di Luciano Marraffa –
Il Gran Tour del Marocco ha inizio il 23 dicembre con partenza da Milano – Malpensa alle ore 7,00 con la compagnia Neos. direzione Marrakech. Il Tour operator è Francorosso. Il ritorno è previsto per il 6 gennaio da Marrakech per Milano – Malpensa alle ore 14. Il pacchetto comprende: pensione completa (escluse le bevande) in hotel di almeno 4 stelle, bus esclusivo per i turisti per tutti gli spostamenti con guida parlante italiano. Sono possibili altri supplementi di prezzo da pagare in occasione di eventi, da aggiungere alla quota di euro 1.460 a persona.
Per me è la prima volta dell’esperienza di un grande viaggio con un pacchetto di un grande operatore turistico, per cui mi appresso a farlo nell’ottica del fruitore e del critico, con l’eventualità di dare una svolta nella scelta dei futuri viaggi. Ecco il racconto del Gran Tour nel Marocco.
23 dicembre- Italia/Marrakech Il viaggio che inizia all’ aeroporto di Malpensa prevede uno scalo, non previsto nel pacchetto, a Bologna per accogliere altri turisti provenienti da altre città d’Italia con la medesima destinazione. Arriviamo a Marrakech verso le ore 13,00 ora locale ( nel Marocco l’orologio è indietro di un’ora). Qui ci attende il pullman n. 83 del Tour operator che ci porta all’hotel Atlas Asni. Sembra funzionare tutto a perfezione e senza confusione. Ci assegnano la camera, il cui numero viene segnato col gessetto sulle valigie da solerti facchini, che provvedono a trasportarle nelle rispettive stanze. La mancia è d’obbligo, ci mancherebbe! Facciamo la conoscenza del nostro ”accompagnatore turistico” e non “guida turistica”, come ci tiene a chiarire subito il sig. Taoufik,. Ormai il pomeriggio volge verso la fine, anche il tempo non ci accompagna con favore, poiché piove ininterrottamente e si avverte un po’ di freddo. Non ci resta che attendere nell’albergo per la cena e poi per il riposo.
24 dicembre- Marrakech/Essaouira/Safi ( Km 305) Levata ore 7, alle 7,30 le valigie pronte da lasciare fuori la camera, che i facchini provvedono a trasportare verso il pullman, abitudine questa insieme a quella della sera di arrivo in hotel che si ripeterà ogni volta che cambiamo albergo. Lo sforzo nostro è solo quello di badare che le nostre valigie siano salve e portate a giusta destinazione.
Dopo la colazione, abbondante e varia come sarà in altri hotel, partiamo alle 8,00 in punto. Piove ancora, anzi talvolta la strada,che per lo più è a livello del terreno, viene intralciata dall’acqua, per cui si viaggia più a rilento. Quei pochi villaggi attraversati sono alluvionati, si vede gente che affonda nell’acqua talvolta a piedi nudi da ispirare pietà, si sentono voci di calamità naturali e di qualche morto, non nuove nei periodi invernali in Marocco.
Arriviamo a Essaouira, caratteristica città sull’Atlante, di origine portoghese, ma tutta marocchina per i vivaci suk o mercati, le strade e vicoli a labirinto oggi anche infangati dalla pioggia, le immagini di povertà. Hanno inizio il piccolo assalto per strada dei ragazzi per carpire dai i turisti in gruppo denaro o chissà cosa e gli inviti reiterati all’acquisto di mercanzia da parte dei venditori. Dopo pranzo in un grazioso ristorante locale, siamo liberi di girare per la città. La prima raccomandazione dell’accompagnatore è stata quella di non andare da soli, ma in gruppo per non incorrere in sorprese di alcun genere o non avere noie dai locali. Nonostante questa raccomandazione, due dei nostri, madre e figlia vengono importunati senza tregua da due o tre ragazzi, che sono finalmente congedati con una lauta elemosina. Io dall’altro canto non intendo seguire le donne a valutare gli oggetti in esposizione, per cui decido di andarmene per conto mio per riprendere con la videocamera alcuni scorci della città persi nel cammino di andata. Non nascondo a me stesso qualche sussulto di batticuore in più, ma anche di finale soddisfazione per avercela fatta a ritornare sui miei passi sano e salvo e ad arrivare in tempo all’appuntamento prefissato.
Taoufik si dimostra un valente comunicatore sulla storia del Marocco e sull’Islam. Ci racconta, ad esempio, delle donne di Essaouira con il caratteristico haik o velo bianco in testa, della lavorazione sul posto della thuja (un legno assai pregiato dal delizioso profumo), della scelta degli hippy di questo luogo negli anni settanta, caro anche ai surfisti moderni,del cantiere navale dove vengono costruite barche di legno, dell’importante pesca delle sardine di cui il Marocco vanta la maggiore lavorazione ed esportazione al mondo. I membri del gruppo, composto da 41 persone compreso un bambino di sei anni, incominciano a familiarizzare tra di loro, convergendo l’attenzione verso l’accompagnatore e la considerazione per l’ autista Rachid e il suo aiutante dall’aria timida e seriosa.
Godendo il bel tramonto all’ombra dei bastioni del porto e di fronte alle onde impetuose del mare, partiamo per Safi. L’albergo si rivela più interessante e accogliente rispetto a quello di Marrakech. Siamo stanchi e si va a letto presto, verso le 10,30, nonostante la musica dance del ritrovo dell’ hotel.
ESSAOUIRA Veduta dalla Sqala (bastioni) du Port con le caratteristiche barche di legno azzurre
25 dicembre- Safi/ El Jadida/Casablanca (Km.220) Partiamo ben riposati alle 9,30. Viaggiando per Safi intravediamo una piazza con in mezzo la più grande tajine (contenitore di terracotta con il coperchio conico,tipico piatto marocchino) del Paese. Per un’ora siamo liberi di visitare il suk della città e il particolare mercato che si effettua solo in questo periodo dei cosiddetti bendir, tamburi in pelle di capra tirata sopra una struttura di legno, utili per fare baccano in questi ultimi giorni dell’anno. L’ora concessaci risulta abbondante per visitare la medina o città vecchia, per cui Taoufik si offre di accompagnarci lungo stradine prospicienti le mura; a un certo punto potremmo inciampare su un lungo sottile filo (credo di agave) stirato da due uomini per uso sartorio. La gente è sempre indaffarata a lavorare, né mancano i miserabili e perfino i poveri cristi senza gambe, che chiedono l’elemosina, segno che qui la sanità funziona male o non funziona affatto. En passant, in questo luogo sono buone le ostriche, che noi non possiamo assaggiare.
Ci accontentiamo di un pranzo gustoso di pesce fresco in un ristorante con vista mare e laguna nella località marina di Oualidia. Spira un forte vento: sembra impossibile che qui, come dicono le guide turistiche, si possa nuotare con sicurezza, anzi qui approdano i surfisti, anche principianti, tra le onde impetuose sollevate dagli alisei. Tra le ville che circondano la spiaggia ci viene indicata la residenza estiva del re Mahomed V. Dopo il pranzo puntiamo per El Jadida, famosa per la spiaggia finissima che noi non sperimentiamo, ma soprattutto per i bastioni costruiti nel 1500 dai portoghesi e per la cisterna usata prima come arsenale e poi come armeria. I portoghesi fecero di questa città, come per Essaouira, testa di ponte commerciale e militare. Con Taoufik è sorta la discussione se il forte è autentico o ricostruito dopo due secoli, come sostengono due guide turistiche italiane, dal vincitore arabo Sidi Mohammedd ben -Abdallah dell’ultima dinastia degli Alawiti. Devo dar ragione al nostro accompagnatore che non dubita dell’ autenticità, perché effettivamente nei bastioni esistono ancora due chiese cattoliche antiche, tra cui una con funzione di sede dell’ Inquisizione e un’altra trasformata in moschea. Dalla storia risulta che fra le città marocchine, solo Casablanca fu rasa al suolo dai portoghesi nel 1468. La cosa importante è che in quel tempo musulmani, ebrei e cristiani convivevano pacificamente pur nei loro quartieri distinti: “non è mai esistito in tutto il Marocco un ghetto ebreo” ci dice con orgoglio il nostro accompagnatore. Ci fa un certo effetto sentire sotto i piedi l’acqua fatta scorrere a proposito nella cisterna e che nel 1952 la stessa cisterna fu usata per alcune scene del film “Otello” di Orson Welles.
Cisterna di El Jadida
Si riparte. S’intravede quasi subito il colossale Port de Iorf Lastar,costruito negli anni ’80 per l’industria dei fosfati e la raffineria del petrolio. Per un tratto di strada costiera si gode un’ottima visione di spiagge, laguna, mare e poi tra i due lati del percorso si ammirano intense coltivazioni agricole e lontani greggi di pecore e capre. Lungo il viaggio si discute lievemente con l’accompagnatore il quale sostiene che gli abitanti di Casablanca sono ben 6 milioni, in contrasto con le guide che possediamo, le quali ne stimano 3 milioni. Egli si fa forte di informazioni ufficiali, addirittura delle Autorità, che non hanno interesse a pubblicizzare, chissà perché…
Verso le 18,30 arriviamo a Casablanca per alloggiare all’hotel Prince de Paris invece che al Kenzi Basma, come previsto dal pacchetto offertoci.
Dopo la cena alcuni di noi fanno un giro serale nelle vicinanze dell’albergo. La metropoli non ci sembra molto tranquilla, o piuttosto noi non siamo tranquilli, perché vediamo bar e ritrovi frequentati quasi solo da uomini e altre cose per noi inconsuete. Ritorniamo presto indietro e per poco perdiamo la bussola. Il fatto poi che io e qualche altro del Francorosso non dormirà sereno è dovuto al discreto rumore che proviene dalla strada, su cui si affacciano le finestre dell’albergo.
26 dicembre- Casablanca/Rabat (km.100) Si visita a piedi la città: Place Mohammed V, Place des Nations Unies, ammirando qui alcuni palazzi in stile liberty prevalente a Casablanca, il mercato coperto, la vecchia Medina racchiusa dai bastioni, i quartieri borghesi residenziali, l’esterno del palazzo reale, la grandiosa moschea di Hassan II (seconda dopo quella della Mecca), ma solo esternamente, perché la visita è interdetta ai non musulmani.
Da notare che Casablanca dopo il saccheggio da parte dei portoghesi risorse nel suo ruolo economico sotto il sultano vincitore Sidi Mohammed ben-Addalla e poi sotto il Protettorato francese nel XX secolo. Attualmente è il centro economico principale del Marocco e una delle quattro più grandi metropoli del continente africano. A noi tutti è forse quella che poi risulterà meno attraente e la più contraddittoria con i grandi grattacieli e i negozietti nelle vie tortuose della medina. Io personalmente ho fatto un’altra piccola esperienza nel caos del traffico metropolitano: faccio per passare dall’altra parte della strada per imbucare le cartoline presso l’ufficio postale, mi trattengo subito dopo per l’arrivo improvviso delle auto, ritorno indietro indeciso, ma mi vedo preso per mano da un omino incappottato che mi porta dall’altra parte e poi mi riporta sul punto di partenza. Lo ringrazio affettuosamente e scopro che quell’omino è la scorta in borghese che accompagna il mio gruppo. Più avanti nel viaggio scoprirò altre persone discrete che lavorano dietro le quinte a vantaggio dei turisti e del turismo, che costituisce la terza voce del PIL marocchino. Ma Casablanca è anche una città che accoglie tutti, pure i cattolici che hanno le loro chiese, come in tutte le città principali del Paese. E’ proprio qui che ne abbiamo intravista una, “Notre Dame de Lourdes”.
Casablanca La grande moschea
Il venditore di cesti sommerso…..
Verso il tardo pomeriggio sosta a Salé, per scelta personale di Taoufik. Si trova a ovest di Rabat sulla sponda destra del wadi (fiume secco o parzialmente secco) Bon Regreg. Era nel passato base dei pirati, Fu fondata all’incirca nel XI secolo e fortificata alla fine del XII secolo dai Merinidi, terza dinastia del Marocco e gran costruttori di mederse, scuole coraniche con funzioni di collegio. Il nostro accompagnatore ci avverte che stiamo attraversando un luogo rischioso per la presenza di episodi di matrice fondamentalista, per cui niente fotografia o atti inconsulti. Diciamo che è una visita frettolosa: Bal el-Mrisa, (porta del mare), che era l’ingresso dell’arsenale marittimo, le mura, i cimiteri dei marinai,, i sepolcri dei marabout, capi di confraternite o tombe di santi musulmani come Sidi ben Achir, la grande moschea e la ex medersa, la cui porta è lavorata finemente col legno di cedro, infine il suk pieno di artigiani e commercianti.
Come d’incanto arriviamo a sera inoltrata a Rabat. Si mangia totalmente cucina marocchina tra archi a ferro da cavallo, stucchi decorativi e ceramiche zellij (piastrelle geometriche, solitamente decorate secondo disegni intricati a colori vivaci)
27 dicembre Rabat/ /Fes (km290) E’ domenica. Anche qui sarebbe festività, almeno per gli uffici, non per i negozi ed esercizi pubblici. Taoufik ci dice che solo a Fes si rispetta il giorno sacro ai musulmani, il venerdì. Il calendario è anche il nostro, ma i marocchini fanno riferimento anche al calendario musulmano basato sull’anno lunare un po’ più corto di quello solare e che inizia, come tutti sanno, sei secoli dopo il nostro, dall’egira o emigrazione di Maometto dalla Mecca a Medina, avvenuta nel 622.
Si prevedeva nel programma la sosta a Salé, ma l’abbiamo fatta ieri per aver più tempo per visitare Rabat. Qui si inizia con la visita alla necropoli di Chellah, circondata dalle mura. All’interno scopriamo i resti del complesso islamico e di un’antica città romana, in un contesto davvero fantastico e suggestivo fra palme centenarie, cicogne su alberi e minareti, scheletri di moschea e di zaouia (sede di una confraternita religiosa), piscina attorniata da gatti randagi, marabout dei santi musulmani, koubba (tomba) di sovrani.
Chellah – Le rovine della zaouia
Poi alla scoperta della Rabat imperiale, valorizzata nel 1150 da Abd el-Moumen, primo sovrano della terza dinastia almohade e quarant’anni dopo dal califfo Yacoub el-Mansour, il quale dopo la vittoria su Alfonso VIII di Castiglia la denominò Ribat el-Fath (Campo della vittoria); nella seconda metà del 1700 fu esaltata a capitale del Regno da un sovrano dell’ ultima dinastia Alawita. Qui attraversiamo le mura di cinta, la Bab o porta Oudaia, e la splendida e forse la più piacevole Medina del Marocco, che si fa in salita e discesa, con case e mura in lindo colore bianco-celeste, che fanno ricordare il villaggio greco.
Un vicolo della
“medina” di Rabat
Per finire poi ad ammirare il maestoso mausoleo di Mohammed V, nonno dell’attuale re Mohammed VI fautore della liberazione nel 1956 dal dominio francese. Peccato non esserci fermati almeno per un altro giorno a Rabat!
Si deve partire. Nel pullman si raccolgono 65 euro a testa per la partecipazione ad eventi speciali di alcune serate.
Si arriva dopo il tramonto a Fes. L’hotel, non previsto dal pacchetto turistico, è il Zalagh Parc Palace a cinque stelle, per interessamento di Taoufik presso l’albergatore suo amico Si cena alle 19,30, invece che alle 20,00, per aver tempo di fare un’escursione serale nella città con i turisti paganti. Certo, vistarla di sera la città è suggestiva: dapprima la parte moderna, con una luminosa fontana al centro di larghi viali, il palazzo reale con un magnifico portale bronzeo in stile moresco, poi i quartieri sempre più gradualmente antichi della cosiddetta Fes el-Jedid, con tanti meravigliosi portali intagliati in legno di cedro, alcuni ammalorati dal tempo, con sorprendenti interni che da fuori non sembrerebbero: noi ne abbiamo visitato un esemplare. Anche di sera la vita è manifestamente differente e contrastante: pochi passanti benvestiti e motorizzati, magari in ozio nei locali della Fes moderna, molti altri invece, modesti nell’aspetto tuttora indaffarati nella chiusura delle botteghe o a indugiare col mulo o asino, nei quartieri più antichi. Si va a letto soddisfatti verso le 23,30.
Visita notturna al Palazzo Reale
28 dicembre Fès/ Volubilis/ Meknès/ Fès (150 km) Puntiamo sulla strada che porta a Meknès. Ci fermiamo alle rovine della città romana Volubilis, mentre ci viene incontro una simpatica nuova guida locale. I resti dell’antica città l’abbiamo ammirati in lungo e in largo, specialmente gli splendidi mosaici, il foro, qualche testimonianza del cristianesimo antico, l’arco di Caracalla, le terme, il postribolo con lo scherzo imprevisto, organizzato dalla guida, sul segno fallico, complici ignari due nostri compagni.
Una veduta dell’ antica Volubilis
Un extra non previsto nel tour, ma voluto da Taoufik, è la sosta a Moulay Idris Zerhoun, la cosiddetta “città bianca”, il cui panorama visto da lontano ha la forma di cammello. Qui è sepolto Idris I, il fondatore della prima dinastia imperiale degli Idrissidi, che diede inizio all’islamizzazione del Paese. Per questo è considerata dai marocchini città santa e qui si svolge a settembre un grande pellegrinaggio con festeggiamenti. Mi risulta cittadina tranquilla, con gli abitanti indaffarati e poco propensi ad avvicinarsi ai turisti, né tanto meno a farsi fotografare, mezzo o animale da trasporto prevalente è l’asino che porta di tutto.
A Meknès il pullman si ferma nelle vicinanze della grandiosa Place el-Hedime che collega la medina e la kasbah (casa fortificata con torri, nel caso nostro, palazzo reale). Da un lato, prima di entrare nella medina attraversiamo la splendida porta del 1672 di Bab Mansour el-Aleuj, si dice la più bella di Meknès se non del Marocco. I bastioni si estendono su tre mura lunghe 40 km. Possiamo finalmente visitare l’interno della grande moschea, per benevolenza governativa o….per convenienza economica? Poi l’interno del vasto granaio della città del 1700, con temperatura standard di 13 gradi. Interessanti anche le tombe Saudite, perché vi sono custodite le spoglie di alcuni sovrani della quinta dinastia marocchina, costruite con uno stile sfarzoso e secondo le tradizioni andaluse: a dire il vero non ci è stato consentito di apprezzare adeguatamente il monumento, poiché intravisto seguendo la fila dei turisti e attraverso le transenne di sbarramento. Ne abbiamo comunque colto la magnificenza degli elementi architettonici e decorativi insieme con la semplicità delle sepolture,specialmente dei membri della famiglia reale e della servitù, senza indicazione di nomi né esaltazione dei personaggi.
Meknès assunse il rango di città imperiale e capitale con Mulay Ismail al posto di Fès. Questo grande califfo dell’ultima e attuale dinastia degli Alawiti governò per 55 anni (1672-1727) e viene ricordato, tra l’altro, per il suo tentativo di sposare la cugina del re Sole per rafforzare i propri legami con l’Europa.
Come tutte le città marocchine anche qui si distinguono almeno tre zone distinte: la medina, la Ville nouvelle (città nuova) del periodo francese e la kasbah o città imperiale, chiaramente inaccessibile al pubblico. Ho saputo anche che il sovrano attuale ha un suo palazzo in ogni città marocchina, talvolta un’altro più moderno, che servono per la residenza temporanea del re durante le sue visite nel Paese, ma sempre ben custodite dagli innumerevoli addetti alla manutenzione e dalla guardia reale.
29 dicembre- Fès L’hotel è distante di qualche chilometro dalla città, per cui ci si muove sempre in pullman. Prendiamo coscienza che siamo nella celeberrima città di Fès, la più antica delle città imperiali del Marocco, che incarna la storia del Paese e ne è la capitale spirituale e religiosa. Qui nel nell’ VIII secolo la prima dinastia degli Idrissidi scelsero il sito e pian piano crearono e svilupparono la città racchiudendola nelle mura, facendola centro dell’arabizzazione e dell’islamizzazione del Marocco
Non a caso Fès e stata dichiarata Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
Ora ci troviamo nel centro storico o medina di Fès el- Bali. Per il momento ci attardiamo con la nuova guida turistica del posto nella sede originaria del suk della ceramica nei pressi della moschea Karaouyine. Qui ci viene mostrato la lavorazione del famoso vasellame blu e bianco della città: ci impressiona il modo antico di lavorare, soprattutto di molti lavoratori seduti a terra, retribuiti a cottimo e intenti a decorare tra polvere e condizioni igieniche per noi assurde. Le ceramiche nelle varie forme vengono esposte in una sala adiacente e ci appaiono finemente decorate a mano anche con altri colori. Qualcuno dei nostri compra. La moschea Karaouyine, che fu la prima università fondata in Marocco nell’859, capace di contenere 20.000 persone non si può visitare perché, secondo Taoufik e come ho pure accennato prima, l’accesso alle moschee ai non musulmani è proibito da parte dei sunniti , a differenza dei musulmani sciiti che lo permettono ai non musulmani, ma lo escludono ai sunniti (la forza dell’odio religioso!). Pertanto la si può ammirare solo dall’esterno, magari scorgendo qualche fugace scorcio sul cortile aperto. In realtà nel pomeriggio possiamo visitare l’interno del cortile, con la fontana delle abluzioni, della moschea, che era una volta la medersa Bou Inania, fatta costruire dai Merinidi: essa rappresenta la più tipica architettura marocchina. Intanto percorriamo le vie dei vari suk, ad esempio della frutta, forse in maggioranza, del cuoio, del pellame, dei ciabattini, delle spezie, dei venditori di animali vivi, dei ramaioli fra tanto fracasso.
Di tanto in tanto passano muli o asini, per cui bisogna scostarsi ai lati dei vicoli e spingersi fra l’immensa calca col rischio di staccarsi dal gruppo e perdersi, come infatti è successo… per poco tempo a me e ad Angela. Ma per fortuna siamo stati subito rintracciati da Taoufik e dalla scorta.! Ci mettiamo prima lo stomaco a posto in un accogliente e pittoresco ristorante stile moresco, perché poi ci spetta entrare nel quartiere dei conciatori fra odori non sicuramente gradevoli, nonostante l’offerta fatta a ciascuno di noi di un rametto di menta da miscelare con quegli odori. Visitiamo un grande negozio della cooperativa di pellai; dal suo terrazzo si può godere di una bellissima vista di vasche per la colorazione delle pelli, di tipici antichi strumenti di lavoro, di pelli stese al sole: veramente eccezionale per noi occidentali! Altre concerie sorgono qua e là a Fès, lontano però dai quartieri residenziali, presso fonti di acqua, per motivi chiaramente di igiene.
Fes – Le pelli conciate messe ad essiccare
Altri edifici ci sono stati indicati e fatti apprezzare: i riad, residenze tradizionali sistemati attorno a un cortile o patio, in cui vengono piantati alberi e fiori, oppure residenze con giardini, la ex medersa El-Sahry, attrezzata con un giardino andaluso e un museo delle collezioni d’arte locale. Vediamo libri e manoscritti, ceramiche artistiche, oggetti lavorati in legno, ricami e tessiture, tappeti berberi.
Dopo la cena serata in un tipico locale per i turisti, dove si ascolta musica tradizionale marocchina con musicisti e ballerini in costumi berberi della festa, si esibiscono due ballerine con la danza del ventre, si mettono in scena passaggi della circoncisione e dello sposalizio, in quest’ ultimo caso facendo indossare i loro abiti a quattro nostri compagni del Francorosso. Insomma, le emozioni non finiscono che a notte inoltrata. Forse a qualcuno di noi, me compreso, rimane una piccola insoddisfazione: di aver perso altre cose meravigliose di questa antica città, che merita più attenzione e più tempo a disposizione.
FES – Interno della medersa
30 dicembre- Fès/ Ifrane/ Erfoud ( 365 km) Si parte presto, alle 7,00 per una lunga traversata in direzione sud-est oltrepassando il Medio e Alto Atlante. Paesaggi vari: boschi di lecci, di cedri, steppe e poi hamada, altopiano pietroso e desertico, per finire nel deserto di sabbia o erg. Sosta a Ifrane per il caffè. Poi pranzo lampo di mezz’ora a Midelt, ma subito dopo viene fermato nel villaggio il pullman per riparare un vetro laterale che tende ad abbassarsi: ammiro la rapidità nel procurarsi la scala sul posto e la destrezza nella riparazione da parte del nostri accompagnatori marocchini. Mentre aspettiamo vediamo un gruppo di ragazzi con lo zaino dietro le spalle che mostrano l’intenzione di avvicinarsi a noi, ma che desistono presto appena si accorgono di maneggi con le nostre cineprese. Anche le donne berbere e gli uomini che passano mostrano ritrosia a farsi fotografare, poiché secondo la loro credenza far ritrarre la propria immagine è in certo senso lasciare rapinare la propria anima.
Ragazzine che tornano dalla scuola colte dal nostro obiettivo…
Vedo anche qualche cane randagio macilento, fenomeno presente anche nelle medine delle città visitate. Durante il tragitto attraversiamo la valle dello Ziz, intravediamo il lago artificiale con la diga di Hassan el Dabi. Di tanto in tanto pascoli di pecore o di capre, palmeti in riva ai fiumi, ruderi di fortezze dei legionari stranieri, czar o villaggi fortificati piuttosto malmessi.
Attraversiamo una cittadina moderna, El Rachidia, centro amministrativo e militare, dove si sono formati importanti uomini politici di alcuni Stati africani. Il pullman procede senza soste, salvo per qualche bisogno urgente dei passeggeri. Verso le 15,30 arriviamo a Erfoud, valigie pronte per il trasloco nel nuovo hotel, che ci appare subito con un altro stile rispetto ai precedenti alberghi: sembra una fortezza con pochi orpelli artistici, con il colore ocra dell’argilla,l’interno più sontuoso, le camere sono tutte in pianterreno attorno alla piscina. Non c’è il pullman ad aspettarci, ma diverse jeep che devono portare alle dune di Merzouga gli escursionisti paganti. Si segue una strada per lo più sterrata con grandi sobbalzi e col rischio di rimanere insabbiati. Arriviamo alle propaggini della grande distesa di sabbia del deserto; a chi vuol fare la passeggiata col dromedario vengono richiesti altri 20 euro per due persone, io ed altri decidiamo di passeggiare a piedi per conto nostro, ma si affiancano a noi senza richiesta alcuni berberi per accompagnarci e lasciamo fare… supponendo che il loro servizio sia compreso nel prezzo già pagato. Non è così. Alla fine della incantevole, per alcuni immemorabile, passeggiata ognuno dei berberi pretende la mancia obbligatoria con prezzo esoso, in aggiunta all’acquisto di oggetti in marmo con fossile, che loro mettono fuori dalle loro saccocce. Tergiversiamo per un po’, ma forse per non perdere quei momenti d’incanto ci assoggettiamo a pagare i dirham corrispondenti a 25 euro. Ci rimane comunque il disappunto, che noi facciamo presente al nostro accompagnatore ufficiale Taoufik che si altera e vuol prendere i provvedimenti, ma alla fine lasciamo perdere. Sono “rischi” che possono capitare a chi viaggia…
I nostri compagni di viaggio più facoltosi vanno a vedere il tramonto sul dromedario…
Chi aveva pagato prima altri 25 euro per la cena speciale prende posto sotto la tenda allestita dai berberi, vicina all’erg o deserto di sabbia. Cuscus di verdure, squisiti spiedini di capra (o pecora?) arrostiti al momento, mangiati con le mani, alla maniera tradizionale dei marocchini , che usano però sempre la mano destra senza uso di posate. Una tranquilla musica di sottofondo, poi fuori la tenda per ammirare il cielo stellato, ma siamo delusi, perché nonostante le luci spente la luna risplende sovrana. Facciamo ritorno all’albergo che dista 53 chilometri. Fra sobbalzi e stanchezza riusciamo a intravedere una piccola volpe del deserto, un fennec. Poi a letto.
….. io, Nina, Carmela e Roberto a piedi.
31 dicembre- Erfoud/ Zagora (310 km) Il riposo è più lungo perché si parte alle 10,00. Ma prima una visita didattica a una bottega di intaglio e lavorazione dei marmi con i fossili all’ interno con adiacente una sala di esposizione e vendita dei manufatti. Alcuni dei nostri comprano. Riprendiamo il cammino.
Il pullman attraversa, quasi a guado, un ponte sul fiume Ercher : è la seconda volta che succede nel corso del tour. Siamo ancora nel deserto roccioso, con la tipica vegetazione sparsa di artemisia,dei cespugli alfa, delle acacie. Ogni tanto si vedono in lontananza piccoli fori che danno sui pozzi delle kettara o canali sotterranei per il trasporto acqua, s’intravedono tende dei beduini berberi, greggi guidate da donne. Ci avviciniamo a una mandria di dromedari che pascolano con i loro padroni e -a sorpresa- viene fuori sgambettando un cucciolo di dromedario appena nato. Fotografiamo e tre beduini ci assillano chiedendo l’obolo, nonostante Taoufik abbia già provveduto, uno chiede perfino delle penne, ma lo stesso accompagnatore svela che quasi sicuramente è analfabeta come lo sono il 44% dei marocchini.
I dromedari e il piccolo al pascolo
Pranzo ad Alnif ore 11,30. Riprendendo il cammino incontriamo diversi villaggi fatti di argilla battuta e paglia color ocra: i cosiddetti ksour (ksar al singolare) che sono villaggi fortificati. Attraversiamo Nekob. Fermata d’obbligo per filmare una bellissima visuale di un palmeto, ma forse più per esaurire la scorta di datteri venduti sul posto da un ambulante e comprati da tutti noi, senza sapere che dopo ci attendono gli altri ambulanti del vicino villaggio Dar Keddam, che invano sperano di venderci i loro datteri. Qui visitiamo l’antico e grandioso ksar, ma in pessime condizioni, costituito da mura di cinta, abitazioni umili, viuzze, granaio, medersa, palazzo nobiliare o kasbah a più piani traballanti. Da notare che ogni kasbah reca l’impronta dei suoi costruttori attraverso incisioni decorative geometriche. All’interno del villaggio vivono poche famiglie poverissime, per concessione del governo, senza canone di affitto, né la possibilità di vendere la casa. Fuori lo ksar vivono altre famiglie in case più moderne.
Arriviamo sull’imbrunire a Zagora, all’hotel Zagora Reda, accolti festosamente nel piazzale della piscina da un gruppo di suonatori berberi. Aperitivo all’ aperto prima della cena speciale, in attesa della mezzanotte di San Silvestro tra suoni, musica e danze scoppiettanti.
Uno kzar in rovina
1 gennaio 2010 – Zagora/ Ouarzazate (200 km) Levata alle 7,00 per ripartire alle 8,00 in punto. Uscendo da Zagora ci vien fatto notare un cartello che dice: “Tumbuctu 52 giorni a dorso di un cammello”, a ricordo del periodo delle carovane che attraversavano il Sahara e della tratta degli schiavi. Non a caso nella zona vivono a stretto contatto e mescolati oltre agli arabi, ai berberi e agli ebrei anche gli haratin di pelle scura, ultimi discendenti degli schiavi provenienti dal Sudan e forse anche dall’Etiopia.
Visitiamo lo kzar più ben tenuto di Dar e Hiba, dove vivono 280 persone. Ci avviciniamo a un altro ksar Rivat al Hibar, per fotografarlo da vicino. Entriamo nella valle del Draa, da cui -giova ricordare- partirono nel corso del XVI secolo i Saaditi, penultima dinastia dei Marocco, per respingere gli europei e riconquistare il Paese. Per ultimi gli Alawiti, tuttora al potere, provenivano dalla regione del Tafilat, altra valle adiacente alla valle del Draa.
Nella regione delle oasi e dell’ hamada che attraversiamo vi sono ben 126 ksour, ma le carte turistiche ne indicano solo una diecina. Ci fermiamo a 6 chilometri prima di Ouarzazate, per fotografare la kasbah di Tiffoultoute con 4 torri, trasformata in albergo negli anni Sessanta, per dare alloggio agli attori durante le riprese del film “Laurence d’Arabia”, ora diventato ristorante.
Poco più avanti sosta per incontrare l’uomo col cobra e della biscia, che si aspetta la mancia da chi lo fotografa, come suggerisce il nostro accompagnatore.
Dalla strada ammiriamo il prospetto degli studi di Atlas Film Studios, in cui sono stati girati molti film tra cui: “Gesù di Nazareth”, “Laurance d’Arabia”, “Il gladiatore”.
Pranzo ad Ait ben Haddou ( Ait= una tribù berbera ben=di Haddou= un nome di un pascià della zona), personaggio che si è fatto costruire per primo una sua kasbah attorno alla quale si formò più tardi un villaggio fortificato, che noi visiteremo dopo il pranzo. Per arrivarci dobbiamo attraversare il Wadi Mellah o fiume salato in groppa a un asino tenuto al guinzaglio da un locale che pagheremo 10 drihm a testa al ritorno. La cosa è divertente e mi ricorda la storia di S. Cristoforo. Quasi tutti accettiamo di farci trasportare dai pazienti asinelli. Si notano facce impaurite, schiene contorte, braccie abbarbicate al conducente e….l’acqua di 20 centimetri. Due o tre più coraggiosi affrontano il pericolo e raggiungono a piedi l’altra sponda Dimenticavo che il fiume è salato perché proviene da sorgenti intrise di salgemma e che di tanto in tanto con le piogge straordinarie straripa fino a 2 metri di altezza. Oggi è una limpida giornata.
I pavidi sul groppone dell’asinello attraversano il fiume…
Il pittoresco villaggio, spesso usato come location per riprese cinematografiche, si potrebbe visitare a ingresso gratuito, ma bisogna far lavorare più persone possibili. Se ne dà l’occasione anche alla nuova guida che ci accompagna nello ksar, non però ai tanti venditori lungo le vie, perché -ci dicono- non sono locali, affittano il posto e vendono oggetti che si possono trovare a miglior prezzo a Marrakech e poi…occorre non distrarsi e seguire la guida. Questi ci spiega con quale materiale e quale tecnica si costruiscono gli edifici, che richiedono costante e costosa manutenzione. Per tale motivo intervengono l’UNESCO, che lo considera patrimonio dell’umanità e una cooperativa di sostegno belga-marocchina. Rimangono impresse alla vista le torri merlate decorate con archi ciechi e disegni geometrici in rilievo che creano un gioco di luci e ombre. Nella parte alta un granaio collettivo, forse mal restaurato ma ottimo come postazione per fotografare.
Lo ksar oltre il fiume
Ritorniamo soddisfatti e frastornati per lo stupore verso il fiume, dove ci attende per ognuno di noi il guidatore dell’asino, quello che ci ha fatto varcare il fiume all’andata, il quale non si dimentica del suo cliente, lo va anzi in cerca, perché gli spetta il giusto salario. Ma attenzione a non mostrare altri spiccioli, se no vuole anche quelli! Lo stupore non è finito, poiché tra breve visiteremo un altro gioiello architettonico, la kasbah di Taourirt, unico monumento storico di Ouarzazate dell’inizio del XX secolo, appartenuto alla famiglia Glaoui. La nuova guida, con un italiano perfetto e un sapere profondo e piacevole, ce lo fa ancor più apprezzare. La luce del tramonto fa risaltare l’incanto delle costruzioni in ocra, che mi riporta alle immagini faraoniche dell’Egitto. Arriviamo all’albergo con un piccolo problema di riscaldamento subito rimediato, ben poca cosa in una giornata veramente spettacolare e indimenticabile!
Ouarzazate “La Kasbha di Taourirt”
2 gennaio- Ouarzazate/ Tinerhir/ Ouarzazate (380 km) Prima della partenza alle ore 8,00 vedo due marocchini che si salutano calorosamente, com’è d’uso in questo Paese, abbracciandosi stretti stretti intensamente oppure più volte guancia a guancia. Davanti a noi si presenta ancora il deserto roccioso, la mattina presto fa naturalmente freddino e si vede la brina sul terreno, del resto siamo a quota più di 1000 metri di altezza. Villaggio Imiter che significa “miniera” per la presenza di giacimenti di manganese. Taoufik sul pullman ci spiega, a richiesta, l’usanza in Marocco della sepoltura e della partecipazione al lutto, in cui predominano il senso dell’accettazione della morte e la condivisione attiva di tutto il vicinato. Durante il viaggio intravediamo un campo da golf, di cui il Marocco è molto attrezzato, fin quasi come la Scozia. Arriviamo a Tinehir. La cittadina è collocata in una felice posizione e costituisce un interessante insieme architettonico, per la presenza di antiche kasbah, un antico mellah (quartiere ebraico) e una parte moderna ben accordata al resto.
E’ delimitata da un palmeto che noi visiteremo il pomeriggio. Qui l’accompagnatore turistico ci presenta a un ricco proprietario di tappeti, che ci riceve nel suo negozio, ci presenta parlando italiano alcuni modelli di tappeti, offrendoci un caldo the con menta, la bevanda tradizionale. Fanno l’affare 4 o 5 dei nostri. Io fraternizzo con un tale che è vestito da tuareg, che accetta volentieri di essere fotografato e con cui riesco a scherzare allegramente.
Poi nella gola del Todra, costituita da scoscesi dirupi alti fino a 300 metri fra uno stretto corridoio. Notiamo degli arrampicatori di pareti. Frattanto dei ragazzini tentano di venderci dei piccoli loro lavoretti fatti con le foglie di palme, ma solo Viktor, la nostra piccola mascotte del gruppo, riesce ad apprezzarne uno dalla forma di carro armato, che compra. Qui facciamo il pranzo in un caratteristico ristorante.
Poi partiamo facendo tappa all’interno del palmeto di Tinehir, apprezzando il sistema di canalizzazione inventato dagli arabi, il verde intenso e l’atmosfera che si respira. Arriviamo a Ouarzazate verso le 19,00. Una giornata non particolarmente emozionante!
3 gennaio- Ouarzazate/ Marrakech (220 Km) Si fa ritorno nella città da cui abbiamo iniziato il tour. La mattina bisogna coprirsi bene, perché Ouarzazate è sita a quota 1160 metri. Bisogna ricordare che questa città era antica sede di una guarnigione della Legione straniera e venne fondata dai francesi nel 1928 come base strategica per la pacificazione del sud del Marocco. Continuiamo a stare ben coperti perché dobbiamo superare l’Alto Atlante al passo di Tizi-n-Tichka (m. 2260), dove ci fermiamo all’unico bar-ristorante qui presente. Gianni, uno del gruppo, prendendo spunto da una scritta che invita ad assaggiare il formaggio delle capre che si alimentano di esclusiva erba locale, commenta: “che meraviglia potersi soffermare qui ad assaporare formaggio genuino, respirare aria quasi incontaminata dove passano sporadiche auto!” Io condivido. Il paesaggio, dapprima spoglio e lunare, si fa gradualmente più verde fino a coprirsi di folta boscaglia man mano che ci avviciniamo a Marrakech e naturalmente si addolcisce la temperatura. Scorcio panoramico e fotografico ad Ait ben Halla; immancabili gli ambulanti a proporsi per qualche cosa, in questo caso, di noci. Taoufik ci svela che a 40- 50 km. da Marrakech non esiste una farmacia, mancano medicine e ospedali, per cui la gente per non morire prima ricorre ai guaritori locali e alle erbe della zona. Mi viene spontaneo pensare che anche i nostri paesi all’inizio del secolo scorso potevano trovarsi nelle medesime condizioni. Facciamo un’altra sosta prima di arrivare nella metropoli verso le 12,30. Era previsto il pranzo nel ristorante Jana (Boulevard Mohamed VI), ma qualcosa è andato storto o siamo arrivati in anticipo, non si sa esattamente perché le sale non sono pronte né tanto meno la cucina. Peccato perché l’ambiente è accogliente e originale! Si opta per il pranzo nel nostro hotel del primo giorno del tour. Finalmente abbiamo il tempo per rilassarci, per partire poi alle 16,30 per un giro nella città. Dapprima ammiriamo esternamente la moschea Koutoubia con il minareto, ma poi veniamo leggermente ( o molto, secondo le sensibilità individuali) scioccati dall’ immensa Place Jemaa el Fna, soprattutto quando ci immergiamo fra la gente variopinta e diversamente attiva. Si possono provare sentimenti contrastanti di paura nell’affrontare la massa caotica ed eterogenea, di curiosità, di coraggio, di sfida nel superare una certa incognita. Non so se di questo è consapevole il nostro accompagnatore perché ci spinge verso un bar -belvedere, da cui si domina sulla piazza, ma lontano dalla folla. Per affacciarsi sul terrazzo si paga 1 euro, ma ne vale la pena per trasformarsi in provetti cineasti. Da sopra si vede di tutto: bancarelle a perdita d’occhio, giocolieri, danzatori, abiti multiformi, incantatori di serpenti, trattenitori con spettacoli o con scimmie, passanti e una fiumana di gente in continuo movimento… Forse anche per questa varietà di immagini umane la piazza è Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Per gli abitanti questa piazza è il cuore pulsante della città, dove verso le cinque del pomeriggio tutti convergono per incontrarsi, divertirsi, per consumare negli innumerevoli chioschi succhi d’arance spremute sul momento e altre specialità, comprare frutta o immergersi negli svariati suk o…anche soltanto per guardare.
Si finisce con la cena in un ristorante lontano dall’hotel, con il contorno di danzatori, musici e ballerina con la danza del ventre. C’ è una bell’ aria di divertimento e di sintonia fra tutti i commensali.
Marrakech “Piazza Jemaa el Fna”
4 gennaio – Marrakech Per la visita della città ci viene incontro Ahmed, la nuova guida turistica. Con lui visitiamo: il giardino Menara, il palazzo col museo di Dar Si Said. Le informazioni che ci offre sono scarne in confronto a quello che ci dicono le guide scritte. Io ho perso il contatto col gruppo nella bolgia dei tanti visitatori, ma me la son cavato con l’aiuto di persone del luogo che mi hanno instradato verso il taxi e l’ hotel. Mi accorgo che i taxisti, pur senza clienti a bordo non si fermano a ogni loro chiamata, ma scelgono individualmente chi caricare, non so con quale criterio; infatti io ho dovuto far richiesta di trasporto almeno per una diecina di volte. Devo dire anche che non ho avvertito minimamente il panico di trovarmi solo e spaesato in un paese straniero tra caos inusuale di auto e persone. Il pomeriggio ci rechiamo col pullman presso la moschea Kontoubia, fatta costruire per celebrare nel 1147 la vittoria sugli Almoravidi del primo sultano almohade. E’ senza dubbio un capolavoro dell’architettura islamica insieme col minareto, la più alta costruzione della città, che servì poi come modello per la Giralda di Siviglia. Ahmed questa volta è più loquace,dicendoci tante cose in più, ad esempio che la sfera di bronzo dorato sulla sommità del minareto non ha alcun significato simbolico, ci descrive l’interno della moschea che noi dobbiamo solo immaginare, che l’invito alla preghiera è fatta dai quattro lati del minareto, sulla cui sommità è posta una specie di forca su ci si pone un segnale colorato per i sordi distanti. Accanto all’edificio sacro si notano i resti della precedente moschea della dinastia sconfitta, distrutta dagli Almohadi perché ritenuta non perfettamente rivolta verso la Mecca. In realtà per la mania di distruzione dei regnanti vincitori, come la storia ci insegna costantemente.
Ci viene lasciata un’ ora di tempo a disposizione. C’è chi preferisce immergersi nella Place Jemaa el Fna, io decido di girovagare per conto mio nelle strade laterali più tranquille. Infatti qui c’e meno gente, gli spazi tra i negozi sono maggiori, non mancano bar e altri ritrovi, non raramente vengono esposti i prezzi fissi della mercanzia. Scopro aspetti nuovi: il lustrascarpe mai adocchiato finora, i mendicanti che sono soprattutto donne, il controllore dei motorini che da lui vengono marchiati con un numero col gessetto, il venditore di vestiti usati, il circolo ricreativo dei ragazzi. Non vengo assillato da importuni o da venditori di passaggio, passo come uno qualsiasi e mi permetto di acquistare 2 CD senza sfibrarmi nella contrattazione. Arriva in questo momento l’invito alla preghiera del muezzin, sostituito ora dall’ altoparlante: al suo invito sembra che nessuno dia ascolto, si fermi o faccia segno di fervore religioso, che è forse troppo interiore o perché anche in Marocco ci sono molti non osservanti musulmani, come in tante parti del mondo.…Torniamo all’ hotel col pullman (che comodità!) all’orario stabilito. Ci spetta un’altra serata straordinaria in un ristorante fuori un bel pezzo dalla metropoli. Entriamo in una specie di fortino color ocra, da set cinematografico e da mille e una notte, dove siamo accolti da innumerevoli musici, donne e uomini in costumi locali da grande festa, da un centinaio di cavalieri su cavalli sfavillanti. Sono tutti sorridenti e tentano di instaurare un contatto con noi che entriamo tra due ali di questi attori; in fondo da un balcone mi sembra di intravedere una castellana o un nobile di lignaggio. Ci accomodiamo in una specie di tenda aristocratica, serviti per la cena da gentili camerieri in livrea. Verso la fine della cena c’è movimento fuori, dove in un grande stadio incomincia la fantasia, uno spettacolo folcloristico tradizionale, costituto da cavalli e cavalieri, che lanciandosi a galoppo roteano in aria i fucili a canna alta e, al comando di un capo, sparano all’unisono. I cavalli sono scelti: hanno almeno quattro anni e sono stalloni berberi o arabo-berberi Peccato che in questo incanto di spari e di luci siamo ostacolati dalla pioggerella intermittente e dal vento freddoloso! Usciamo dal set frastornati, ma soddisfatti.
5 gennaio- Marrakech Oggi è previsto col pullman un giro nella valle Ourika, cui hanno aderito quasi tutti i componenti del gruppo, ad esclusione di 5 persone, aggiungendo 18 euro a testa. Fra quelli non interessati sono io, che decido di recarmi alla medina, prendendo un taxi. Ho potuto scoprire la Fontana Chrob ou Chouf (=bevi e ammira) ma ora non più funzionante e malandata, costruita sotto i Sauditi , ho visitato il museo de Marrakech, l’esterno della medersa Ben Youssef, dove insegnò il famoso Averroè, lo splendido gioiello architettonico di Koubba Ba’ Adiyn, unico monumento almoravide a Marrakech, che faceva parte di una splendida moschea, demolita dagli Almohadi (la storia si ripete). Ancora una volta ho assaporato il contatto con la gente umile che costituisce la maggioranza della popolazione, in un ambiente degradato che ha il suo fascino, ma che urge un intervento esterno: quando e fino a che punto per non sconvolgere la sua specificità? Prima del pranzo mi riunisco al gruppo, per soffermarci in un negozio di antiquariato e di abbigliamento nella parte nuova della città, tutta un’altra cosa, per l’architettura, il vivere moderno e di tipo occidentale: è il contrasto ancora una volta evidente tra la vecchia e nuova città. Qui i turisti del Francorosso non dimostrano gran voglia di acquisti, forse anche perché si avverte la fame, che viene soddisfatta in un ristorante sempre tipico, d’alto bordo e fra archi a ferro da cavallo, stucchi decorati e ceramica colorata.
Verso le 16,00 ritorno in pullman al nostro hotel, foto di gruppo, abbracci al nostro intrepido
Taoufik e ai suoi collaboratori.
Due tre ore ancora da sfruttare per ritornare alla medina, per chi ne ha voglia, o per riposare oppure oziare in albergo. Domani si riparte per l’Italia. Peccato che l’incantesimo di questi giorni di tour sta per svanire! Ma sono stati giorni indimenticabili sia per quello che abbiamo visto sia per i nuovi compagni che ci resteranno nel cuore.
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