Africa

Architetture umane, architetture naturali

di Carla Polastro –
Siamo stati informati solo un paio di giorni fa dalla Mistral Viaggi di un cambiamento nell’operativo voli: anziché con Blue Panorama Airlines, voleremo da Roma Fiumicino a Tripoli con una compagnia libica mai sentita prima, le Afriqiyah Airways. Al check-in, la sostituzione dei biglietti avviene nel caos più totale. Cominciamo bene… Decolliamo con una mezz’ora di ritardo e atterriamo a Tripoli intorno alle 16 (ora locale). Il controllo dei visti è sorprendentemente veloce, mentre è un po’ più lunga l’attesa per il recupero dei bagagli. Nella hall degli arrivi internazionali veniamo accolti da Abdul, la nostra guida libica (l’accompagnatrice dall’Italia – dimostrando grande “professionalità” – gli delegherà praticamente ogni incombenza, comportandosi come se fosse anche lei in vacanza).

Saliti sul pullman della Magic Libya (corrispondente locale di Mistral), ci dirigiamo verso il nostro albergo, l’Al Mahari (il dromedario), in shari Al Fath, a meno di un chilometro dalla Piazza Verde, il cuore di Tripoli. La hall è molto accogliente. Il gorgoglio di una fontana dall’acqua limpida crea un sottofondo piacevolmente rilassante. Le camere e i relativi bagni, invece, avrebbero urgente bisogno di una ristrutturazione radicale e ci si chiede quando sia stata l’ultima volta che un battitappeto o aspirapolvere sia stato passato sulla moquette…

Prima della cena nel simpatico ristorante “Tripolis” (di cui non sono riuscita a rintracciare l’indirizzo), facciamo un primo giro “d’assaggio” nel centro cittadino. Seguiamo un tratto del lungomare, per poi passare di fronte all’Asserraj al-hamra (Castello Rosso), le cui luci soffuse si riflettono nelle tranquille acque del laghetto artificiale, creando un effetto visivo di notevole suggestione. Attraversiamo la vasta as-Sahah al-Khadrah (la già citata Piazza Verde), addobbata da luminarie in stile Luna Park che i Libici sembrano prediligere, vista la loro diffusione. Percorriamo la via 1° Settembre, per poi svoltare in Midan al-Jazair (piazza Algeria), dominata dall’ex-cattedrale italiana, ora moschea, dal Palazzo delle Poste e da quello del Popolo.

Domenica 4 marzo:

E’ una giornata radiosa. Il cielo tripolino è perfettamente terso, la luce ha la brillantezza del cristallo e mette in straordinario risalto i contorni degli edifici e delle alte palme, mosse da una leggera brezza.

Il pullman ci lascia a pochi passi dall’Arco di Marco Aurelio, eretto nel 163 d.C., unica vestigia di rilievo dell’antica Oea, riportato alla luce da archeologi italiani fra il 1914 e il ’18. Il monumento appare alquanto spoglio, poiché buona parte dei bassorilievi che lo adornavano è stata trasferita al Museo Nazionale (Museo della Jamahiriya, all’interno del Castello Rosso). Subito dietro l’arco si erge l’ottocentesca Moschea Gurgi, che vanta il più alto minareto della città. L’interno ha dimensioni raccolte ed è graziosamente decorato con mattonelle a motivi geometrici e floreali. Le cupole sono rivestite di stucco, nello stile marocchino. Assai pregevole è il minbar, dalle tinte delicate.
Lasciata la moschea, attraversiamo l’ex-quartiere ebraico (sopra le porte di molte case sono ancora ben visibili le Stelle di Davide), ammasso di basse case in condizioni più o meno fatiscenti, abitate quasi esclusivamente da immigrati, provenienti da altri Paesi africani.
Camminiamo poi lungo qualche viuzza del suq. Un anziano battitore di rame ci saluta in italiano, con grande cordialità.

La nostra meta è il Museo della Jamahiriya, fondato negli Anni Trenta e che conserva un’eccezionale collezione di reperti preistorici, fenici, punici, greci, romani, bizantini… Nelle numerose sale è tutto un susseguirsi di capolavori, dal mausoleo tardo-romano proveniente dalla necropoli di Qirzah (IV sec. d.C.), alla Venere Capitolina (II sec. d.C., restituita dal governo italiano nel 1999), alle statue di atleta e Apollo con il volto di Antinoo, copie romane di originali greci rinvenute nelle Terme di Adriano a Leptis Magna, al gruppo delle Tre Grazie, da Cirene, di sublime eleganza, ai mosaici, ai meravigliosi bassorilievi staccati dall’Arco di Settimio Severo, “porta d’ingresso” di Leptis Magna…

Per raggiungere il ristorante dove pranzeremo, intorno alle 14 (“Al Gambare”, shari Baladiyah), percorriamo parte dell’ex-quartiere coloniale italiano: la candida Galleria De Bono, la via 1° Settembre, piazza Algeria.

Finito di pranzare, ci trasferiamo all’aeroporto per il volo verso Benghasi, dove ceneremo e pernotteremo all’Hotel Tibesti (shari Jamal Abdul Nasser), un tempo considerato il miglior albergo del Paese. A vederlo oggi, si fa fatica a crederci.

Lunedì 5 marzo:

Un cielo limpidissimo, un fulgido sole e un venticello fresco, a tratti addirittura freddo, ci accolgono a Cirene, città greca cantata da Pindaro e Callimaco, in magnifica posizione, sul fianco di una montagna, a picco sul mare.

Iniziamo la visita dal vasto ginnasio (trasformato in foro in epoca romana), con le alte colonne doriche che si stagliano nette nella vivida luce mattutina. Proseguiamo per la lunga via di Batto (intitolata al mitico re fondatore della città). Dell’odeon rimane solo il pregevole arco d’accesso, poiché in età bizantina questa struttura venne trasformata in caserma per i soldati. Di fronte all’Odeon, si estendono i resti della casa di Giasone Magno, sacerdote del tempio di Apollo. Segno evidente dell’incuria in cui versano i siti archeologici libici (e quelli cirenaici in particolar modo), i bei mosaici pavimentali non sono protetti in alcun modo e ci si cammina persino sopra!:-( Ne parliamo con la guida locale, che ci conferma il totale disinteresse da parte del regime per quanto riguarda la salvaguardia del patrimonio culturale. E’ totalmente carente anche la sorveglianza, soprattutto di notte, e continuano perciò a verificarsi furti di reperti (nei giorni seguenti, apprenderemo con sgomento che dal mercato di Leptis Magna – monumento-simbolo del sito – sono stati recentemente trafugati alcuni banchi in marmo). In tutti i siti cirenaici, pascolano liberamente pecore, capre e mucche, e si cammina quindi su di un “tappeto” di escrementi. Va però apprezzato l’aspetto “bucolico” della cosa…:-)

Ci dirigiamo poi verso la casa di Esichio, amministratore della provincia di Cirenaica nel IV sec. d.C. I simboli rappresentati in un mosaico pavimentale superstite ci dicono che era di fede cristiana.

L’agorà conserva il presunto monumento funebre di Batto, alcuni resti del tempio delle Basi ottagone, i due imponenti altari di Apollo e vestigia del santuario di Demetra e Kore e del tempio di Apollo (divinità tutelare di Cirene). E’ qui nell’agorà che svetta quello che, a parer mio, è il più affascinante dei monumenti del sito: il monumento navale, risalente all’epoca tolemaica (IV-III sec. a.C.). E’ composto da una Nike acefala e priva delle ali, su di un basamento a forma di triremi, sostenuto da delfini. Com’è reso in modo mirabile il drappeggio della veste, sembra di sentire il vento che lo fa aderire al corpo giovane e snello! Il pensiero, inevitabilmente, va alla Nike di Samotracia, alta alla sommità dello scalone d’onore del Louvre, e si viene colpiti, ancora una volta, dall’insuperabile grazia dell’arte greca…

Percorriamo la via sacra, incontrando dapprima le terme greche, dette “di Paride”, scavate nel fianco della montagna probabilmente già in epoca arcaica, e poi la Fonte di Apollo, la sorgente d’acqua che permise l’insediamento umano ben prima dell’arrivo dei profughi di Thera.

Continuando a scendere, si arriva al santuario di Apollo, su di una vasta terrazza che domina la pianura sottostante. E’ un luogo di grande suggestione, i cui edifici hanno subìto, nel corso dei secoli, innumerevoli distruzioni e ricostruzioni.
Un po’ più in basso, sorgono le rovine del teatro greco, successivamente trasformato in anfiteatro dai Romani. Dovrebbe, a breve, iniziarne il restauro un’équipe archeologica italiana.

Subito dopo pranzo, visitiamo l’imponente tempio di Zeus, a una certa distanza dal resto degli scavi. Si erge in mezzo agli alberi, i prati sono punteggiati da miriadi di fiori variopinti. Venne costruito nel V sec. a.C., parzialmente distrutto durante la rivolta ebraica del 115 d.C. e restaurato una prima volta sotto Adriano e Marco Aurelio. Il terremoto del 365 e la furia iconoclasta dei Cristiani lo ridussero nuovamente in rovine. Il suo recupero, non ancora terminato, iniziò negli Anni Sessanta, grazie soprattutto ad archeologi italiani.

Trattandosi di un lunedì, il museo di Cirene è chiuso. La superba statua di Alessandro Magno ci limiteremo quindi a vederla in cartolina (sigh)!:-(

Lasciata Cirene, scendiamo verso la costa, diretti alla non lontana Apollonia (l’attuale Sousa). Ben poco è stato ricostruito della città antica, ma il suo teatro, lambito dalle acque del Mediterraneo, vale – da solo – la visita! Rimarrei seduta qui, su questo blocco di pietra, con il viso sferzato dal vento salmastro, per ore! Provo una tale serenità, una tale pace… Le voci dei miei compagni di viaggio si mescolano al dolce suono della risacca, al costante sibilo del vento e allo stridio dei gabbiani, che volano bassi sulla superficie appena increspata del mare, nella morbida luce del tramonto. Ceniamo e pernottiamo all’Hotel Al Manara (il faro), a pochi metri dal sito (della serie: pugno in un occhio), un albergo semplice, ma pulito e abbastanza accogliente.

Martedì 6 marzo:

La prima visita di oggi è a un luogo del tutto particolare: la grotta artificiale di Suluntah (o Slonta, che dir si voglia). Ci appare molto diversa da come doveva essere nell’antichità, poiché il soffitto, retto da una colonna di cui resta solo il basamento, è completamente crollato. La sua vicinanza ad una necropoli e le parole di Erodoto a proposito dei rituali cari ai Nasamoni, fanno ritenere che la grotta fosse legata a cerimonie in memoria dei defunti, ma esistono tesi contrastanti sul significato dei rilievi scolpiti nelle pareti di roccia, parecchi dei quali a malapena visibili.

Proseguiamo per uno degli “high points” di questo viaggio, Qasr Libiya, l’antica Olbia, che divenne poi la bizantina Teodoriade, in onore della consorte di Giustiniano.
Un fortino ottomano ha inglobato una delle due basiliche bizantine costruite nel VI sec., quella “occidentale”, che conserva un meraviglioso mosaico pavimentale dagli svariati simboli cristiani, oltre a raffigurare cervi e altri animali (anche qui, le condizioni di conservazione sono lungi dall’essere ottimali). Le scarme rovine della basilica “orientale” sono invece immerse nel verde, fra cipressi e piante di mimosa. Per fortuna, i suoi magnifici mosaici, dalle tinte tipiche dell’arte musiva africana, sono custoditi nel piccolo museo. Si tratta di 50 pannelli raffiguranti motivi sia cristiani che pagani, di difficile interpretazione. Si tratta forse “di una rappresentazione metaforica della creazione del mondo”. Hanno conservato una vividezza davvero impressionante! Sul pavimento del museo, è stato deposto un secondo mosaico, con scene di caccia alla volpe, un coccodrillo e un bue in ambiente nilotico.

Pranziamo a Tolmetta, a pochi metri dal museo e dall’ingresso del sito di Tolemaide. Nel primo pomeriggio visitiamo le tre sale che compongono, appunto, il museo di Tolemaide, illuminato da una luce verdastra a dir poco orrenda. E’ davvero un peccato, perché molti dei reperti sono di altissimo livello, come il mosaico delle Quattro Stagioni, proveniente dall’omonima villa, e quello della Medusa, la fontana delle Menadi, che nel IV sec. d.C. ornava la Via Monumentale, o il sarcofago di una coppia di sposi, del II sec. d.C., o ancora numerosi capitelli finemente scolpiti.
Ci fa da guida il responsabile del sito, un archeologo libico che ha studiato a Londra e che è stato il braccio destro del grande Goodchild. La sua frustrazione è palpabile: ci sarebbe ancora così tanto da scavare, qui come in tutta la Cirenaica e la Tripolitania! Ma dal governo libico non arrivano fondi e gli archeologi stranieri vengono più che altro a studiare ciò che è già stato riportato alla luce, piuttosto che a condurre nuovi scavi.

Percorriamo lentamente la Via Monumentale, dove, come ad Apollonia, ben poco è stato ricostruito. Il terreno è infatti costellato di pezzi di colonne e massi di pietra. Non resta che lavorare di fantasia, immaginando le case e i monumenti, il brusio della vita quotidiana, il passaggio dei carri e della folla, prima che sopraggiungessero l’abbandono e il silenzio… Nell’erba, fra i sassi, si nascondono delle tartarughine, disturbate dalla nostra presenza, mentre, più in là, pascolano piccole greggi di pecore e capre. Il monumento più significativo di Tolemaide è il cosiddetto Palazzo delle Colonne, sede del governatore sia in epoca tolemaica che romana, di enormi dimensioni e che si erge contro uno sfondo di colline e montagne, in mezzo agli alberi.
Fra le strutture più leggibili del sito c’è l’Odeon, che nel IV sec. d.C. fu trasformato in teatro acquatico e poi in semplice cisterna in epoca bizantina. Dobbiamo la sua ricostruzione al già citato Goodchild. Ci accomiatiamo a malincuore dalla nostra guida, sicuramente fra le persone più interessanti, preparate e competenti che incontreremo qui in Libia, e torniamo verso Benghasi, dove ceneremo e pernotteremo nuovamente all’Hotel Tibesti.

Mercoledì 7 marzo:

All’arrivo all’aeroporto di Tripoli, ci dirigiamo immediatamente a Sabratha, dove arriviamo in tarda mattinata. Iniziamo la visita dal Museo romano (non visiteremo quello punico) , che custodisce numerosi pezzi di grandissimo valore artistico, quali i mosaici provenienti dalla basilica di Giustiniano, da una villa nel quartiere del teatro o dalle terme di Oceano, la statua di Venere che sorge dalle acque o ancora un altorilievo di Dioniso.

La posizione di Sabratha, in riva al mare, crea incantevoli contrasti cromatici, fra le morbide nuances dell’arenaria e dei marmi e l’azzurro intenso del cielo e del Mediterraneo.

Entrati nel sito, il primo monumento che colpisce lo sguardo è il Mausoleo di Bes (divinità egizia e fenicia), o Mausoleo B, punico, alto quasi 24 metri. Fu scoperto e ricostruito da Antonino De Vita negli anni Sessanta.

Visitiamo poi i resti del Tempio Sud e di quello degli Antonini, dedicato a Marco Aurelio e Lucio Vero. Nella piazza antistante, si trova una delle dodici fontane fatte installare da Flavio Tullio alla fine del II secolo. Delle decorazioni originali, sussiste una statua di donna, acefala.

Il foro è – come sempre nelle città romane – ricco di importanti monumenti, fra i quali spiccano la basilica detta “di Apuleio” (trasformata in chiesa cristiana nel V sec.), il tempio di Liber Pater (divinità punica analoga a Dioniso), il tempio di Serapide e la Curia. Dietro a questi due ultimi edifici, si erge, maestosa, la basilica di Giustiniano, da sempre considerata la chiesa più bella della città.

Un punto di enorme fascino è rappresentato dalle Terme a mare, con i loro mosaici, in ottime condizioni di conservazione, proprio a picco sulla spiaggia sottostante (e ricoperta di rifiuti, che è meglio tentare di ignorare, per non rovinare il summenzionato fascino dell’insieme).

Superate le Terme di Oceano, si giunge all’imponente Tempio di Iside, la divinità egizia protettrice dei naviganti. Del portico che racchiudeva il tempio su tutti e quattro i lati sono state ricostituite alcune colonne. Una scalinata conduce al podio, dove svettano sei colonne in arenaria.

Prima di arrivare al celeberrimo teatro, visitiamo ancora altre terme, quelle – appunto – del quartiere del teatro.

Il teatro di Sabratha, con una capienza di 5.000 spettatori, era il più grande del Nord Africa, e fu edificato tra il 175 e il 200 d.C. La sua ricostruzione, negli anni Trenta del Novecento, fu fortemente voluta da Italo Balbo, governatore italiano della Libia, ed è ora molto controversa, a causa del pesante utilizzo del cemento armato. L’effetto visivo è comunque notevolissimo, con il mare e il cielo a fare da quinte e i magnifici rilievi del pulpito.

Intorno alle 16, dopo aver mangiato qualcosa in un locale di Sabratha non lontano dalle rovine, ripartiamo alla volta di Tripoli, dove alloggeremo nuovamente all’Al Mahari, mentre ceneremo al ristorante “Al Qunus”, in piazza Algeria (ottima la loro zuppa di pesce).

Giovedì 8 marzo:

E’ la volta di Leptis Magna, finalmente! La nostra guida parla un italiano impeccabile (e lo ha imparato da autodidatta) ed è evidente la sua ottima preparazione, accompagnata da una buona dose di senso dell’umorismo.

Anche qui iniziamo la visita dal museo, immerso in una fresca penombra, perché tutte le luci sono spente (mancanza di corrente o semplice dimenticanza? Non lo sapremo mai…).
Fra i reperti più importanti esposti in questa struttura inaugurata nel 1994, figurano alcuni rilievi staccati dall’arco di Settimio Severo e parecchie sculture, fra le quali una sublime figura femminile, detta “la signora elegante”, un viso maschile con barba e dodici statue acefale, provenienti dai fori della città.

La giornata è grigia ma, proprio mentre giungiamo di fronte all’arco di Settimio Severo (l’imperatore nativo di Leptis Magna), il sole riesce a trafiggere la coltre di nubi, mettendo in risalto le tonalità rosate del calcare e del marmo. Quando si dice il tempismo!:-)

Percorriamo un tratto del cardo, per poi svoltare a destra e visitare i resti della palestra e delle terme di Adriano. Fatti ancora pochi metri, si erge davanti a noi il colossale ninfeo, purtroppo in parte crollato. Ciò che rimane, alcune colonne in marmo cipollino o di granito e la balaustra di epoca posteriore, lascia comunque intuire la raffinata grandiosità di questo monumento.

Siamo all’inizio della via Colonnata, che conduceva dal centro cittadino al porto. E’ ancora una volta necessario “lavorare di fantasia” e far risorgere, almeno nella nostra mente, i portici adibiti a negozi, le oltre cento colonne (ne rimangono in piedi solo due); far rinascere il trambusto, i commerci; far risuonare voci spente da così lungo tempo… Immaginare le grida, le risa, gli abbracci e le liti. In una parola: la vita.

Settimio Severo, desideroso di rendere splendida la propria città natale, fece erigere i suoi più sontuosi monumenti: volle la creazione del Foro Severiano o Foro nuovo (ma i Leptitani sarebbero rimasti fedeli a quello vecchio), sul quale si affacciano il Tempio e la Basilica dei Severi.

E’ un complesso di straordinaria armonia ed eleganza. E’ stato ricostituito un brandello del portico, ornato di teste di Gorgoni, mentre del tempio restano la scalinata che conduce al podio e numerose colonne abbattute. La Basilica, terminata dal figlio di Settimio, Caracalla, segue il modello di quella di Traiano, a Roma. Giustiniano la trasformò in chiesa bizantina nel VI sec. Si tratta di uno spazio vastissimo, a tre navate e due absidi, dalle altissime colonne e dai pilastri meravigliosamente scolpiti e intarsiati.

Visitato rapidamente il tempio di Serapide, dal quale provengono molte delle statue esposte nel museo, arriviamo a un altro “clou” di Leptis, il mercato, fatto costruire dal ricchissimo Leptitano Annobal Rufus. Che incanto! Palladio e Jefferson sembrano essersi ispirati a questo insieme nell’ideazione delle loro opere… E’ un altro trionfo di grazia e raffinatezza. Doveva essere bello fare la spesa in un luogo del genere…:-)

L’ultima visita della mattinata è quella al teatro, fatto erigere agli inizi del I sec. dal già citato Rufus, fra i primi in muratura dell’impero romano. Durante gli scavi fu riportato alla luce un gran numero di statue, ora conservate nei musei di Tripoli e Leptis Magna.

Dopo pranzo, visitiamo l’anfiteatro, ricavato sotto Nerone, nel 56 d.C., in un’ex-cava di pietra. Fu poi ampliato e ammodernato da Settimio. Fra l’anfiteatro e il mare si estendeva l’ippodromo, di cui non rimane quasi nulla. Le due strutture sono tuttora collegate da passaggi coperti, che fanno pensare a una loro interazione nell’allestimento degli spettacoli.

Dell’antico porto di Leptis Magna, che per un madornale errore di progettazione iniziò a insabbiarsi poco dopo essere stato ultimato, sono ancora visibili la base del faro, i resti delle banchine del molo orientale, di una torre di avvistamento e di un piccolo tempio dorico.

Tornati a Tripoli, ci rechiamo direttamente in aeroporto, dove dovremmo prendere il volo delle 20 per Sebha. Effettuato il check-in e superati i controlli di sicurezza, ci viene comunicato che a Sebha è in corso una tempesta di sabbia e il nostro volo, di conseguenza, subirà un ritardo ancora da quantificare. Di ritardo in ritardo, arriva l’una di notte, quando viene annunciata la definitiva cancellazione del volo. Potete facilmente immaginare le reazioni dei presenti… Ciò significa raggiungere il capoluogo del Fezzan in pullman (argh!). Partiamo intorno alle 2,30, in un mood non propriamente gaio. Sono talmente “cotta”, che mi addormento appena toccato il sedile, mentre Gianluca e diversi altri componenti del gruppo passano la notte in bianco. Arriviamo a Sebha verso le 10 del mattino. Davanti all’Hotel Al Qala, dove avremmo dovuto pernottare, ci attendono i fuoristrada che ci condurranno nell’Akakus.

Venerdì 9 marzo:

Facciamo colazione in un bar-pasticceria di Sebha e intorno alle 11 partiamo per il campo tendato fisso “Magic Lodge”, a 30 km. a sud di al-Uwaynat. Soffia ancora un forte vento freddo (non si tratta quindi del Ghibli), il cielo è grigio, velato da enormi nubi di sabbia. Anche l’orizzonte è un’indistinta massa grigia. Il lungo trasferimento, circa 7 ore, è parecchio noioso, complice anche la stanchezza causata dalla notte in pullman. Il nostro giovane autista, Hanza, ha un’aria molto simpatica e guida benissimo, ma – ancora una volta – la barriera linguistica condiziona pesantemente le chances di dialogo, che si limita a grandi sorrisi e a un curioso mélange di inglese, italiano, arabo, francese e, soprattutto, gesti.
Gianluca e io condividiamo il Toyota (in condizioni alquanto penose, fatta eccezione per i pneumatici che, grazie al Cielo, sembrano nettamente più recenti del resto del veicolo) con Alba e Renzo, una coppia di deliziosi Valdostani, con i quali abbiamo subito “fraternizzato”, così come con Marisa e Mariuccia, due signore triestine altrettanto simpatiche.
Tutto il gruppo cerca comunque di “pensare positivo”, alzando preci perché il tempo, nei giorni a venire, migliori e torni a splendere il sole in un cielo terso…
Il picnic, nel primo pomeriggio, ha come ingrediente principale la sabbia che, sollevata da un vento a tratti fortissimo, penetra ovunque. Facciamo poi un altro paio di soste, ad Awbari e al-Uwaynat, dove lasciamo la strada asfaltata e percorriamo una trentina di chilometri di pista, fino ad arrivare, intorno alle 18, al campo tendato. E’ assai piacevole trovarsi fuori da un veicolo, finalmente!:-)
L’interno delle tende è semplice ma abbastanza confortevole. I tre letti singoli sembrano usciti da un garni altoatesino: sono di legno chiaro e ricoperti da morbidi e candidi piumini. Non essendoci un armadio, il terzo letto, nel nostro caso, ne fa le veci. Ogni tenda include un piccolo bagno fornito di acqua calda e fredda (da usare con la dovuta parsimonia, naturalmente). Ceniamo nella spaziosa tenda-ristorante e ce ne andiamo a fare la nanna bello presto. Ne abbiamo proprio bisogno!

Sabato 10 marzo:

Il tempo è analogo a quello di ieri. C’è ancora parecchio vento e il cielo è caparbiamente grigio. Abbiamo un po’ tutti il morale a terra: che scalogna!:-( Ma in tarda mattinata, con nostro enorme sollievo, cominciano ad aprirsi i primi ampi squarci di sereno.
La giornata di oggi è dedicata, al pari di quella di domani, alle pitture e incisioni rupestri di cui l’Akakus è disseminato. Le più antiche risalgono a 10/12.000 anni fa, ma le datazioni sono molto controverse. Vedremo esempi, in diverse condizioni di conservazione, dei cinque periodi in cui gli studiosi hanno suddiviso l’arte rupestre sahariana: la fase della “Grande fauna selvaggia”; la fase delle “Teste rotonde” (che si colloca tra i 10.000 e gli 8.000 anni fa); la fase “Pastorale” (intorno agli 8.000 anni fa); la fase del “Cavallo” (2000 a.C. ca.) e quella “Camelina” (intorno ai 2.000 anni fa). Alcune delle pitture sono a malapena visibili, mentre altre “sfoggiano” un’incredibile brillantezza, nonostante l’assoluta mancanza di protezione. Fra un sito rupestre e l’altro, ci fermiamo in diversi punti panoramici, sentendoci quasi soverchiati da tutta questa bellezza, questa vastità, questi colori, che creano un’atmosfera che ha qualcosa di magico, di irreale… Alla sera, quando si spengono le luci del campo tendato, la volta celeste è un trionfo di stelle, perfettamente nitide nella fredda aria notturna. E’ come essere avvolti in uno scialle luminoso, immersi in una sensazione di gioiosa tranquillità. E’ un’emozione indimenticabile!

Domenica 11 marzo:

Stamane il cielo si è ulteriormente schiarito, pur non essendo ancora del tutto limpido. La notte è stata gelida e uscire dal bozzolo caldo del piumino è davvero un’ardua impresa!:-)
Grazie al miglioramento nelle condizioni meteo, il paesaggio è ancora più suggestivo. Siamo affascinati dal contrasto tra l’ocra della sabbia, il nero delle rocce e il blu del cielo, che verso sera assume mistiche tonalità cobalto. Cosa c’è di più bello del cielo del deserto? Più bello di questa trasparenza, di questa luce, di queste tinte, vivide e morbide allo stesso tempo? A ogni viaggio nel deserto, mi pongo queste stesse domande, sentendomi particolarmente felice di essere viva e di poter condividere queste emozioni con chi amo.

Lunedì 12 marzo:

Dall’Akakus ci spostiamo verso l’Erg di Oubari, la regione delle grandi dune. Com’è esaltante “arrampicarsi” con i fuoristrada su per i pendii sabbiosi, per poi affrontare discese mozzafiato!
Le dune, la cui sabbia ha la consistenza e il colore della cipria, sono tutt’intorno a noi, si perdono all’orizzonte, i loro contorni cangianti si stagliano netti contro il cielo, che si fa più terso con ogni giorno che passa. Nel tardo pomeriggio, seduti fuori dalla nostra tenda nell’altro campo “Magic Lodge”, in pieno relax, osserviamo la straordinaria sensualità di queste dune, le linee che ricordano le sculture di Brancusi, i giochi di chiaroscuro, le orme lasciate da uomini e animali, le scie impresse dalle ruote dei fuoristrada…

Martedì 13 e mercoledì 14 marzo:

Il Sahara libico ci saluta regalandoci il suo cielo più limpido, di un azzurro incredibilmente intenso. La luce è quasi accecante, l’aria deliziosamente fresca. Un mix perfetto per visitare alcuni dei laghi di Ramlat ad-Duwadah. Dopo chilometri e chilometri di dune di sabbia, ecco che si profilano all’orizzonte piccole oasi, dove file e boschetti di palme fanno da corona a specchi d’acqua che hanno il colore di quelli di montagna. Il contrasto tra il verde degli alberi e il giallo ocra della sabbia è a dir poco magnifico! Il più grande fra quelli sulle cui rive sostiamo è il lago Gabraoun, le cui acque hanno una concentrazione salina simile a quella del Mar Morto. Gabraoun significa “tomba di Aoun”, il mitico capostipite dei Duwada.
Pranziamo e trascorriamo parte del pomeriggio al “Camping Africa Tours” di Takartibah, prima di far ritorno a Sebha, dove ceneremo per poi volare a Tripoli (stavolta c’è andata bene!). Pernottiamo ancora una volta all’Al Mahari. Domani ci attende una lunga – e noiosa – giornata, che includerà una sosta di ben cinque ore a Fiumicino.
Il volo Blue Panorama Tripoli-Roma è, per fortuna, “uneventful”. Una volta atterrati a Genova con un volo Air One, ritiriamo l’auto a noleggio e finalmente “approdiamo” a casa alle 23,30.

Potete vedere le foto di questo viaggio e leggere altri racconti nel sito di Carla all’indirizzo: http://www.gianlucanigro.net/viaggi

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Pubblicato da
Marco

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