Africa

Visita ai templi di Abu Simbel

di Massimo Romandini –

La visita ad un luogo sacro dell’archeologia egiziana, come Abu Simbel, ripaga di ogni fatica fisica per raggiungere l’aeroporto di Aswan e prendere il primo volo disponibile, anche di primissimo mattino. Aswan, l’antica Syene dei Greci, è una località incantevole, un po’ deserto e un po’ verde: un verde strappato con tenacia alla temperatura inclemente.
Di Aswan si potrebbe dire molto. Fu, ed è ancora, un crocevia di considerevole importanza, un passaggio obbligato, come la non lontana Wadi Alfa (in territorio sudanese, ormai sotto il Lago Nasser), per andare al di là del confine egiziano, dopo la prima cateratta del Nilo.  Qui un tempo sfilavano lunghe carovane, qui si svolgevano affollatissimi mercati di cammelli che, da queste parti, sono ancora un mezzo di scambio e una moneta pregiata: qui finiva l’antico vero Egitto e qui, in verità, finisce ancora oggi. Il confine sudanese è a poche decine di chilometri, ma se non ci fosse, le cose non muterebbero. Egitto meridionale e Sudan settentrionale, Alto Egitto e Bassa Nubia, possono per molti aspetti essere identificati: geografia e storia si confondono l’uno con l’altra.
Da Aswan ad Abu Simbel si potrebbe andare anche in auto, poiché una strada consente di percorrere in circa quattro ore i 300 km che separano le due località. Sarebbe una bella esperienza attraversare il deserto con i suoi 50°, ma ragioni di tempo e di… alta temperatura consigliano di utilizzare voli locali che in soli trenta minuti ti portano a destinazione.
Raggiungere Abu Simbel non è sempre così facile, neppure con l’aereo: i ritardi sono frequenti, a volte gli aerei non partono affatto, i viaggi sono annullati con disappunto dei turisti. A noi è andata proprio bene. Un aereo dell’Air Sinai è puntualissimo e ci porta in poco tempo a sorvolare una distesa desertica dalle molteplici tonalità di giallo dove sembra che la vegetazione si rifiuti categoricamente di crescere. Sotto di noi, dominante, c’è l’immensa distesa d’acqua del Lago Nasser: il bacino creato dallo sbarramento sul Nilo per dare nuove risorse ad una zona notoriamente assetata e scarsa di prodotti agricoli da tempo immemorabile, ove si escluda un’esigua fascia lungo le rive del fiume. E’ un lago artificiale di ben 500 km di lunghezza, di cui meno di un terzo in territorio sudanese, distante solo 50 km da questi luoghi. Nato in dieci anni di intenso lavoro per la costruzione della non meno nota diga di Aswan (High Dam), fu voluto fortemente dal presidente Nasser negli anni Cinquanta. Al Lago Nasser, così vasto, così bello, si deve un apprezzabile recupero dell’economia egiziana, ma sono anche imputabili alcuni squilibri ecologici e la perdita di molti tesori archeologici finiti per sempre sotto le sue acque.

Anche i Colossi di Abu Simbel, che già affascinarono Jean François Champollion, sarebbero scomparsi a molti metri di profondità, se l’UNESCO non avesse fatto il miracolo, permettendone lo spostamento 200 m più in là del loro sito e 64 m più in alto, con una spesa superiore ai 40 milioni di dollari dell’epoca. Tutto il sito, 280 km a sud della prima cateratta, aveva i giorni contati, ma nel settembre 1968 i lavori furono dichiarati chiusi ed Abu Simbel poté rivivere dopo la grande paura. Sia il tempio maggiore di Ramsete II, sia il piccolo tempio della moglie Nefertari erano stati suddivisi in oltre 1300 blocchi di 20-30 tonnellate ciascuno. Si trattava di arenaria, un materiale non proprio resistente alle offese del tempo: necessario, pertanto, rinforzare i blocchi con iniezioni di resina sintetica. Era stata smantellata anche la montagna che incastonava i due templi. Intanto, una diga di emergenza aveva trattenuto le acque del lago.

I giornali del tempo riportavano spesso immagini di blocchi sollevati e trasportati nel luogo prescelto. Prezìosa si rivelò la consulenza dei cavatori di marmo delle Alpi Apuane che dettero il loro contributo qualificato, frutto di un’arte millenaria. Cinque anni per realizzare il miracolo e impiegati centinaia di operai nubiani particolarmente resistenti al calore del luogo, decine di tecnici ed ingegneri egiziani e di tutto il mondo.
Abu Simbel è tornato quello di un tempo. I tecnici hanno saputo ricreare artificialmente le stesse colline sopra i templi, sostenendole con volte interne, colossali e visitabili. 60.000 tonnellate il loro peso. Il peso dei due templi smantellati in blocchi era stato rispettivamente di 11.500 e 3.500 tonnellate.
Dall’aeroporto, molto piccolo e provinciale di Abu Simbel, al sito archeologico il tragitto è di pochi minuti. Dalla fermata del pullman e dal vicino ingresso, dove si acquista il biglietto, al grande tempio corre una via polverosa di alcune centinaia di metri, punteggiata qua e là da qualche acacia. A destra di chi procede è possibile dopo un po’ godere la vista del Lago Nasser che incute un senso di vastità difficilmente ripetibile a parole. A sinistra, mentre si procede, comincia a profilarsi il grande tempio di Ramsete II e, quando finalmente si è di fronte all’ingresso, con le spalle al lago, la vista è completa.

Il Grande Tempio (o Tempio Maggiore) fu edificato verso il 1260 a.C. dal faraone Ramsete II. All’inizio del XIX secolo giaceva ancora parzialmente sotto le sabbie del deserto. L’impressione di grandiosità che dà questo capolavoro unico nel suo genere resta a lungo nella mente. Abituati a vederlo nei libri di storia dell’arte o in isolate foto, ci si fa già un’idea di spettacolarità che il vederlo di persona accresce singolarmente. Immerso in un paesaggio desolato, di fronte all’azzurro del lago, in una temperatura che troviamo di 52° verso le ore 9 (ma spesso è sui 60°!), il grande tempio si presenta come l’esaltazione del faraone divinizzato. I quattro Colossi, posti ai lati dell’ingresso, attestano l’onnipotenza che Ramsete II volle scolpire nella mente dei sudditi giorno dopo giorno, creando di sé un’immagine grandiosa e venerata. Fu storicamente un grande imperatore, ma egli seppe coltivare con abilità la sua immagine.
Dopo di lui l’Egitto attraversò un periodo di grave decadenza e i suoi tempi gloriosi non tornarono più. Tutto l’Egitto storico.archeologico porta i segni della sua onnipresenza, da Abu Simbel a Luxor, da Karnak a Saqqara. I quattro Colossi di cui il secondo da sinistra vide crollare la parte superiore già in età antica, sono l’onnipresenza del faraone. Sorridono appena, dicono che il padrone dell’Egitto è lui. La grandezza dei Colossi null’altro significa se non che Ramsete II è il tempio e il tempio è lui. La facciata della grande costruzione è rivolta ad est dove sorge il sole, quel Sole che gli antichi Egiziani esaltarono in un inno dell’epoca di Amarna attribuito al faraone eretico Akhenaton.

La ricostruzione del tempio nei cinque anni di faticoso lavoro della comunità internazionale ha mirato, riuscendovi, a dare lo stesso orientamento della posizione originaria, per cui i raggi del sole entrano nel sacrario (o naos) esattamente due volte l’anno, come avevano voluto Ramsete II e i grandi sacerdoti. Queste date sono il 20 febbraio e il 20 ottobre, quelle della nascita e dell’incoronazione del faraone onnipresente e onnipotente. In quei giorni, ogni anno, Ramsete II, presente qui ai confini del suo Egitto, usciva dal naos illuminato dai raggi solari, avvolto da un’aureola di divinità, bello a vedersi, osannato da chi fuori lo attendeva. Ramsete II era il Sole in tutte le sue manifestazioni: era Ra-Horakhty, il sole levante; era Ammon.Ra, il sole di mezzogiorno; era Ra, il sole calante.

I quattro Colossi della facciata sono alti 20 m, ma anche le altre misure possono dare il senso visivo della grandiosità. La larghezza del volto è di 4,17 m, il naso è 0,98 m, la bocca 1,10. Ramsete II si è fatto rappresentare con la corona dell’Alto e del Basso Egitto (pschent) ed ha tra le gambe di volta in volta la sposa Nefertari, la madre Tui, un figlio e un altro figlio. Sugli zoccoli dei Colossi sono rappresentati i nemici vinti e l’unificazione dell’Alto e del Basso Egitto, in forma simbolica. Sopra l’ingresso è presente una nicchia con una statua di Ra.Horakhty, il sole levante, le cui mani poggiano su simboli dalla forma dei geroglifici Usar e Maat che costituiscono il nome di Ramsete II da incoronato: Usar-Maat-Ra.
In alto, la facciata presenta una lunga teoria di scimmie sacre. In origine, erano ventidue con un’altezza di 2,30 m. Entrare nel grande tempio significa trovarsi subito nella sala molto vasta, che presenta otto pilastri fiancheggiati da statue osiriache. A destra il faraone ha in capo la doppia corona, a sinistra la sola corona bianca dell’Alto Egitto. Le pareti della sala hanno belle immagini ben conservate, come tutto il resto. Si pensi che qui, come fuori, del taglio in blocchi all’epoca del salvataggio non resta se non una linea sottilissima di colore appena diverso rispetto a quello dell’arenaria. Sono i risultati di un lavoro perfetto e di un meticoloso ritocco finale.

Tornando alle pareti interne del tempio, c’è da ricordare che la rappresentazione è quella della grande battaglia di Qadesh, avvenuta nel quinto anno del regno di Ramsete II. Fu quello uno scontro veramente storico. Egiziani ed Hittiti si affrontarono con feroce accanimento e il faraone lamentò forti perdite. Fu a un passo dal disastro militare. Qui sulle pareti appare trionfante con i suoi uomini, ma a Qadesh non fu vittorioso come hanno voluto (o dovuto?) celebrarlo i suoi artisti. Dalla storia di quel lontano scontro si è già passati al fasto, all’epopea. L’incerto successo militare fu seguito da un più efficace matrimonio tra il faraone e la figlia del re Hattusili III. Quel che non poté una battaglia, poté la diplomazia…
La parete di sinistra, a sud, presenta il faraone con altre divinità e, tra le varie immagini colpisce particolarmente quella di Ramsete II che, in ginocchio davanti al sicomoro (l’albero venerato dal cui tronco gli Egiziani ricavavano i sarcofagi), riceve da Ra.Horakhty “milioni di anni di vita”. E’ presente Toth, il dio-testa di ibis, patrono delle scienze e del calcolo del tempo, che registra ogni cosa. Sulle fasce inferiori delle pareti si aprono scene di guerra che vedono il faraone trionfante attaccare i nemici e farli prigionieri. Ai due lati della porta d’ingresso si succedono rappresentazioni che hanno ancora per protagonista il faraone vittorioso. In alcune egli sacrifica i suoi prigionieri.

Il soffitto della seconda sala è sostenuto da quattro pilastri quadrati, mentre le pareti rappresentano scene sacrificali. Nel pronao, Ramsete II è affiancato dalle dee Anuqet, Satet, Hathor e Mut. Il naos (sacrario) presenta al centro il supporto della barca sacra e sul fondo quattro statue: da destra Ra-Horakhty, Ramsete III divinizzato, Ammon.Ra e Ptah. La divinizzazione del grande faraone è dunque compiuta: egli siede tra gli dèi. Quando, come si è detto, due volte l’anno il sole penetra in questo sacrario, le statue ricevono la luce diretta. Solo la statua di Ptah, che è il dio di Menfi, il dio.creatore, ma anche il dio del mondo sotterraneo, resta esclusa dai raggi solari. Risistemato il grande tempio com’era in origine, il miracolo della luce continua a ripetersi puntualmente. Ai lati dell’asse centrale si aprono alcune camere che erano magazzini per le offerte dei sacerdoti.
L’uscita all’esterno significa il ritorno al sole accecante di Abu Simbel. A destra e a sinistra dell’uscita si vedono le due cappelle dedicate rispettivamente ad Ammon.Ra e a Ra.Horakhty. Chi vuole visitare la cupola di 60 m di diametro e 23 d’altezza, che fa da sostegno alla falsa collina sovrastante il tempio di Ramsete II, vi può accedere da una porta che immette direttamente nell’enorme struttura. Per quanto poco illuminata, la cupola appare in tutta la sua grandezza. Si può salire attraverso un sistema di scale e di corridoi. Se il grande tempio del faraone è affascinante, la cupola dà l’immagine più chiara degli sforzi compiuti per recuperare Abu Simbel alla storia dell’arte mondiale.

Il Tempietto (il diminutivo va bene soprattutto in rapporto alla grandezza del primo tempio) si trova a poche decine di metri, verso nord, dai Colossi. E’ dedicato alla sposa prediletta di Ramsete II, Nefertari, ma anche alla dea Hathor, rappresentata sempre come vacca o come donna dalla testa di vacca o dalle orecchie di vacca: la dea.madre, sposa di varie divinità a seconda dei luoghi di culto. Il tempietto è di ben altra semplicità rispetto a quello di Ramsete II. All’esterno risaltano alla vista quattro nicchie con quattro statue del faraone incoronato che si alternano a due statue di Nefertari. I figli sono rappresentati contro le loro gambe. Nefertari, più amata certamente della figlia del re degli Hittiti sposata per ragion di stato, ha gli ornamenti tipici della dea-madre, le corna di vacca, il disco solare e due lunghe piume. Stringe inoltre nella mano sinistra il sistro, lo strumento musicale caro ad Hathor, dea anche della musica e della gioia.
Molto semplice ed austero l’interno del tempietto: la grande sala del pronao è abbellita da sei pilastri atorici, che rappresentano la testa della dea a forma umana con orecchie di vacca. La decorazione alle pareti ha la fortuna di aver conservato una parte dei colori antichi, ma anche qui è severamente vietato l’uso del flash. In ogni rappresentazione domina la figura bella e slanciata della regina che, così esile e luminosa, conserva il fascino di un tempo.

Nella parete sud, a sinistra, Nefertari è al cospetto di Anuqet, la dea della prima cateratta del Nilo, che con Khnun e Satet formava la triade religiosa di Elefantina, l’isola a cinque minuti di traghetto da Aswan. Sulla parete nord, Nefertari è questa volta al cospetto di Hathor. Attraversato un piccolo vestibolo, si entra in un naos dov’è rappresentata la dea Hathor in forma di vacca su una barca che passa in mezzo ai canneti; e lei, la grande madre, ha qui la sua consacrazione. Nefertari finisce qui con l’identificarsi con Hathor, come Ramsete II si divinizza nel grande tempio.
La bellezza del sito archeologico di Abu Simbel è ineguagliabile. Quando lo si lascia per correre ancora in aeroporto e fare ritorno ad Aswan col primo volo disponibile, si ha la mente piena di Ramsete II, il faraone che ha popolato l’Egitto dei suoi templi e delle sue statue, che l’ha vivificato della sua presenza e che si è innalzato al ruolo di Dio.

 

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Marco

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