di Francesco Cecchini –
A Noire ovunque essa sia, a Fort National in Cabilia o all’inizio del Sahara.
He let his mind drift as he stared at the city, half
slum, half paradise. How could a place be so ugly
and violent, yet beautiful at the same time?
Mentre guarda la città mezza bassofondo e
mezza paradiso, lascia la sua mente viaggiare.
Come un posto può essere così brutto e
violento e allo stesso tempo cosi bello?
Chris Ambani, Graceland, New York 2004
Mumbai (Bombay), meanwhile is projected to attain
a population of 33 milions, although no one knows
wether such gigantic concentration of poverty is
biologically or ecologically sustainable.
Mumbai (Bombay), mentre la proiezione è il
raggiungimento di 33 milioni d’abitanti, nessuno
sa se una tale concentrazione di povertà, può essere
biologicamente od ecologicamente sostenibile
Mike Davis, Planet of slums, New York 2006
(il monsone a Bombay)
“…questa città non è una passeggiata…”
Jim Nisbet, che cita un autore di cui non ricorda il nome.
(Intervista allo scrittore apparsa sul numero di Maggio o
Giugno 2010 della rivista letteraria Pulp).
Verse Come from England, come from Scotland, came from Ireland Come from Holland, come from Poland, come fom any Land If you are looking out for a pleasant holiday Come to Bombay, come to Bombay, Bombay meri hai Cohrus
Verse
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Solista Vengono dall’Inghilterra, vengono dalla Scozia, vengono dall’Irlanda Vengono dall’Olanda, vengono dalla Polonia, vengono da tutti i paesi Se tu stai cercando una vacanza divertente Vieni a Bombay, vieni a Bombay, Bombay meri hai Coro
Solista |
Bombay meri hai
Canzone del 1969
Musica di Mina Kava
Parole di Naju Kava
Cantata da Mina Kava con il coro dei Music Makers
Ho vissuto e lavorato un anno a Bombay. In quell’anno, a parte il Ladhak e l’Assan, ho visitato tutta l’India in lungo ed in largo: due volte in Jammu Khasmir, molte volte a Delhi e a Madras, Calcutta, l’Hymalaya, Goa ed il Kerala etc.etc. ma sopratutto mi sono dedicato ad esplorare Bombay, il suo corpo e la sua anima. Gli slums, Film city con i suoi set cinematografici, Falkland road, Colaba, Marine drive, Bombay South, Gate of India.
Mentre esploravo o credevo di esplorare la città, questa mi prendeva cuore e cervello, mi entrava profondamente dentro e a poco a poco diventavo Bombay dipendente. Da allora, come un drogato ha bisogno di droga io ho bisogno di Bombay, dei suoi sapori, odori, colori.
Da allora devo quotidianamente leggere notizie su Bombay, ascoltare storie di Bombay, guardare film di Bollywood, ascoltare canzoni nuove o vecchie come la famosa Hey Hay, Bombay Meri Jan, del 1956. E’ una vera e propria mania, un’ossessione.
Troppa gente, una ventina di milioni, forse di più, soffocano se stessi e la città.
Inoltre vi sono altri milioni, quanti? che ogni giorno, la mattina presto, arrivano, da villaggi e paesi dell’entroterra, lavorano 10, 12,14 ore e alla sera o a notte ritornano a una casa, lontana. La mattina dopo ritornano ancora, e così via per sempre, una vita di merda, che giustifica, malessere, frustrazione, odio e, forse, rivolta.
Vi sono, inoltre, altre migliaia d’uomini, donne e bambini che a tutte le ore arrivano a quest’Eldorado dei disperati per cercare un luogo dove poter far qualcosa, guadagnare o ricevere pochi soldi, mangiare, vivere, sopravvivere.
Queste persone non sempre trovano un alloggio neanche in uno delle tante baraccopoli o slums della città, ma vivono in tende, sotto le stelle, lungo le strade sotto ponti e viadotti. La loro vita e’ una vita da cani randagi ai margini del lusso sfrenato di un’elite opulenta.
Poi vi sono gli slums, Dharavi, la città fatta di legno e lamiera senza scarichi ed acqua e le zone d’ombra, il quartiere di Kamathipura, dove uomini, donne e bambini sono costretti per vivere a vendere il proprio corpo.
Troppe macchine, bus, taxi, moto, motorini, che non si fermano mai, bruciano benzina e diesel trasformano questi liquidi nella nube di smog che avvolge tutti e tutto.
Il rumore dei motori, mescolato alle musiche e alle parole delle canzoni indi che si suonano nelle strade, case, baracche, ristoranti e bar, giorno e notte, 24 ore su 24, è il suono della città, l’inno, una colonna sonora, che non abbandona mai la vita della moltitudine.
Oltre alla nube smog e ai suoni, stordiscono gli odori dei rifiuti, l’odore del cibo cucinato all’aperto, l’odore dei profumi dolci delle donne, l’odore della frutta, delle verdure, delle spezie
La città, immensa, sporca, rumorosa e puzzolente è mostruosa, un mostro urbano; ma ha anche il suo fascino come quello di una donna bella e pericolosa in un bar di mal affare, dove uno joux box suona musica per saxófono.
La città mostro è sensuale, sexy, attraente; se la incontri e ti guarda con i suoi occhi neri qualcosa entra dentro e non ti lascia; non vorresti andartene e se te ne vai vorresti ritornare.
Naturalmente ho visto film, Salam Bombay, Bombay meri jan, ho letto libri, Il ragazzo di mezzanotte ed altri, ascoltato musica indiana, Ravi Shankar, notizie di cronaca, visto le foto d’amici turisti, conosciuto anche uomini o donne nati laggiù e che li vivono, ma la Città mi rimane sempre lontana e sconosciuta.
Gli occhi che la guardano e le menti che la interpretano non sono i miei.
Poi alla fine arrivo per viverci un anno vederla con il mio sguardo toccarla con le mie mani.
Scelgo, per caso o perché il viaggio costa meno la stagione dei monsoni. E sempre, per caso, poi, scopro che il vento e l’acqua quotidiani, oltre ad uccidere e distruggere, purificano, lavano la sporcizia, attenuano gli odori, valorizzano i profumi, bagnano i sari delle donne, colorano di verde alberi, parchi e colline.
Il Mostro in questa parte dell’anno è irresistibile e seduce con la velocità di un gesto di danza. Con la stessa velocità il monsone è un killer, spietato nei confronti dei più poveri e deboli, degli slumdogs, di chi costituisce la polvere della terra, la polvere di Bombay.
Arrivo a notte fonda in aereo. Prima di atterrare all’aeroporto internazionale Chattrapathi Shivaji, dall’alto guardo la città, mari di luce a nord, sud e lungo la costa con macchie di nero al centro, le baraccopoli, la famosa Dharavi, credo.
E’ l’alba quando lascio l’aeroporto diretto ad un albergo vicino all’India Gate, e’ da lì da Bombay South che voglio iniziare l’esplorazione della città.
Un tempo Bom Bahia, la buona baia, sette isole e la baia, cosi come e stata vista e chiamata dai naviganti portoghesi, che la scoprirono.
Le sette isole diventano una penisola, sulla quale si costruisce Bombay la Città degli inglesi, la perla dell’impero sopravissuta al crollo del dominio britannico. Ora Mumbai, ribattezzata in onore della dea Mumba.
La più grande metrópoli indiana che cambia in continuazione pelle per essere Maximum City, la metrópoli per eccellenza, la madre di tutte le metrópoli.
Rosso Bombay è un racconto, un noir, secondo alcuni criteri. Secondo me, è innanzitutto un romanzo corto, che narra di violenza e di crimini in una grande metropoli, dove mostruosità e bellezza si mescolano. Narra quanto è difficile vivere in un megalopoli.
Ma è innanzitutto la narrazione di come per alcuni mesi durante il monsone prima, pioggia, nubi e vento e poi nel corso di un anno, polvere e calore, ho viaggiato questa terra, a me, incognita, di come mi sono innamorato del Mostro, ma di come anche il Mostro si è innamorato di me e mi ha preso, sedotto quasi violentato; di come non avrei voluto mai più lasciare la città, di come la città non voleva lasciarmi andare, di come vorrei ora ritornare.
Rosso Bombay è il ritorno a Bombay, o meglio una maniera di ritornare a Bombay, di vivere nella città un altro monsone ed altri mesi di caldo e sole, con la mente se non con il corpo.
PIANTINA DI BOMBAY NEI PRIMI ANNI DEL 2000.
(non è ancora terminata la costruzione del ponte Bandra – Worli Fort)
RINGRAZIAMENTI.
Ringrazio per i molti aiuti, che non elenco, mia moglie Elena e mio figlio Mattia.
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