La ragazza della Tigre, un invito a viaggiare i Balkani

di Francesco Cecchini –
Capelli biondi, viso rotondo e pallido, occhi blu, sempre sorridente, molto giovane, molto fotogenica. Ecco Téa Obreht, non una stellina di Hollywood, ma una giovane scrittrice, tradotta in tutto il mondo o quasi. Da poco anche in Italia, dove il suo primo romanzo è stato tradotto e pubblicato da Rizzoli. Téa nasce a Belgrado nel 1985, ancora per poco capitale della Jugoslavia. Nel 1992,il padre e tutta la famiglia abbandonano una patria che non esiste più. Tèa dopo aver vissuto un paio di anni, prima a Cipro e poi in Egitto, approda negli Stati Uniti dove completa la sua formazione diventando una slava del sud che parla e scrive perfettamente in inglese, ma, probabilmente continua ancora a pensare in serbo-croato. Ne è prova quest’ opera prima che è un’ overture sui Balkani, un epopea che si apre e chiude con delle guerre, una mondiale e l’altra locale e dove si incrociano credenze antiche e modernità.

Acquisto The Tiger’s wife in una libreria del centro storico di Wroclaw, Polonia, a fine Ottobre. È un tardo pomeriggio di pioggia e nebbia. Mentre si accendono i lampioni, la gente attraversa in fretta la grande piazza del Mercato, entra in bar e i ristoranti, beve, fuma nelle sale per fumatori, parla e prepara il sabato notte, che dicono più “movido” di quello di Varsavia o di Cracovia. Il titolo del romanzo con la parola tigre e il disegno in copertina con una ragazza che abbraccia la belva feroce stesa sul ventre, esercitano attrazione, mi prendono. Dimentico l’ appuntamento con degli amici polacchi e ritorno subito all’ albergo dove sto trascorrendo il fine settimane, salgo le scale, entro nella mia camera che da sull’ Oder. Accendo la luce, mi siedo su una poltrona, infilo nel lettore un cd e leggo il romanzo quasi d’ un fiato. È accattivante, la musica delle parole prende come un film di Kusturica o come il realismo magico di Garcia Marquez. Durante la lettura ascolto in sottofondo un’ orchestra balcanica bevo vino rosso, fumo un paio di sigari toscani. Non mangio, salto la cena, per mangiare penso di aspettare la colazione polacca del mattino. Una notte di lettura, quindi dal sabato sera alla domenica mattina. Niente cena con zurek e bigos, niente Wroclaw by night, niente musica nei pub della città, niente vodka ghiacciata. La responsabile di tutto questo è la ragazza che ho presentato all’inizio, Téa Obreht.

Prima dell’ alba, cedo alla stanchezza chiudo gli occhi e per una decina di minuti dormo e nel sonno mi visita una tigre. Sono in un giardino zoologico, una tigre del Bengala dà le spalle al muro e alle sbarre. Poi improvvisamente si gira e mi guarda, esce dal recinto e mi viene incontro. Nevica, non è il suo clima, trema, i tropici sono lontani. Assieme usciamo dallo zoo attraversiamo il centro della città e ci dirigiamo verso il fiume. La gente crede la tigre un grosso cane infreddolito e dai colori strani, forse indossa un cappotto, e non si spaventa. Quando mi sveglio mi vengono in mente i pochi versi che ricordo di una poesia di John Donne dedicata alla tigre: Tigre, oh tigre luce brillante, nei boschi della notte, che mano immortale o che occhio creò la tua terribille simmetria.
O qualcosa di simile.



Che fare ora, critica letteraria o raccontare il romanzo? Credo sia meglio raccontare, con il lodevole scopo guadagnare lettori a romanzo di Téa e forse turisti ai Balkani. L’ ambiente è quello della Jugoslavia alla nascita e alla morte o appena dopo. La voce che narra è quella di Natalia una giovane dottoressa. Nell’ incipit Natalia racconta quando bambina il nonno la porta allo zoo, in una città che non si nomina, ma si immagina essere Belgrado, per vedere le tigri e le legge dei brani del Libro della Giungla di Kipling dal quale non si separa mai, una specie di amuleto. Da qui la fascinazione per le tigri la loro importanza delle tigri e degli animali nella vita della narratrice. Cresciuta e divenuta anche lei un medico, Natalia, un giorno viene a sapere della morte improvvisa del nonno. La notizia le viene data dalla nonna durante una missione, con l’ amica e collega Zora, per vaccinare i bambini di un orfanatrofio, quello di Brejevna, oltre il confine. Iin una zona dei Balkani distrutta dalle forze serbe. La zona è colpita da un’ epidemia provocata da mancanza di medicine, cure e medici, ma la gente del luogo crede che i responsabili siano morti senza sepoltura e riposo che di notte visitano le case e spargono il contagio.

Sconvolta dal fatto che è morto lontano da casa e della famiglia, dopo aver raccontato di viaggiare per raggiungerla, scava nella memoria e si riccorda degli anedotti e delle leggende che le ha raccontato e ben presto si reca nel villaggio, Galina, dove è nato e ha trascorso l’infanzia alla ricerca del passato e delle radici. Deve anche recuperare rapidamente le cose di appartenenza per rispettare la ritualità dei quaranta giorni di purificazione dell’anima.
Natalia racconta la vita del nonno, con le sue numerose peripezie ed avventure. Con lui scompare un mondo.

C’ è la storia della tigre, che un giorno all’inizio della seconda guerra mondiale dopo un bombardamento dei nazisti fugge dallo zoo della grande città ed arriva al villaggio vicino di Galina. Gli abitanti impauriti le danno la caccia ma la belva, un maschio, viene accolta e protetta da una misteriosa donna sordomuta, che da allora viene chiamata la moglie della tigre. Il nonno allora un bambino di nove anni è complice della donna. Altri personaggi sono Luka un macellaio omosessuale e musicofilo, il nobile Darisa ufficialmente cacciatore e terrore degli orsi, ma che in realtà non amava uccidere i plantigradi ed era un appassionato di tassidermia per ridare l’ apparenza di vita a coloro che l’ avevano perduta. Darisa è forse la reincarnazione di un orso. Inoltre Il venditore mussulmano di spezie destinato al martirio come la sordomuta anche lei mussulmana. Ed il personaggio più inquietante Gavràn Gailé, il nipote della morte che per punizione dei suoi misfatti non può morire, condannato all’ immortalità. La gente lo crede un vampiro e lo rinchiude in una bara della chiesa. Il nonno da buon medico e uomo di scienza crede sia solo una superstizione, nonostante Gavràn gli dimostri la sua immortalità. I due nel corso della vita si incontrano varie volte e stabiliscono una strana amicizia.
Il villaggio che Natalia visita è un villaggio ancora una volta distrutto dalla guerra dove si mescola la vita del presente e l’ alternanza tra reale ed immaginario, nuovo e tradizione. Dove si scopre che anche alla fine del ventesimo secolo la superstizione gioca un ruolo fondamentale per sopravvivere. Bene fino ad ora si conosceva il realismo magico dell’ America Latina ora abbiamo la versione balkanika. Téa apre la strada.

Sono passati due mesi dalla lettura di Tiger’s wife e non riesco a dimenticare le storie raccontate da Tèa. Continuo a pensare al paese che ho visitato, ma non visto, immagini continuano adarrivarmi la notte. Prendo una decisione. Il prossimo febbraio, alla fine, prenoto un volo Venezia Belgrado con ritorno dopo il tempo necessario. Voglio vedere il giardino zoologico della città e le tigri, il mausoleo di quel Maresciallo di cui il nonno parla a Natalia, il villaggio dell’ immortale, quello dell’ orfanatrofio vicino al mare, gli orsi. Il ristorante della città dove il nonno pranza con Gavràn prima che i serbi bombardino e distruggano il ponte. Visitare, insomma, il paese dei Balkani e incontrare, forse, una tigre e la sua amante.

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