto- dopo la foto ad un antico pozzo fatto con tronchi di palma, ci incamminiamo. I tuareg “si sprecano”, ve ne sono dappertutto, spesso sugli scalini davanti alle porte di negozi o delle numerosissime agenzie di viaggio, la cui pubblicità è costituita da simpatici cartelloni dipinti a mano:con ingenuo stile “naif”- promettono escursioni nel deserto, con palme e cammelli..La strada è un interminabile rettilineo di radi edifici a un piano, con belle porte in ferro decorate a colori contrastanti: l’aria ora è respirabile..passa velocissimo un camion gremito di ragazzini che ci salutano urlando allegramente. I negozi non hanno insegne, ma sui muri esterni è dipinto, sempre in stile primitivo, ciò che vendono: le varie marche di sigarette, elettrodomestici, ecc.(a Ghat potrei avere molte commissioni?!) Alla fine della galoppata c’è un mercato dove compriamo degli”shesh”(lunghi turbanti)colorati da mettere nel deserto: è quasi buio- chiedo di
sedermi un po’ e il bel proprietario del negozio mi offre una sedia, all’aperto- e commenta delicatamente la mia stanchezza: ”madame,c’est le temps que passe”. Indimenticabile, istintiva gentilezza e nobiltà d’animo di chi sa trovare parole di comprensione che non feriscono….E’ ormai sera,torniamo, alquanto distrutte – per fortuna ci raggiunge l’auto di Hamadi guidata dal cugino e ci “raccoglie”, riportandoci alla base. In un negozio riesco a comprare – meglio che a Germa – il bel bracciale tuareg d’argento, leggerissimo e il “tera(out)”, (“lettera,amuleto) quadrato con fiocchetti neri ai lati. Cena all’albergo e poi in camera: gli..animaletti habituès della doccia sono sempre là, immobili – in fondo basta ignorarli: una volta a letto, spenta la luce, con terrore, intravedo la nera silhouette del preannunciato topino rotolare velocissimo giù dal mio bagaglio! A parte il sonoro ronfare della mia compagna, con questa preoccupazione in più, ”dormo” con meno di un occhio solo……
25 aprile, martedì – Stamattina si riparte, questa volta per il deserto dell’Akakus: portiamo i bagagli nel giardino, al cui centro c’è una fontana a forma di stella- fuori l’albergo due fuoristrada sono pronti a partire – riconosco Khammou, il targui che parlava ieri con Hamadi. Alto, minuto, con baffetti e uno “shesh” candido- sotto gli occhiali da sole, un gran sorriso- è lui il capo spedizionenell’altra auto c’è Mustapha, cugino di Hamadi e il giovanissimo Othman. Caricano i bagagli su una delle grosse Land Cruiser, io mi arrampico sulla prima, davanti, a fianco del “capo”, che subito inserisce-deciso- una piacevole cassetta di musica tuareg: le altre stavolta non osano protestare, come fanno di solito: si parte. Prima sosta in un negozio dove M. cerca un abito tradizionale maschile con collo a pistagna: c’è un somalo che parla in perfetto italiano e il sarto che lavora dal vivo, con gesti rapidi e precisi, sulla sua vecchia Singer. Mi accorgo che siamo allo stesso mercatino di ieris era: ripartiamo, dritti verso l’Akakus, i locali naturalmente dicono che quello libico è più bello di quello algerino. Ma è molto simile..eppure in qualche modo diverso dai circuiti mitici dell’Algeria..forse è solo colpa del tempo che è passato.
Dopo aver incrociato una donna e un bambino nomadi, sbucati dal nulla, arriviamo ad un pozzo molto affollato con turisti che si lavano: si fa scorta di acqua e si riparte: più in là un gruppo di alti cammelli proietta lunghe ombre nel tardo pomeriggio. Khammou, con la sua gandoura blu va fra di loro, si avvicina ad un piccolo bianco, li blandisce con familiarità atavica: è l’immagine più classica che si potrebbe mai vedere o immaginare, del Sahara. Per terra il vento fa rotolare le leggerissime sfere secche della colloquintide.
Mangiamo intorno al fuoco, urla liberatorio in coro, risate, lazzi: Khammou batte il tempo sul bidone di plastica, cantando “Tenerè, ya Tenerè”, la voce risuona limpida e giovane nel silenzio che ci circonda,
26 aprile, mercoledì – Sveglia la mattina presto, come sempre, appena fa giorno: facciamo colazione su una stuoia rossa ai primi raggi del sole nascente. G. si è offesa del fatto che io non abbia dormito in tenda con lei, come se lo avessi fatto apposta per sottolineare il suo russare! Questo viaggio purtroppo sarà caratterizzato da non pochi conflitti e recriminazioni, velenosamente sollecitati dalla gongolante rompiscatole M. cerca di pacificare gli animi: Khammou ha messo uno shesh nero: accesi i motori delle 4×4, si parte, per andare a vedere nuove pitture e graffiti. Dopo varie soste si arriva alla “zèriba” (capanna di paglia)di un vecchio tuareg: per filmarne l’interno,con vari attrezzi e oggetti artigianali, devo pagare qualche dìnaro libico. Nessun’altra ritiene che valga la pena di farlo: si accoccolano intorno al vecchio, che tira fuori da un sacco di juta un “dob” (lucertolone), tenuto al guinzaglio: la povera bestia assapora qualche momento di relativa libertà, poi viene rimessa nella sua prigione.Il tuareg, solo gli occhi saettanti e furbi fuori dal velo, ridacchia, parlando nel suo “tamasheq”, forse fa battute, scambia coi nostri accompagnatori – come sempre nel deserto – le ”issalane” (le notizie). Guardo con cupidigia il grande e bellissimo, pesante “tera” quadrato d’argento, coi folti fiocchi neri ai lati,appeso al suo collo.
Attraversiamo una spianata pietrosa, denominata familiarmente ”Sandstora”,come mi dice Hamadi:ecco una duna rosa, detta”Oua-n-kasa”. Ecco un altro pozzo, solita folla e fuoristrada: facciamo la”gaila”del pranzo sotto degli alberi, a Talouaut, non lontano dal pozzo.M. si è fatta male ad un piede, si appoggia ad 1 improvvisato bastone, “firmato”da Khammou: proseguono visite a pitture e graffiti,tallonando altri gruppi che li hanno appena lasciati. A questo punto, con grande infelicità, credetti di aver finito le video-cassetttine disponibili della mia telecamera..(non era così, ma me ne accorsi con rabbia solo al mio ritorno a Napoli !!…).Ne avevo portate ben 7, ma erroneamente avevo richiuso lo sportellino di protezione anche per altre 2 o 3, pensando di averle già utilizzate! Non era così, ma nei viaggi queste cose succedono, quando bisogna spostarsi più volte e fare spesso tutto in fretta! Per tutto il resto del viaggio soffrirò, non potendo più riprendere..e confidando sulla successiva e normale condivisione di immagini fra i partecipanti, che segue ad ogni viaggio.Ma non sarà così.. mesi dopo, ho rischiato addirittura la vita in un incidente d’auto,per poter recuperare delle riprese altrui fatte in Libia.. prima che, dopo aver lungamente sofferto e pregato di avere una copia del resto del film, finalmente M.si è decisa a farmela fare, con misterioso e inspiegabile ritardo. Un viaggio pieno di sgradevoli sottintesi e inconfessate speranze andate deluse…
Verso sera arriviamo al 2° bivacco, riparato da una
Chiamo Hamadi in disparte e gli chiedo se stanotte posso dormire nell’auto, dietro i sedili posteriori, l’indomani si scatenerà l’inferno fra le mie rissose compagne di viaggio, per questa mia richiesta: dicono che ci dorme lui, normalmente, nella macchina – ma io non intendevo minimamente attentare alla sua virtù! Desideravo solo stare un po’ più riparata, essendo impossibile dormire nella tenda con C. Incurante dei loro blateramenti Hamadi, per il grande riguardo che ha nei miei confronti, mi consente senz’altro di dormire al chiuso: per una notte lui potrà adattarsi nell’altra auto, con gli altri accompagnatori. La sera comunque si ripetono canti, scherzi e risate nel buio, rischiarato dalla lucente notte sahariana: la cena, il the, le danze, alla luce delle torce, poi a dormire. Ultima notte nel deserto.
Giovedì 27 aprile – Risveglio, colazione, sterili proteste per la mia notte nell’auto… poi le rotture di scatole rientrano: si parte. Usciamo, ahimè! dall’Akakus, ritroviamo il camping Alfaw (quello dei tucul rotondi) a Ghat, dove prendiamo un the: salutiamo con dispiacere Khammou, con ’Othman e Mustapha e le 2 Toyota, non senza scambiarci gli indirizzi. Proseguiamo verso Serdeles con la vettura di Hamadi: c’è gran vento e polverone, che lui chiama “la fanette”,. è in arrivo il ghibli.
Si torna al nostro camping Erawan di prima,a Germa – stavolta ho il bungalow N° 9, sempre con la zèriba di paglia intorno. Pranzo nello stanzone lungo, poi una sospirata siesta. Alle 16, con Hamadi, di corsa e col caldo, visita alle rovine dell’antica città di Garama (da cui i mitici Garamanti). Dopo Hamadi ci affida ad un giovane autista grasso e timido (parla solo arabo) che, col suo fuoristrada, ci porta ai due laghi di Mandara (“la rara”) e ‘Omm el mà (“la madre dell’acqua”). Per arrivarci si attraversano impressionanti, immense dune arancione con grandi dislivelli: è un saliscendi da brivido, un’altalena, le discese ripide specialmente fanno paura, ma il nostro accompagnatore è molto bravo le affronta in modo deciso. Con un certo sollievo arriviamo finalmente in vista del 1° lago: la superficie è tutta incrostata di sale, un po’ angosciante per il suo immobilismo, l’acqua ferma, proseguiamo verso il 2° lago, riattraversando però un’altra serie di dune: bellezza che ti lascia senza respiro – e paura al tempo stesso – sono il cocktail esaltante che rende il deserto indimenticabile. Ed ecco la meraviglia. ’Omm el mà’ è un luogo splendido, contornato di palme, acqua verdina trasparente, di cui il vento increspa leggermente la superficie in piccole onde regolari: la sabbia rosata e soffice, dalle tondeggianti forme epidermiche contrasta col verde della vegetazione. L’autista vi si sdraia di fronte, ha lasciata inserita la cassetta di musica araba nell’auto e si gode la sosta rinfrescante e rilassata. Era prevista in origine una notte qui, ai bordi del lago, sarebbe stata favolosa, ma Hamadi ha cambiato programma (ufficialmente perché ormai non c’erano più materassini e tende, lasciati coi fuoristrada), evidentemente seccato dalle polemiche insopportabili e inopportune di cui non si conosce la precisa ragione, ma si può intuire…certe aspettative sono andate deluse, forse è mancato un prevedibile (?) ”souvenir” sentimentale di cui poter parlare o ricordare al rientro? Ne avranno parlato fra loro, chissà….
Mentre mi godo la vista dell’acqua invitante vengono verso di noi 3 bei tuareg coi cammelli sellati, assieme a qualche turista, ci passano accanto senza fermarsi. Dopo un tempo troppo breve per l’incanto di questo luogo, riprendiamo la via del ritorno, sempre riaffrontando le difficoltose salite e discese delle dune. Torniamo al campeggio, liberazioni e docce, un’altra visita,troppo frettolosa, ai nigerini venditori di gioielli, (non riesco a comprare gli orecchini da regalare a mia figlia). Cena con Hamadi al nostro tavolo e poi ognuno al suo letto. Un momento di panico per me, non trovavo più la carta verde obbligatoria per il passaggio in Libia e il biglietto aereo del ritorno!!! Ma poi c’è tutto, pfuiii!!… Quasi senza dormire affatto, alle 4 di notte si riparte per Tripoli.
Venerdì 28 aprile – E facciamo anche quest’altra lunga tratta, quasi 1000 km! Mangiamo allo stesso caffè con la balaustra celeste dell’andata, dove c’era il cagnolino bianco, un bel narghilè in esposizione – un po’ prima di arrivare in città, sostiamo a Gharian: lungo la strada vendono delle terrecotte molto belle, ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta! Ci sono servizi di piatti, bicchieri, tazze, vassoi:tutti decorati con magnifici colori e di gran gusto, motivi originali, fra il tradizionale ed il moderno.Ma pesano..ed è impensabile potersi caricare anche di queste! Mi limito a 2 vasetti piatti, di cui 1 a forma di libro aperto, coi versetti del Corano: li pago un po’ cari, ma mi piacciono. Hamadi si lamenta che si è rotto il semiasse della sua macchina quando quelle lì hanno preteso di andare ai laghi Mezajem con la sua berlina, nel deserto pietroso,all’andata. Arriviamo a Tripoli verso le 18: l’albergo è un altro, si chiama” Al bahr al abiad al mutawassit” (il mare bianco mediterraneo”). Ho la camera 444, sempre con C.; giù nella hall ci sono sedie rosse di plastica, io e Hamadi ci sediamo, aspettando lungamente comunicazioni telefoniche a cui tenevo molto, ma che alla fine risulteranno impossibili,come quasi sempre, in Libia. Cena e poi, tutti stanchi, a letto.
Sabato 29 aprile – La mattina si esce per andare al Museo, sito nel Castello (“As-saraj al hamra” più o meno “il serraglio rosso”) sulla attuale piazza Verde, all’inizio del lungomare. Cioè dove dovevamo venire all’arrivo, quando poi sequestrarono l’auto di Hamadi. Entriamo, bisogna lasciare telecamere e macchine fotografiche all’ingresso, a meno di non pagare una bella cifretta: al 1° piano bellissime statue grecoromane, provenienti da Sabratha e Leptis Magna, mosaici, ecc. Al 2° piano ci sono le arti e tradizioni popolari:costumi tipici, magnifici gioielli antichi che rimpiango di non poter riprendere (né M. lo farà, pur avendo pagato il permesso di usare la telecamera). Un grande “diorama”del deserto, con capanne tuareg, la ricostruzione della camera degli sposi in una casa libica: il manichino di lei accanto al letto, quello di lui più lontano, che guarda altrove, immobile.
Con Hamadi, sorridendo,li compiangiamo, in un certo senso! Il 3° piano è tutto dedicato alla rivoluzionie di Gheddafi del 1° settembre del ’69: tra le foto esposte cerco invano una traccia del mio antico amico che fu qualcuno, per un certo tempo, ma poi non se ne è saputo più nulla….
Finita la visita al Museo, ecco lì accanto l’arco di Marco Aurelio che, con il Castello, è la più classica e vecchia immagine di Tripoli. Ab me ne parlava sempre, con nostalgia, nei suoi ricordi lontani. Visitiamo la moschea Gurgi, un guardiano vecchiotto dai capelli tinti di nero ci apre l’antica porta chiusa a chiave dall’esterno: l’interno è molto decorato, si cammina in silenzio sui tappeti, respirandovi un’aria di raccoglimento.Poi comincia quasi una corsa sotto il sole nei mille vicoli della Medina: si comincia dalla zona dei cesellatori, con un gran martellare di lamiere:ai muri sono appoggiati grandi puntali di cupole e minareti con in cima l’ “hilàl” (la mezzaluna).E’ molto affollata, come in tutti i sùq i mercanti siedono davanti ai loro negozi, stracolmi di merci di ogni genere, fortemente illuminati, se nei passaggi coperti, oppure al sole, bancarelle con scarpe da donna “da cerimonia”, con la zeppa e la”trousse”in tinta (colori pastello o vivaci, piuttosto “kitsch”). Vestiti, tappeti, belle stoffe damascate, gioielli, narghilè, assolutamente di tutto.
Domenica 30 aprile – Ultimo giorno, si torna verso la
Una ennesima corsa per acchiappare il treno per Napoli, sul quale mi addormento, distrutta! Il controllore mi sveglia, per il biglietto.
All’arrivo nella mia città finalmente me la prendo comoda lungo l’interminabile marciapiedi della stazione: le altre 2, M. e C. sono già ovviamente corse avanti, io non ce la faccio: andate pure, ci saluteremo domani per telefono, penso. Invece mi aspettano in fondo al marciapiedi, apprezzo la ”finezza”. Le figlie di M. sono venute a prenderle (abitano nello stesso palazzo di C.), io mi avvio per prendere un taxi. Dal finestrino, dopo il 2° tunnel, rivedo la scuola che sta alle spalle di casa mia, rieccomi! Più morta che viva, dopo la giornata pesante, mi trascino i bagagli fino all’ascensore, apro la porta di casa. Qui richiamo Fatima, ci andrò domani a riprendermi Niki,la mia amata cagnetta, che è stata da lei in questi giorni.
Stamattina ero in Libia, è incredibile questa contrazione del tempo e dello spazio che ci fa quasi saltare da un continente all’altro, nell’arco di una giornata! Ed ora restano i ricordi, i volti,le voci, i luoghi, i chilometri percorsi, suoni, odori, sapori, viaggio sentimentale nella nostalgia del mio compagno scomparso. Un altro tassello prezioso che si è aggiunto, malgrado alcune negatività, nella trama della vita: restano i souvenirs, le musiche, foto e video a farmi rivivere, ancora oggi, come se fosse ieri, questo significativo e intenso viaggio in Libia.
(Ena Villani, settembre ‘ 2006)
Potete vedere altri dipinti di Ena Villani nel suo sito personale
Nel web di Ena sono pubblicati anche materiali del maestro Gennaro Villani – www.enavillani.com
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