di Eno Santecchia –
L’Erzegovina è una regione storica dei Balcani poco più piccola delle Marche, compresa nella repubblica della Bosnia-Erzegovina.
Ascoltiamo una donna che ama e conosce bene questa regione, avendola visitata varie volte a partire dal 1989.
Con la tipica sensibilità femminile ci regala le sue impressioni e le considerazioni di questi luoghi così belli che nei secoli hanno sofferto duramente per le invasioni e le guerre.
In Erzegovina si parla croato e gli abitanti sono di etnia croata; la maggioranza della popolazione è cattolica mentre in Bosnia c’è una forte presenza musulmana.
Quest’aspra terra rocciosa di tipo carsico ha subito le dominazioni dei Romani, dei Goti, dei Bizantini, degli Ottomani e degli Austriaci. Il cielo è splendido, il clima freddo secco; d’inverno spira una bora gelida.
Prima della guerra civile del 1991 si avvertiva una povertà reale nella quale la gente locale era cresciuta: faceva parte del loro modo di vivere e della loro cultura. Le campane regolavano la giornata e davano il senso, il ritmo e il sapore alla vita di campagna. La famiglia patriarcale era unita dalla preghiera e le tradizioni della Chiesa erano al centro della comunità: la vita familiare era regolata dalla liturgia. La loro fede cattolica era ben custodita, per questo è riuscita a resistere alle persecuzioni del comunismo. I folti boschi di una volta sono stati sostituiti dai magri pascoli; in passato si coltivava il tabacco, ora principalmente la vite. Dalle vinacce distillate si ottiene la rakia, un tipo d’acquavite.
Poi la gente ha assimilato i modelli esterni che ne hanno falsato un po’ la personalità; rimane un orgoglio nazionalistico ma l’autostima non è sufficiente. Il modello occidentale sembra, pertanto, “appiccicato” addosso.
Medugorje, che significa “territorio tra due monti”, si trova a venti chilometri a occidente di Mostar e a 128 km a nord dal porto di Dubrovnik, l’antica Ragusa veneziana, ora in Croazia.
In un’ampia vallata a bacino, non lontana dal fiume Neretva vicino al monte Krizevac, nel 1897 era stata costruita una chiesa cattolica completa di canonica, di stalla e di cisterna d’acqua. A causa del terreno cedevole, il campanile e la chiesa si riempirono di crepe. Già nel 1937 ebbe inizio la costruzione della nuova chiesa di San Giacomo, patrono dei pellegrini.
Il 19 gennaio 1969 fu consacrato il nuovo tempio, molto più grande del necessario, tenuto dai Frati Minori della provincia francescana dell’Erzegovina. Quest’ultima fu creata nel 1892, lo stesso anno della parrocchia di Medugorje, la quale comprende cinque villaggi.
Il 24 giugno 1981 a sei bambini apparve la Madonna come “Regina della Pace” e questo fenomeno portò grandissima affluenza di fedeli da tutto il mondo. Per molti anni i pellegrini sono stati accolti nelle famiglie del luogo e nelle case dei paesi vicini.
L’afflusso di tutti questi visitatori ha trasformato Medugorje in un agglomerato di edifici di vari stili europei, senza una vera identità e senza un piano regolatore.
C’è stata una velocissima corsa a costruire in stile occidentale, quasi soffocando la chiesa. Osservando il paesaggio, si notano molti fabbricati che vanno a ferire la bellezza del territorio. Anche se il turismo religioso ha portato valuta pregiata e occupazione, le costruzioni, sempre di più in stile multiforme e variopinto, alterano il carattere originale dei luoghi. Ora chi cerca la tranquillità e il raccoglimento deve alloggiare presso le famiglie o andare lontano sui monti.
La guerra civile jugoslava, scoppiata nel giugno 1991 e terminata nel 1995, decimò le famiglie e fece calare dell’80-90 % il prodotto nazionale lordo, riducendo gran parte della popolazione a sopravvivere grazie agli aiuti internazionali.
Si racconta che i piloti serbi non riuscirono a bombardare Medugorje: nella zona si creava sempre una foschia e così non poterono identificarla per colpirla.
A guerra conclusa c’e stata una corsa esagerata all’occidentalizzazione: con l’ingresso di capitali e di speculatori iniziò la costruzione di pensioni e hotel, anche di lusso. La regione è in grande sviluppo grazie agli investitori esteri, molte industrie sono tedesche. La Germania e le regioni dell’ex Jugoslavia sono molto vicine per via della forte emigrazione. Molte parole del linguaggio tecnico hanno una radice tedesca, moltissime altre sono di origine turca, soprattutto nella gastronomia.
Si ha l’impressione che, per compiacere i visitatori occidentali, siano state sacrificate sull’altare del consumismo (la parte peggiore della nostra civiltà) le tradizioni, gli usi e costumi locali.
Mostar, capoluogo e città principale dell’Erzegovina, è famosa per il bellissimo ponte Stari Most (ponte vecchio) costruito nel 1566 su progetto dell’architetto ottomano Hajruddin. In questa città ha sede l’ospedale più vicino a Medugorje, purtroppo gli investimenti governativi sono minimi e questo nosocomio è fatiscente.
Nel passato gli abitanti del luogo hanno assunto un carattere chiuso, dovendo difendere la loro identità, compressa e schiacciata dai dominatori che passavano con i loro eserciti. Ci vorranno molte generazioni prima di guarire le profonde ferite.
Gli erzegovesi sono austeri ma buoni: per paura di sembrare deboli, a volte, assumono un carattere e un comportamento burbero che possono farli apparire arroganti. Invece, sono semplicemente bruschi e un po’ diffidenti, come per dire: “Mi tengo a distanza in attesa di conoscerti meglio”. Se ci si reca a casa loro, l’ospitalità è sacra, tutto ciò che possiedono, lo mettono a disposizione come il buon foraggio di capra e il prosciutto affumicato fatti in casa (quasi tutte le abitazioni hanno un affumicatoio). La gastronomia locale è elementare, non ricercata.
La nostra interlocutrice propone una raccomandazione che vale anche per noi: “Cercate le proprie radici e non avete paura di essere voi stessi”.
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siamo stati a Mostar molti anni fà (nel 1980) poi nel 2009, ci è piaciuta molto, ci torneremo presto perchè ci era piaciuta in modo diverso entrambe le volte.