di Francesca Pierantoni –
Giorno 1: Bologna – Istanbul
C’è un attimo preciso in cui la libertà diventa una sensazione fisica. Quando sulla pista di decollo la velocità dell’aereo si fa insostenibile e l’unica possibilità che rimane è lo spiccare il volo.
È in quell’istante che il tuo corpo si tende e salta.
Non importa se sei legato al sedile. Salti anche tu. …
Salti dentro. E sei libero.
Bene, biondino riccetto con chitarra come bagaglio a mano che mi hai guardato tutto il volo.
Ora scendiamo insieme e iniziamo una storia travol…. guardavi il tuo amico seduto dietro di me.
Ok. 1 – 0 per il destino beffardo.
Istanbul è drammaticamente in salita. Questo significa che posso concedermi un altro paio dei robifrittifiglidellodimonio che vendono per strada.
E il Pierantoni F.C. pareggia 1 – 1 col destino beffardo!
Vedi online le foto dell’Academie Hotel. “Carino” pensi. 36 euro a notte. Beh buono, dai. In centro, zona di vita notturna. Prenoti.
Poi arrivi e ti rendi conto di aver letto male. Che non è Hotel ma HoStel (2 – 1 per il destino) ma che i 36 euro sono per tutte le 5 notti che hai prenotato (2-2).
Poi scopri che in camera con te c’è unO.
Il destino di botto vince partita e campionato.
Non rilascio interviste.
Istanbul – Giorno 2
Istanbul è una città di contraddizioni profonde.
Minareti e palazzine tipo la Parigi degli Aristogatti.
Mercati antichi pieni di roba stranissima e i soliti noiosissimi franchising. …
Dove giovanissime ragazze in niqab ( il velo che scopre solo gli occhi ) chattano con whatsapp. Dove le coppie gay passeggiano serenamente baciandosi e le donne in moschea stanno in un gineceo chiuso.
Dove puoi comprare le musicassette a 5 lire, lo stesso prezzo dei bastoni da selfie.
Non la puoi capire. La devi respirare.
E profuma di spezie, in bilico com’è tra oriente e occidente, con la testa in Europa e i piedi ” annaspanti tra le perle dell’Asia ” come dice parlando di Venezia ( città simile per storia e splendori ) una scrittrice che ho amato molto.
La devi ascoltare. Perché ha un suono straordinario : la dolcissima nenia dei muezzin che si mescola ai gridi dei gabbiani.
Un suono così dolce che quando ti sveglia alle 6.20 tu al muezzin non lo vuoi uccidere.
Oggi ho imparato un po ‘ di cose.
Il caffè turco è una zozzeria che manco le cimici di Albertone.
Alla domanda che segue alla tua ordinazione : ” Lo vuoi un po ‘ piccante? ” si risponde “NO”.
Alla domanda ” Viaggi sola? ” Si risponde “NO”.
Alla domanda che segue la tua affermazione “mi occupo di teatro” si risponde “SCHERZAVO”.
Alla domanda ” Ti sei persa? ” Si risponde “NO. Cercavo proprio questo vicolo cieco pieno di melma e detriti. Tra l’altro mi occupo di teatro”.
Rottura di caxxo risolta.
Per mia mamma: oggi sono sopravvissuta ad un attacco terroristico da parte di una baklava al pistacchio. Stavo per soccombere, poi ho avuto la meglio.
26 dicembre 2015, Istanbul
Un anno fa esatto, a Marsa Alam, la corrente del mare mi ha sbattuto contro un pontile e mi sono fatta una brutta ferita sopra la caviglia. Era spaventosa.
Era tutta lacerata, profondissima. Ha sanguinato molto.
Poi si è chiusa. …
Ora resta una cicatrice ancora molto evidente.
Ancora rossa e in rilievo.
Ma questo non mi impedisce di correre, ballare, viaggiare, fare la mia strada.
‘Che le ferite guariscono.
E diventano moniti. E ti ricordano che panta rei.
Se sei coraggioso, ti arricchiscono addirittura. Ti rendono ancora più unico.
Ti danno storie da raccontare. Ti scrivono addosso chi sei.
E, con una piccola cavigliera, diventano molto, molto sexy.
Giorno 3: Fatih – Fener – Balat
Ho fatto un giro lontano dai circuiti classici, in una zona semi sconosciuta di Istanbul, i quartieri di Fatih, Fener e Balat. Sono zone molto povere e tradizionali.
Pesante.
Pesante camminare in salita per ore. Pesante vedere le ragazzine che tornano da scuola col burqa. Il burqa proprio. Quello che ti copre pure gli occhi. Pesante vedere i capretti interi appesi a decine nelle vetrine dei macellai. …
Pesante vederne il sangue per strada.
Pesante toccare con mano la povertà di queste strade. Vedere le case semi diroccate con la gente che ci abita dentro.
Pesanti le loro storie di ordinaria miseria che si trascina da decenni: “quando i greci che abitavano qui furono cacciati la notte del pogrom, noi occupammo le loro case. Ma non abbiamo mai avuto i soldi per mantenerle.” Mi racconta in inglese stentato un signore coi vestiti sporchi.
Pesante. Ma molto vero. Una contraddizione, l’ennesima, di questa città i cui quartieri più reietti sorgono in una zona detta il Corno d’Oro.
Contraddizioni in materia di bellezza: in giro per il centro si vedono decine di ragazze e donne col classico cerotto sul naso di chi se lo è appena rifatto. Mi spiegano che vengono da tutta Europa perché rifarselo qui costa meno.
In parallelo, le ragazze più conservatrici e povere, che non avranno mai i soldi e lo spirito per fare una cosa del genere, comprano al mercato un sotto-velo con un’ applicazione rigonfia di frange. Così, col velo sopra, sembra che abbiano i capelli lunghissimi. Ah, la vanità.
Mi scambiano tutti per francese. Manco fossi Lili Kangy. Ma ho la faccia da stronza? No, sul serio. Ditemelo. Che se ho la faccia da stronza approfitto per farmi una plastica a basso costo finché sono qui.
“Maaaa…. viaggi da sola?”
“NO. Viaggio con lui. È il mio amico invisibile. Si chiama Metello. Guarda che ti vuole salutare. Stringigli la mano”
Altre domande?
Chi è il prossimo?
Giorno 4: Sulthanamet
Questa città è complessa e piena di fascino. Ma ancora non ero riuscita a lasciarmi andare alla sua magia. Poi in un istante incantato, al tramonto, in cima alla torre di Galata, con la superba vista del Bosforo dall’alto, con le moschee dorate, coi minareti infiniti stagliati nel crepuscolo, è successo. Un click. Come quando ti innamori. E non c’è un perché. Succede e basta. Succede che sei sopraffatto dalla bellezza. Senti qualcosa che cede, dentro, come una difesa che si rompe.
E in quell’attimo infinitesimale, il muezzin comincia il suo canto.
E allora sai di essere ricambiata.
Delicatezze e contraddizioni.
Entrare in un Hammam è un’esperienza. Ti accoglie un muro di occhi maschili. Increduli. Se fosse entrato che ne so, Maradona palleggiando di testa, fosse entrato Leonida con tutti i trecento Spartani urlanti, se fosse entrato Darth Fener e avesse strangolato uno a distanza sarebbero stati meno sorpresi. Poi, completamente nudi, si sono messi a chiacchierare amabilmente con me. Ad un tratto se ne vanno tutti. Ale ‘. Ora si organizzano per uccidermi e vendermi gli organi. No, invece. Volevano lasciarmi libera di togliere il costume, se lo desideravo. Che già che ero entrata almeno facessi ‘sto bagno turco come Maometto comanda.
Randagione dall’orecchio pinzato dall’amministrazione comunale, che fingi miseria e implori cibo : non mi freghi, randagione. Sei grassissimo. Al massimo posso farti un grattino. Poi vado. Ciao randagione.
Mi segui?
Mi occupo di teatro.
Cosa attraversi di corsa. Che ti tirano sotto.
Giorno 5 : Topkapi.
Il Museo Topkapi è famoso per il tesoro dei Sultani, per il diamante Spoonmaker, grande come una mela, dalla storia leggendaria e incredibile e per il pugnale Topkapi. Quel pugnale ti ipnotizza.
Tre smeraldi grandi come noci. Verdi di un verde stregato, che emana bagliori fluorescenti, guizzanti nella penombra della sala.
Quel pugnale racconta tutta la storia mai studiata o dimenticata. Ti racconta cos’è la grandezza di un impero….
Vedi della roba così e ti torna voglia di studiare.
Mi hai fregato, randagione mediamente magro.
8 lire di panino annusato e schifato. Il tuo collega randagione più grasso mi ha riso in faccia.
La vostra amica con gli occhioni bluissimi, la starlette di Beyoglu, non mi ha neanche cagato un attimo.
O siete dei fighetti di merda o il cibo che vendono ai turisti è altamente tossico. Nel dubbio butto via tutto senza assaggiare. Un gatto, che si capisce che è un gatto perché fa miao sennò lo diresti una crosta la moccola, afferra il panino e ha quell’attimo di black – out tipicamente felino.
Poi molla il tutto con fare da ” non crederai stessi facendo sul serio ” e se ne va.
Sapete che c’è, randagi?
Si che lo sapete.
Che siete così stray – chic voi randagi di Istanbul che lo sapete sicuro.
Uno dei mille posti da sperimentare su questo pianeta, secondo una lista redatta dal NY Times, è l’hammam dove sono stata oggi. Antico di 300 anni. Di fianco all’antica stazione dell’Orient Express. Dove i viaggiatori in arrivo o in partenza si fermavano per lavarsi. Entri in questa cattedrale settecentesca sotterranea, piena di marmi e statue, ti sdrai su un tavolo di pietra riscaldato e guardi in su, verso la cupola con decine di buchi rotondi da cui filtra la luce del giorno. E questi raggi si mescolano ai vapori dell’hammam creando fasci di fumo luminoso. E respirando l’aria umida, ascoltando il rumore dell’acqua che sgorga e si mischia a quello dei piccoli tonfi dei secchielli di allumino, immersa in questa luce fiabesca immagini di essere indietro nel tempo, di essere arrivata con il treno da chissà dove, e sotto la pelle senti quanta meraviglia deve aver mosso questo posto negli occhi dei viaggiatori di questi tre secoli. E anche se hai la schiena caldina ti vengono i brividi.
Questo posto è anche in una lista molto più breve e meno prestigiosa: la lista dei miei posti più magici. I 10 posti dove ho sentito più forte che la vita è una continua scoperta.
Il vile attacco di oggi è stato davanti agli smeraldi. Stavo per morire di nostalgia di quegli occhi.
Giorno 6: Museo dell’Innocenza
C’è un museo piccolo e immenso in questa città contraddittoria. È il Museo dell’Innocenza. Un museo inventato, che raccoglie cose che non esistono.
Ma queste cose, frutto della fantasia di uno scrittore, raccontano una storia bellissima. Diventano emozioni vere. Tangibili. Diventano sospiri, sorrisi. Lacrime di commozione. Kamal ama così tanto Fusun da raccogliere nel corso degli anni migliaia di piccoli oggetti a lei appartenuti, o semplicemente da lei sfiorati: forcine per capelli, cucchiaini, bottoni. 4213 mozziconi di sigarette da lei fumate, tutti catalogati con data e luogo. Un museo in onore di un amore inventato, proibito e struggente.
Essere lì dentro significa baciare sulla bocca il tempo. …
( Grazie Adriana…)
Sono andata a pranzo in un postaccio con un canadese.
Mh. Mi ricorda qualcosa.
Ma questo non assomigliava ad Adam Levine.
Purtroppo.
Ultimo atto :
un cay nella vecchia stazione dell’Orient Express.
Lì il tempo te lo senti sulle spalle. Ti senti addosso il fascino infinito di questa città di frontiera tra oriente e occidente, tra terra e mare, tra luce e buio.
Immaginare cosa potesse significare arrivare qui per un viaggiatore europeo dei primi del novecento, a me ha dato i brividi.
Ecco, forse è questo il segreto di questa città.
Istanbul ti fa suo perché è sensuale. Smuove i sensi come i peli sulle braccia.
Si prende i tuoi occhi, la pelle, le orecchie.
E tu non puoi fare altro che subire il suo incanto.
Adesso basta poesia. Lasciatemi bestemmiare che la mia valigia è rimasta a Roma porcadiquellaputtanachesovraintenteitransfertsemelaperdetecondentroledoctormartenseiregalidinatalevisgozzotuttiinshalla’.
E alla fine
Alla fine si torna. Più ricchi di vita, un po’ più poveri di soldi, ma quelli vanno e vengono (a me sempre più vanno che vengono. E va bene così, che il nostro tempo è breve).
Si torna e si riflette su come sia strano lasciarsi attraversare dalle esperienze.
Strano che in 6 giorni si possa capire, assaggiare, ragionare, dolersi, andarsi in fondo così tanto. …
Come è facile, Alla fine.
Basta dire “Vado”. “Lo faccio”.
E andare. Farlo. Punto. E’ molto più semplice farlo che pensarlo.
Le cose che mi mancheranno di più saranno il bere un cay prendendo le piccole zollette dalle zuccheriere sporche.
Attraversare la strada accazzodicane perchè non puoi fare altro e rischiare la vita tutte le volte.
Accarezzare un randagio sorridente.
Arrampicarmi in salita all’andata e in salita anche al ritorno e accettare che è una magia che fanno le strade di Istanbul.
Aspettare il tramonto come la telefonata dell’uomo che ami.
Sentire quella dolcezza struggente che ogni tanto affiora senza un perchè vero.
Respirare.
Ascoltare.
Mi hanno pure ritrovato la valigia.
Lo sapevo che Istanbul ricambia il mio amore.
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