Asia

Le perle del Mar Morto

Mare Morto è stato battezzato e non per suggestione o esagerazione, in questo mare non c’è assolutamente nulla: né pesci, né alghe, né molluschi, solo sale e rocce, candide formazioni saline che affiorano dall’acqua come spettrali coralli. Anche l’aria è diversa, è greve e pesante con odori di zolfo e di petrolio.

Eppure il Mar Morto è un luogo affascinante non solo per la sua unicità ma perché intorno a tanta desolazione sorgono alcuni importanti siti archeologici e i resti della città più antica del mondo.
Narra una leggenda che durante l’assedio di Gerusalemme, nel 70 d.C. alcuni schiavi furono condannati a morte e, messi in catene, vennero gettati da un’altura del monte Moab nel mare sottostante. Ma i prigionieri non annegarono e, ogni volta che venivano ributtati in acqua, tornavano a galla. Il fatto destò tanta impressione sui romani, che i condannati vennero graziati. Il biblico “mare di sale” giace a circa 400 metri sotto il livello del mare in fondo a una fossa tettonica che inizia nell’ Asia Minore e, attraversando il Mar Rosso, arriva fino in Kenya.

Questo enorme lago – perché di lago in realtà si tratta, dal momento che riceve a nord il Giordano, ma a sud non ha uscite – contiene una percentuale di componenti solidi che non ha riscontro in nessun altro bacino d’acqua: ben il 25 per cento, soprattutto di cloruro di potassio, una cifra enorme se si pensa che gli oceani ne contengono mediamente dal 4 al 6%.

Il sole implacabile che arde estate e inverno, in un cielo immobile e abbagliante, crea una evaporazione fortissima, circa otto milioni di metri cubi d’acqua ogni giorno. Questo fenomeno causa una sorprendente densità delle acque, dieci volte in più delle acque comuni. Da qui, il suo caratteristico sapore amaro e la consistenza oleosa. Nelle acque del Mar Morto ci si può bagnare solo con precauzione perché, nonostante il facile galleggiamento dovuto alla forte densità del liquido, la notevole salinità può irritare le parti più sensibili del corpo e soprattutto il volto. Già gli antichi parlavano di gas velenosi che si sprigionavano dal mare e degli uccelli che non potevano raggiungere la riva opposta perché cadevano morti nelle acque. Malgrado ciò un bagno nelle acque di questo mare è un’esperienza davvero divertente: è l’unico posto dove potrete leggere un libro mentre galleggiate senza affondare “seduti sulle acque”, o passeggiare sulle rive raccogliendo enormi cristalli di sale. Molti turisti scelgono di soggiornare in uno degli hotel sulle rive del Mar Morto anche per usufruire delle virtù terapeutiche per la pelle e le vie respiratorie.
La tradizione colloca qui, all’ estremità meridionale del Mar Morto, la leggenda di Sodoma e Gomorra, annientate dal diluvio di fuoco con cui Dio le maledisse. “Abramo guardò Sodoma, Gomorra e tutta la terra di quella regione, e vide le faville che ne salivano come il fumo di una fornace”: oggi gli scienziati ritengono che quell’ incendio si riferisse alla presenza di gas tellurici e petrolio nel sottosuolo.

All’estremo nord della sponda israeliana del Mar Morto si trova Gerico, considerata la più antica città del mondo, resa celebre dall’impresa degli ebrei in cammino verso la Terra Promessa, circondata dall’oasi che spicca con il suo verde abbagliante nella desertica e arida pianura che si stende intorno. L’Oasi di Gerico era ambita per le sue ricchezze: la sorgente di acqua dolce, le palme da datteri e, soprattutto, la resina degli alberi. Il balsamo di Galaad era ricco di proprietà medicinali, utile per curare
il mal di testa e le cataratte, ed era uno dei prodotti più esportati della Giudea.
Due chilometri a nord di Gerico, a Kirbet Mafjar, si trova il capriccioso “castello nel deserto” del califfo omayyade Hisham lb’n Abed el Malik, la cui residenza principale era a Damasco. Fu costruito fra il 724 e il 743 d.C.: vent’anni per dare vita ad uno straordinario complesso di appartamenti, bagni, piscine, colonnati, cortili etc. Le terme contengono il celebre mosaico detto “l’albero della vita”, forse il più bello ritrovato nella regione, dove l’incanto della natura e di un Eden primitivo si confonde con la realtà.
La suggestione che si prova arrivando a Khirbet Qumran, non lontano dalla rovine di Gerico, non è tanto dovuta al paesaggio o ai resti archeologici ma alla consapevolezza di trovarsi nel luogo dove sono stati rinvenuti i famosi Manoscritti del Mar Morto.

Quella che fu definita ”la più grande scoperta di manoscritti dei tempi moderni” avvenne per puro caso ad opera non di un archeologo ma di un giovane pastore che un giorno stava cercando una capra che si era smarrita. Pensando che l’animale si fosse nascosto in uno dei tanti anfratti che si aprivano nella roccia, il ragazzo gettò un sasso in una apertura e udì un suono di cocci spezzati: impaurito, scappò via, ma il giorno dopo tornò sul luogo con un suo amico e, insieme, penetrarono nella grotta. Qui il pastore trovò numerose anfore di terracotta che racchiudevano rotoli di pelle avvolti in fasce di lino. Nella speranza di poter guadagnare qualcosa dalla loro vendita, i rotoli furono portati al mercato di Betlemme, dove passarono nelle mani di vari mercanti, ma nessuno al momento fu capace di riconoscere il loro grande valore. Alla fine giunsero nelle mani di un archeologo dell’Università Ebraica di Gerusalemme che si rese conto non solo della loro autenticità ma soprattutto del fatto che si trattava di manoscritti risalenti al periodo del Secondo Tempio, cioè anteriori di almeno mille anni ai più antichi manoscritti ebraici fino allora conosciuti. I tre rotoli, redatti in antico ebraico, greco e aramaico, risultarono infatti essere il Libro di Isaia, il Rotolo del Ringraziamento e il Rotolo della Guerra dei Figli della Luce contro i Figli dell’Oscurità. Altri quattro rotoli contenevano il commentario di Abacuc, il Manuale della Disciplina, l’Apocrifo della Genesi e un secondo Libro di Isaia.
Scendendo verso sud, lungo la strada che costeggia il Mar Morto, vale la pena di fare una sosta ad Ein Gedi: un’oasi lussureggiante dove si trovano ben quattro sorgenti una delle quali si getta da un’altezza di quasi 200 metri in una piscina naturale dove è possibile fare un bagno ristoratore.

Ancora qualche decina di chilometri verso sud per giungere ad uno dei luoghi simbolo della regione. Masada: un nome che non è solo una straordinaria avventura archeologica. Masada è un simbolo, una di quelle memorie collettive che hanno permesso al popolo ebraico di mantenere una propria identità nazionale al di là delle mille frontiere in cui era disperso. Masada è un valore incancellabile nella storia e nella cultura di un popolo, è una riaffermazione quotidiana di libertà e di dignità. La rocca di Masada si erge, in un paesaggio di grandiosa desolazione, raccolta sulla cima di un massiccio sperone di roccia a strapiombo sul Mar Morto, a quattrocento metri sopra la sua riva occidentale. Ancora oggi, come ai tempi antichi, l’ascesa è possibile a piedi in due punti o comodamente con la moderna funivia che la collega alla pianura.

La storia di Masada è segnata da quel grande e infaticabile costruttore che fu Erode, il quale – per sfuggire a un doppio pericolo, quello dei giudei nel caso fossero insorti per restaurare la dinastia precedente, ma soprattutto quello rappresentato da Cleopatra che incitava senza sosta Antonio a togliere di mezzo Erode per avere il regno di Giudea – decise di fortificare Masada, costruendovi non uno bensì due palazzi e una serie di edifici che avrebbero reso la cittadella praticamente inespugnabile.
“Egli infatti – racconta una cronaca dell’anno 37 dello storico Flavio Giuseppe – innalzò tutt’intorno alla cima un muro costruito in pietra bianca lungo sette stadi, dell’altezza di dodici cubiti e dello spessore di otto, da cui sporgevano 37 torri alte ciascuna 50 cubiti … “. Quando gli Zeloti si asserragliarono a Masada per la loro ultima resistenza, occuparono questi ambienti, dove in seguito vennero alla luce numerosi oggetti di uso quotidiano: contenitori per unguenti, scatole di trucco, pezzi di stoffa etc.
La probabilità di rimanere per lungo tempo a Masada aveva fatto prendere a Erode ogni precauzione possibile, come quella ad esempio di immagazzinare ogni genere di necessità: “C’era poi da restare ancora più meravigliati per l’eccellente qualità e la buona conservazione delle provviste che vi erano state immagazzinate; infatti vi si trovava ammassata una forte quantità di grano, bastante per lungo tempo, v’era gran copia di vino e d’olio e inoltre ogni sorta di legumi e mucchi di datteri … ”. Questi magazzini sono stati facilmente identificati, a causa della loro forma lunga, stretta e senza aperture. Sono stati trovati numerosi recipienti, ognuno con la sua forma particolare a seconda di ciò che vi era contenuto: vino, olio, farina etc.
I due palazzi reali di Masada erano stati costruiti con tutte le comodità e con tutto il lusso possibile: uno sorgeva ad ovest ed era il palazzo ufficiale di Erode, dove si svolgevano le cerimonie; l’altro, il cosiddetto Palazzo
Pensile, si trovava a nord, era costruito su tre livelli scavati nella roccia ed era il più spettacolare. La terrazza superiore era in pratica un prolungamento della sommità della montagna: è il luogo più elevato di Masada, da dove l’occhio abbraccia un panorama di grande bellezza e suggestione. L’ultimo capitolo della storia di Masada, il più celebre e anche il più drammatico, è legato all’ assedio della legione Romana alla fortezza, ancora oggi chi giunge a Masada rimane colpito dal bianco accecante della rampa costruita dai romani per l’attacco. Quando gli Zeloti assediati nella fortezza si resero conto che la sconfitta era ormai inevitabile, temendo le ritorsioni dei romani e paventando più di ogni altra cosa un destino di schiavitù per i loro familiari, scelsero la via del suicidio collettivo piuttosto che farsi prendere vivi dai nemici. Eleazar Ben Yair, il capo degli Zeloti, usò toni drammatici per convincere i suoi all’estremo sacrificio: “Muoiano le nostre mogli senza conoscere il disonore e i nostri figli senza provare la schiavitù e dopo la loro fine scambiamoci un generoso servizio preservando la libertà per farne la nostra veste sepolcrale. Ma prima distruggiamo col fuoco e i nostri averi e la fortezza… risparmiamo solo i viveri, che dopo la nostra morte resteranno a testimoniare che non per fame siamo caduti, ma per aver preferito la morte alla schiavitù, fedeli alla scelta che abbiamo fatto fin dal principio… Affrettiamoci a lasciar loro lo stupore per la nostra fine e l’ammirazione per il nostro coraggio”.
E fu infatti stupore e ammirazione ciò che i romani dovettero provare quando, il giorno seguente, in un silenzio di morte, entrarono nella fortezza. All’interno di Masada giacevano, senza vita, i 960 corpi degli Zeloti. Era il giorno dopo la Pasqua dell’anno 73 d.C.: l’assedio era durato tre anni.

In attesa e con la speranza che un giorno questo luogo martoriato possa essere la Terra in cui due popoli con uguali diritti vivono in pace, oggi visitare Israele e Palestina comporta alcuni accorgimenti nell’organizzazione del viaggio e la consapevolezza di dover affrontare i controlli, a volta esasperanti, delle forze di sicurezza israeliane. Tra i racconti di viaggio in Terra Santa, pubblicati fra i “Quaderni di viaggio” vale la pena di consultare “Dodici giorni in Israele” di Paola Ceccacci e “Promised Land” di Fabio Iuliano

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Pubblicato da
Marco
Tags: Israele

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