di Ena Villani –
Artista pittrice, convinta cittadina del (Sud) del mondo, ho imparato le lingue fuori della scuola e ogni tanto riprendo anche l’arabo: fu così che, attraverso il prof, irakeno, nacque la proposta di un viaggio in Mesopotamia, nel settembre ’97, partecipando a rappresentanza dell’Italia, al Festival internazionale multiculturale di Babilonia. Partenza da Napoli, con pulmino per Fiumicino il gruppetto, quasi tutto napoletano, fece presto ad affiatarsi:dopo essersi osservati a vicenda, nacquero i primi sorrisi, le battute. Eccoci al check-in, la puntata al Duty free per le sigarette e tutti al “gate 10” l’attesa per il volo 232 destinazione Amman (l’embargo non consente di atterrare a Baghdad, che si raggiunge, poi, via terra). Il solito bailamme (da ”bairam”, arabo, stesso senso) cosmopolita di facce e vestiti esotici, prime riprese video, alle 14 ci imbarchiamo e si decolla verso lo scalo tecnico di Beirut, (ci ero passata nel lontano ’73). Qui compro i dolci “lukum” e 2 cassette delle celeberrime cantanti arabe Umm Kalthum, Sabah e Fayrouz..Proseguimento per Amman, arrivo verso sera: bello il soffitto di questo moderno aeroporto! Aspettiamo un’eternità il pullman che ci porterà a Baghdad, un migliaio di km.di autostrada attraverso il locale, grigiolino, deserto.Con .gli euforici compagni di viaggio, debitamente muniti di “tammorre” e bonghetti (serviranno per lo spettacolo) improvvisiamo una chiassosa tarantella che attira anche i divertiti giordani presenti. E il pullman? Arriverà, ”In shà’Allah” = se Dio vuole, (intanto passano le ore…). Chi viaggia in questi paesi sa o impara che ci vuole pazienza, i tempi sono imprevedibili…
…Finalmente arriva – è ormai sera: trambusto del carico dei bagagli, io mi assicuro che sia stata sistemata anche la mia valigia, non proprio piccola – e prendo posto. (Avrò un’amara sorpresa!..). Lasciata Amman, una sosta per comprare qualcosa di commestibile in uno spaccio e cercare delle spartane toilettes, situate “indegnamente” vicino a una moschea, da cui si leva, nella notte silenziosa, il sempre emozionante richiamo del muezzin…. Crolliamo, distrutti, un’irriducibile amico sveglio ci riprenderà in video di nascosto, contorti nelle più arrangiate e scomode posizioni del sonno, all’alba. Col sorgere del sole e le incessanti canzoni arabe dell’autista nelle orecchie, apriamo gli occhi in vista della frontiera con l’Iraq. Finalmente possiamo sgranchirci, entriamo nel bel salone con tappeti e mobili orientali, il primo ritrattone di Saddam:le formalità saranno interminabili, devono controllare tutti gli apparecchi fotografici, anche in valigia – è così che scopro, incredula e disperata, che la mia è stata.. dimenticata ad Amman!! Tutto il meglio era lì, il caricabatteria della telecamera, i vestiti….tutto! Ho solo il bagaglio da viaggio, per 15gg! Il prof, strafottente, dice che da lì non si può telefonare all’aeroporto (falso) per sapere se è stata salvata, continuerà ad illudermi e a rimandare, ogni giorno, finchè perderò le speranze….Ripartiamo e poi sostiamo per mangiare in un ristorante piuttosto “estemporaneo” (alcune signore storcono il naso e digiunano, senza essere musulmane. E’ un classico, nei viaggi, come per le toilette..). Si avverte già la povertà di questo sfortunato Paese, mancano i tovaglioli, anche di carta. Dopo, per pagare, familiarizziamo con i bigliettoni da 250..”lire”irakeni, che si sprecano, a mazzette, li ribattezzo i “lenzuoli,”termine subito adottato all’unanimità dal gruppo:finalmente e per tutto il viaggio possiamo sentirci Paperon dei Paperoni e “spararci le pose”da milionari di…niente! Continuando verso Baghdad rimugino tristemente sulla valigia,”non ci pensare più”, dicono…come andrà a finire?E’ quello che saprete alla fine. Arriviamo verso sera, stanchi e accaldati:il governo irakeno ci ospita in Hotel, (forse)il Palestine-Meridien, imponente e lussuoso,5 stelle.. oppure, di fronte , allo “Ishtar”(ex Sheraton)??Non si sa, dobbiamo aspettare lungamente e non abbiamo acqua da bere!Intanto ci distrae un gioioso corteo di nozze, musica, tamburi, ma non posso neanche filmarlo, con la batteria già scarica.. Finalmente, perlomeno, si va a cenare al secondo albergo, la grande hall è piena di uomini in camicioni lunghi e testa coperta dalla“kefìah”, bianca o a quadretti. Ci danno blocchetti per le consumazioni, torniamo davanti al Palestine, forse è là che dormiremo!Un “angelo”brunetto, vestito all’orientale, viene a confortare la nostra ulteriore attesa con un provvidenziale caffè in minuscole tazzine: shukran! grazie).Come Allah vuole, entriamo…ci assegnano infine le camere, ho per me un’intera suite intera suite, moquettata, affacciante sulla piscina!Ma niente può consolarmi dalla mia grave perdita….però, finalmente, acqua e letto!
Martedì 23 settembre – Dormo come una pietra, doccia (solo fredda, austerity), breakfast alla “brasserie”, in fondo alla sequela di archi che costeggia il grande giardino.Mi aggrego al giordano Tarek e le due torinesi(tutti conosciuti sul pullman)e usciamo alla scoperta della città. Enrica mi promette una sua t-shirt ho solo ciò che ho indossato per il viaggio. Per cambiare i soldi col taxi andiamo alla Er-Rachìd street , lunghissima, con portici ai lati, sostenuti da colonne con capitelli corinzi. E’ brulicante di vita, di folla indaffarata che si fa strada fra bancarelle che vendono di tutto, spesso le sigarette – come prima, a Napoli. O povere merci, poggiate a terra: Baghdad è una città sinistrata, con tracce della guerra, il Paese strozzato dall’embargo. La gente cerca di sopravvivere, vendendo anche il necessario- la povertà è tangibile!. Madri con bambini che ti fissano, occhi belli che spuntano dalle”abayìa”nere e svolazzanti: attenzione ai fossi e alle sporgenze, strade e marciapiedi sono disastrati, tutto ha un’aria polverosa, trascurata, colore dominante = un grigio giallino, rotto qua e là dallo smalto azzurro delle cupole di moschee e da insegne coloratissime dei languorosi cartelloni cinematografici, che promettono forti emozioni… Ribattezziamo la strada”Er-Rattùsid”,per le frequenti. mano-morte sul sedere di Enrica!
Un amico di Tarek ci cambia i dollari nel suo negozio di forniture per scarpe, nel sùq-anche qui sono tornati di moda gli zatteroni. Lui è giovane, chiaro, manageriale, i dipendenti vanno e vengono, secondo le sue direttive: ci offre un bel (finalmente!) the all’orientale. Il corrispettivo dei nostri non molti dollari è una borsata enorme di “lenzuoli” di Saddam, tanti che ci fotografiamo sventolando disinvoltamente i malloppi, occasione unica!I prezzi qui sono sempre ottimi, per noi, popolo della lira. Torniamo all’hotel e il prof mi affida alla pittrice Z, che mi accompagnerà in giro ad acquistare l’indispensabile, di cui sono rimasta priva:è bruna,”consistente”, trucco curato, cerimoniosa, parliamo in inglese con qualche mia spolveratina di arabo. Dopo mangiato usciamo, in taxi(è economico), diretti all’enorme e caotico mercato “El Kaddum”, bene attenti a non perderla di vista: un magnifico frullato di frutta da un acquafrescaio locale (non imbottigliato, come viene raccomandato ai turisti) e via! Stento a trovare qualcosa di mettibile, la moda “europeizzante” è inaccettabile, (cattivo) gusto anni’ 40-’50, fronzolosa..dopo lunghi giri riesco a trovare uno scamiciato nero, lungo (bello, di seta, con applicazioni anche nere), due foulardoni così almeno posso giostrare in qualche modo. Sùq immenso, multicolore, pieno anche di mendicanti grandi e piccoli che ci tallonano=dopo i primi, cuore duro, se no tutti gli altri non ti mollano più! Stanchi, anche se mai sazi di “sùq”, rientriamo. Cena e poi a scorazzare tutti insieme lungo la Es-Saadùn street, a destra dell’hotel, per vedere il Tigri:vento caldo della sera, una piazza dedicata a Mergiana delle “1001notte”, con le 40 giare dei ladroni. Davide, burattinaio intellettuale, trova altre marionette per la sua grottesca famigliola.Ma il fiume è praticamente invisibile, ogni accesso è sbarrato-credo ci siano installazioni del raìs vietate agli occhi dei comuni mortali…Torniamo indietro lungo la Abu Nuwas str., cantando e scherzando, senso di libertà, forse concesso solo agli stranieri!Nell’ombra degli alberi fitti che ci separano dal Tigri, qualche figura immobile e misteriosa, torme di cani randagi.Vari ristoranti di pesce, con le vasche dove guizzano i poveri animali, condannati ad essere scuoiati vivi e poi gettati sulla brace-purtoppo, in seguito, anche noi li..assaggeremo! Entriamo, invitati, in un caffè all’aperto per un bel the bollente, seguito dal narghilè, peppe ci riprende, poi all’albergo e a dormire.
Mercoledì 24 – Svegliati dalle urla di un inglese fuori di testa giù alla piscina: brasserie-colazione (Mai con latte, perché tutto quello del Paese serve per i bambini). Andiamo con Tarek alla posta per telefonare in Italia, francobolli, ecc.poi al Sùq Er-Rachid, per curiosare e qualche acquisto.Pomeriggio:riposo-la sera a cena per mangiare i poveri (ipocrisia?) pesci arrosto, purtroppo-per loro-squisiti, avvolti in un..sudario di pane a sfoglia, tipico del luogo. Lazzi e frizzi vari da una parte all’altra del tavolone lungo, poggiato sull’erba sotto il cielo stellato. A letto tardi.
Giovedì 25 – viene la mattina a prendermi, andiamo alla vicina galleria d’arte a vedere ottimi quadri di contemporanei, poi in un emporio dove compro altre cosette per me necessarie:trovo anche una gonna nera lunga, eureka!Con le mie quattro estemporanee”pezze”irakene, potrei quasi fare un defilè!Ma sono sempre angustiata pensando alla mia valigia…il prof continua fatalisticamente a promettere inesistenti ricerche, in realtà se ne frega.Ritorno all’hotel, pranzo-in questi giorni ci sono state le prove per lo spettacolo al Festival di Babilonia: il nostro è e sarà un happening, quasi improvvisato, qualcosa che rappresenti l’Italia.Con l’inventiva dei meridionali la performance nasce poco a poco, quasi senza averne l’aria, ci sono le tammorre, le citazioni dotte del siciliano Davide, i miei concittadini Peppe, eugenio (pianista) Carlo e le coppie Corrado-Amelia, mariano-Antonella e Francesco-Rosy, più Dario, detto l’uomo del mistero per il suo fare senza mai dire. Oggi è già il gran giorno: alle 16, pullmann per Babilonia, a 60 km dalla capitale:passiamo accanto al grande monumento al milite ignoto, un enorme piattone inclinato. Si attraversano campagne e radi villaggi polverosi nella luce del tramonto, colgo una scena emblematica – un gregge di pecore raccolto sotto un ritrattone di Saddam..triste allegoria di questo popolo…Ci accompagna il Sig.Imad, distinto e occhialuto, gentile:mi offre una rosa. Dopo vari, immancabili posti di controllo indoviniamo l’aura magica di Babilonia, che arriva, improvvisa, dopo la landa grigia e desolata che abbiamo attraversato:è subito emozione..Scendiamo e ci dirigiamo verso le importanti mura, sembra di essere sul set di un film storico! Varchiamo l’alta porta azzurra con i cavalli bianchi, fin troppo restaurata(da sembrare quasi nuova), ci si sente piccoli, come schiacciati dal peso dei secoli e della storia:un’ultima luce di tramonto indora i grandi bastioni, la musica proveniente dal palco già echeggia nei grandi vuoti dove passiamo, creando un’intensa suggestione.Al teatro è tutto un fermento, c’è già del pubblico che poi aumenterà, i miei amici vanno a prepararsi per l’esibizione e io scelgo di stare in platea a riprendere in video. Ai lati del palco, le due grosse telecamere della TV ufficiale, prove di luci e colori:lo spettacolo comincia con una troupe slava che va avanti per un’ora, poi – finalmente – l’Italia! Il presentatore arabo dice “Nabuli” e noi diventiamo patriottici e campanilisti: ho raccomandato a Davide, che apre, di salutare il pubblico (prima e dopo) con un bel” Salamu Aleykum”, questo ci vale un bell’ applauso incoraggiante, visto che poi la nostra performance è in italiano e nessuno capirà niente!Il nostro amico, manovrando le sue marionette, declama ditirambi greci e vocalità mediterranee, il pubblico è perlomeno incuriosito – è già una conquista! Eugenio avrebbe dovuto suonare qui, invece è stato dirottato, proprio oggi! nel maggiore teatro di Baghdad. Intanto avanza il coro dei nostri compagni, le tammorre sottolineano il crescendo emotivo, per(nostra)fortuna dove c’è ritmo c’è parentela, il pubblico batte le mani a tempo.. Peppe è un lunatico Pulcinella (cugino dell’orientale Giohà) che salta giù in mezzo alla gente : ”…comm’è bella.,’a città ‘e Pullecenella..”o la ripetitività selvaggia di “Alli uno, alli uno..”. Le tammorre, percosse, ne esaltano la corporeità sanguigna, pregnante, inframmezzate dal coro di urla belluine – in qualche modo ce l’abbiamo fattagli spettatori, generosi e volenterosi applaudono comunque – lo sforzo d’improvvisazione. Non sapevamo di dover competere con delle vere e proprie troupe ufficiali di altri Paesi!. Ci succede la Libia, col suo gruppo nazionale: bella esibizione di costumi multicolori, danze guerriere o rurali, ritmi sonorissimi di grandi e piccoli tamburi, il suono lancinante delle loro ”zampogne” (“maghruna”), sono personalmente molto toccata nell’anima e coinvolta, perché mi ricordano storie personali. Il pubblico irakeno, ”fratello”nei ritmi, è entusiasta. A esibizione finita andiamo nel retro a complimentarci con i “nostri”coraggiosi attori e coi libici, con i quali facciamo fraterne foto insieme, un vecchio parla un italiano perfetto. Dario viene vestito da tuareg e ci si pavoneggia, viviamo un momento magico…Poi il pullman ci riporta all’hotel, stanchi e assonnati. Buonanotte!
Venerdì 26 – Risveglio e si torna alla posta, c’è sempre qualcuno che deve ancora telefonare – e poi al mercato: alcuni negozi sono chiusi, oggi è il festivo dei musulmani. In un negozio di strumenti musicali i ragazzi, al solito, fraternizzano coi locali e si mettono tutti a ballare gioiosamente:è il solito ballo in tondo, esclusivamente maschile. Io scopro che vendono anche “lampade di Aladino” e subito tutti le compriamo(Baghdad è proprio il posto giusto!), io strofino e chiedo al Genio che mi faccia ritrovare la valigia. Forse funzionerà!. Al pomeriggio andiamo a cercare il quartiere caldeo che interessa a Davide – ripassiamo dall’albergo e ri-usciamo,”Baghdad by night”per andare a vedere la “torre di Saddam”:ci sono comunque insegne luminose e multicolori, traffico in strada. C’è prima una torre più piccola”dell’orologio”(sempre di Saddam!), poi si arriva all’altra :ingresso, grande giardino dove campeggia una gigantesca statua in bronzo del Raìs, ai cui piedi sono sparsi, come casualmente, pezzi di un aereo( o missile) distrutto dagli americani durante la guerra del Golfo. E la faccia di Bush in bassorilievo che devi calpestare per forza, spostando i piedi. Nella hall della torre, illuminatissima e affollata, ci sono eleganti bancarelle con gioielli e souvenir, molte famiglie con bambini, alcuni, in una tenda beduina allestita allo scopo, si fanno fotografare con i costumi tradizionali, su sfondo da “1001 notte”. Un ascensore con velocità mozzafiato ci catapulta in cima alla torre, dal terrazzo che le gira intorno c’è una vista quasi aerea di tutta la città illuminata(vietati film e foto, abbiamo dovuto lasciare giù gli apparecchi..), c’è un vento caldo. Qualche coppietta(lei col velo)siede al tavolino, bisbigliando trepida, davanti a caste aranciate – il diritto di essere giovani. Scendiamo e usciamo:gli occhi truci e benevoli della statuona del grande-fratello/padre degli iracheni sembrano controllare anche noi, una bambina incuriosita e impressionata gira intorno al monumento. Prossima splendida tappa, il Khan Marjan, antico caravanserraglio (del ‘ 500 o ‘ ‘600), adattato a ristorante tipico: datteri nel pre-ingresso e poi la visione di un ambiente immenso, con gli altissimi archi ad ogiva del tetto, pavimento tutto coperto da tappeti, rossi come le tovaglie sui lunghi tavoli. L’illuminazione è diffusa, suggestiva come il personale in costume, la balaustra al primo piano che corre tutt’intorno al locale, fitta di camerette (molte, chiuse) che ospitano negozi di souvenirs. C’è musica orientale dal vivo, ma è inutile sperare nell’ irruzione tintinnante di una danzatrice, come si vorrebbe: qui non se ne parla proprio se c’è qualcuno che balla qui sono sempre e solo gli uomini! Mi sento trasportata fuori dal tempo, nelle ”Alf layl u lìla”=le 1001 notte, o in un’ atmosfera da convivio rinascimentale:anche dall’alto della balconata c’è questa sensazione di festino leonardesco, le voci echeggiano, confuse alla musica, fin su, nelle remote volte del soffitto(…..”chi vuol esser lieto sia..del doman non v’è certezza..”).
Mentre si appronta la cena curiosiamo nelle botteghe, stracolme di tutto quello che gli irakeni, per fame, hanno dovuto disfarsi durante la guerra:gioielli, foto.francobolli, ricordi un po’ raccogliticci, anche uno in plastica, dalla Florida! Finalmente ceniamo, il cantante-ballerino, in palandrana e turbante bianchi, si esibisce fra i suoi strumentisti avanza e ci invita, poco a poco quasi tutti si alzano e lo seguono:tre passi e un inchino, con gamba lanciata in avanti, tenendosi per mano la fila si allunga sempre più, girando attorno ai tavoli, la musica accelera, ci si diverte.Non lascerei più questo bel posto, ma alla fine bisogna andare: non ci torneremo, come speravo. Schiamazzando tutti insieme nella notte andiamo alla ricerca di un improbabile taxi, ma incontriamo solo, ogni tanto, qualche rado passante.posiamo per una foto tutti col pollice e la gambetta in fuori, come a chiedere un passaggio, ma a chi? Infine arrivarono i taxi per portarci in albergo.
Sabato 27 – Ieri mattina le 3 coppie erano andate non al Museo della guerra..come sosteneva il solito prof, ma a vedere il grande monumento moderno al milite ignoto (piattone inclinato), poi al teatro dove aveva suonato Eugenio, assistendo all’esibizione di cantanti e balli popolari:a saperlo!Con loro stamattina torniamo al mercato Er-Rachìd, ormai i negozianti ci riconoscono come “habituès”. Gironzoliamo un po’, foto, qualche acquisto, poi all’hotel per il pranzo. Giù nella hall c’è il comitato per il Festival, il sig.Mohamed parla spagnolo, gli racconto l’odissea della valigia;controllerà, ma invano, qualche bagaglio arrivato in albergo. Molto sommessamente si lamenta del regime(tutti hanno paura a parlare..), dice che per sopravvivere al tempo della guerra ha dovuto vendere quanto gli era più caro, i suoi libri, per sfamare sé e la sua famiglia:dovrebbe operarsi alla gola in Giordania, ma non ha la possibilità economica anche di uscire da suo Paese…Dopo pranzo andiamo all’hotel Ishtàr, difronte, per chiedere in prestito 1 caricabatteria per la mia telecamera, ma la persona che ce l’ha non c’è:Lì alloggiano i libici dello spettacolo. Torniamo al nostro, scrivo le cartoline, poi assistiamo a un matrimonio di lusso gli invitati e le signore sono eleganti, abiti all’europea(forse moda parigina), emozionate damigelle per la sposa e paggetti seguono una vera e propria regìa.Nel salone è stato allestito un tempietto scenografico, con bianchi drappeggi francamente kitsch dove staranno fermi gli sposi per tutto il tempo(come si usa nelle nozze islamiche), per farsi fotografare bloccati là anche quando gli invitati balleranno.C’è una torta monumentale(ma non viene offerto altro!), c’invitano a sederci ai tavoli, ringraziando decliniamo l’invito-tutti dicono ”mabrùk” agli sposi, per augurare fortuna. La sera, dopo cena, nel giardino, assistiamo al bello spettacolo (li stanno replicando negli hotel) del Sudan:le ragazze dal profilo purissimo finemente cesellato nella pelle bruna sono di una bellezza folgorante -le vediamo anche ai pasti, avvolte nei loro veli fluttuanti, uno strano tatuaggio blu intorno alla bocca, strano trucco degli occhi ipnotici:I sudanesi uomini si riuniscono sempre, al pomeriggio, nel giardino-si vede che non riescono a stare al chiuso, ri-creano come e dove possono i vasti spazi a cui sono abituati, come i Tuareg.Segue lo spettacolo dei kazaki, altezzosi e distaccati, con alti colbacchi e mantelli di pelliccia(con questo caldo!) che poi si tolgono, per scatenarsi in salti acrobatici intorno alle donne con le trecce, che sembrano scivolare o pattinare (piedi invisibili sotto i lunghi vestiti). I loro seguaci conterranei si alzano, dal pubblico, per unirsi ai ballerini e gareggiare con loro in bravura, con urla belluine di reciproco incitamento:qualche spettatore si piazza proprio davanti a loro per farsi fotografare e sfruttarli come sfondo…..E’ notte quando, infine, andiamo a dormire.
Domenica 28 – Stamattina andiamo a visitare l’ospedale dei bambini” di Saddam” (ovviamente). Anche qui, come dovunque, all’ingresso c’è il suo ritrattone con un bimbo in braccio:strano ”papà” che manda a morte i loro padri e fratelli in una guerra che ha causato fame, miseria e le tante malattie e malformazioni dei piccoli ricoverati. Entriamo con un senso di reverenza, si incontrano ad ogni passo mamme in nero coi piccoli in braccio, il consueto triste viavai degli ospedali:un medico riceve i medicinali che abbiamo portato, dà informazioni sulla sanità locale, ci sentiamo imbarazzati da questa nostra visita un po’ formale, ma agli irakeni fa piacere testimoniare la loro condizione, farla conoscere al resto del mondo.Ci guidano nei reparti, tanti letti poveri bambini ridotti male, ognuno assistito dalla sua “mater dolorosa”, che ci fissa attonita-con sentimenti contrastanti, nei nostri riguardi-senza parlare:ciò che si vede e che si intuisce parla da solo, stravolgendoti l’anima…corpicini ridotti all’osso e deformati dalla leucemia, come esibiti a dimostrazione di tanta ingiustizia e sofferenza.Ne vediamo tanti, c’è l’ostacolo della lingua, anche noi siamo senza parole, possiamo parlare con gli occhi, sperando di trasmettere tutta la nostra commozione e comprensione.Mando un bacio con la mano a un malatino e mi sorride, straziante: il cenno di saluto di una mamma dal bellissimo sguardo dà la stura al pianto che avevo già dentro:non potrò più entrare in un ospedale senza rivivere l’angoscia terminale degli ultimi “inutili” giorni di colui che la morte mi ha repentinamente scippato, per sempre.Alla fine, usciamo nel sole, fuori c’è la vita-ci si sente un po’ colpevoli di lasciarsi alle spalle quel mondo di dolore di tante piccole vittime innocenti.
Visitiamo un’antica scuola coranica, la Madrasa Mustansirìa, dall’alto bellissimo portale tutto decorato:all’interno c’è un vasto cortile contornato da archi ogivali, alberi e fiori nelle aiuole, grande pace:il richiamo alla preghiera, lanciato dalla vicina moschea, rompe il silenzio a intervalli regolari.”Aya as-salààm”…il canto del muhaddìn punteggia le giornate nei paesi arabi, fa compagnia, qualcuno ha scritto che dà un senso di tranquillità, rassicura come se dicesse”tutto va bene” (Condivido, anche se oggi, si sa, la voce è, quasi sempre, solo una cassetta registrata, salvo rari casi). C’è un ragazzino che vende il caffè nei bicchierini di vetro:col suo vassoio è simile ai nostri scugnizzi, lavoro precoce,è carino, con occhi nerissimi, sorridente e sveglio-compro il suo caffè, gli faccio qualche regalino(penne, sempre gradite), vuole farsi fotografare con me.Peppe lo riprende e subito dopo gli mostra la ripresa:il piccolo è esterrefatto da questa altra incredibile “diavoleria”dei “rumi”(noi, gli occidentali).Dopo, nel sùq, comprando dei quaderni, io e Peppe perdiamo di vista gli altri..il sole è allo zenith, fa un caldo bestiale:rassegnati, ci inoltriamo un po’ in questa che sembra essere la zona dei cartolai-ecco un caffè, tutti uomini, naturalmente, col narghilè, accoccolati sui divanetti di legno.Giocano a domino, ci danno il benvenuto:qualche parola, un sorriso-è così facile diventare amici..dopo, in un cortiletto, un luogo di preghiera, al di là di una grata-queste scene sono state tutte esattamente ricostruite,”life size”come nella realtà, a pochi passi più avanti, nel museo irakeno delle tradizioni e arti popolari che visiterò successivamente.Usciamo sulla Er –Rashìd street,è ora di rientrare:i tassisti litigano fra loro per caricarci, interviene bonariamente un poliziotto(qui tutti si danno del tu, fraternamente), siamo già nel taxi quando vedo i nostri salire sul solito pullmann rosso, scendiamo e li raggiungiamo,”dove eravate finiti?Perché non ci avete aspettato?”. E via, all’hotel. Conosco una giornalista cilena,è da sola, si aggrega a noi:dopo pranzo usciamo col sig. Mohamed(che ce l’ha presentata), lei ha bisogno di un ciabattino-lo troviamo sulla Es-Saadùn street, poi prendiamo un the e rientriamo subito:siamo tutti invitati alla festa di nozze di..Fatima (un’omonima di mia figlia, a Napoli!), amica del giordano Tarek.Che bello, finalmente un matrimonio tipico, ho sempre desiderato assistervi!Arrivati alla casa, dal vialetto d’accesso già sentiamo la musica dal vivo, vivace e assordante, c’è molta gente:ci accolgono con grande cordialità:la sposa ha l’abito bianco all’europea, le appuntano, tradizionalmente, banconote (di Saddam ) sulla scollatura, lo sposo arriva dopo: grande allegria, tutti ballano, scuotendo velocemente spalle e fianchi, coinvolgono anche noi:viene offerta una bevanda, flash e riprese imperversano, la festa è al colmo. Poi si esce tutti insieme, sempre accompagnati dalla musica chiassosa, mai interrotta ci si ficca nelle macchine che fanno corteo, i suonatori continuano ad alto volume, seguendo l’auto degli sposi lungo le strade della città.Notiamo un muro lungo e altissimo dietro il quale spunta solo la sommità di un grande edificio con cancello, lo si indovina di lusso faraonico,è chiaramente una delle molte inaccessibili residenze di Saddam.Quando si arriva in un parcheggio ancora ci illudiamo almeno in un buffet, se non pranzo, ma qui non usa e tutto finisce con ulteriori fotografie e definitivi saluti e ringraziamenti in varie lingue.Ce ne torniamo un po’ mogi sul taxi, con l’autista Omar scambio qualche parola in arabo, me ne è così grato che regala a me e ad Amelia un ventaglio di carta(utile!)e , ancora a me, un ”sebha” (rosario musulmano), sono confusa da tanta gentilezza: ”sigarette? ”Non fuma, solo dopo molte insistenze si decide ad accettare una mancia.In hotel, cena e poi in giardino, c’è lo spettacolo della Grecia e poi di un gruppo svizzero che, furbamente, ha presentato un repertorio canoro “orientale”, tutto in arabo.Più tardi, con la cilena, andiamo al bar vicino alla hall, dove già i primi gruppi folkloristici (qualcuno ancora in costume) cominciano a partire, nella confusione di bagagli e strumenti musicali.Vicino al bar, divani in pelle e tavolinetti, uomini soli dall’occhio rapace, sempre parcheggiati in attesa di un’occasione..Giovani maschi ballano il solito girotondo, solo un paio di ragazze fanno eccezione, naturalmente sono straniere. E’ ormai notte.Gli ascensori dell’albergo sono sempre affollatissimi, al mio (3°) piano il “valletto” Adnan non capisce l’inglese porta ogni volta, solo dopo infinite richieste, un rotolo di carta igienica sempre più “dimagrito” (da uno ne fanno 3 e il resto se lo portano a casa, è il dopoguerra…). Con lui, la giovane “femme de chambre” Khadija e un premurosissimo custode del piano, facemmo-prima della partenza, foto insieme che mandai, poi, appena pronte.A dormire!
Lunedì 29 – I ragazzi sono partiti all’alba per visitare Ninive e Hatra, noialtri andiamo a vedere la grande moschea El Khadimìa:all’ingresso noi femminucce, per potervi accedere, dobbiamo noleggiare l’”abaya”nera (tutte le irakene la indossano) con cui coprire i nostri vestiti.Quasi non ci riconosciamo più neanche fra noi! Stiamo bene attente a non perderci, ormai ugualissime, da dietro, alle donne locali:lasciate le scarpe in un cesto, entriamo, sospinte dalla folla e dobbiamo, come tutti, fare il giro intorno alla “kaaba”centrale.La gente tocca e bacia con devozione il recinto a cancello dorato che racchiude l’invisibile reliquia:alzo gli occhi al soffitto che è un tripudio di lampadari e di specchi sfaccettati che ne rimandano le forti luci all’infinito… Antiche porte intagliate in legno e oro, pellegrini e intere famiglie, mendicanti, tutti seduti per terra lungo i muri:siamo al centro della ressa e temiamo un po’ che le nostre facce non irakene possano essere giudicate fuori luogo..qualcuno ci guarda incuriosito-Una bella esperienza il confrontarci , gomito a gomito con un altro culto:tutti figli di Dio, che qui cambia solo nome.Completato il giro, con sollievo, usciamo a recuperare le scarpe e a fotografarci ridendo, prima di restituire l’abaya al noleggiatore.
Attraversiamo un grande mercato coperto, pieno di vestiti, ma – al solito – si deve correre e non c’è mai tempo, in gruppo!Ritorno all’Hotel, pranzo e riposino. Alle 16 si va a visitare il bunker”di Saddam”(e ti pareva?). La zona è ventosa, la bandiera irakena sventola all’ingresso-bussiamo e ci apre una signora vestita a lutto:è l’unica superstite, salvatasi per caso, dell’intera sua famiglia, morta fra le altre nella strage causata lì dal missile americano.Ha una bellezza dolorosa, i suoi occhi allucinati hanno visto cose terribili:ci fa strada prima in una stanzetta dove ha le foto e i ricordi di tutti i suoi familiari e un album su cui firmare e/o lasciare un pensiero, un commento-poi ci introduce nel bunker.Si nota subito l’enorme squarcio lasciato nel soffitto(spesso 10 mt.) dal missile che poi andò a incastrarsi anche nel pavimento, disintegrandolo e causando la totale carneficina. C’è un camminamento definito da paletti e cordoni fra gli spessi muri e i pilastri anneriti, la signora spiega ciò che avvenne:le vittime, quasi tutte donne e bambini, furono bruciate vive, dappertutto vi sono impronte di mani-e non solo-carbonizzate.La gente fu scaraventata contro le pareti dall’esplosione:tutt’intorno, appese ai muri, le loro fotografie, muti e remoti, centinaia di occhi innocenti di grandi e piccoli ci fissano, patetiche corone di fiori finti le contornano e continuano ad impolverarsi. Dalla loro estrema lontananza sembrano dire:noi eravamo qui, vivi, come ora lo siete voi-è un messaggio impressionante, muto e profondo, tocca il cuore e dà un senso di impotenza.. Su di un muro c’è come un perfetto disegno a carboncino, una mamma che stringe a sé il suo bambino e , a destra, un’altra figura un po’ sfumata: cieca e spietata artista è stata la morte, che li ha come stampati là, nero su bianco.Solo qualche“uomo”, potente e arrogante ha deciso questa condanna.Salutiamo e ce ne andiamo silenziosi:era giusto testimoniare di persona, oggi, anche a queste realtà sgomente di un Paese così ferito.Una volta in albergo ci viene proposta dal solito prof un preteso ricevimento ufficiale con cena all’aperto(10 dollari..)Ci andiamo in pullmann:anche qui è un’enorme spianata all’aperto con lunghi tavoli già affollati;in fondo c’è un palcoscenico, vi si esibisce un gruppo di ballerini del Tatastan, mentre aspettiamo la cena, che poi arriva,è buona.Ora è la volta di un cantante irakeno..il tutto non è entusiasmante, riusciamo a sganciarci e ce ne torniamo:nel pullmann , dove fraternizziamo coi tatastani , che pure rientrano-tutti insieme cantiamo “’O sole mio”, che loro conoscono benissimo!Arrivo all’hotel e, finalmente, relax.
Martedì 30 – Oggi dovevamo già essere in Giordania, se il prof avesse mantenuto la promessa fatta di passare lì gli ultimi 3 o 4 giorni, cominciamo a organizzarci per conto nostro, vogliamo vedere almeno Petra!La mattina torniamo al mercato per farci realizzare una bandiera italiana (servirà, la sera, per la replica del nostro”spettacolo”, nel giardino dell’albergo). Nel sùq dei tessuti , dopo lunga ricerca, troviamo la stoffa dei tre colori, altra odissea per scovare un sarto (tutti fanno a gara per darci le indicazioni necessarie) che poi le cucirà insieme, velocissimo. Nel frattempo ci offrono un bel the, scambiando cordiali chiacchiere con i molti.. accompagnatori, sul calcio, ecc. Nel pomeriggio andammo sulla Es-Saadùn a cercare un negozio di vestiti tradizionali, c’erano dei tagli di seta blu o verde con, già pronti, applicazioni ricamate in fili d’ argento alla scollatura e ai polsi, molto belli e non cari:confezionavano l’abito già per il giorno dopo! Ci lasciammo tentare, il sarto prese castamente solo la misura delle maniche e l’altezza, il resto a occhio – per il mio avevo chiesto che fosse ampio solo giù – il giorno dopo, in ritardo, portarono un vestitone immenso che ce ne andavano 2 di me dentro, per non sbagliare avevano abbondato!Quindi non potetti sfoggiarlo..ci avrebbe pensato la mia sartina degli aggiusti, una volta a casa. La sera in giardino, bandiera bene in vista, fu replicato lo spettacolo, con buon successo-tutti , in questa prova, più rilassati che sul palco, a Babilonia. Dopo, chiusura della serata al bar, solite danze solo maschili e chitarrista elettrico.
Mercoledì 1 ottobre – La mattina, altra escursione sulla via principale e visita del Museo delle tradizioni popolari (tipo museo delle cere): ci sono ricostruite, con manichini (un po’ polverosi) abbigliati all’uso locale, scene di sempre della vita iraqena.Tutti gli ambienti affacciano su un cortile interno;da essi esce un sonoro registrato di voci e musiche, secondo la scena rappresentata:l’interno di una casa tipica, la pettinatrice, la veggente, il caffè(per uomini col narghilè, identico a quello vero, a pochi passi da lì). Su per le scale si arriva alla rappresentazione di due cortei matrimoniali (di lui e di lei) che si vanno incontro, con frastuono di strumenti musicali e grida di giubilo, ogni personaggio immobilizzato nella posa giusta, come in un presepe.A conclusione, il mercato, con i venditori davanti ai loro negozietti, gli artigiani e la sua allegra confusione:che sensazione curiosa uscire dal museo e trovare quasi tutte le stesse scene, ma dal vivo! Pranzo e poi ultima puntata all’altro mercato, el Kaddùm(domani lasceremo l’Iraq), vicino alla grande moschea dalle cupole blu-dorate.
Lì vediamo passare, sulla strada principale, un funerale: il defunto viene portato a spalla, coperto solo da un drappo,è seguito, quasi di corsa, da parenti e amici che quasi urlano il loro cordoglio.Ci inoltrammo nel dedalo di viuzze già illuminate a giorno, fittissime di botteghe , gremite di folla:un fervore ininterrotto e denso di voci, richiami, musica che bisogna letteralmente attraversare.
Ci sono troppe bellissime cose e a poco prezzo, ma bisogna decidere in fretta, poi inevitabilmente ci si pente per ciò si è lasciato..Dovunque gentilezza, ci chiedevano se avevamo bisogno di qualcosa, di dove eravamo: fuori dal sùq il sole radente gettava gli ultimi bagliori controluce sulle cupole, in lontananza-una bella foto, non fatta da me, che non ho potuto mai avere!Si cenò al ristorante dell’hotel(”Orient-express”)elegante, carino, con separès simili a scompartimenti ferroviari:un “maitre” parlante francese, bella cena e mini-concerto di Eugenio al piano.Poi, esusti, a dormire.Domani partiremo per la Giordania.
Giovedì 2 – Ultimo giorno a Baghdad, la nostra battaglia per visitare Petra fu vinta, dopo molti sforzi, in barba alla strafottenza contumace del nostro”disaccompagnatore”.Le tre coppie andarono a Samarra a vedere il minareto a spirale, noi al Ministero per ritirare gli attestati d partecipazione al Festival.Pranzo, riposino, ultime foto, preparazione dei bagagli-verso sera eravamo accoccolati in riunone nella hall nell’angolo rosso dei tappeti, dove un giovanissimo in tunica e kefìa bianca preparò un caffè per tutti, sul suo fornellino.Anche la ragazza della boutique, ribattezzata “l a monachella”per il suo chador bianco era affacciata al primo piano, come risulta dalla videata di Peppe-di ora in ora si aspettava il mezzo con cui dovevamo partire.Finalmente, come Allah volle, ecco due station-wagon, saluti generali, caricamento dei bagagli(io avevo comunque dovuto comprare un borsoncino, che stavolta non persi di vista un solo attimo!),si parte: addio Palestine-Meridien!(arrivederci, non credo…). Era ormai sera, l’altra macchina ci precedeva, lasciando Baghdad, noi sgolati a cantare, troppo presto euforici!Il primo guasto arrivò alle porte della città:scendemmo, rassegnati alle solite lunghe attese, davide distrasse un po’ noi e dei bambini, subito accorsi, con le sue marionette.Dalla vicina abitazione dei piccoli spettatori presto arrivò, squisita gentilezza, del buon pane caldo, il loro papà ci invitò in casa per un the..quanta immediata e spontanea ospitalità!Qualcuna di noi approfittò dell’ombra di un caseggiato per una piccola..liberazione idraulica, mentre altre facevano da palo, per timore che ci vedessero.Come Dio volle fu fatta la riparazione e ripartimmo:imboccammo la grande autostrada nel deserto-dal finestrino guardavo il cielo stellato come nel Sahara…già si dormicchiava…ed ecco che la nostra macchina si guasta di nuovo!Commenti e proteste, avevamo raccomandato al nostro autista di non perdere di vista l’altra macchina, dopo i discorsi iettatori, a base di assalti di predoni, del nostro “sempreassente”per ripicca contro la nostra iniziativa presa senza di lui.Scendemmo, alla luce dei fari, consultazioni e voci alterate:grossi camions passavano ogni tanto, portando le merci in Iraq-ai lati dell’autostrada, la linea scura, piatta e lontana dell’orizzonte..La terra battuta, più che sabbia, si estendeva a perdita d’occhio, nel buio, qualche ramo secco, spinto dal vento fin sulla strada.Per fortuna eravamo prossimi a una grossa stazione di servizio, ci preparammo ad una sosta notturna che sarebbe durata ore:l’altra macchina doveva tornare a Baghdad a cercare il pezzo di ricambio necessario.Seduti tutti in fila su un muretto, ci mettemmo a chiacchierare vivacemente con un maturo irakeno, attorniato da molti bei giovani, alcuni dei quali suoi figli:disse di volerli mandare tutti in Italia, però noi dovevamo trovare loro un lavoro e una moglie italiani!Al vicino emporio, aperto tutta la notte, comprammo merendine per cenare e giocammo a fare i venditori..a noi stessi, incoraggiati amichevolmente dal giovane proprietario, abderrahmane, barbuto e sorridente, mi chiese di scrivergli in arabo(per mettermi alla prova) i nostri indirizzi, poi insistette perché gli facessi il ritratto.Nell’attesa, che si prolungava, arrivò anche il the:fuori c’era anche un venditore di frutta, con un cencio in testa, come tutti gli altri volle essere fotografato.Arrivata finalmente la macchina, riparata, salutammo tutti affettuosamente e ripartimmo, sonnecchiando in posizioni sempre scomode-intanto le auto divoravano chilometri nella notte, sulla via del ritorno.
Venerdì 3 – Ci svegliammo all’alba in vista della frontiera giordana:ci fermammo, una foto al sole rosso appena sorto, impellenza del bagno, formalità meno lunghe che all’andata, stavolta-Tarek mi aveva dato il numero di un discreto albergo ad Amman, dove avremmo potuto alloggiare.Chiamai per prenotare, con esito positivo::(lo vedi che il telefono c’era, bugiardo-quando avevo scoperto la sparizione della valigia?!Anche qui, gli impiegati gentilissimi stavano per offrirci il the, quando dovemmo ripartire di corsa.Il sole era già alto, ai bordi dell ’autostrada rivedemmo degli impensabili tavolini e sedili in pietra per i picnic che avevamo già notato all’andata:immaginarvi una gita sotto il solleone e con un caldo atroce….senza un filo d’ombra!Sosta ad un ristorante per il pranzo:eravamo ormai in Giordania, tra gli avventori, perfino una donna(accompagnata)e stavolta c’erano anche i tovaglioli di carta.I bicchieri li chiamavano “glassàt”, arabizzando l’inglese al plurale:facendo scongiuri sul proseguimento, riprendemmo la marcia-ma non servirono, perché vi fu in seguito, un altro inconveniente, per fortuna risolto però in breve tempo.Al tramonto, ecco finalmente Amman, tutta “sali e scendi”, le case adagiate su colline digradanti in dolci declivi, già punteggiate dalle prime luci dell’imbrunire azzurrino.Le auto ci scaricarono in un largo piazzale, per legge non potevano circolare nella città, diritto riservato ai taxi giordani.Questi arrivarono dopo un po’ e così raggiungemmo il sospiratissimo albergo”Select”:piccolo ma pulito-i portieri, gentili e sorridenti, ci assegnarono le camere-mi prese un colpo quando non trovavo il mio residuo borsone, calma!!era solo finito in un’altra stanza…Giù alla reception mi aiutarono a telefonare in aeroporto per avere notizie della mia valigia, mi fu detto che dovevo andarci per verificarlo, ricominciai a sperare(ma ora era tardi)-riuscii anche a chiamare mia figlia, tutto bene, grazie a Dio..Cenammo in una sala simpatica e accogliente, buonumore ritrovato al lungo tavolo:dopo, troppo stanchi per andare a scoprire Amman, andammo a dormire-l’indomani la sveglia era prestissimo, alle 5,30, per andare a vedere la sospirata Petra.
Sabato 4 – Ci alzammo all’alba, breakfast, ci avevano preparato una colazione al sacco per la gita.Salutammo la cilena che ripartiva per il Brasile, promettendomi le foto cui tenevo tanto e che non mi ha mai mandato…C’infilammo nei taxi, attraverso Amman-moderna, luminosa, niente tempo per visitarla-davanti all’agenzìa trasbordammo nel pullmann, nuovo, con aria condizionata, insieme a turisti di varie nazionalità, tutti diretti a Petra.Un po’ di musica in sordina, gli pneumatici scivolavano silenziosi e ovattati sull’asfalto:fuori il paesaggio si snodava, pianeggiante, sotto il sole.Opportuna sosta a metà strada(il the, i bagni)in un fornitissimo “Tourist-shop”, sorta di antro di ‘Alì Baba, dove “ci sperdemmo in mezzo al bene”, vagando tra scaffali colmi di bei souvenirs, gioielli, tappeti, vestiti folk , fanghi del Mar Morto, ecc.Arriva sempre troppo presto il momento di ripartire:di nuovo in moto, attraversando l’inizio del deserto con “gara” rocciose, piatte sopra, colori giallo-rosa come in Sahara.Intorno a Petra si è sviluppata, fin troppo, una cittadina a misura di turista, ristoranti e alberghi come funghi:prima di accedere alla città rosata, una foto classica dal belvedere che abbraccia tutto lo sfondo dei bastioni di pietra, una natura capricciosa e tormentata, scolpita dal vento. Quindi, arrivo all’ingresso, biglietti salati (altro che gli economici ”lenzuoli di Saddam”!) poi si poteva scegliere fra il cavallo o il calesse, per raggiungere il”Sìq” (lo stretto e lungo canyon che si attraversa per raggiungere la città). Optai per il cavallo (bianco), anche se avrei preferito il familiare e già sperimentato cammello, che però non c’era, in quel momento:gli zoccoli dell’animale, condotto per la briglia dal giovane proprietario, sembravano scivolare pericolosamente ad ogni passo sui ciottoli bianchi e lisci, le staffe erano troppo in basso per i miei piedi, mi sentivo molto malferma la paura! Raccomandai di andare piano, anche per fare qualche foto:il paesaggio intorno era bellissimo, il silenzio rotto solo dal rumore degli zoccoli sul fondo pietroso, eco di voci lontane, l’aria tersa e cristallina.(Alcuni dei nostri, più giudiziosi, con i calessini, facevano gare di velocità fra loro, con incitamenti da Far West, mi fotografarono, salutandomi allegramente). Ma il tratto era brevissimo (salata fregatura). Con sollievo scesi sulla terraferma, pagai il giovanotto (non richiesto, si impegnò ad aspettarmi al mio ritorno figurarsi!). Dentro, il gruppo si ricompose per ascoltare le spiegazioni di una guida frettolosa dal sole passammo all’ombra fresca e azzurrina, fra le strette ed alte pareti del Sìq: il tipo, in inglese, indicò i lunghi incavi della pietra per il passaggio dell’acqua che correvano ai lati del percorso, un accenno di figura in marmo a bassorilievo di cui restavano solo i piedi e l’orlo della veste, un tempietto. Continuavamo intanto a scendere, sul fondo pietroso e sconnesso della strada, incrociando in salita o discesa, molti altri visitatori di tutte le nazionalità e fermandoci ogni tanto a fotografare o filmare.Il caldo era desertico, secco e ventilato, piacevole:guardando molto in alto si notavano le rocce aggettanti, incombenti, contorte in forme capricciose, dovunque striate da varie tonalità di rosso, giallo, nero, perfette nelle sfumature come dipinte a mano. Ad ogni passo tutto cambiava continuamente, anche voltandosi indietro scoprivi angolazioni tutte seducenti per l’obbiettivo, spontanei ciuffi di verde si frapponevano tra la nera ombra della pietra controluce e il cielo di smalto azzurro.
Il canyon si faceva strettissimo, non si riusciva mai a indovinare che cosa ci fosse in fondo:percorsi i suoi due chilometri di lunghezza, dopo un ultimo tratto più buio e angusto degli altri, che si intravedeva uno spicchio di rosa.Ancora pochi passi e si spalanca davanti ai nostri occhi il mitico scenario del grande tempio di Al Khazneh,”il tesoro”:il sogno di vederlo dal vivo, dopo averlo inseguito in tanti documentari e libri di viaggio, si avvera!Ai suoi piedi il piazzale inondato di sole, dove ozia un cammello tutto bardato(c’erano, allora!)intorno alcune bancarelle di souvenirs con venditori che ti chiamano pigramente:si è dominati dalla facciata imponente, come plasmata/modulata nella roccia, magicamente poggiata sulla sabbia da secoli..Saliti pochi scalini, oltre le colonne, l’unica sala interna con due nicchie, senza alcun altro passaggio, ha pareti striate come da onde di un mare di vari toni di rosso, marrone, arancio:seduta all’ombra delle colonne svettanti, guardando il viavai dei turisti , guide e bibite alla mano, pensavo quanta altra gente era e sarebbe ancora passata di lì, avvicendandosi in questo antico e gigantesco grembo della Storia, fuori dal tempo…Continuammo il percorso in lieve discesa, passando attraverso altre facciate più piccole di case trogloditiche con aperture come bocche nere o spalancate sull’azzurro del cielo, accenni di scale abbozzate, non finite:molto caldo in pieno sole, ancora bancarelle ai lati-i venditori conoscevano qualche parola d’italiano.Gli occhi indugiarono su splendide collane a folta frangia di metallo brunito, bracciali d’argento, bottiglie di sabbie colorate con cui sanno scriverti dentro il nome che vuoi:comprammo alcune cose, mercanteggiando, come d’obbligo.Incrociammo dei cammellieri abbigliati tradizionalmente, sulla strada sconnessa e ciottolosa, alti e vocianti sulle loro cavalcature:fuori un bar, scavato nella roccia, un ragazzo dava da mangiare amorevolmente ciuffi di verdura ad un cammellino.Ecco, a sinistra, l’anfiteatro dai gradini sbriciolati, sovrastato da altissimi bastioni di roccia, il tutto arroventato dal sole, nella tersa aria desertica-le prospettive lontane di altri templi lasciavano indovinare una continuità a perdita d’occhio della vallata, che s’incassava sempre più giù, nascosta dall’alternarsi delle maestose quinte di pietra, senza fine.Era l’ora della sosta per fare uno spuntino, addentammo con gusto i panini, seduti in fila su un muretto all’ombra provvidenziale di un albero:fra battute e fotografie ricevemmo anche le visite di infaticabili bancarellari che tentavano di venderci coltelli dal manico lavorato,”per uccidere la moglie, l’amante o la segretaria”, dissero:l’ avevano evidentemente imparato da altri italiani di passaggio.Un asinello legato lì vicino emetteva ogni tanto il suo raglio disperato…dopo, alcuni di noi cominciarono a risalire, passo passo, curiosando nelle bancarelle:in una c’era un giovane bruno in “kefiah” che suonava l’”udh” (mandolone a corde, o liuto), peccato non poter filmare, per cogliere anche quella suggestiva sonorità…Raggiunsi di nuovo “il Tesoro”, ormai tutto fresco e ombroso, come il canyon, che imboccai, dopo aver scattato altre foto, un pò stanca:ogni tanto bisognava ripararsi ai lati per l’arrivo di una carrozzella in corsa e perfino una jeep della polizia, che mi sembrò strana in quell’ambiente così denso di passato..Il lungo Sìq sembrava non finire mai, l’ultimo sole andava ritraendosi dalle cime delle rocce , in alto:in alcuni tratti non s’incontrava anima viva ed era impressionante, nel silenzio.Infine apparve la spianata dove ci avevano lasciato i cavalli(il padrone di quello “mio”pretendeva di farmi fare il tratto di ritorno, asserendo di avermi aspettato!). Eugenio mi aiutò a liberarmene e ce ne risalimmo in calessino:un bel the corroborante, bevuto insolitamente in piedi su un apposito sgabello(il banco del furgone-bar era molto più in alto), intanto arrivarono anche gli altri e ripartimmo.Altra sosta al supermarket degli acquisti, poi via verso Amman: solo ora potevo fare l’ultimo tentativo utile per ritrovare la mia valigia (alle 4 di quella notte, quando dovevamo ripartire per l’Italia, sarebbe stato troppo tardi): Pregai un componente del gruppo di accompagnarmi e con un taxi percorremmo i 40 Km. fino all’aeroporto. L’autista parlava solo arabo, ma ci capimmo in qualche modo, attraversando la città moderna ci indicò ambasciate, grandi hotels, locali notturni, tutto nitido e scintillante..non avevamo potuto vedere niente della capitale giordana. Dopo interminabili tunnels, con l’ansia di dover essere lì entro le 20, finalmente arrivammo, il tassista ci aiutò a cercare l’ufficio degli oggetti smarriti, un gentilissimo impiegato controllò il mio scontrino, dopo complicati passaggi di carte e timbri, entrammo – a ritroso – nell’uscita bagagli e…..eccola! La mia cara, sospiratissima e rimpianta valigia blu era lì, come ad aspettarmi, ero commossa me la trascinai sulle rotelline: il conducente, che ci aveva fermamente aspettato fuori, ci riportò alla base. La portai subito in camera per cambiarmi e prendere i disegni(che avrei dovuto esporre a Baghdad!)per mostrarli agli amici.Tutti erano in giardino per la cena e mi accolsero con un memorabile, scrosciante applauso per il felice ritrovamento! Consumai il mio pasto del giusto, ci scambiammo indirizzi – dopo non si sa se ci sarebbe stato modo e tempo – e tornammo in camera, a chiudere i bagagli e rilassarci per qualche ora, prima di tornare in aeroporto.Lasciai sul letto quaderni, matite , penne che avrei voluto regalare a bambini irakeni- forse più bisognosi di quelli giordani-anche per alleggerire(e di quanto?)i bagagli, che ora erano due!
Domenica 5 – In piena notte la “sveglia” fu una robusta bussata alla porta, un po’ assonnati fummo quasi subito pronti, prima colazione e poi, col buio, i taxi vennero a prenderci:i portieri dell’albergo erano fuori a salutarci con la mano, quando ci allontanammo. Addio o arrivederci alla città ancora addormentata: alle 4 eravamo in aeroporto, i bagagli raccolti sui carrelli, solo qui rivedemmo il “personaggio” lasciato a Baghdad, imperturbabile ci guardava con aria furba e innocente, dovette notare anche la mia ritornata valigia, nessuno disse una parola, anche per amor di pace: a che sarebbe servito? Dopo il check-in, raggiungemmo il nostro “gate”dopo un breve passaggio al duty-free, comprai l’acqua santa del Giordano, imitata da qualcuno: annunciarono il nostro volo dopo un breve passaggio in navetta, attraversammo i tubi-corridoio che ci immisero direttamente nel bianco aereo della M.E.A. (Middle Eastern Airline). Musica soft, hostesses e stewards sorridenti e sussiegosi, la ricerca del proprio posto:allacciare le cinture, segno della croce, si parte..Alle 6 di mattina l’aereo” prende la rincorsa” tra i sibili e i brevi messaggi tecnici, con voci da megafono e la musichetta rassicurante di fondo: ecco, ci stiamo sollevando.
La Giordania è già lontanissima laggiù (in questo viaggio abbiamo avuto sempre ottimi decolli e atterraggi, applauso meritato). Non avevamo ancora digerito che già ecco un’altra prima colazione, il filmetto scemo come tutti quelli che danno sugli aerei(che mi fa sempre dormire)in inglese in cuffia con sottotitoli in arabo. Scalo a Beirut (“la città dove si digerisce meglio!”), stavolta non ci perdiamo, come era successo all’andata, ritorno in aereo, ancora 4 ore, rimettiamo a posto gli orologi col fuso dell’Italia.La stanchezza arretrata si faceva sentire, mentre l’aereo, sorvolando i bianchi cirri ovattati, continuava la sua rotta, la voce del comandante comunicò la temperatura al suolo, l’altitudine:un po’ di rimpianto per i Paesi appena lasciati, ma anche, ormai e soprattutto, l’ansia del ritorno, il ritrovare i propri cari e casa.Verso mezzogiorno atterrammo a Roma-Fiumicino, recupero dei bagagli, passaggio “liscio” e rapido (poiché gruppo unito) della dogana, senza noiose perdite di tempo, finalmente il liberatorio”telefono-casa”, tutto bene grazie a Dio, anche questa è fatta!Decidiamo di noleggiare due auto, dividendo la spesa, per tornare a Napoli corriamo, veloci e silenziosi, sull’autostrada (arrivati in città, ci liberiamo della “non guida” con appena un saluto formale) la macchina dove sono, coi miei bagagli mi lascia sotto casa, che goduria!Saluti generali e calorosi, salgo su, ascolto i molti messaggi in segreteria, mi riposo un po’:solo stamattina ero in Medio Oriente!Un po’ di relax, abbraccio mia figlia, poi vado a recuperare la mia cagnetta dalla signora che me l’aveva tenuta:mille feste gioiose..ora il viaggio avrebbe”ricominciato a vivere in noi nell’attesa ansiosa di foto e video, una smania di ritrovare tutto, quasi a capacitarsi che sia stato vero. Appena pronti i materiali, infatti, ci siamo incontrati più volte in belle e vivaci serate, rievocando ogni episodio con contagioso entusiasmo:il viaggio continua, vi facciamo riferimento, allunga le sue propaggini nel tempo, cerchiamo di farlo durare ancora col ritorno alla vita e alle cose di sempre.
Ho immortalato tutti noi in una vignetta di gruppo, servita ad illustrare due articoli (pubblicati in un quotidiano) sullo spettacolo a Babilonia e a sorridere sui nostri ”tic”, su ciò che insieme abbiamo attraversato:la nostra avventura sulle rive del Tigri (e di sup ffratello in napoletano, appunto, eu-frate!). Strofinando la lampada comprata nel sùq, il desiderio è: di nuovo tutti insieme in questo (o in un altro) Paese delle 1001 notte, col volere di Allah e Genio della lampada permettendo….ovvero: ”si ‘ o Genio tène genio!”
(Ena Villani-Napoli, gennaio 2003).
Nel sito di Ena Villani potete trovare altre sue opere oltre a informazioni sul maestro Gennaro Villani –
Sono Ena Villani,l’autrice di questo diario,mi è venuta voglia di rileggerlo per rivivere quella esperienza..ciao Marco!
Ed io torno spesso a questo racconto anche per rivedere le belle illustrazioni che hai realizzato. Grazie Ena!