di Antonino D’Alessio –
Primo giorno. Pomeriggio di fine inverno.
Passeggiando per il Marais, si passa accanto a frammenti di sfilate, le ragazze dal viso bianchissimo, le gambe strette e le scarpe alla moda, stivaletti col tacco o ballerine, non c’è via di mezzo. Ho incrociato anche lo sguardo con modelle ormai non più sulla scena, con gli occhi persi alla ricerca di un’ultima passerella. La cosa che mi sorprende sempre nelle grandi città è la permanenza di luoghi in cui il tempo rimane sospeso accanto allo svolgersi della quotidianità, come l’Hotel de Sully.
Il cortile subito alle spalle dei rumori di Rue Sant Antoine, un giardino geometricamente perfetto, forma e sostanza, un rosone gotico diventato nido degli uccelli, padroni sonori di quello spazio. E’ uno dei tanti cambi di destinazione d’uso che si nascondono nella storia di ogni palazzo: boulangerie diventate negozi d’abbigliamento, vecchi quartieri popolari come Village St.Paul trasformati in sedi di antiquari e gallerie, una Saint Jacque usata come posacenere sul davanzale di una cappella subito fuori dal Duomo di St.Paul. Sui boulevards rovine di mura, chiese e campanili accanto ai saloni da coiffeur che lavorano fino a tardi, ognuno fa uno sforzo affinchè la città non appassisca troppo in fretta.
In una galleria di Place des Vosges, una scultura raffigura un commesso viaggiatore, un uomo con la valigia, sventrato: un rimasuglio d’esistenza, slabbrato dal tempo che consuma tutto, un sospiro sospeso, terribilmente attaccato alla vita.
Secondo giorno.
La pioggia ha sorpreso tutti verso sera ma anche senza ombrelli la gente sorride, orgogliosa e piena di gioia di vivere, con troppi progetti per piangersi addosso: mi sento di dire che è una lezione per noi italiani, il bene può essere solo comune e da questa consapevolezza nasce la comunità, la condivisione di valori e speranze. Ho camminato tutta la sera per Rue Oberkampf, arrivando ai margini del cimitero di Pere Lachaise: prima di partire ci vado. Domani Beaubourg P.S. Al Louvre ho rivisto quelle stesse figure della vetrina di Place des Vosges in una scultura egizia, legno d’acacia, un adulto che tiene per mano un bambino: 4000 anni e la rappresentazione della nostra provvisorietà non è cambiata granché.
Terzo giorno.
Salone del vintage in Rue de Blancs Manteaux. Stand con italiani da Firenze: compro polo a maniche lunghe a strisce grigie, blu e verdi. Esco e mi accorgo che sono i colori dei cartelli agli angoli delle strade, guardati tante volte durante il cammino. Mostra al Beaubourg su Mondrian ed il De Stijl: ben curata ed approfondita, hanno addirittura ricostruito il suo atelier di Rue de Depart, nome quanto mai appropriato visto che domani si ritorna. La notte con la luna più grande dell’anno rovinata dalle nuvole: in compenso, di fronte alla Biblioteca Nazionale, il giardino è illuminato con luci gialle, verdi e rosse, ad intermittenza, falene e lucciole artificiali.
Ultimo giorno, domenica, primo giorno di sole, primavera alle porte.
Vado a messa in Rue St.Martin: chiesa piena di bambini che gridano quasi come la solista del coro. Poi pellegrinaggio, stavolta più laico, a Pere Lachaise: segno dei tempi che la tomba di Jim Morrison sia più visitata di quella di Chopin; va molto anche Wilde. Infine riposo (non eterno) al Parc de Belleville prima dell’aeroporto: oltre alla magnifica vista di Parigi che si gode da qui, mi porto dietro (e dentro) i ciclisti che per strada vanno come se fossero al Tour, la baguette sotto braccio tornando a casa, la ragazza che si dà il rossetto aspettando il metrò e la promessa di imparare qualche parola di francese in più per la prossima volta.
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