Da Addis Abeba a Bishoftu, ovvero l’incanto di un lago craterico

di Massimo Romandini –
Bishoftu con l’incomparabile vista dei laghetti omonimi non gode la fama dei più celebrati laghi della Rift Valley (i più vicini Zway, Langano, Abyata, Shala, Awasa e i più lontani nel sud etiopico, che si raggiungono in una giornata di viaggio, Abbaya e Chamo, un tempo rispettivamente laghi Margherita e Ruspoli). In compenso, Bishoftu è una meta più facile in questi tempi in cui l’Etiopia non è facilmente percorribile: si tratta, lungo una strada ben asfaltata e di intenso traffico, di appena 48 chilometri. Abbiamo tra le mani una piccola, ma pratica guida turistica fornitaci dalla ITCO, l’agenzia di viaggi e turismo di Addis Abeba, a cui abbiamo fatto ricorso per il noleggio di una Volkswagen in discrete condizioni. Vi troviamo alcune indicazioni essenziali per una gita ai laghi craterici e scopriamo che esistono due servizi pubblici giornalieri per Bishoftu. Partiamo in una bella giornata, resa più fresca da un venticello quasi primaverile che ci accompagnerà in questa breve gita.

Attraversiamo una Addis Abeba piena di vita già nelle primissime ore del mattino, nonostante sia domenica. Le strade sono affollate da nativi ed Europei. Il traffico è intenso. C’è qualcosa, però, che parla dell’Africa: forse questa luminosità tutta particolare dell’altopiano (la capitale, com’è noto, è situata a 2400 metri e più s.l.m.); forse, il modo di vivere dei suoi abitanti (agli angoli degli inconfondibili bar alcuni bevono l’insostituibile sciai, il té, o discutono animatamente mentre si fanno lustrare le scarpe).
Superiamo in progressione il centro cittadino e la periferia meridionale: questa sembra ancora più viva per il viavai inarrestabile di uomini e cose. Bisogna prestare attenzione alle persone e alle cose. Ragazzini scalzi tagliano ripetutamente la via. Finalmente lasciamo le ultime case periferiche che si alternano a piccole fabbriche artigianali.

Percorriamo i primi chilometri (la strada è stata rimessa a nuovo dal nostro ultimo passaggio nel 1975 e il fondo stradale è tutt’altra cosa), ed eccoci ad Akaki che, a causa di una deviazione stradale, questa volta non attraversiamo come in passato. Akaki è un paesino singolare, fatto apposta . si direbbe . per esistere soltanto da queste parti. Lo ricordiamo bene: e ricordiamo, soprattutto, quelle basse casette addossate le une alle altre, qualche industria nascente, la Scuola Militare dell’Aviazione Etiopica, le piante e i fiori che qui, nel uoina degà (la parte dell’altopiano etiopico che va dai 1500 ai 2500 metri), sono parte essenziale dell’ambiente. Nei dintorni pittoreschi risaltano gruppi di poveri tucul, semplici abitazioni, traccviaggio in Etiopiae di un’esistenza ai limiti della povertà pura.
Lasciamo il bivio per Akaki e proseguiamo. Alla nostra sinistra compare il Monte Yerer (m 3019), mentre si susseguono gli eucalipti. Questi ultimi sono il simbolo di tutto lo Scioa, la regione della capitale. Perché non ricordare che il negus Menelik Il e l’imperatrice Taitù vollero edificare Addis Abeba proprio nel mezzo dei boschi di questa pianta meravigliosa?
Nei campi coltivati soprattutto a cereali (taff e dura) si notano pochi contadini e pochi zebù gibbosi. Molte auto ci sorpassano: siamo probabilmente i soli a procedere lentamente in un paesaggio meraviglioso. Eccoci a Dukem, altro piccolissimo e caratteristico paese. L’altitudine diminuisce rispetto alla capitale. Da Addis Abeba ad Akaki si è già passati a m 2120, ora a Dukem si è a m 1950, che scenderanno a 1920 a Bishoftu. Si tenga presente che sia Akaki sia Dukem prendono il nome da piccoli corsi d’acqua.
Alla nostra destra, mentre ci avviciniamo a Bishoftu, si delinea nitida nella chiara giornata la sagoma del Monte Zuquala (m 2946), dalla caratteristica forma a cono tronco. Più lontano si intravede il Monte Guraghe (m 3719).



Pochi chilometri ancora, segnati da euforbie a candelabro, agavi, sicomori e spinose acacie, e siamo alla meta. Se ne è andata quasi un’ora, ma è stato un tragitto da ricordare. A Bishoftu l’aria è appena più fresca. Ci dirigiamo al parcheggio del Debre Zeit Hotel, costruzione ben tenuta e ben funzionante che ricordiamo fin dai primi anni Settanta. Oggi, domenica, Bishoftu è luogo d’incontro di italiani ed europei della capitale, venuti qui a respirare un’aria decisamente salubre. Il parcheggio dell’hotel è tutto fiorito: le buganvillee viola ed arancione si arrampicano snelle sugli steccati e sulle ringhiere, gli eucalipti sono in gran numero.
Oltre alle buganvillee fiorite, dominano incontrastate le palme al centro di graziose aiuole contornate da rossi mattoni rettangolari, debitamente piantati nella terra. Prosperano anche gli oleandri e alti alberi di specie diverse. 

Saliamo i pochi gradini che ci separano dall’ingresso principale dell’Hotel. Attraverso un lungo corridoio usciamo in un grande terrazzo dove sono già apparecchiati, in modo semplice e rustico, dei tavoli quadrati. Da qui è possibile godersi la vista di una parte del lago.
Nella grande vasca, posta al centro di questo cortile sopraelevato, ammiriamo alcune grosse carpe che sono state pescate nel lago che ne è piuttosto ricco. A giudicare dagli italiani che vengono da Addis Abeba a trascorrere a Bishoftu la normali domeniche, la nostra comunità è ancora numerosa. La superficie del lago, la cui circonferenza supera certamente i tre chilometri e mezzo, è solcata in tranquillità da alcuni europei che praticano lo sci d’acqua. Le pareti vulcaniche declinano verso le rive, rispecchiandosi nell’acqua appena mossa, la cui profondità non supera gli 80 metri. Il paesaggio è un contrasto di colori veramente singolare, accattivante. Le sponde del lago ci mostrano la sua natura di specchio d’acqua craterico.
Ci dicono che il nome Bishoftu può considerarsi ormai sorpassato, anche se sopravvive nella comunità italiana di Addis Abeba. Il nome adottato è Debre Zeit, nome che del resto figura su tutte le carte geografiche fin qui consultate. Debre Zeit è anche il nome del vicino paese simile a tutti gli altri dell’altopiano.

Dopo aver pranzato all’italiana, tranne una bottiglia di buon vino delle colline di Guder, ed aver più volte rivolto lo sguardo al lago che sta sotto di noi, ritorniamo al parcheggio e ci avviamo per un vecchio sentiero sassoso. Costeggiamo la sponda destra del lago che a tratti non vediamo per la vegetazione rigogliosa. Superiamo anzitutto un gruppo di ordinate e ben tenute cabine che costituiscono, in un certo senso, la parte balneare di Bishoftu. La via scende lentamente fino a sfiorare l’acqua. Tra le piante spiccano gli eucalipti rigogliosi e vari alberi d’alto fusto, ma non mancano alcuni maestosi sicomori. Poche, ma caratteristiche, le acacie a ombrello. Intorno è un saltellare di uccelli colorati. In particolare, lungo un tratto di riva sassosa, notiamo oche selvatiche, pellicani e folaghe in gran numero.

Proseguiamo per pochi metri ancora: la vegetazione si è diradata e siamo a livello del lago, da cui ci separano pochi metri di terreno arido. Da qui (avremo percorso, sì e no, la metà dell’intera circonferenza) il colpo d’occhio è pressoché completo. Alla nostra sinistra le pareti vulcaniche, che cingono l’acqua, appaiono appena sopraelevate rispetto alla superficie lacustre; a destra, invece, e fino alla riva che intravediamo di fronte a noi, esse si levano più brulle a discreta altezza, come a voler ricadere sul lago stesso. Non siamo i soli ad attardarci dinanzi a tanta bellezza.
Predomina il contrasto dei colori, reso più evidente dal sole che torna a farsi vivo; risaltano il verde dei sicomori che punteggiano qua e là le rive e il marrone chiaro e scuro delle alture più distanti. Alcuni bambini, incuriositi dalla nostra presenza, ci seguono sotto un sicomoro ben modellato.
Alcuni nativi ci parlano dell’esistenza di sorgenti d’acqua termale nella zona e dello spettacolo che di frequente è possibile godere, quando le lunghe mandrie degli zebù scendono qui ad abbeverarsi per lo stesso sentiero che noi abbiamo percorso. Ma soprattutto ci raccontano del volo serale degli ibis bianchi sulle acque del lago, quando sull’imbrunire, come guidati da una mano misteriosa, migliaia di candidi uccelli piovono mollemente dai campi e dalle alture circostanti e si posano sullo specchio. Sembra che l’acqua stessa scompaia sotto il velo bianco che la ricopre in pochi minuti. Alcuni volatili si accontentano di posarsi sulle chiome degli alberi, imbiancandole; ed è un continuo meraviglioso sbatter d’ali per tenere la posizione e non essere sospinti via da altri ibis. Di spazio ce n’è appena per tutti.  notte calata, solo gli alberi resteranno gravati dal peso dei volatili. L’appuntamento è fissato per ogni sera.

Se tra poco andremo via da Bishoftu con un pizzico di rammarico, sarà soltanto per lo spettacolo degli ibis che non potremo vedere.
E’ ora di partire con il nostro prezioso carico di foto, anche se tutti resteremmo volentieri. Il tempo si è fatto meno bello e alcune grosse nuvole, che si riflettono nella calma superficie del lago, appaiono minacciose. Ritornati alla nostra auto, ripercorriamo lentamente in senso contrario la solita pista. Ci fa compagnia, lungo la sponda alla nostra destra, una fila di pesanti e quiete oche selvatiche, per nulla intimorite dal nostro passaggio. Solo quando uno di noi accenna a scendere dall’auto, si allontanano velocemente. Qualche ragazzino ci segue e ci saluta.
Ecco l’ultima immagine dei lago: un grande specchio, una placida superficie, dalle tinte ora più cupe ma non meno interessanti, punteggiata di folaghe nere. Si avvicina l’ora degli ibis bianchi.

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