8 agosto, sabato.
Prime cose che mi hanno colpito dell’Irlanda.
La prima canzone che ho sentito appena all’aeroporto di Dublino , subito dopo essere stata sbarcata dall’aereo Ryan Air proveniente da Ciampino come una valigia anch’io, è stata “Lucky man” dei Verve, per esempio. E Bart, anche, che poi è colui che ci ha condotto (me, Leo Cernitori il mio prof-fidanzato, e due sconosciute ragazze italiane di Cecina, successivamente da noi ribattezzate “Punto girls”) al parcheggio “Dan Dooley”, sulla strada di Santry, per prendere le nostre macchine a noleggio.
Lì, ovviamente, io e Leo Cernitori ci siamo trovati a salire in macchina dalla parte sbagliata. Tutti e due. Avremmo dovuto avere una Ford Fiesta, ma ci hanno dato una Mazda molto più spaziosa, mentre le “Punto girls” hanno avuto appunto la loro “Punto”.
Le indicazioni per il North Star Hotel (l’unico albergo irlandese in cui abbiamo prenotato, perché da domani andremo un po’ dove capita), sito vicino alla O’Connelly Station (nientedimeno!), non erano proprio il massimo. Così abbiamo dovuto chiedere delucidazioni a viandanti occasionali. Beccati 2 forestieri abbastanza drunk, 2 vecchiette e 1 vecchietto che parlava in maniera davvero incomprensibile (poi avremmo scoperto che non era un caso isolato: tutta l’Irlanda, salvo le cameriere e qualche oste, parla così), 1 tizio fiero di aver perso anche se stesso e 1 nero che proprio non aveva idea di dove fosse la stazione (!). Ma poi ce l’abbiamo fatta e il portiere-hello? del North Star Hotel, un tipo che per chiamare i clienti stranieri dice sempre “hello?” come per dire “mi senti? mi capisci? ehi?”, ci ha fatto la grazia di darci una camera. Così siamo andati alla 109 e Leo, mio prof in Irlanda ma fondamentalmente l’uomo della mia vita, è sceso anche a prendere una Smithwicks e l’acqua minerale gassata. Mentre io mi crogiolavo sul letto e mi facevo una doccia.
Dopodiché, guardando un concerto ossessionante alla tv e poi solo sentendolo e poi neanche, ci siamo distratti un attimo ed io mi sono anche un po’ addormentata.
In verità avrei dovuto studiare, perché io in questa storia on the road sarei il navigatore, e in aereo ero troppo presa a guardare il tramonto itinerante che ci ha accompagnato dalla Toscana a Parigi alla costa irlandese, e il mio prof molto carino. Lui, invece, faceva una doccia anche se non sapeva il perché. Così diceva, almeno.
Prima di dormire definitivamente ci siamo forse angosciati a vicenda con storie un po’ così e futuri magari lontani e approssimativi, ma alla fine ho detto che “in qualche modo faremo” e ci siamo abbracciati, e basta.
9 agosto, domenica.
Al ché ci siamo alzati col suono della sveglia-cellulare di Leo Cernitori e con me che ancora tentavo di imparare qualcosa su Bantry. Dove ora siamo diretti.
Stamattina abbiamo anche fatto una tipica colazione britannica con eggs and bacon (senza bacon, per me) e burro salato irlandese e muesli (uguale a quello che mangiavo a casa mia a Napoli qualche anno fa) e succo d’arancia e tè molto forte (per me) e caffè nero (per il mio fidanzato toscano).
Mi sono accorta di aver dimenticato a Napoli lo spazzolino, il ché mi è sembrato al momento un vero danno. Per fortuna c’era la dolce cameriera-darling sulla sessantina che mi faceva tornare il buonumore e Leo Cernitori che mi prestava il suo (per tutta la vacanza!).
Ora sono in macchina e vedo bellissime finestre di casette irlandesi (anche se hanno a disposizione ettari a iosa, questi qui, si accontentano delle costruzioni Lego). Penso che prima o poi tirerò un sasso e frantumerò qualche vetro tanto gliele invidio, casette e finestre.
Vedo intorno solo balle di fieno modello Girella Motta (ma per bambini giganti) e mucche e cavalli pezzati e capelli rossi di almeno un passeggero in ogni macchina che ci affianca, vedo la torba che Leo cerca come un disperato perché non sa cos’è, vedo corvi in mezzo alla superstrada.
Scattiamo una foto ad un castello tipo pubblicità patatine Highlander e a me con questa mazda criminale. Fa caldo e stiamo seguendo per Cork.
Nelle città sembra ci siano solo corvi e distributori di carburante. A Mitchelstown vendono la Murphy’s, che è una stout di Cork.
Canzoni più ascoltate in Irlanda e condizioni climatiche.
The Corrs, “cosa posso far per renderti felice, perché tu mi ami”; Spice Girls, “Viva Forever”. Ma ora ascoltiamo Puff Daddy & Jimmy Page su Radio One.
Penso che Leo Cernitori sia proprio l’uomo della mia vita, perché ha i sandali e i pantaloni con le tasche e la t-shirt verde militare. Io ho una gonna lunga di jeans molto folk e la solita canotta nera, niente di che. E’ estate, ma il caldo è piacevole e non fastidioso, come da noi.
Ore 16 del luogo e della Mazda.
Al momento siamo diretti a Glandore, dove potremo ammirare le Rabbit Islands (o anche AdamandEveIslands).
Abbiamo pranzato allo Sharp a Kinsale , vegetarian salad io (che poi sono anche Manuela Duini, sempre da “Arcodamore”), e supreme chicken Leo Cernitori, appunto, infine grandma’s apple pie in due. Bevuta abbastanza Startenbrau.
La gente di Kinsale si accascia in giardini dai fiori fucsia; in pratica giardini all’italiana pieni di mocio vileda rosa carico che dicono “dai, vieni con noi nel grande centro”. Di questo luogo mi hanno colpito parecchio anche le generose forme delle cameriere e gli sguardi striscianti dei commensali. Sì.
Penso che la zona sia molto turistica (stranieri, ma anche irlandesi benestanti in villeggiatura). Intanto, verso Old Head of Kinsale, Leo tenta di fotografare donne che praticano uno sport tipico di queste parti in un campo grande come quello da calcio. Ma c’è l’intervallo e una specie di invasione di campo. Avevano belle mazze tipo hockey e reti dove si lanciava la palla, comunque.
Ora cerchiamo il fantasma della ragazza il cui innamorato fu ucciso accidentalmente dal padre (a St. Charles). Ma siamo sul mare! Tante macchine e paesaggio verde e nero e case Lego. Ci fermiamo e ci facciamo scattare una foto con il mare. Verso Klonakilty faccio anche una foto-caimano a Leo e una foto ad un’abbazia abbandonata.
Sulle minicolline ai lati della strada ci sono tante piccolissime pecore a coriandoli.
Mi chiedo.
Mi chiedo: come fanno questi irlandesi a tenere delle case così ordinate senza mai farsi sorprendere a riordinarle? Le puliscono troppo? O per niente?
A casa mia ogni giorno si fanno mille faccende e la casa è sempre un caos in confronto a queste qui. Hanno tendine assolutamente perfette e finestre così disinvoltamente brillanti. E pare che non ci sia mai nessuno dentro. Eppure gli irlandesi hanno parecchi figli, perché qui aborto e divorzio sono decisamente out.
(Intanto Leo fa benzina in un self service e sono le 17 ca. Un pieno per 13 pounds. Mancano 65 km a Bantry).
Later.
Mi sveglio, c’è luce come se fossero le 19 di una sera d’estate in Italia, qui a Bantry . Sento una voce che parla al telefono in italiano di sotto, per strada, e sono un po’ spiazzata. La nostra camera al Vickery’s costa 22$ a testa, ma è carina, con le tendine e il bricco elettrico per fare il tè. Siamo in piena Bantry.
Questa è una città più fredda rispetto a Kinsale, dove abbiamo pranzato, ma credo che ciò dipenda dal fatto che ora non c’è il sole. Kinsale mi sembrava anche più vivacemente colorata e concentrata e turistica. Qui gli avventori del B&B sono tutti Irish o Deutch al massimo. Tranne l’allucinazione di prima, va be’.
L’uomo della mia vita dorme profondamente alla mia sinistra. Oggi ha guidato per 300 km ca., ma l’ultimo tratto era una stradina di campagna e basta. Sento musica che proviene da qualche pub.
Ho imparato subito due cose dell’Irlanda: qui i pub non hanno quasi mai la scritta “pub” e le autostrade sono identiche alle nostre superstrade o alla Salerno-Reggio Calabria al massimo.
Comunque sono le 22 e certo qui è ancora giorno.
Ma in realtà erano le 9 p.m. irlandesi (e nel nostro albergo-B&B c’è una reale comitiva di italiani). Così abbiamo avuto il tempo di andare in giro più o meno sulla stessa strada del Vickery’s e abbiamo assaggiato un po’ d’Irlanda sul serio.
Siamo stati in un pub veramente silenzioso, con gruppetti indigeni, misti di persone di tutte le età che chiacchieravano moderate, senza musica e senza niente. Bevuta una Murphy’s che sa di caffè shakerato. E’ arrivata anche un’italiana che cercava di ordinare crema di whiskey, ma qui non è facile capirsi. Comunque alla fine c’è riuscita.
Più tardi siamo capitati in un posto dove si spacciava per live music una vera e propria musica da balera romagnola. Si pagava un pound all’ingresso per persona, meno di una qualunque mostra o di un qualsiasi libro di storia, eppure la batteria e fisarmonica del duo di mezza età che si esibiva e i pugni di borotalco che l’inserviente gettava ogni tanto sulla pista e le gonne fiorate e plisset e le rughe delle donne irlandesi e le barbe da capitan Findus e le basette dei loro uomini, dicevano molto di più sulla durezza del luogo. Questa affonda le proprie radici nella storia celtica e soprattutto in quella più recente dell’Irlanda stessa.
Dunque siamo scivolati fuori e poi in un pub con musica very traditional, pop-folk-country-celtica diciamo, con una specie di Nick Nolte al mandolino e un Meat Loaf che somigliava molto ad uno scrittore omosessuale che va sempre da Maurizio Costanzo a suonare una chitarra con capotasto, e poi Banco al tamburello gigante irlandese e un vero cocainomane quattrocchi alle percussioni. Un gruppo di ubriachi del posto ci ha trascinato in un ballo quadrigliato a circuito chiuso e in discorsi calcistici su Italia’90, di quando si è battuta l’Irlanda con gol di Schillaci. Classici discorsi che vengono fatti per attaccare bottone con gli italiani all’estero, insomma. Bevuto Smithwicks e Guinness.
Poiché alle 11 e 20 tutti i pub chiudono e c’è persino un conto alla rovescia, da qualche parte, siamo dovuti tornare in albergo, dove abbiamo folleggiato sulla natura delle Fucsie (i fiori rosa carico da me considerati vere e proprie divinità di questi luoghi) e sul perché non si può dormire con i piedi sul cuscino, con le dita al posto dei capelli, che tanto nel mio caso specifico farebbe lo stesso. Poi ho detto “va bè” e ci siamo addormentati.
10 agosto, lunedì.
E svegliati alle 8 e 1/2 di un lunedì mattina di Bantry, grigio tipo Pasqua da noi. E’ fresco, ma tutti sono a maniche corte. Capisco che gli irlandesi si vestono in base a criteri fissi, e poiché siamo nel mite sud-ovest ed è estate, non sentono ragioni né freddo e si mettono a maniche corte in ogni caso.
Decidiamo di fare colazione perché Leo ha fame. 1 Irish breakfast con mais e latte e succo d’arancia e sausages e scrambled eggs con geranio strapazzato (credo dalle Fucsie in persona) e caffè nero, per lui; 1 continental breakfast con fantastico muesli e mais e latte e orange juice e yogurth alle fragole e fruit salad con pompelmi e albicocche secche e chedder cheese e soda bread (tipico formaggio irlandese dal sapore abbastanza neutro da piacere a tutti e pane integrale buonissimo e compatto) e solito tè molto forte di colore aranciato, per me.
Il Vickery’s è un vero saloon con camere al primo piano, il che fornisce le basi per l’elaborazione di una mia teoria sull’origine irlandese dell’America dei film western. Scatto una foto a Leo Cernitori qui, e poi fotografo la torba e la palude che diventa la baia di Bantry quando c’è la bassa marea.
Partiamo in direzione Glengarrif-Adrigole.
Ad Adrigole mi lascio scattare una foto con le care Fucsie. Più tardi, in un paesaggio solitario da Highlander, facciamo foto alle pecore colorate e a noi due su rocce a picco di vallate disabitate.
Il viaggiatore è tale se, durante il suo viaggio, non pensa mai al ritorno, se no è turista e non lo sa. Così noi due siamo gitanti irlandesi di Pasquetta.
Scattiamo foto ad un lago fatato e ad un distributore di stout che vedrei bene in camera mia. Ma la birra che ci è piaciuta di più, finora, è sicuramente la Smithwicks.
Attraversiamo paesaggi dal verde lussureggiante tra le montagne ed ogni tanto scorgiamo villette dai paradisiaci giardini all’italiana con ortensie e laghetti con narcisi. Si viaggia bene da queste parti, il traffico non esiste, anche se Leo ogni tanto si confonde, tipo ieri che ha imboccato una strada in pieno centro di Bantry in controsenso e un ragazzo in una macchina che ci veniva incontro si è sbudellato dalle risate. Ecco una baia alla nostra sinistra!
Sentiamo che il Nord ci chiama e decidiamo di fare molti chilometri velocemente qui nel turistico sudovest. Ci fermiamo a Sneem a bere una birra (che poi è il nostro pranzo, visto che le colazioni sono più che abbondanti), vergognosa città che nel 1987 ha vinto il Tidy Town Award, e si vede.
Spaccherei tutto tanto li invidio questi irlandesi di Sneem: che ne sanno loro della Sanità e di Secondigliano e dei Quartieri Spagnoli? Come faccio a spiegare agli irlandesi dove vivo? So che Leo Cernitori, anche se vive in una Sneem italiana come Lucca, può capire il mio sconcerto. Intanto gli scatto una foto con tanto di motociclisti tatuatissimi e cinquantenni alle spalle.
La città è coloratissima, a partire dal green post office (sono verdi in tutta l’Irlanda) che vende più che altro souvenirs, per finire alle gonne bouganville delle signore nella piazza ovviamente georgiana. Leo si fa confermare da un commerciante la sua teoria secondo cui le pecore irlandesi hanno chiazze colorate sul dorso perché ogni padrone ha il suo colore ed esse pascolano liberamente. Però le pelli di pecora che vedo esposte nei negozi di souvenirs sono tutte bianche e costano 24 pounds irlandesi.
Per ora nessuna traccia di Irlanda umida e piovosa, perché il cielo è quasi terso e il sole splende come a Torregaveta o Viareggio. Io sempre in canottiera e Leo sempre in sandali da uomo della mia vita.
Nei pressi dello Staigue Stone Fort e di Castlecove, foto alle mucche abbioccate. Da queste parti c’è CaherDaniel dove nacque il mitico Daniel O’Connel, padre della Repubblica d’Irlanda.
Sosta al forte di 2500 anni fa, dove un fiorentino ci scatta una bella foto, e al ruscello di Adamo ed Eva lì accanto, dove Leo Cernitori mi fa alcune foto e mi dice che a volte si sente felice come un bambino. Ma anch’io.
Dopo la CaherDaniel Bay ci fermiamo a chiacchierare con americani di Florida che ci fanno gentilmente una foto . Anche loro ci confermano che è difficile comprendere la parlata irlandese. Leo, che tra l’altro a sentir loro discorre in un inglese molto buono, ne è confortato. E poi facciamo altre foto a isole varie e paesaggi incredibilmente verdi e marini allo stesso tempo.
” Ring of Kerry ‘s madness”
C’è un boa nella canoa
Speriamo che subito moa
C’è un ragno nello stagno
Di sicuro poi me lo magno
C’è un’anguilla a Parknasilla
E sì poco senno verso Pahilla.
Desideri.
Già a questo punto del viaggio siamo convinti che non sarebbe male mettere su un B&B, che so, nel Donegal. Qui avremmo un giardino curato, pieno di fiori e Fucsie, se è possibile che crescano anche nel nord, e mucche oziose e pecore con tatuaggi all’hennè per distinguerle, e torba per l’energia. Qui cucineremmo pizza per gli ospiti e, d’inverno, ci diletteremmo giocando a scopone a perdere con gli O’Brian e gli O’Sullivan e gli A’Soreta (battuta di Leo Cernitori).
Ci fermiamo poi a Killorglin dove c’è in corso la fiera che si tiene intorno al secondo finesettimana di agosto, in genere. E’ una fiera del bestiame che rafforza la mia teoria che i cowboys derivano dagli irlandesi (musica folk e saloon, i primi due indizi). Però c’è anche molto di quelle feste paesane che potrebbero tenersi in Italia, a Mugnano di Napoli, per esempio. Quelle feste patronali in cui si vendono inutilità di ogni genere e cioè cassette e magliette e braccialetti e schifose camicette e attrezzi sbucciapatate con tanto di dimostrazione pratica al microfono. Facciamo molte foto agli e cogli animali e a dei curiosi inglesi (ma provenienti da una zona vicina al Galles) che hanno la faccia dipinta di nero in onore del Re Caprone e per dimenticare chi sono. Avrò certo la faccia terrorizzata io, invece, perché, mentre Leo mi fotografa, loro mi stritolano quasi. E sono poi loro a volersi fare una foto con me: quasi fossi io la strana. (Allora penso che dobbiamo essere ben particolari noi due abbronzati e mediterranei in questo mondo dai capelli rossi, e specialmente qui a Killorglin dove sono affluiti irlandesi da ogni luogo, ma di turisti ce ne sono davvero pochi).
Ci sono familiarissime macchine tozzi-tozzi, vale a dire “autoscontro”, per chi non è di Napoli, e diavolerie di ogni genere e, d’altra parte, niente posti in B&B se non per almeno tre gg. Così spariamo al volo da Killorglin. Prossima tappa a Tralee.
Notte, qui a Tralee .
Dovrei raccontare la serata, ma l’affare è troppo complesso per parlarne ora, ora che ho bevuto 4 birre e un Irish Coffee e ho sonno. Buonanotte.
11 agosto, martedì.
Dunque, adesso è mattina e posso parlare.
Tra lì (in gaelico) è una cittadina molto trasgressiva in confronto a quelle che abbiamo visitato sinora. Noi siamo in Bridge Street e alloggiamo al secondo e ultimo piano del solito miniedificio colorato che caratterizza tutti i villaggetti e le cittadine irlandesi. Più precisamente siamo nella guest house del pub qui sotto.
La stanza è minuscola e dà sulla cucina, ma ha il parquet e un bel letto con trapunta a quadri e quattro cuscini in tinta. Peccato che Leo Cernitori, prima di cena, mi porti in discorsi un po’ tetri e che odio, e che avrei evitato volentieri.
Ma poi andiamo a cena da Kirby’s in Rock Street, al ristorante che si trova al secondo piano, e sto già meglio. Qui Leo mangia salmone, Manuela Duini (che sarei io), invece, stir fried mixed vegetables, che le piacciono molto. Il tutto è accompagnato da ottima birra e terminato con Irish Coffee e Bushmills.
Scendiamo poi al piano inferiore dove una band fa il soundcheck (ora che ci penso è durato almeno mezz’ora). La band è capitanata dalla pantegana bionda tipo-Klinsmann, cantante con voce bella e hard rock e chitarra Takamine mezza spalla colore nero. Al basso rosso Fender, un robusto ragazzotto irlandese che potrebbe essere anche americano; pure lui canta, “e con voce migliore persino della pantegana”, sottolinea uncle Cernitori. Alla batteria, un muratore di Limerick, e, alla tastiera, un Ravanelli/David Gilmour con pancia-stomaco typically Irish e di cui va estremamente fiero. Il chitarrista anonimo, in Stratocaster rossa, con occhiali, condisce il tutto con grande groove.
Come gli strumenti musicali, rosso è il giovane Nerd-cameriere, vagamente somigliante a Smigs dell’Attimo Fuggente, il quale, fin troppo umile e timido e zelante, chiede anche se può portar via i bicchieri vuoti. Ciò mi riporta con la mente allo Sharp di Kinsale, dove le cameriere frettolose ci strappavano via i piatti ancora mezzi pieni, senza problemi. Sarà questo il motivo per cui è bene schivare i posti troppo turistici.
In ogni modo, qui a Tra lì, ascoltiamo buona musica pop-rock, del tipo “You’re the one I love” di Cheryl Crow, “I’m coming back to you” di Brian Adams, e l’immancabile “One” degli U2, tutti pezzi veramente ben eseguiti. I pub locali peraltro, stranamente, tirano tardi: la band ha iniziato a suonare alle 11, nientedimeno.
Noi però a mezzanotte ce ne andiamo a letto, ed è la prima volta che lo facciamo camminando per strade non ancora deserte e sentendo in lontananza la musica dei pub che sono ancora pieni.
Notte con un po’ di incubi.
Stamattina invece ci siamo svegliati con l’odore del breakfast che aveva invaso la minicamera, vista la già accennata vicinanza della nostra Irish window con la kitchen’s window. La colazione è stata il solito muesli and eggs and toasted bread per me e, in più, bacon e altre schifezze varie per questo tipo qui, juventino, che spara a zero sui gusti degli altri e crede che i suoi siano assoluti (nella specie: ha insultato il mio muesli). E invece, nella soffitta dove abbiamo consumato il breakfast, ho notato che c’era un’altra vegetariana come me, e si vedeva, perché era abbastanza snella e qui non è facile incontrare persone magre. Il suo fidanzato era ciccione, ma non le dava fastidio come il mio, evidentemente non tifava Juve.
Ora siamo a Tarbert e facciamo una foto alla Jailhouse (antico carcere). Dopo aver percorso da Tralee a qui paesaggi anche campagnolamente monotoni, ci rifacciamo gli occhi con il mare muschiato della baia. Tra 15-20 minuti ci imbarcheremo attraversando the Mouth of the Shannon . Intanto Leo trova il tempo di fare un po’ di beneficenza comprando da un ragazzo un biglietto di una lotteria (draw) locale, che magari vincerà pure, ma non saprà mai di aver vinto, dato che l’estrazione ci sarà tipo a ottobre o giù di lì.
Mentre aspettiamo il traghetto, scattiamo foto. Leo mi ritrae anche mentre scrivo. Altre foto invece le facciamo sull’imbarcazione e poi a Kilkee, con un bel paesaggio marino. Sulla strada ci fermiamo a far benzina, la benzinaia avrà al massimo dieci anni, ma qui è normale così. Altra foto la scattiamo sul ponte fiorito che troviamo sulla strada per Milltown Malbay.
Siamo ormai nella contea giallo blu del Clare, con mare stupendo e larghe pianure. Deve aver vinto qualcosa il Clare, perché domenica, mentre ci allontanavamo da Dublino, vedemmo sfrecciare molte macchine con una bandiera dagli stessi colori della contea, e, d’altra parte, molte case, qui, ne hanno esposte in giardino e alle finestre. Ascoltiamo ancora “One” degli U2, su Radio Clare.
Noto che la sostanziale omogeneità delle dimensioni e dello sfarzo delle case irlandesi dimostra che vi sono modeste differenze economico-sociali tra la popolazione. Magari qualcuna ha finestre più belle, tutto qui. Inoltre, più ci si inoltra in paesini sperduti, più la gente è socievole e cordiale, e ti saluta anche fuori dal cimitero.
Oramai sto capendo che ci stiamo più o meno consciamente dirigendo verso una divinità superiore, che, secondo i miei calcoli forse sbagliati forse no, dovrebbe essere la famigerata Strega del Nord. Infatti, abbiamo ormai abbandonato le care Fucsie e le pantegane e gli scopettoni di Tarbert (questi ultimi li abbiamo incontrati precisamente prima di attraversare la bocca dello Shannon).
Sulla strada, più che mai, non c’è una macchina. I trattori, in compenso, si buttano. E che dire delle tendine a filet? E dei camini anche tre per ogni casetta? E le immancabili mucche addormentate? Già non c’erano dubbi, ma all’altezza della deviazione per lo Spanish Point notiamo due segnali inequivocabili della Strega del Nord: una casa ex-bellissima e rosa, purtroppo abbandonata, e uno stormo di corvi che lascia la strada dirigendosi verso nord.
A Lahinch, classica meta della villeggiatura locale, con una marea di seconde case belline e colorate e schierate, e oceano vero con onde
parartificiali, scorgiamo un rudere/biscotto Atene gigante piantato nel terreno scuro e probabilmente torbaceo.
Sulle scogliere di Moher.
“Io dico, ma poi, non è forse meglio gettarsi dalle scogliere di Moher, chè tanto non ti accorgi neanche di skiantarti, ché già sei morto di paura, che invece vivere questa vita con un masso in testa anche più pesante delle scogliere di Moher stesse e del Burren e del Connemara e dell’Irlanda tutta?
Ma sì, gettiamoci pure dalle nostre scogliere, anche se abbiamo a disposizione solo uno scoglio o un faraglione. Visto che non c’è tempo, non ce n’è.”
Alle scogliere di Moher , simbolo naturalistico dell’Irlanda , ci fermiamo alla O’Brien’s Tower, ottimo punto di vista, e tentiamo foto estreme rischiando di essere scaraventati giù dal vento mozzafiato. E verrebbe davvero voglia di buttarsi giù (quella di prima, tra le virgolette, era una metafora, però).
Chiediamo a due turisti di scattarci una foto insieme e, udite udite, ci ritroviamo faccia a faccia con la vegetariana della guest house ed il suo fidanzato grassoccio. Scopriamo che sono scandinavi; del resto l’avevo detto che lui non poteva essere juventino.
Dopodichè facciamo una breve sosta allo chalet dei souvenirs dove compriamo solo cartoline perché, in generale e senza offesa, i souvenirs ci fanno schifo.
Ripartiamo destinazione Doolin (Daolin, in gaelico). Questo avrebbe dovuto essere un villaggetto festoso e ricco di pub e B&B e mucche ed in effetti ci sono, ma in realtà è tutto qui. Il posto si riassume in quattro case e due pub su una strada. In compenso uno di questi due locali si chiama Gus O’Connor’s ( foto ) ed è veramente un vecchio pub very Irish pieno di personaggi caratteristici. Phil Collins ci serve una Smithwicks e i fratellini minori dei Coors mangiano e suonano violino e fisarmonica e tamburello.
Da qui ci si imbarca anche ventosamente per le Aran, ma noi desistiamo. Invece ci rimettiamo in viaggio un po’ alla cieca, cercando una destinazione ed in sostanza un posto dove passare la notte. Troviamo sui nostri passi, quasi un invito della Strega del Nord, la piccola Ballyvaughan, ennesima perla d’Irlanda.
Ballyvaughan .
La cittadina affaccia su una baia con torba occhieggiante a seconda della marea. Qui, per la prima volta, troviamo un B&B vero. Cioè: una villetta privata con una stanza per gli ospiti. Conosciamo Liana e Rachel, due bambine di casa, e un’altra bimba loro amica. E dormiamo in una camera fatata con vista tipo pubblicità della Stefanel e mobili stile Coin. L’armadio, segnatamente, è una bara per pipistrelli, il lampadario un vassoio giapponese che sicuramente nasconde le famose dolci pere, il comodino una matrioska.
Ceniamo in un bistrot dalle cameriere lunghe e dalla cameriera Gina con l’apparecchio. Mangiamo salmone affumicato e fillet of plaice e lasagne vegetariane (qui i vegetariani li chiamano “vegitarian”) e beviamo Harp. “Senza infamia e senza lode”, dice Leo Cernitori. Poi, non contento di aver bevuto un litro di birra come me, lui ordina anche un Irish Coffee. E poi dice che io sono Sue Ellen, vale a dire un’alcolizzata da serial televisivo!
Il bistrot però ha un segreto: basta aprire una porta e si accede al solito pub con musica tradizionale. Due tipi seduti su delle panche suonano violino e chitarra. Leo nota che eseguono una canzone che abbiamo già ascoltato a Bantry, e che lui per comodità chiama “whiskey and beer”, visto che questo è l’unico concetto chiaro del testo.
Poco dopo arriva anche un vero cabarettista Irish, stile Jethrotull, che spara a zero sui fabbri (blacksmithes) e non capiamo il perché. Deve essere divertente, ma gli irlandesi non sono i tipi che si sganasciano dalle risate.
Dunque abbiamo sonno e torniamo a casa e dormiamo abbracciati e fuori c’è vento e wet windstorm.
12 agosto, mercoledì.
Così mi sveglio nella luce accecante di Ballyvaughan perché le tendine sono praticamente trasparenti. Noto che nel mio letto c’è un tipo bellissimo che dorme e gli scatto una foto.
Alle 7 meno 10 il sole è già alto e Leo Cernitori (sì, era lui il tipo che dormiva) sta per morire. E’ andato in apnea. Ma io lo sveglio e gli salvo la vita. In questa vera casa tranquilla da film dell’orrore.
Dunque scendiamo a far colazione, e sono le 9 e qualcosa. Solito Irish breakfast, con tanto di presine apposite e coloratissime per teiera e caffettiera e ceramiche dipinte. Penso solo che, forse, tutte queste uova fritte potrebbero ucciderci, a lungo andare. Per non parlare del bacon e dei cotechini-bruciatelli tipici che somministrano a Leo Cernitori, ormai tutte le mattine.
Prima di ripartire salutiamo Liana and friend e il piccolo cagnolino Smilmurt, il quale peraltro si infila nella nostra macchina e non vuol saperne di lasciarci. Alla fine ce la facciamo a tirarlo fuori e, con i suoi peli da tutte le parti, riprendiamo il nostro viaggio dirigendoci verso il Connemara.
Quasi subito, però, troviamo sulla strada il Dun Guaire Castle , il castello di re Guaire, del quale si dice che fosse tanto generoso (generous) da avere un braccio più lungo dell’altro. Mentre ci aggiriamo per le stanze del forte ci pare di sentirlo aleggiare intorno e gridare “Forsza Aszù” a ignari fan di Alex Pinturicchio, nella specie Leo Cernitori, che stamattina non ha trovato niente di meglio nell’armadio-bara che la maglia numero 10 dell’Italia.
Il castello, in ogni modo, è pieno d’italiani e fuori notiamo anche due sprucide italiane che ci guardano storto perché, mentre stanno scattando una foto, noi due distratti passiamo davanti.
Dopodiché spariamo al volo per Galway-Barna-Spiddal-zona costiera, perché invece, in serata, ci fermeremo a dormire sui laghi della zona più interna. A Galway possiamo sconcertarci di fronte alle prime case popolari Irish che vediamo. Sono veramente povere-povere. Tuttavia anche le case più ricche presentano notevoli differenze con quelle viste nel meridione. Non ci sono più tante finestre Lego e fiori variopinti, unfortunately.
Dubbio: cosa ha a che fare Barna con Fiodor Barna di “Uccelli da gabbia e da voliera” del solito Andrea De Carlo?
Ci fermiamo a Spiddal al craft centre per comprare regali per i nostri amici Mario e Martina (dai protagonisti di “Due di due”, sempre di Andrea De Carlo), che andremo a trovare nella loro residenza estiva di Sarzana non appena saremo di nuovo in Italia. Scegliamo una maglietta celtica per Mario e pottery fatta a mano per Martina Quimandisset.
Ormai siamo nel Gaeltach, vale a dire che qui si parla il gaelico davvero. Per esempio: lo sapevate che “Geill Sli” significa “Yeld Right Of Way”? A Rossaveal scattiamo una foto ad un pub bianco e molto caratteristico.
In questo momento mi pare di essere in un paese arido o forse la Grecia, con appezzamenti di terreno delimitati da muretti di soli sassi accatastati e tipi in bicicletta in abito di lanetta e scuro e impermeabile con il caldo che fa. Alcuni cartelli sono solo in gaelico. La pace del luogo è turbata soltanto da inquieti gelati stradali, emissari freak, credo, della stessa Strega del Nord. Ogni tanto scorgiamo Ringo boys che escono allo scoperto per godersi questa splendida giornata di sole. Ai margini delle strade, vecchietti con i soliti abiti di lana producono ostriche nelle loro stesse tasche, e non lo sanno.
Riflessione. Ma, se pure è vero che questi tipi hanno un solo vestito e quello si mettono sempre, inverno e estate e estate e inverno, non potevano almeno togliersi il gilet? Quegli altri, poi, che avevano anche l’impermeabile?
Le coppie della zona sembrano più passionali e la gente più viva e vegeta che nel sud. Per la prima volta noto due ragazzi che si baciano. Lei è cicciottella e più alta di lui che invece ha i brufoli, ma sono tanto simpatici, io credo. Ci sono più auto in strada e viandanti che mai. I turisti non sono molti.
Intanto il paesaggio si fa torbiero anche se non torbato. E scopro che nel Connemara crescono delle specie di minifucsie.
Precisazione. Se pensate che la tanta birra bevuta in questi giorni mi abbia dato alla testa, vi sbagliate di grosso. Finora la birra Irish, anche se buonissima, mi ha fatto venire solo sonno. E comunque la distinzione “torbiero-torbato” è di Leo Cernitori.
Muretti di merletto decorano la carreggiata e rocce dipinte di muschio e violetta incorniciano il paesaggio. Mucche immobili messe lì forse da una mano gigante come su un presepe di qualche ettaro, sembrano fermate con Attack o spille da balia.
A Coral Bay abbiamo l’infinito piacere di rincontrare le due italiane che Leo non esita a definire “stitiche” per la grazia e la cordialità che sprigionano in ogni loro esternazione. Le incrociamo in macchina e sono ferme in un punto, imbranate che non sanno come fare manovra, e con un gesto di stizza ci invitano a toglierci dai piedi e ci rinnovano la loro simpatia. Mah!
Proprio sulla spiaggia di Coral Bay mi bagno, per la prima volta nella mia vita, nell’acqua dell’oceano. La spiaggia è piena di alghe kombu in porzioni da dinosauro. I coralli assassini che qui stanno al posto della sabbia attentano alle delicate membra toscane di Leo. Scattiamo varie foto e poi torniamo in macchina .
Later facciamo una foto anche al laghetto fatato che troviamo sul nostro cammino, mentre i cartelli stradali (foto) ci sembrano sempre più farina del sacco del caro Keith Haring. Scatto una foto ad Alex del Piero che si arrampica su un caratteristico tugurio dal tetto di paglia. Qui i tetti di paglia sono molto comuni.
Mentre scrivevo, mi perdevo la scena di un gruppo di simpatiche canaglie che, ferme ai lati della strada, mostravano il sedere. Cerchiamo i gelati che ormai, da quando siamo in Irlanda, sono diventati il nostro pranzo consuetudinario. Ma i gelati stradali sono scomparsi e noi troviamo solo un’Antica Torberia del Corso. Ora siamo veramente soli e sperduti tra le rocce erbose.
A Loch Con Aortha notiamo un laghetto very lochness. Ma ecco che scorgiamo di nuovo le italiane stitiche, le abbiamo alle calcagna.
Viaggiare in Irlanda.
In genere sono le coppie sposate o fidanzate a scegliere le vacanze Irish. E’ facile infatti incontrare tipi come noi che viaggiano in macchina o in moto, oppure, più sacrificatamente, in bici (soprattutto veneti, francesi e spagnoli) o addirittura a piedi. In alternativa si può scegliere di venire in gruppo, magari in camper, con amici ed amiche, o con la famiglia.
Gruppi solo maschili, invece, è proprio difficile trovarne da queste parti. Più sovente, e patologicamente per altro, è possibile rinvenire amiche, quasi sempre fortemente brutte, che a due a due si aggirano per le contee più sperdute. Perché?!
Una notazione è d’obbligo anche per i ciclisti. Secondo Leo Cernitori questi farebbero un turismo asociale oltre che masochistico. Non ha torto, infatti è molto comune vedere tipi in bicicletta che pedalano molto più avanti o più indietro dei loro compagni di viaggio, anche perché, ovviamente, non tutti hanno la stessa forza nelle gambe. E gli uomini, parliamoci chiaro, in genere non aspettano le loro amiche o fidanzate che segnano il passo. Prova ne è che una sola volta ci è capitato di avvistare una coppia in cui la donna era più avanti.
Mentre Leo Cernitori parla al telefono con un certo Luchino che vuole il numero del suo amico Stefano, attraversiamo una strada devastata dai “loose chippings”. Quando poi finalmente ci fermiamo a comprare due gelatini, le milanesi stitiche ci raggiungono di nuovo. Al margine della strada, invece, c’è Lucio battisti che fa l’autostop. Leo Cernitori non ci può credere: “ecco dov’era!”
Ormai sono le 16 meno 20 e siamo stanchi, quindi siamo costretti a tagliare la strada costiera imboccando quella interna. Scorgiamo e risaliamo il fiume Torba, dal quale occhieggia una barchetta rossa. Credo che il rosso sia il colore preferito dagli irlandesi, soprattutto per i veicoli e gli strumenti musicali.
Osservo attentamente la prima busta della spazzatura Irish delle nostre vacanze. Se ci sono due cose che in questo paese sono veramente rare sono i cestini dei rifiuti e la polizia. Quest’ultima, che si chiama “Garda”, e già questo la dice lunga sul timore che può incutere, l’abbiamo vista mezza volta in una macchina verde e bianca da cartone del latte della centrale. Comunque non sono ancora riuscita a gettar via le carte dei gelati da quattro giorni, e poi dicono “i napoletani…”. No, i cestini qua non ci sono proprio.
Siamo nella contea di Galway, ma non c’è traccia di Radio Galway, siamo presumibilmente ai confini della realtà .
(FINE DELLA PRIMA PARTE).
Connemara visions.
Gli abitanti del Connemara, i Connemari, di giorno vivono piantati nel terreno da cui spunta solo la testa-sasso. Di notte, tali bizzarre creature, si ergono nel loro corpo torbaceo e si stringono intorno a very Irish parties, dove ballano e cantano e suonano pifferi e tamburi e violini e arpe celtiche, e prosciugano apparentemente inutili laghetti d’acqua, che in realtà invece è birra, trasformata dalla solita Strega.
SECONDA PARTE.
Per la prima volta da quando siamo in Irlanda sta piovendo. In vista ci sono solo laghetti e erba e montagne che si possono vedere anche in Lucania. 200 metri più avanti pure la pioggia scompare, e l’erba verde scuro, illuminata dal sole, diventa verde chiaro.
Restano i tanti laghi-sorpresa. Forse che, in Irlanda, negli ovetti Kinder, una sorpresa su cinque è proprio un lago?
Penso che sia bene fermarsi a Cong, stanotte. E’ una cittadina prossima al lago e ci sono alcune cose interessanti da visitare.
Intanto noto che sulle sparute cabine telefoniche Irish compare la scritta “telefòn”. D’altra parte, le nuvole disegnano griglie d’ombra e pioggia sul territorio. Ora troviamo anche molti abeti raccolti e festosi come colf il giovedì pomeriggio. Un fiore molto diffuso da queste parti è l’abat-jour rossa di campo e di giardino.
Pensiero di Leo Cernitori quando avvista due ciclisti presumibilmente italiani in questo paesaggio ruvido e romito e piovoso: “Ma perché una vacanza per avere il sapore dell’avventura deve per forza somigliare a qualcosa di veramente triste?”
I turisti-ciclisti fanno il loro Connemara tour con O’Pantani in testa. Mentre le pecore, qui, hanno la faccia nera come gli inglesi di Killorglin. Sono caproni, quindi, ma io preferisco chiamarle “pecore nere d’Irlanda”. C’è un cartello che pubblicizza il “Flying Pig Festival” tenutosi qualche giorno fa.
Ci fermiamo a scattare foto sul lago (lough) Corrib e qui posso assistere ad un segno di distensione tra tifosi: un francese mi fotografa con Leo Cernitori/Alex Del Piero. Il numero 10 italiano, per ringraziare, urlando dice al francese e a suo figlio che Zidane è un grande.
Riprendendo la strada scorgiamo nuovi fiori, specie di fiordaliso, credo. Nuova foto ad un paesaggio molto patchwork.
Noi due siamo ormai alla frutta. Sto anche per scriverlo, che non ce la faccio più, quand’ecco provvidenziale un cartello che ci avverte che stiamo entrando nella contea di Mayo e quindi siamo a Cong, il primo avamposto e la nostra meta.
Cong .
Come ho detto, la cittadina si trova nella contea di Mayo e questo mi fa pensare subito a Richard Gere che si chiamava così in “Ufficiale e gentiluomo” e quindi mi riporta anche a Leo Cernitori, visto che lui dice che io sono “sua… nipote?!”, come Julia Roberts. (Perdonatemi vi prego e ricordate che sono nella terra di Mrs. Bloom e di James Joyce!).
Cong è una cittadina di turisti-pescatori francesi o al massimo spagnoli, nemmeno troppo sul lago, in verità. Ha di bello un’abbazia molto gotica e con tanti croci celtiche di cimitero. Sarebbe il luogo ideale per girare un video di Death Metal. Intorno all’abbazia, ai suoi resti, c’è un parco incantato con un fiume fatato che vi scorre dolcemente nel mezzo. Lì si può ammirare la FishHouse degli antichi monaci, alquanto intrigante per la storia delle trapdoors e non solo. Infatti, pare che i monaci fossero soliti catturare i pesci e avvertire con un filo collegato ad una campana della cucina che v’era fish available.
Scattiamo foto qui e lì e nel mentre ci imbattiamo in due personaggi veramente hippies. Un tizio grassoccio e con barba e capelli lunghi che pesca placidamente, ed una bella ragazza Irish che spazzola i suoi lunghi capelli e legge un libro poggiato sul suo abito a fiori e sulle sue gambe. Il loro cane tenta di mordere Leo Cernitori o forse gli fa solo le feste.
A Cong ci sono molti B&B isolati, ma noi optiamo per uno in centro, anche per evitare di prendere ancora una volta la macchina per andare a cena o in qualche pub, questa sera. Si chiama White House e ci fa accomodare una giovane donna che finalmente parla un inglese comprensibile anche a me. Pare aperta e disponibile come tutti gli irlandesi, anche di più. Il B&B è di media grandezza, è sempre una casa, ma avrà almeno quattro camere per gli ospiti.
Sera.
Alla White House addormento Leo Cernitori, il mio amore, e intanto faccio il bucato. Immagino che lui sia molto stanco, non so quanti chilometri abbiamo percorso oggi, ma le stradine erano davvero minime e le indicazioni molto spesso scarse.
A cena non c’è molta scelta, i ristoranti sono quasi tutti filofrancesi. Andiamo all'”Echoes Restaurant”. Qui, come starter, io prendo del formaggio irlandese fritto con una salsa che sa di marmellata di fragole, mentre Richard Gere mangia del salmone. Questo è un vero ristorante, così prendiamo anche Rosemarin Lamb (lui) e mixed Vegetables in a soft pastry with a lot of onions, too much onions (io). Il tutto annaffiato da un giovane (’96) Merlot cileno, che decisamente non fa venire sonno come la birra. Siamo un po’ su quando usciamo.
Andiamo a fare un giro a piedi per cercare l’Ashfort Castle , così come consigliatoci dalla nostra ospite del B&B. E quando lo troviamo possiamo dire che l’Ashfort Castle è sicuramente il posto più bello dell’Irlanda e l’albergo più bello che abbiamo mai visto, che, a confronto, il Maschio Angioino è un cottage. Ci sono vere torri da Bram Stocker’s Dracula e medioevo e effetto-gotico e celti e chi più ne ha più ne metta, in questa straordinaria Gill (bellezza) irlandese. Grandi fiammiferi elettrici illuminano il parco a cui, tra l’altro, si accede solo a piedi, per chi non è tra i fortunati avventori dell’albergo. Le torri d’avvistamento, le finestre da cui si scorgono brani di favola, il lago addormentato su cui affaccia il castello, ci fanno sul serio girare la testa. Vorremmo quasi assaltarlo, questo incredibile maniero, ma un cartello alla porta dice “residences only” e i nostri sogni si infrangono lì.
E non potendo andare alla Moytura house, vicina casa di The Edge degli U2, a berci, che so, un Irish Coffee o un Tullamore Dew, andiamo ad annegare la nostra tristezza universale in qualche pub e in qualche birra. Smithwicks e malinconia.
Ma ecco che al secondo pub rincontriamo i due hippies di oggi pomeriggio e ora stanno lì seduti e suonano violino e chitarra e cantano “You’re my sunshine” e sorridono se Leo Cernitori scatta loro una foto. E’ così che penso che la felicità è nella libertà di accontentarsi delle piccole cose. Ora sì, anche allegrotti, possiamo andare a dormire.
13 agosto, giovedì.
Facciamo colazione, al solito, con l’unica particolarità delle scrumbled eggs, e ripartiamo per Ballina, verso il nord e verso il paese di Yeats. Forse andremo anche nell’Ulster inglese, mò vediamo.
Siamo sempre nella contea di Mayo e le case sono sempre colorate, anche se più slavate rispetto al sudovest. Oggi è il primo vero giorno di pioggia da quando siamo in Irlanda.
Ormai sto diventando un navigatore serio ed autonomo. Ho pensato che possiamo fare la strada costiera fino a Sligo, la città d’acqua. E poi potremmo prendere la strada per i laghi e Manorhamilton, fino a Enniskillen in Gran Bretagna ormai, e capitale del Fermanagh, posta su un’isola del lago Erne.
Anche la mia competenza sui gelati si è affinata. Ho notato che qui vendono gli stessi gelati dell’Algida, con il simbolo del cuore rosso e giallo, con qualche variazione tipo il Magnum-cornetto alla stracciatella.
Ho già accennato al fatto che in Irlanda ci sono più trattori che automobili. Da queste parti è facile anche vedere ragazzotti che li guidano con tanto di walkman alle orecchie.
In questa zona è molto facile sbagliare strada, le indicazioni sono piuttosto rare. Per esempio, noi prima abbiamo sbagliato e siamo andati fino a Killala e siamo dovuti tornare indietro, per Ballina. Il paesaggio, peraltro, è campagna sempre verde ma anche piuttosto normale. Turisti, in compenso, zero. Ci sono invece “viae crucis” sui muri e bandiere della Francia accanto a quelle dell’Irlanda ai distributori (ma anche a Killorglin ne ho viste). Ecco Ballina!
In Irlanda le utilitarie sono rare e il nord è sicuramente più povero del sud. Forse perché è più lontano dall’Europa e dai traffici commerciali? Forse questo Nord d’Irlanda, proprio come il Sud dell’Italia, è molto svantaggiato proprio dalla effettiva posizione, piuttosto decentrata, e dalla mancanza di decenti vie di comunicazione. In tutta l’Irlanda, la rete ferroviaria, per esempio, è un vero disastro: finora non abbiamo visto nemmeno un passaggio a livello. A questa mancanza sopperisce una fitta rete stradale, ma ho notato che nel sud riuscivamo a percorrere le stesse distanze che facciamo da queste parti in molto meno tempo. Qui le strade sono davvero minime, quasi per non sottrarre verde al paesaggio. Probabilmente questo sarebbe un paradiso per i Verdi italiani e un inferno per Di Pietro, che non saprebbe da dove iniziare le sue varianti di valico.
Le città sono sempre tranquille e fantasmatiche. Però a Ballina c’è qualche macchina e un paio di anziani che passeggiano col solito completo di lana e cappello. Noi siamo a maniche corte, ma tutte le persone che vediamo oggi hanno abiti pesanti, prima ho visto gente col piumino, addirittura. Ho notato anche che in Irlanda sono pochissime le macchine utilitarie.
Qualcosa da dire anche sull’accento irlandese. Sto cominciando a capire che esso insiste molto sulle consonanti ed è molto teatrale, anche se di teatri sinora ne ho visto solo uno.
Ora, sempre a Ballina, noto anche un discreto traffico, diciamo una rush hour lucchese. In verità, case e finestre e facce a parte, il posto somiglia proprio a Lucca.
Stiamo entrando nella terra delle streghe; cani-pianta e B&B su cimiteri gotici. Case con muri di edera. Il traffico è sparito. Spettrali uomini-statua nei giardini tetri. E mare in lontananza. Tetti viola. Il tempo non è clemente. Case a forma di scones. Infatti ho letto che già da queste parti si prende l’high tea delle 6, come nell’Ulster.
Contea di Sligo . A Easky, altro paese per turisti-pescatori, tra fiume e mare, tutto appare alquanto abbandonato. Qui forse sono scappati tutti per via della Strega del Nord. Scenario da fine del mondo, ora che svoltiamo una stradina per la coastroad. Adatto ad un film di Wim Wenders, credo. Fotografo gli unici esseri viventi del posto: fiori e mucche. Ore 1 e 58, non incrociamo una macchina da un quarto d’ora.
Un anziano signore ed un ragazzo rosso ci salutano, quando passiamo loro davanti. C’è un enorme fungo di cemento piantato nel terreno. Anche le chiese sono abbandonate. Imbuchiamo cartoline a Dromore West, chissà se arriveranno mai.
Piove abbastanza, adesso. Ci sono molte chiese, a pensarci bene. Ma è un tratto decisamente poco turistico.
In Irlanda ci sono parecchi distributori Texaco e Shell e Esso, sempre per la storia che ci si sposta molto in macchina, visto che i treni sono latitanti. Finora non avevamo visto McDonald’s, ma un cartello ci avverte che a Sligo vi sono. Un segnale della Strega? In realtà tutto dipende dal fatto che siamo stati sempre in minuscole cittadine o addirittura villaggi, abbiamo evitato di fermarci a Cork o Galway e non abbiamo praticamente visto nulla di Dublino; è la prima volta che ci dirigiamo verso una città piuttosto grande. Sicuramente, però, sono segnali, le tigri enormi che scorgiamo adagiate sui distributori di benzina. Vi sono anche agenzie dell’Ulster Bank, un castelletto, e un cartello con su scritto, a caratteri cubitali, “shame”, perché sono veramente tanti gli ubriaconi al volante, qui in giro. So… “never drink & drive”. C’è poi un castello stile Praga, che però è un’abbazia. Vediamo anche una macchina della mitica Garda. Vuota e parcheggiata, si intende (!).
Sligo, comunque, è una città animata. Diciamo una mini-Milano di Irlanda. Facce inglesi. Piove, ma nessuno ha l’ombrello. Altre abbazie. Leo Cernitori mi fa notare che anche qui gli irlandesi sono imbranati alla guida. Io gli rispondo che invece da queste parti la gente compra dei mobili nuovi, perché per la prima volta vedo un camion di un mobilificio.
Appena usciamo dal centro di Sligo, tuttavia, siamo di nuovo in pieno paesaggio Irish con tanto di mucche pezzate e verde e mare all’orizzonte. Abbiamo ormai percorso più di mille chilometri e sono stati tutti più o meno così. Ascoltiamo musica celtica, alla radio.
Pensiamo di andare a Glencar lago, passare la frontiera e poi dormire a Sligo, per un giro dei pub storici.
Sul lago nebbioso scattiamo foto a noi e alle cascate. Ma siamo stanchi, tutti e due. Sotto le cascate a Glencar piove acqua e umidità da tutte le parti. E’ un paesaggio spettrale, anche perché, oltre a noi, ci sono solo alcuni rafter bembini e un americano perplesso che non sa che via prendere tra i vialetti che portano alle cascate dalle wandering water. Lasciamo perdere dunque i nostri piani e andiamo alla ricerca di un B&B in Sligo.
Lo troviamo in una posizione ottimale, anche vicino al centro. Ernesto Calindri, il proprietario della casa, non ci offre un Cynar, ma ci avverte che Sligo si pronuncia Slaigo e ci accompagna in camera. Che dire? Solita casa curatissima da serial killer. Qui riposiamo un po’ e poi andiamo alla ricerca di un ristorante.
N.B. A Sligo, come un po’ in tutta l’Irlanda, ma qui particolarmente, i ristoranti sono molto ma molto meno dei pub. Alcuni alle 8 stanno già chiudendo. Altri, molto carini peraltro, hanno tutti i tavoli riservati.
Sligo è una città di italiani e si vede anche dai ristoranti che vorrebbero richiamare appunto l’Italian style. Ma noi non andremmo mai in un locale italiano, crediamo che non abbia senso farsi del male così.
Alla fine, però, dopo lunghe peripezie, quasi disperati e rassegnati all’idea di non mangiare, accetteremmo qualsiasi cosa. E tuttavia, per puro caso, ci imbattiamo in quello che è probabilmente uno dei migliori locali di Sligo.
The Ark Bar & Restaurant.
Una vera arca di Noè in legno, piena di irlandesi dalle facce ormai inglesi, di milanesi e vomeresi. Aspettiamo mezz’ora prima che il tavolo che riusciamo a riservare si liberi, intanto ammazziamo il tempo con Harp e Guinness extra cold e Smithwicks. Scopriamo che la corretta pronuncia di quest’ultima birra è “Smithicks”, con la w che salta per aria. Dunque ceniamo con il miglior salmone marinato-elaborato finora mangiato (da Leo Cernitori, ovviamente) e funghi per così dire fritti, ma buoni e indescrivibili (for me, obviously). Immancabili cotolette d’agnello con funghettini champignons di chissà dove e rice boiled with mixed vegetables e curry very very hot. Beviamo sempre Smithwicks. E poi Irish coffee.
Dopodiché andiamo in giro per vivere il giovedì sera di Sligo, seguendo le onde della musica dal vivo. Ci imbattiamo subito in Grattan Street, dove una (a dir poco) sorprendente band di bambocci adolescenti suona con molta grinta la fantastica “Ava Adore” degli Smashing Pumpkins. I tipi dimostrano molto carisma sulle corde, forse ne manca un po’ in quanto a presenza scenica, ma sicuramente ciò è dovuto alla giovanissima età. Sorseggiamo soprattutto Bushmills, visto che non c’è traccia di Tullamore Dew. L’età media nel locale è discretamente bassa. I ragazzini bevono succo d’arancia e ci vanno giù duro con Brit pop anche incazzato (Blur, Rolling Stones, Supergrass, Radiohead). Bella musica davvero.
Dunque spariamo alla ricerca di un altro locale. Ci dirigiamo verzo il Beezie’s, un posto segnalato sulla nostra guida per una buona cena, ma che scopriamo che non la serve proprio, la cena. Qui, tuttavia, l’età dei musicisti e degli avventori si alza vertiginosamente, così come il livello musicale. Basso, chitarra e batteria, veramente fantastici. Suonano rock-pop di ottima fattura tipo Steve Miller’s Band e Police e “Sweet Home Alabama” (ricordate la mia teoria sull’America dei cowboys?). Stavolta beviamo Jameson.
Una tardona tipo Milva ci guarda con occhi interessati, e comunque, nel locale, noi due mediterranei, siamo sicuramente al centro di molti sguardi nordici. Eppure a mezzanotte scappiamo via e in ogni modo la serata si sta spegnendo di per sé. Noi due però non ci spegniamo. Leo Cernitori dice che io sono un po’ brilla. Va be’, ma neanche troppo.
14 agosto, venerdì.
Ci svegliamo alle nove e insieme decidiamo che oggi, prima di far ritorno a Dublino, andremo nell’ Ulster inglese. Scendiamo in fretta a far colazione con un odore nauseante, adesso, ma che è tipico di tutte le cucine Irish che abbiamo trovato sul nostro cammino. Ernesto Calindri, che tra l’altro ieri s’incontrò per le vie di Sligo che mangiava un gelato con la sua moglie compagna fidanzata amante (ed io quasi mi mettevo a piangere per quanto ne ero commossa), sempre perfetto, ci serve frutta e yogurt, perché io le uova proprio non le voglio vedere neanche in foto. Leo Cernitori, invece, gusta una specie di frittata o suola di patate. Al nostro tavolo ci sono anche le altre due ospiti del B&B. Si tratta di due tedesche di ottima compagnia, se non fosse per il fatto che conversano ad infrasuoni, quelle rare volte che conversano. Hanno a stento fattezze umane.
Notiamo che alcune facce da college alle pareti ci guardano malinconiche e ostili. E a me viene il dubbio che le minisalsicce nei piatti siano proprio delle dita fritte di ex avventori. E la moglie? Dov’è la moglie? Perché non compare? Che ne ha fatto Calindri della donna con la quale solo ieri mangiava il gelato? Intanto i mostri teutonici ci guardano bislunghi.
Dopo aver avuto questa bella esperienza nauseante di primo mattino (soprattutto Leo Cernitori, ne è molto provato), ripartiamo direzione Dublino, ma prendendo la N6, in direzione Irlanda del Nord, così come progettato ieri. Forse il mio tè era drogato, ma un po’ tutto L’Irish tea mi fa girare la testa, vale almeno tre Bushmills. It rains again. E anche molto. E il paesaggio è verde ma nemmeno troppo Irish. Si vede che andiamo verso la Great Britain. Capisco Stanley Kubrick e “Arancia Meccanica”: anch’io scasserei tutt’ cos’ in queste case perfette dai cristalli di Tipperary e le potteries da breakfast.
Verso la frontiera, la musica di Today FM è davvero battagliera e la senti dentro. Siamo quasi a Belcoo. Laghi alla destra e Border Diner a ovest e mura di cinta con filo spinato. Ma non c’è traccia di alcuna frontiera. Perché ormai i cartelli stradali e le targhe sono cambiati e non si è visto nessuno. Il paesaggio è molto più britannico, i colori Irish sono spariti. Ci sono molte case dai mattoni rossi, invece. La benzina costa di più. Molti, i tetti violetti. Non si possono bere gli alcolici in giro.
Enniskillen .
La città è posta su un’isola del lago Erne ed è la capitale del Fermanagh. Ci appare subito molto tranquilla. Le facce sono praticamente inglesi e le ragazze si vestono in maniera più trendy. Però ci sono anche qui i gelati stradali.
Il posto appare abbastanza commerciale, tenendo presente il fatto che non siamo in un paese propriamente “turistico”, ma è carino. Gli edifici pubblici, comunque, sono iperprotetti.
Qui visitiamo la chiesa cattolica, dove si sta per celebrare un matrimonio con tanto di signore color pastello con cappellini e cappelloni improbabili (Leo Cernitori intrappola la sposa in una splendida foto). Per non fare torto a nessuno visitiamo anche la prospiciente cattedrale protestante. Qui conosciamo Mr.Weir, con il quale ci intratteniamo a parlare sulle religioni in Irlanda e sugli accenti e quant’altro. Leo ci scatta anche una foto, con il consenso di Mrs.Weir, che però sbeffeggia il marito a proposito delle sue mani in tasca. Per assecondare la passione di Leo Cernitori per i castelli, andiamo anche a vedere il Maguire Castle, dove constatiamo che il cambio con la sterlina inglese è molto infelice.
A Enniskillen ci sono bellissime pasticcerie inglesi e public toilets e supermercati price crash. Purtroppo però è ora di tornare a Dublino. Mentre ci avviamo alla macchina notiamo un cartello che avverte che ci sono multe fino a 500 pounds per chi beve in strada. Sì, è decisamente il momento di tornare in Irlanda.
Verso Dublin.
Ormai siamo quasi indifferenti al paesaggio solitamente verde e guarnito di mucche. Il signor Cassidy, al negozio all’angolo della strada, vende non so cosa. Stiamo per ripassare il confine. Ci sono i soliti loose cheepings, ma della Strega del Nord, nessuna traccia.
Qui c’è un vero e proprio check point con telecamere, ma è solo un ex-posto di frontiera, è aperto e non si vede nessuno. E’ vero che a Pasqua si è firmata la pace e che comunque nella UE le frontiere sono state smantellate, ma… chissà! Ora siamo a Ballyconnel e proseguiamo per Cavan-Dublin.
Mentre incrociamo una Uno con guida a destra, penso che in Irlanda tutti costruiscono o aggiustano strade. Dico a Leo Cernitori di stare attento, perché c’è uno black spot. Noto che un tizio con una Nova blu ha tre bambolotti appesi nell’abitacolo. Noto anche cartelli stradali molto crudi, con un bambino che corre e una macchina che sta per schiacciarlo.
Ad una specie di autogrill finalmente troviamo un cestino dove buttare tutte le carte dei gelati che avevo conservato in macchina da una settimana a questa parte. Mentre Leo Cernitori va a comprarsi qualcosa, io mi guardo intorno e mi domando se è la torba che fa nascere 1/4 (o anche di più) degli irlandesi con i capelli rossi. Acchiappa a questo! ce li ha lunghi e ha pure la barba color bottiglia di Fanta e cammina avanti e indietro come un pazzo serial killer! E acchiappa a quella! che ha persino una coda piumata di capelli arancioni frisée.
Siamo di nuovo sulla N3, questa specie di autostrada, che però finora si è fatta tutti i paesini e non è certo a scorrimento veloce. Il tempo sta cambiando. A Enniskillen avevo un maglione e un giubbotto, ora ho una canottiera per giunta ancora umida del bucato di qualche giorno fa. Ascoltiamo Alanis Morrisette alla radio e poi la pubblicità di un mago locale. Mancano 112 km alla città dell'”Ulisse”. Viaggiamo a 90 miles all’ora. Ma se deciderete di correre anche voi, attenti ai trattori dietro cunette e dossi.
Ennesimo lago con ennesime mucche, mentre sorpassiamo una 500 con guida a destra. Due Rolls Royce. Cock Robin alla radio. Irlanda classica e laghetti. Molta torba. Una ruspa ci vuol mangiare. Un faro è piantato nel terreno. Ma siamo ben lontani dal mare. Case colorate, a Ceanannus Mor (Kells). Capisco che la Strega del Nord ci aspetta a Dublino e noi stiamo per riattraversare l’Odissea di Leopold Bloom. Io sarei Molly.
Primo passaggio a livello Irish delle nostre vacanze. Ascoltiamo “With or without U” su Today FM (fa uno strano effetto sentirla con la cartina dell’Irlanda sulle gambe). Sciolti i miei dubbi sulla Strega, finalmente la strada comincia ad avere le parvenze di una vera motorway.
Dublin .
Così in una roundabout siamo quasi arrivati ed io capisco che dobbiamo assolutamente andare a Temple Bar. E’ lì il centro di tutto.
Case con verande a Dublino, molto carine e bifamiliari. Qui gli irlandesi certo sono meno selvaggi e più compassati, anche se sempre aperti e tranquilli. Siamo nella contea di Dublin. In Irlanda pure se piove, niente ombrelli. Casette con mattoni e portoncini bianchi e rossi. La città si movimenta, è venerdì. Ci sono busses Eireann. Sotto tutti gli alberghi c’è un uomo che legge un libro: è Mr.Bloom? O’Connel Street è il corso Buenos Aires di Dublin. Ci sono busses che fanno il citytour.
Un po’ Londra, ma meno rigorosa. Nei negozi è un po’ Londra. Molto traffico, un po’ Napoli. I dublinesi ti bussano, se al semaforo perdi tempo prima di ripartire, quando scatta il verde (insomma… se ti “intallei”). Texani con una Punto ci salutano. I motorini rischiano di tranciare i passanti. La Guinness in Irlanda è come la Fiat in Italia e la Camorra a Napoli. C’è the Solicitor Guinness, anche qui? I passanti attraversano a frotte anche se è rosso (totale anarchia). Un tipo effemminato ci taglia la strada, ma dove va? Ci sono palazzi-cottage; di palazzi veri l’Irlanda è davvero scarsa. Ci sono un sacco di bagni pubblici, in compenso. E macchine con su scritto motti del tipo “my tastes are simple: I like the best”. Parcheggi all’europea, ossia con l’entrata a sinistra.
Ultime note dal treno.
Dunque, dopo un travagliato tour del centro nel traffico congestionato che si può vedere anche in alcune grandi città italiane, individuiamo l’albergo che fa per noi. Si tratta di un hotel del tipo Holiday Inn, in posizione ottimale davanti alla cattedrale ed a pochi passi dalla nostra meta: Temple Bar.
Lasciata l’auto al IV piano del parcheggio e scesi al I piano e risaliti con l’ascensore, scopriamo che l’entrata per il Jury’s Inn è proprio al IV piano davanti alla nostra macchina.
L’albergo stavolta è stile Shining con molte porte uguali che così io mi posso perdere bene (ma mi sono persa anche in un bilocale). Chiediamo una doppia per una notte che ci viene concessa per 64 pounds. Ma non ce ne frega niente, andiamo subito a prendere le valige.
Camera 213, ambiente accogliente-standard, ottima vista, camera no-smoking ma il tipo fuma subito una sigaretta, Holy Bible sul comodino. Non perdiamo tempo e siamo subito in strada a cercare Temple Bar, seppur temendo inaspettati incontri con la Strega o chicchessia, seppur tentando disperatamente di fare lo shopping di cui decisamente non siamo capaci. Aria giustamente trasgressiva e guascona, da queste parti. Andiamo in un negozio che vende gadgets di ogni tipo e oggetti dal design molto alternativo e costoso. Vorremmo acquistare tantissime cose, ma poi non compriamo nulla. Volevamo un oggetto per la nostra futura casa…
Allorchè passiamo all’appuntamento obbligato con una pinta in Temple Bar Pub dove facciamo oscure foto indoor e foto outdoor. Il tipo beve Guinnes extracold ed io Smithwicks. Il pub alle 6 è già iperaffollato di panciuti irlandesi che berciano e procaci donzelle dai capelli rossi e bianche come mozzarella. Usciamo anche un po’ elettrizzati da questa Dublino da bere e viva, anche piuttosto lontana dai posti in cui siamo stati. I ragazzi del pub sembrano studenti-bene tra l’altro e per di più, ma trasgressivi e gaudenti già a quest’ora.
In giro per Temple Bar e poi a Grafton Street, notiamo che in Dublino ci sono molti ristoranti italiani indiani francesi, tutti quasi vuoti o vuoti, per fortuna. Qui la vita notturna si allunga e può darsi che stasera riusciremo a cenare, e persino ad un orario umano. In un bar il tipo prende il suo primo espresso in terra Irish e qui – udite, udite – ripeschiamo i soliti finlandesi della locanda di Tra Lì e delle scogliere di Moher.
<Chiarimento. Mentre io scrivo e Leo Cernitori detta è sera ed è il 15 agosto e siamo in un treno totalmente autogestito per non dire anarchico, e spero non autarchico, che abbiamo preso al volo a Roma e che forse ci riporta a Firenze>.
Sorpassiamo il Trinity College e noto che le ragazze qui sono anche più carine, magre e truccate, e non sono tutte in tuta da ginnastica come a Sligo (la città delle tute). Ci fermiamo in una piazza Meeting Square dove si allestisce un palco per un quartetto d’archi che si esibisce at 9 p.m. Piazza postmoderna.
Ascoltiamo anche un po’ i nuovi Boyzone da strada che cantano “Stand by me” degli Oasis e la bissano anche. Ci fermiamo poi al Temple Bar Music Centre giallo e moderno, dove allestiscono un palco rock per la serata nell’area-concerto. Il tipo scatta una foto ma io gli dico che non verrà, perché il flash non illumina spazi così estesi.
Rientriamo in albergo con molte idee per la serata, ma troviamo tracce di una presenza ostile che ha disfatto il divano-letto. La strega?
Riposiamo un po’, così, e verso le 9 riusciamo improvvisamente a uscire e ci sentiamo in ritardo. Look molto Dubliner. La città è già animata e le taverne pullulano di mangiatori di ogni specie e qualità. <Mentre lo stiamo scrivendo, pensiamo che l’Irlanda ci è piaciuta proprio tanto>. Vorremmo andare alla Gallagher’s Boxty House, che dovrebbe avere musica Irish e mobili antichi, ma non ci pare, e poi è iperaffollato (come tutti, del resto). Ci ritroviamo dunque al Gogarthy’s, fra l’altro già individuato e bevuto nel pomeriggio. Il primo piano è una bolgia infernale di pub con gente al 98% già ubriaca. Il secondo piano lo scopriamo adesso ed è un pub Irish sempre iperaffollato con musica very Irish e turisti ubriachi al 99%. Molti sono gli italiani gli americani gli spagnoli (domanda: ma i francesi sono solo a Cong?). Tiriamo dritti e affamati fino al terzo piano dove si serve menù tradizionale (domanda: ma il ristorante è vuoto o comunque non troppo affollato o pieno zipillo? Risposta: la seconda che hai detto). Contrattiamo con la maitre indiana per un posto fra una ventina di minuti. Nell’attesa ci intratteniamo al secondo piano bevendo nel caos. Puntuale la tipa ci assegna i nostri posti.
Alla sinistra abbiamo una mostruosa coppia di tosco-milanesi e alla destra ci allieta un vomitevole viscido maschilista schiavista ignorante siciliano che con modi da padrone ordina alla sua povera accompagnatrice presunta professoressa d’inglese delle medie di tradurre per lei. Alle nostre spalle, amena tavolata razzista di veneti leghisti e dall’altra parte, verso sud, americani-bambinoni multirazziali ubriachi e simpaticamente molesti agli ultrasuoni. Mangiamo: io, il solito formaggio fritto in salsa-gelatina di frutti di bosco; il lupo, invece, che perde il pelo ma non il vizio, divora una Gaelic Steak, cioè un manzino indifeso cotto. Smithwicks d’obbligo e soda bread (sul serio ottimo) e Irish Coffee. Andiamo in bagno, nel primo bagno pubblico dublinese, e c’è musica a tutto volume, “Lady Marmalade” nella versione delle All Saints, con porte di legno incise da ignari teenagers e studentesse-bene. In strada, poi, ci accorgiamo che è mezzanotte e Dublino è decisamente ubriaca. Basquers strimpellano con una folk “Where the streets have no name” e un tizio metallaro bruciato suona distorto dei reef abbominevoli grattati via da un amplificatore a 0,5 watt.
Si va a fare un’altra bevuta al Temple Bar Pub. Forse le persone che erano qui alle sei sono morte, comunque il posto è straboccante ed è difficile districarsi nella folla. Sconosciuti si conoscono e si presentano come Stew (Stufato?) e ragazzine ciambelline cantano canzoni all’unisono che praticamente solo noi2 non conosciamo. Beviamo whiskey Bushmills e ci trastulliamo nell’orgia totale. Nel bagno del Temple Bar le ragazze non chiudono le porte o ristagnano per terra nel loro stesso vomito.
Torniamo in giro ed il metallaro bruciato è sempre là. Fa freschetto ma tutti hanno tanto alcol dentro che le ragazze vanno in giro in shorts o miniabiti sottoveste. La serata dei pub si sta spegnendo per poi riaccendersi nei nightclubs, tipo le nostre discoteche. La gente è riversa per le strade e notiamo che sarebbe un ambiente ideale per i nostri amici trasher Mario e Martina e assolutamente disadatto per mia sorella ed il suo boyfriend che è astemio e si ubriaca con i babà al rhum. Trottoliamo ancora un po’ cercando di sgattaiolare in qualche nightclub, ma siamo respinti da uomini grossi alla porta che, anche giustamente, ci chiedono pounds. Finiamo in un pub sottotono con gente stanca ultratrentenne, che indomita continua a bere. Non desistiamo neanche noi e beviamo ancora Bushmills. Al ché siamo anche noi un po’ andanti e ce ne andiamo.
Per strada incontriamo una ragazza che sta per fare la fine di Jimi Hendriks pure lei, ma è sorretta da due amiche. E torniamo all’albergo Shining e ci facciamo anche un tè Irish che come al solito fa girare la testa.
15 agosto, sabato.
Ci svegliamo nell’atmosfera azzurra e assolata di Dublino, oggi. E’ sabato e, come promesso a Dan Dooley, dobbiamo restituire la macchina e ripartire. Fatte velocemente le valige e il check-out, ci immergiamo nel traffico pesante di Dublino. Le macchine non sono poi tante, adesso, ma si circola davvero a rilento (ed io sono napoletana e abituata a traffic jam da incubo). Cerchiamo il parcheggio dell’auto a noleggio e penso che è un peccato perché il tipo qui ormai aveva ben imparato a guidare a destra. Non è più Bart che ci riporta all’aeroporto, ma fa niente.
Il volo è stato ritardato. Facciamo il check-in e poi andiamo a mangiare su al FoodFair e scopriamo che un po’ l’Irlanda ci ha influenzato, ché al fast food prendiamo baked potatoes e salad con majonese e fresh fruit e scone e chicken e Harp. Ormai siamo con un piede fuori ma c’è un trompe l’oeil e ricorda la casa di Ballyvaughan.
Non sono triste perché le vacanze non sono ancora finite per noi, ma l’Irlanda e soprattutto gli irlandesi e tutti i personaggi che abbiamo incontrato su questa isola mi mancheranno. E poi la birra che scende giù come acqua minerale saporita. A proposito, ma la Strega del Nord?
Nell’aereo – udite un po’ – ci sono le Punto girls e siamo di nuovo al capolinea.
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