Etiopia

di Nicola Samà –
Dopo il viaggio nel deserto algerino e successivamente in Eritrea, in Palestina, nel Burkina Faso, eccomi di nuovo in Africa, terra che mi ha completamente rapito.
L’associazione ONLUS “Acqua per la Vita” del mio amico e collega Vincenzo D’Amore di Alba (CN) (www.acquaperlavita.org) da alcuni anni si propone di raccogliere fondi per la costruzione di pozzi d’acqua in Africa, oltre che per sostenere altre opere, sempre a scopo umanitario. L’Etiopia è uno dei Paesi africani dove la povertà colpisce la maggior parte della popolazione non urbana, che trova nelle risorse rurali l’unico mezzo di sostentamento; si ricordano periodi di grave siccità e carestie. L’acqua, quindi, in questo territorio è un elemento essenziale alla sopravvivenza.

Il viaggio in Etiopia, cui partecipano dieci soci, è stato organizzato in occasione dell’inaugurazione di un pozzo d’acqua per irrigazione in un villaggio del nord del Paese.
Naturalmente i 15 giorni del viaggio ci consentono, anche, di visitare e conoscere da vicino monumenti, villaggi, città del vasto altopiano del nord; per ultima, la capitale Addis Abeba.
Il primo impatto, dopo il triplo volo aereo, è con la città, ovvero l’agglomerato di capanne (tucul) di Lalibela, splendida località ricca di monumenti secolari, come le chiese monolitiche, raro esempio di edificio non costruito ma scavato dall’alto nella roccia. Chi conosce i “sassi” di Matera può capire di che si tratta. All’interno delle chiese ammiriamo interessanti dipinti, affreschi, arazzi, decorazioni, oggetti sacri, in particolare le croci in diverse forme.

Per visitare una di queste chiese saliamo a dorso di mulo fino a 3000 metri di altitudine.
La parte di Etiopia che visitiamo è legata alla storia-leggenda della regina di Saba e del re Salomone, da cui ha origine la dinastia degli imperatori, dell’Arca dell’Alleanza e del cristianesimo diffuso fin dai primi secoli.

Una parte della storia più recente di questo Paese riguarda l’Italia, che nel periodo del colonialismo si è prodigata, in particolare, nella costruzione di strade, circa 3500 km in territorio montano, che ancora oggi rappresentano le uniche vie di comunicazione; in contrasto con queste opere meritorie, questo popolo non può dimenticare i gravi danni arrecati dal Fascismo, in particolare dal maresciallo Graziani, autore di stragi disumane mediante l’uso di gas proibiti.
Da Lalibela verso Macallè attraversiamo un altopiano vastissimo e riccamente coltivato da mano esclusivamente umana: non si vede un trattore, nessun mezzo agricolo meccanico, qualche aratro rudimentale, buoi, muli. Per il resto, solo braccia e gambe di anziani, giovani, ragazzi e anche bambini (sic!) di entrambi i sessi, dediti alle attività agricole o pastorizie.
Le coltivazioni che vediamo sono di miglio, orzo, grano, teff, riso, lenticchie, canna da zucchero.
Gli animali sono bovini, ovini, asini o muli, dromedari.



Qui la vita si svolge letteralmente dall’alba al tramonto (dalle 6 alle 18, praticamente tutto l’anno, perché vicino all’equatore), per poter sfruttare la luce naturale, in assenza di corrente elettrica. Perciò, in questo Paese le ore durante il giorno si contano dalla prima alla dodicesima.
Un bambino, qui, ogni giorno si sveglia e comincia a camminare per chilometri e chilometri, per andare a scuola o nei campi o a portare al pascolo gli animali.
Per la strada incontriamo a decine studenti con le loro variopinte divise.
Ad ogni sosta del nostro pulmino spuntano dal nulla bambini, alla ricerca di un piccolo atteso dono: una penna, una matita, un quaderno, una moneta; non caramelle (la nostra guida dice che sono diseducative, oltre che dannose, giustamente!).

In prossimità di Macallè vediamo stagliarsi davanti a noi l’Amba Alagi e l’Amba Aradam, montagne che richiamano una storia non felice per l’Italia. Nelle vicinanze la città di Adua.
Shenfaeto, il villaggio dove inauguriamo il pozzo, si trova nei pressi di Adigrat, nella regione del Tigray. La comunità locale al completo, con le figure politiche e amministrative nonché religiose in primo piano, ci accoglie in maniera festosa entusiasmante, con canti e balli caratteristici e un pranzo tipico (la ‘njera). Si taglia il nastro, si fanno i discorsi in doppia lingua, amarica e inglese.
Anche la TV è presente per una ripresa dell’evento, che sarà trasmessa nei prossimi giorni nel telegiornale serale.
Una giornata indimenticabile per la nostra associazione, non solo per le emozioni vissute, ma soprattutto per la constatazione di un progetto felicemente realizzato, utile a una piccola comunità di uno sperduto villaggio dell’Africa. Ci siamo già impegnati a continuare l’opera il prossimo anno.
Il viaggio continua verso Axum, capitale dell’impero axumita pre-cristiano. Qui ammiriamo i famosi obelischi (anche quello restituito dall’Italia qualche anno fa) e la chiesa, solo dall’esterno, dove sarebbe custodita l’Arca dell’Alleanza, cioè le Tavole dei Dieci Comandamenti (Tabot).
Durante il percorso visitiamo chiese rupestri situate in montagna, che raggiungiamo dopo ore di trekking; c’è anche un monastero, dove alcuni di noi salgono legati a una corda per sedici metri di altezza.

Dopo Axum la nostra meta è in alto, a 3260 m, per visitare lo spettacolare parco del Simyen dalla ricca e varia vegetazione. Ricordiamo la passeggiata in mezzo ai babbuini, mentre si spulciano indisturbati. Nello splendido scenario montano e in un’incantevole atmosfera di silenzio estremo ci gustiamo il sole che tramonta e sorge su uno smisurato orizzonte.
Scendendo verso l’altopiano, nella cittadina vicina visitiamo una scuola, accolti con garbo dal direttore e da alcuni insegnanti e con entusiasmo dagli alunni, cui doniamo il nostro contributo in denaro per l’acquisto degli arredi di due edifici in costruzione.
Riprendendo il viaggio verso Gondar, attraversiamo il villaggio Falasha, costituito da una minoranza etnica ebrea, discendente da un’antichissima popolazione semitica proveniente dalla Penisola Arabica.

A Gondar, antica capitale nel 1636, troviamo tipiche costruzioni di stile italiano e diversi castelli della dinastia degli imperatori, utilizzati dagli italiani durante la guerra come quartier generale e regolarmente bombardati dagli inglesi.
Il lago Tana e il Nilo Azzurro sono la meta della nostra sosta a Bahr Dahr.
Una gita in barcone sul lago, per visitare i monasteri situati su due isole, poi il trekking e l’attraversamento a piedi nudi del fiume per ammirare le famose cascate, poco visibili, per la verità, a causa della (giusta) deviazione per la produzione di energia elettrica.
Il lungo viaggio di ritorno di circa 600 km verso Addis Abeba, con dislivello da 1800 a 3000 metri di altitudine, ci porta ad attraversare villaggi musulmani in festa, con bovini sgozzati all’aperto e distribuzione della carne a tutti.

La capitale la ricordiamo soprattutto per la visita al centro don Bosco di don Angelo Regazzo, un instancabile salesiano, una forza della natura o di Dio, già espulso dall’Eritrea, dove avevamo visitato tre anni fa il suo ottimo centro di scuole professionali. Qui egli ha creato un centro di accoglienza di ragazzi di strada, che vengono recuperati socialmente e avviati ad attività lavorative, seguendo integralmente il metodo educativo preventivo di don Bosco.

Una visita dovuta a Lucy, l’intatto scheletro millenario, nostro progenitore, ritrovato in questo Paese e custodito nel Museo Nazionale, ci regala le ultime emozioni.
L’immersione, con le precauzioni obbligatorie, nel più grande mercato dell’Africa conclude il nostro viaggio materiale, con l’acquisto di oggetti d’artigianato locale.
Ma quello che resta nei nostri occhi e nel nostro animo continua a trasmetterci sensazioni ed emozioni che è difficile descrivere. Esse andrebbero vissute da ognuno di noi, nati in una società troppo diversa, che da tempo ha già dimenticato un modo di vivere piuttosto naturale.

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