di Giovanni Colnaghi –
Avvertenza: questo racconto non è indicato a chi cerca informazioni utili circa hotel, ristoranti, escursioni o, comunque, ad organizzare un viaggio “fai da te”. Non descrivo monumenti e la loro storia, per questo le numerosissime guide, sono senz’altro più adatte di me. In questo racconto ho voluto solo raccontare le mie sensazioni e le mie emozioni. Alcuni aneddoti divertenti e niente più. Venerdì 23 marzo 2007
Mi sveglio da un lunghissimo sonno, guardo l’orologio, sono le 3:05 di mattina, ma in Cina, dove mi trovavo sino a l’altro ieri, sono le 10:05. E’ evidente che devo riadeguarmi al nostro fuso orario, processo inverso a quello intrapreso venti giorni fa quando sono giunto a Beijing, ovvero Pechino. Ma andiamo per ordine.
PREMESSA
Nel novembre 2006 decido finalmente la meta di viaggio del prossimo anno. Le destinazioni in ballo sono Centro America (Messico, Yucatan, Guatemala), Sud America (Perù), Sud Africa (Namibia, Botswana) e Cina. Poiché nella nostra democratica famiglia io decido dove andare, ma mia moglie può esercitare il diritto di veto, il Sud Africa, con mio disappunto, è la prima meta ad essere scartata. La mia dolce metà non è propensa a seguirmi per la savana polverosa, a bordo di un fuoristrada, alla ricerca di animali più o meno feroci e a nulla sono valse le mie subdole argomentazioni circa la possibilità di destreggiarsi in uno shopping di alto livello, i diamanti. Messico e Perù sono praticamente immutabili; visitarli ora o fra un anno o due, poco cambia. La Cina, invece, è una nazione che si trasforma radicalmente giorno per giorno, tardare a visitarla potrebbe significare non trovare più nulla dell’immagine di quell’oriente misterioso che ognuno di noi si è figurato. Quindi…. vada per la Cina.
ORGANIZZAZIONE
Per me organizzazione significa decidere il periodo migliore per la partenza, durata del viaggio, visite ed escursioni imperdibili, tour operator più affidabile per la destinazione scelta, verificare se la situazione sanitaria rende necessario od opportuno sottoporsi a vaccini o profilassi e, infine, decidere cosa mettere in valigia.
Dopo affannose ricerche in rete giungo alle seguenti conclusioni:
1) il periodo migliore per la partenza è la fine di marzo. Il rigore invernale al nord della Cina dovrebbe cominciare a lasciare posto a temperature più miti ed è ancora prestino per imbattersi nel periodo delle piogge monsoniche;
2) Il viaggio non dovrebbe durare meno di 15 giorni (la Cina è immensa e tanto c’è da visitare) e non più di 20 giorni per non creare problemi di ferie a mia moglie;
3) Le mete irrinunciabili, per i miei gusti, sono: Pechino con la sua Città proibita e la Grande muraglia, Shanghai la città del futuro, Xian con l’esercito di terracotta, Guilin e le schegge di giada e, visto che mi trovo da quelle parti, non disdegnerei una puntatina ad Hong Kong;
4) Nessuna vaccinazione o profilassi obbligatoria o consigliata;
5) Per l’abbigliamento decido di portare pochissimi capi di media stagione più un giubbotto pesantino per far fronte ad eventuali impreviste basse temperature. Stranamente, per la prima volta in vita sua, mia moglie si adegua di buon grado alle mie decisioni;
6) Nel periodo prescelto un solo T.O. propone viaggi di durata superiore ai 15 giorni, pertanto la scelta è obbligatoriamente ricaduta su “Mistral”.
Programma di viaggio: 19 giorni dal 18 marzo al 5 aprile. Mete: Pechino, Nanchino, Suzhou, Hangzhou, Shanghai, Xian, Guilin, Canton ed Hong Kong.
IMPREVISTO PREVIAGGIO
E’ il 28 febbraio, quando il mio agente di viaggi mi comunica che per il 18 marzo il T.O. incontra difficoltà a raggiungere il numero minimo di partecipanti (6) e mi propone di anticipare la partenza al 4 marzo. Fortunatamente mia moglie riesce a spostare le ferie, io riorganizzo il mio lavoro e le valige sono già quasi completamente pronte. Accettiamo la proposta, nonostante il brevissimo preavviso, ed attendiamo la conferma per il vettore aereo. Lufthansa, la compagnia aerea prevista dal programma, non ha più posti liberi e veniamo quindi dirottati su Austrian Airline. Unico inconveniente è che raggiungeremo Pechino per le ore 13.00, mentre il resto del gruppo giungerà alle prime ore della mattina, iniziando le visite.
LA PARTENZA
4 marzo. Di prima mattina raggiungiamo Fiumicino per prendere il volo che ci porterà a Vienna dove, in serata, ci imbarcheremo sul volo intercontinentale per Pechino. Sarà l’occasione per dare uno sguardo al capoluogo Austriaco, dato che non ci siamo mai stati. Su internet ho letto che c’è un treno che collega l’aeroporto di Vienna al centro della città. Decidiamo dunque di avvalerci di questo comodissimo mezzo. Subito comincio a litigare con la macchinetta automatica che rilascia i biglietti, cercando di capire le istruzioni fornite in tedesco ed in inglese. Alla fine della litigata, mi ritrovo con una sfilza di biglietti che escono dalla macchina infernale ed un addebito sulla carta di credito di € 74,00. Chissà cosa avrò comprato per quella cifra, visto che il biglietto andata e ritorno costa pochi spiccioli. Monto sul treno con il timore di essere forse sprovvisto del titolo di viaggio, ma per fortuna sono passati i controllori e tutto è andato bene. Promemoria: ricordarsi di ripassare il mio stentato inglese. Dopo la degustazione di qualche specialità viennese ed una breve passeggiata, decidiamo di tornare in aeroporto per attendere l’imbarco.
Il viaggio. L’aereo è un Airbus A340 nuovo di zecca. Fra un sedile e l’altro c’è uno spazio vitale sufficiente a consentire un volo confortevole anche alle persone di alta statura. Lo schienale di ogni sedile, inoltre, è dotato di un monitor sul quale il passeggero seduto dietro può scegliere se visionare un film in lingua tedesca, inglese o cinese (meglio lasciar perdere… ), dei videogames giocabili mediante una specie di joystick inserito nel bracciolo della poltrona, oppure, meraviglia delle meraviglie per un appassionato di volo come il sottoscritto, vedere su mappa la rotta seguita, i parametri di volo e collegarsi a due telecamere poste rispettivamente sotto e sul muso dell’aereo. Seguo con attenzione tutte le procedure di decollo e di allontanamento e poi mi unisco a mia moglie fra le braccia di Morfeo.
Quando si vola da ovest verso est, come nel nostro caso, si corre incontro all’alba e la notte dura pochissimo. Dopo qualche ora di sonno, infatti, vengo svegliato da una fioca luce che filtra dal finestrino. Il sole, ancora nascosto dietro l’orizzonte, inizia a rischiarare un cielo stracolmo di stelle in una mattinata insolitamente tersa. Il terreno sottostante, completamente ricoperto di neve, sembra una lastra d’argento; ho l’impressione di essere stato catapultato in un mondo fiabesco o di realtà virtuale. Accendo il monitor per vedere la nostra posizione e la rotta. Il piano di volo ci ha portati da Vienna sin sopra Mosca e quindi, dopo una decisa virata verso sudest, eccoci a sorvolare la parte sud occidentale della Siberia. Valuto attentamente se correre il rischio di svegliare la mia signora e, dopo alcune titubanze, decido di non seguire i consigli dettati dall’antica saggezza (non disturbare il can che dorme) e la scuoto delicatamente. Il suo sguardo appannato non fa presagire nulla di buono, ma quando le indico il finestrino, vedo la sua espressione tramutarsi da accigliata a stupita ad appagata. Mancano ancora diverse ore al nostro arrivo, quando avverto un leggero aumento di peso. Controllo i parametri di volo riportati sul monitor e mi rendo conto che la mia percezione non è errata; stiamo salendo! Da un rapido sguardo alla mappa ne intuisco all’istante il motivo, davanti a noi si para l’altopiano Tibetano. Questo volo non può certo dirsi avaro di panorami mozzafiato; siamo ad un livello di 37.000 piedi, circa 11.300 metri, e sembriamo rasentare le vette della catena montuosa, che si stagliano a perdita d’occhio bianche ed incontaminate, sullo sfondo di un cielo color cobalto. Superiamo l’altopiano e sotto di noi scorre veloce il deserto del Gobi. A circa 110 miglia dall’aeroporto della capitale cinese, l’aeromobile inizia la sua discesa e la poesia che sin qui ha pervaso il mio animo, comincia a lasciar posto a ragionamenti più concreti; solo ora mi rendo conto che siamo quasi arrivati e sotto di noi continua a scorrere terreno innevato. La mia mente corre all’abbigliamento quasi primaverile che ho deciso di portare. Per il momento sto zitto, non mi va di sentire Fiorella, mia moglie, pronunciare la fatidica frase “te l’avevo detto di portare qualcosa di pesante!”. Siamo a circa 20 miglia dalla soglia pista, setto il monitor sulla telecamera di prua per gustarmi l’atterraggio, mentre dal finestrino vedo ancora la terra ricoperta di neve, fortunatamente non più compatta ma a macchie di leopardo. Sul monitor si vede distintamente la testata pista che sembra muoversi a destra e a sinistra, quasi volesse mettere alla prova l’abilità del pilota. Evidentemente ci sono forti raffiche di vento a traverso ed avverto nitidamente le generose correzioni di pedaliera del pilota per mantenersi allineato con l’asse della pista. Avviso mia moglie di prepararsi ad un atterraggio non propriamente soffice ed attendo il tocco delle ruote sull’asfalto che, a dispetto delle mie previsioni, è impercettibile. Durante il rullaggio verso il terminal do uno sguardo alla situazione neve che, con mio grande sollievo, vedo presente solo nelle zone in ombra.
5 marzo (ore 13:30) Pechino. Ci dirigiamo verso i nastri trasportatori dove già vediamo spuntare il nostro bagaglio e in quattro e quattr’otto disbrighiamo le formalità doganali. “Ammazza che efficienza ‘sti cinesi!”, l’esclamazione nasce spontanea.
Al di là della barriera doganale notiamo subito un giovanotto cinese alto e magro, con un bel sorriso stampato sul volto, che alza un cartello con scritto “Mistral”. Ovviamente è l’incaricato dell’agenzia che è venuto a riceverci. Non è la nostra guida, ci tiene a sottolineare in un buon italiano, il suo collega sta con il gruppo giunto questa mattina ed il suo compito è quello di farci “recuperare” le visite già fatte dagli altri.
Usciamo dall’aeroporto, dove ci aspetta un’autovettura, e veniamo investiti da un forte vento gelido siberiano, mille aghi sembrano conficcarsi nelle nostre guance, la temperatura è certamente di qualche grado sotto lo zero. Ci rifugiamo rapidamente in macchina e mia moglie, senza parlare, mi lancia uno sguardo di rimprovero, nei suoi occhi leggo la fatidica frase che non volevo ascoltare. L’incaricato dell’agenzia ci dice che anche per Pechino queste temperature sono inconsuete in questa stagione ed io ricambio lo sguardo di mia moglie con uno che vuol significare “che ci posso fare io se ci siamo imbattuti in una situazione imprevedibile? L’ha detto pure il cinese!”. Terminato il nostro silenzioso battibecco ascoltiamo il giovanotto, che ci anticipa il breve programma odierno, ovvero una visita al Tempio tibetano
Piazza Tienanmen è immensa ed il freddo vento del nord vi circola liberamente senza incontrare
La guida. E’ un ragazzino sui venticinque anni bassino e paffutello, un viso simpatico che ricorda la luna piena. Si presenta come Marino. Il suo nome in cinese, ci spiega, è per noi impronunciabile e difficile da memorizzare. Il suo italiano è parlato quasi correttamente, ma con una pronuncia così strana da renderne difficile la comprensione. Ci spiega che, come guida nazionale, ci seguirà per tutto il viaggio, con esclusione di Hong Kong (qui ho scoperto che, nonostante si tratti ormai di territorio cinese, è difficilissimo per i cinesi ottenere un permesso per visitare l’ex protettorato inglese) e che in ogni città che visiteremo sarà una guida locale a farci da Cicerone.
Il gruppo. Il resto del gruppo è costituito da due coppie di consuoceri di Tarquinia, una ridente località a nord di Roma, una coppia di veronesi ed una coppia di Trieste. A parte i friulani che sono giovani, gli altri hanno più o meno la nostra età, diciamo tutti fra i 50 ed i 65.
Dopo cena, stanchi del viaggio, andiamo in camera per tentare di prendere sonno. Sono quasi le 22:00, ma il nostro orologio biologico ci dice che è ancora primo pomeriggio. In Italia, infatti, sono le 15:00. Sarà difficile addormentarsi questa sera, ma ancor più difficile svegliarci domani, più o meno a mezzanotte ora italiana. Le sette ore di differenza di fuso, le assorbiremo non prima di quattro o cinque giorni.
6 marzo. Alle otto ci troviamo tutti puntuali per la colazione, i nostri visi sono segnati dalla stanchezza, ma i nostri animi sono eccitati per la prima vera giornata cinese. A nostra disposizione c’è un pullmino con trenta posti e nessuno ha difficoltà a trovare una comoda sistemazione. Marino si impossessa del microfono e comincia ad dispensare le prime informazioni utili. In primo luogo ci insegna il modo di salutare cinese, ovvero “ni hao”, che tutti noi pronunciamo come un lungo e ridicolo miagolio. Quindi ci spiega come allontanare i venditori fastidiosi con la parola magica che si pronuncia “pu siesie”, che dovrebbe significare “no, grazie, non mi interessa”. Faccio, anzi, facciamo molta fatica a capire l’italiano di Marino, il quale continua spiegandoci che il nome cinese di Pechino, Beijing, si traduce letteralmente in “capitale del nord” a differenza di Nanchino, in cinese Nanjing, che sta per “capitale del sud”. Dopo queste informazioni ci illustra il programma odierno. La prima visita, annuncia con aria solenne, è alla “canna fumaria”. Rimango interdetto e, guardando i visi degli altri componenti il gruppo, mi rendo conto dall’espressione che anche loro sono disorientati. Leggo il documento di viaggio fornitomi dal T.O.; è vero che vi è scritto che le visite possono subire delle variazioni per motivi organizzativi, ma da nessuna parte è fatto cenno a “canne fumarie”. Nonostante tra di noi non si sia ancora instaurato un clima di confidenza, piano piano si propaga un bisbiglio… “hai capito dove andiamo?”….. “Mi sembra di aver capito che andiamo a visitare la canna fumaria”….. “ma non è in programma.”….. quello di Tarquinia fa: “Boh! Mo’ vedemo…”. Prima di raggiungere la nostra misteriosa destinazione ci fermiamo in un laboratorio di lavorazione della giada. Conoscendo il vizio della bestia, impartisco le prime raccomandazioni a mia moglie. Non comprare oggetti pesanti o inutilmente ingombranti, in aereo abbiamo una peso da rispettare e poi ci attendono altre nove città. Se cominci adesso come ci ritroveremo ad Hong Kong? Fatto sta che la giada è magistralmente modellata e devo dirmi fortunato se me la cavo con non meno di quattro o cinque chili di souvenir. Rimontiamo in pullman e ci inerpichiamo su una strada di montagna. La neve ai lati della strada si fa abbondante e si fanno abbondanti anche dei cartelli con un disegno inequivocabile “La grande muraglia cinese”. Mi alzo e chiedo a Marino: “Adesso andiamo alla grande muraglia”?. “Si” risponde Marino “Io avele detto, oggi la plima visita è alla canna fumalia”. Mistero risolto!
Dopo circa mezz’ora di viaggio, ci fermiamo in un grande piazzale pieno zeppo di bancarelle e di turisti. La grande muraglia è lì. Il vento è cessato e la temperatura, seppur ancora rigida, è più sopportabile. Il cielo è sereno e l’aria è limpidissima. Dovendo attraversare quel mare di bancarelle, rinnovo le mie raccomandazioni a Fiorella, nei cui occhi già leggo la concupiscenza.
La grande muraglia appare all’improvviso
Saliamo una ripidissima scala in pietra per raggiungere il camminatoio sulla sommità della muraglia, da lì possiamo godere di un paesaggio bellissimo e surreale. Sin dove giunge lo sguardo, e in una giornata come questa lo sguardo giunge lontano, possiamo vedere montagne imbiancate attraversate dalla grigia cicatrice rappresentata dalla muraglia. I costruttori non hanno badato a difficoltà, non hanno scelto la strada più comoda, sono andati dritti per la loro strada innalzando il muro anche su crinali con pendenze vertiginose.
Il camminatoio, utilizzato nell’antichità dalle guardie, è largo circa due o tre metri ed è stato parzialmente ripulito dell’abbondante neve, ricavandone al centro un sentiero asciutto per permettere ai visitatori di camminare in tutta sicurezza. Solo mia moglie cammina ai lati, forse perché si sente più sicura per la presenza di un corrimano, o forse, più probabile, perché è il classico bastian contrario e non vuole ascoltare i miei consigli; fatto sta che dopo pochi metri fa un volo pauroso, atterrando fortunatamente sull’apposito cuscino di cui la natura ci ha dotati. Assicuratomi che non si è fatta nulla, non trattengo una fragorosa risata ma, cavallerescamente, mi trattengo dal rinfacciarle un: “te l’avevo detto”.
Terminata la visita ci rechiamo al punto d’incontro stabilito che, caso vuole, è al centro delle bancarelle. A costo di apparire petulante rammento nuovamente a Fiorella di non acquistare oggetti inutili ed ingombranti. Come al solito parole sprecate, dopo pochi istanti si ripresenta trionfante con un cappello tipico delle mondine cinesi; uno di quei cappelli di paglia a cono, dalla base larga almeno 50/60 centimetri. Quel cappello da solo occupa un’intera valigia. Rinuncio a protestare tanto, come si dice a Roma, “è de coccio”!
Ci dirigiamo verso Pechino per il nostro primo pranzo in un vero ristorante cinese (in hotel i pasti sono internazionali). La tavola è il luogo ideale per far confidenza e se per il momento i convenevoli ancora si sprecano, la conversazione fra di noi diventa più familiare. Ci rilassiamo e tutti, veronesi esclusi,
L’ultima visita della giornata è dedicata alle tombe imperiali della dinastia Ming (oggetto di qualche battuta pecoreccia da parte del più estroverso del gruppo) con la loro via sacra.
La stanchezza si fa sentire ed il ritorno in hotel è ben accolto da tutti.
7 marzo. Anche stamani tutti puntualissimi. Saliamo sul pullman e Marino ci illustra il programma odierno, che contempla la visita del giardino d’estate in mattinata, pranzo in ristorante, nel pomeriggio la città proibita e la sera cena in un tipico ristorante pechinese, dove degusteremo l’omonima anatra.
Fra un trasferimento e l’altro Marino ci dà delle anticipazioni su ciò che vedremo, ma parla anche di sé, rivelandosi un ragazzo dolcissimo e sensibilissimo. Parla con tenerezza e riconoscenza dei suoi genitori che con grandi sacrifici gli hanno permesso di studiare e di assicurarsi così un posto di lavoro gratificante e ben remunerato (€ 300,00 mensili). Parla del suo paesino di origine e della suo percorso scolastico. Sollecitato da noi racconta del modo di vivere della popolazione. Alla fine questi trasferimenti si dimostrano interessanti, almeno quanto le visite ai luoghi d’arte e di storia.
Il palazzo d’estate è molto bello, con i suoi giardini, il suo lago ancora completamente ghiacciato, i suoi ponticelli di legno che scavalcano i numerosi ruscelli, la sua pagoda e tanto tanto verde. Insomma, un eccellente luogo di villeggiatura riservato agli imperatori Ming.
Nel pomeriggio la città proibita non delude le nostre aspettative. Tutta edificata in legno finemente intarsiato e colorato.
La serata si conclude alla grande.
8 marzo. Ultimo giorno a Pechino, nel pomeriggio voleremo a Nanchino. Ci siamo svegliati un po’ prima per preparare le valige che dobbiamo far trovare fuori dalla camera. Come temevo il cappello da mondina cinese ci crea dei problemi. Le valige giunte dall’Italia semivuote, sono ormai quasi piene e quel maledetto souvenir non sappiamo proprio dove collocarlo. Decidiamo che sarà il nostro bagaglio a mano e, in caso di contestazione, mia moglie lo dovrà indossare alla stregua di un fungo porcino.
La prima visita della mattinata è al Tempio del Cielo, immerso in un amplissimo e stupendo parco, nel quale sembrano essersi riversati tutti gli unmiliardoetrecentomilioni di cinesi. In questo parco la popolazione dà sfogo alla propria creatività e ai propri hobbies. A migliaia giocano a carte suddivisi in gruppi di quattro, c’è chi canta in coro, chi gioca palleggiando con delle strane palline di plastica, chi si dedica ad una specie di ginnastica, il Taijiquan, simile ad una lenta danza, chi crea suggestivi disegni nel cielo con dei nastri sgargianti legati a un bastone. Una cinese, probabilmente di etnia mongola, ha addirittura montato un impianto HiFi danzando sulle note di melodie popolari. Il bello di queste persone è che si esibiscono sotto gli occhi di cinesi e turisti curiosi, senza mostrare imbarazzo alcuno.
In mezzo a tutta
Siamo in aeroporto e procediamo con il ceck in. Consegno il bagaglio che va imbarcato e sul display appare il peso di Kg. 55. Porcaccia miseria! Nemmeno siamo partiti e già superiamo di 15 chili il consentito. Vorrei fulminare Fiorella con uno sguardo, ma lei fa la vaga fingendo di interessarsi all’architettura aeroportuale. Nei voli interni cinesi non fanno caso al carico pertanto decolliamo senza intoppi alla volta di Nanchino.
Nanchino. Atterriamo in serata e siamo immediatamente portati al nostro Hotel che è forse il più bello, elegante e confortevole di tutto il viaggio. Per la cena siamo liberi ed ognuno si organizza come meglio crede in base ai propri gusti, con l’impegno di ritrovarsi più tardi per una passeggiata. Mia moglie ed io decidiamo di fermarci al ristorante dell’hotel dove ho intravisto un buffet particolarmente ricco. L’appetito non manca, oggi abbiamo mangiato poco o niente, anche perché il cibo cinese comincia a stancarci. Spolveriamo il tavolo degli antipasti, tutti di pesce e molto sfiziosi, poi Fiorella si fa preparare un’aragosta e quindi, inappagata, una seconda. Io, invece, ho voglia di carne e mi faccio cuocere una bisteccona, il tutto innaffiato da un buon vino rosso australiano. Una simile cena pantagruelica in un hotel a cinque stelle, è costata l’esorbitante somma di ben € 11,00 (diconsi undici) a persona. Più tardi il gruppo si riunisce ed andiamo a spasso per la città tanto illuminata da sembrare un luna park. I negozi sono tutti aperti con i venditori sulla porta per richiamare clienti. I venditori cinesi non sono petulanti come quelli arabi o come quelli trovati in India. ovviamente ci provano, ma basta pronunciare per un paio di volte la frase magica “pu siesie” e ti lasciano in pace. Nanchino di notte è veramente bella e festosa, con vaste zone pedonali, e i caratteristici palloni rossi di carta appesi ovunque. Oltre ai venditori autorizzati, ci sono quelli abusivi che di norma vendono i Rolex “taroccati” (il “tarocco in Cina è un’arte, ma ne parleremo più approfonditamente quando giungeremo a Shanghai). Questi abusivi non portano la merce con sé, se li pescano sono guai, bensì dei veri e propri depliants sui quali il cliente può scegliere. Il solito più estroverso e “caciarone” del gruppo, che per inciso è un medico di Tarquinia, si ferma a parlare con uno di questi abusivi e sfoglia il catalogo dei gioielli, i cui prezzi variano da 3 a 10 euro. Fa capire che potrebbe essere interessato, ma mostra i pochi spiccioli che ha in tasca, per un totale di 9 yuan (circa 90 centesimi). Il venditore si accontenta e gli porta l’orologio più economico che, nonostante il prezzo, esteticamente è veramente carino. Marino ci ha poi detto che questi oggetti sono garantiti tre mesi… nel senso che dopo tre mesi è garantito che non funzioneranno più. La serata è bella e la temperatura è mite, ma si è fatta l’ora di andare a riposare.
9 marzo. La mattinata è dedicata alla visita della città.
Dopo
Anche a Suzhou dopo cena ce ne andiamo a spasso per conto nostro e scopriamo che le mille luci da parco divertimenti, non è solo una prerogativa di Nanchino, ma in tutta la nazione le città sono più illuminate di notte che in pieno giorno… ecco perché la Cina è divoratrice di tanto petrolio!
10 marzo. Programma del giorno: in mattinata visita al giardino dell’amministratore umile e al giardino del maestro delle reti, quindi pranzo in ristorante cinese e nel pomeriggio visita alla pagoda della tigre.
I giardini
La Pagoda della Tigre è alta 47 metri e dopo la sua realizzazione, causa un cedimento del terreno,
11 marzo. In mattinata escursione al villaggio di Tongli, nella campagna di Suzhou, pranzo in ristorante cinese, nel pomeriggio partenza in treno per Hangzhou.
Siamo tutti curiosi di visitare il piccolo villaggio rurale e in pullman, visto che oramai la confidenza non manca, il solito medico intona una canzone in romanesco, alla quale, infine, ci accodiamo tutti. Poi è la volta dei veneti e dei friulani con le loro melodie popolari. Quest’escursione assomiglia sempre più ad una gita parrocchiale. Giunti alla nostra destinazione rimaniamo stupiti; ciò che noi ci prefiguriamo come villaggio rurale è in contrasto con i canoni cinesi. Tongli ha due milioni di abitanti… alla faccia del villaggio!
Tongli è famosa per la coltura delle perle di fiume. Qui mia moglie può sbizzarrirsi a comprare qualcosa per sé e per le figlie; grazie a Dio si tratta di roba leggera e poco ingombrante ed anche abbastanza economica.
Nel pomeriggio prendiamo il treno per Hangzhou. Marino è eccitato poiché il treno farà una fermata al suo paese natale per il tempo sufficiente a fargli incontrare gli amati genitori. Ancora una volta il termine paese ci ha tratti in inganno, il paesino di Marino conta sei milioni di abitanti (quasi due volte Roma!).
Hngzhou by night, con tutte le sue luci colorate, non ci sorprende più, siamo ormai abituati.
12 marzo. Programma: gita in barca sul lago dell’Ovest, visita al parco Huangang, alla pagoda delle sei armonie, al Monastero buddhista
Oggi la giornata è uggiosa e la nebbiolina non ci permette di ammirare il paesaggio visibile dal lago, che si dice essere stupendo. Quando raggiungiamo il parco Huangang un raggio di sole squarcia la foschia e possiamo godere di tutta la smagliante bellezza di questo stupendo giardino. Cigni e pavoni che circolano liberi in un abitat fiabesco. Non mi stupirei di vedere qualche folletto balzare fuori dai cespugli.
Ci fermiamo poco alla pagoda delle sei armonie. Quando hai visto una pagoda……
Per raggiungere il monastero buddhista dobbiamo percorrere un lungo sentiero che si snoda tra boschi, colline e caverne. Il monastero è completamente realizzato in legno e al suo interno, come già visto di sfuggita nel tempio tibetano di Pechino, ci sono delle enormi statue lignee.
E’ il tardo pomeriggio quando giungiamo all’antica farmacia, che vende tutti prodotti della medicina tradizionale cinese. Ormai sono pochi i cinesi che si affidano a questi antichi rimedi, privilegiando i più moderni ed efficaci antibiotici. Voglio solo segnalare una curiosità: all’interno della farmacia è esposta una vecchissima radice di ging seng, il cui prezzo richiesto è di circa 80.000,00 euro.
13 marzo. Questa mattina prendiamo per l’ultima volta un treno cinese. La nostra prossima meta è Shanghai, che raggiungiamo all’ora di pranzo. La guida locale, Giacomo, è un giovanotto di una trentacinquina d’anni, molto colto e molto acuto. Parla un italiano fluente e quasi senza accenti. Detiene la quota di una società a responsabilità limitata di Milano, che si occupa di importazioni dalla Cina e, rarità per un cinese, è proprietario di due appartamenti a Shanghai. Da lui riusciamo ad ottenere risposte esaustive sulla politica locale. Ci parla delle vessazioni subite dalla popolazione dopo la grande rivoluzione culturale e ci racconta di raccapriccianti fatti accaduti in quei tempi. Tornando al presente parla della legge che impone il limite di un figlio per ogni famiglia e della politica abitativa. Ciò che mi stupisce è il sistema adottato per limitare l’enorme traffico delle megalopoli cinesi. Ogni città decide il numero massimo annuale di targhe che può essere rilasciato e quindi le targhe sono vendute all’asta. Con questo sistema la targa viene a costare quanto un’autovettura di media cilindrata, con la conseguenza che è antieconomico partecipare all’asta a chi intende acquistare una piccola ed economica utilitaria ed ecco, infine, la motivazione per cui in Cina circolano quasi esclusivamente costose vetture di grossa cilindrata….. Alla faccia del comunismo!
L’unica visita prevista per la giornata è al Buddha di Giada, una scultura stupenda e di inestimabile valore. Anche qui, come ormai abbiamo imparato, interessantissimo l’oggetto della visita, ma altrettanto stupendo il luogo in cui è collocato.
Dato che Giacomo è un tipo piuttosto esplicito, qualcuno del gruppo azzarda domande circa i “tarocchi” e la possibilità di acquistarne di buoni. Giacomo ci spiega che anche le imitazioni risentono della “serietà” del produttore, nel senso che ci sono produttori di “tarocchi” da quattro soldi ed altri il cui prodotto finale, a volte, può superare in qualità l’originale. Giacomo ci spiega che anche in Cina si tratta di un’attività vietata e, con aria sorniona, dice di non poterci dare indicazioni in tal senso proprio perché illecito. Si fa supplicare per almeno un minuto e quindi, stressato dalle nostre preghiere, cede e ci accompagna da alcuni suoi conoscenti. Con aria circospetta, neanche dovessimo andare ad acquistare stupefacenti, saliamo al primo piano di un palazzo dove si trova un grande appartamento stracolmo di ogni ben di Dio. Io devo acquistare un trolley, le valige non bastano più, e decido per una purissima imitazione di Mont Blanc rosso.
Dopo la cena in hotel, abbiamo appuntamento con Giacomo che ci farà visitare i posti più suggestivi della Shanghai notturna. La prima sosta è nella zona commerciale chiamata Pudong, dove sorge la famosa antenna televisiva alta 499 metri e il Jinmao il grattacielo attualmente più alto della Cina e il terzo al mondo,
14 marzo. La giornata odierna è rilassante. Il programma prevede soltanto una passeggiata al giardino di Yu, breve visita alla città vecchia, pranzo in ristorante e tutto il resto della giornata libera. Il giardino di Yu è come al solito incantevole, ma non ha nulla di più dei giardini visti sin qui. La visita alla città vecchia lo facciamo in pullman in quanto è iniziato a piovere e il pomeriggio libero, su suggerimento di quel furbetto di Giacomo, lo utilizziamo per anticipare la visita al museo di Sghanghai prevista per domani mattina, che sostituiremo con un’escursione fuori programma, a pagamento, organizzata dalla nostra lungimirante guida. Il museo di Shanghai è interessante, anche se non particolarmente coinvolgente.
Come prevedibile per la cena la scelta è ricaduta sul ristorante italiano, con esclusione della coppia veronese che da quando siamo giunti in Cina si è sempre nutrita di cibo locale. Ci facciamo scrivere da Giacomo l’indirizzo del ristorante in cinese e chiamiamo due taxi. Ci vogliono quarantacinque minuti per arrivare a destinazione ed il tassametro segna il controvalore di 2,20 euro (in Italia nemmeno mi ci sarei seduto sul taxi per quella cifra). Do 30 Yuan (3 euro) al ragazzo dicendogli di tenere il resto, ma rifiuta quasi offeso e a forza mi consegna il resto. Cosa analoga è successa agli occupanti del secondo taxi.
Il ristorante è gestito da due italiani, un bellunese e l’altro fiorentino (?). Ordiniamo per tutti delle fettuccine al tartufo e un eccellente filetto al pepe verde per secondo, il tutto innaffiato da un buon Chianti. Il conto è di 50 euro a persona, un costo esorbitante per la Cina, ma adeguato per noi.
15 marzo. L’escursione suggeritaci da Giacomo è in una piccola località vicina a Shanghai. Una cittadina (massimo due o tre milioni di abitanti), di cui non ricordo il nome, che, come Suzhou, sorge su dei canali. In pratica tutta la città è un grande mercatino all’aperto, per la gioia di Fiorella e di Giuseppe. Il programma prevede che nel primo pomeriggio il pullman ci dovrà accompagnare all’aeroporto per prendere il volo per Xian, ma essendomi ricordato di aver letto da qualche parte di uno specialissimo treno che copre la tratta Shanghai aeroporto, propongo al resto del gruppo di optare per questa alternativa. Tutti sono d’accordo e per Giacomo non ci sono problemi.
Sono le 14:30 quando veniamo fatti scendere alla stazione del treno a levitazione magnetica. Si tratta dell’unico mezzo di questo genere al mondo, a fare regolare servizio di trasporto passeggeri. Il treno non ha ruote in quanto, utilizzando la forza magnetica, viaggia sollevato di qualche millimetro da terra. Non ha nemmeno un conduttore, poiché è tutto manovrato da computers. Potenzialmente potrebbe raggiungere i 600 Kmh, ma la tratta è troppo breve per permettergli la massima velocità. Perciò ci accontenteremo di coprire i 30 Km. che ci separano dall’aeroporto, in 7 minuti esatti, così ripartiti: 3 minuti per raggiungere la velocità di 431 kmh,
In volo verso Xian già ci emozioniamo pensando alla visita di domani al famosissimo esercito di terracotta.
16 marzo. Tutta notte Fiorella è stata sveglia. La famigerata maledizione di Montezuma l’ha violentemente colpita ed oggi dobbiamo rinunciare alle visite in programma. Avviso della nostra defezione Marino, il quale si preoccupa come non mai. E’ veramente dolce questo ragazzo. Anche gli altri del gruppo quando hanno avuto notizia della cosa, ci hanno fatto gradita visita. In special modo gradita la visita di Giuseppe che ha dato diverse medicine a mia moglie, assicurandoci che per il giorno dopo si sarebbe ristabilita. Fiorella sonnecchia tutto il giorno, mentre io mi leggo la guida al capitolo in cui parla dell’esercito di terracotta.
17 marzo. Le medicine di Giuseppe sono state miracolose. Fiorella stamattina è pimpante e, visto che abbiamo qualche ora prima di prendere il volo per Guilin, vuole che la porti fuori per una visita della città e, magari, a guardare qualche vetrina. Nulla troviamo da acquistare e quindi si accontenta di comprare frutta secca e liofilizzata, che tutti insieme sgranocchieremo sul volo per Guilin, che raggiungiamo in serata.
18 marzo. Oggi è la giornata che più ho atteso. Come si è forse sin qui capito, sono più sensibile agli spettacoli della natura che non alle opere d’arte e, da quanto letto, sono certo che Guilin non deluderà le mie aspettative. Il programma odierno prevede una crociera di quattro ore sul fiume Li, sino al villaggio agricolo di Yangshuo. Pranzo a bordo della motonave.
Delle nuvole basse coprono il cielo, anche se l’aria è limpida e pulita.
19 marzo. La prima sosta della giornata è presso un laboratorio della seta. Ci è mostrato tutto l’interessante processo di lavorazione, dal bozzolo al prodotto finito. Dopo la visita del laboratorio siamo ovviamente portati nel reparto vendite. Qui, questa volta io consenziente, compriamo due stupendi copriletti in seta pura, imbottitura compresa, ed una giacca e camicia per mia moglie, anch’esse in seta. Mi piace acquistare prodotti difficilmente reperibili in Italia per manifattura e qualità. Lasciato il laboratorio andiamo alla grotta del flauto di bamboo. Non è una grotta all’altezza delle nostre di Postumia, Frasassi o Castellana, ma vale la pena essere vista, soltanto per la strana e simpatica illuminazione utilizzata (molto uso di luci bianche verdi e rosse).
Dopo pranzo prendiamo il nostro volo per Canton che raggiungiamo in serata. La cena è libera. Ad esclusione dei soliti veronesi, che vanno alla ricerca di un ristorante cinese, noi ci fermiamo a cena in hotel, dove gustiamo squisiti cibi occidentali. D’altro canto si dice che a Canton si mangia tutto ciò che ha quattro zampe, ad esclusione delle sedie. Meglio non rischiare.
Dopo cena andiamo a piedi alla via principale della città, Via Pechino, seguendo il tragitto che ci ha spiegato in precedenza Marino. Qui si danno tutti allo shopping più sfrenato. Giuseppe torna carico come un mulo. Fiorella, soddisfatta degli acquisti mattutini, si accontenta di comprare solo un altro trolley di cui, ormai, abbiamo impellente necessità.
20 marzo. La mattinata è all’insegna degli acquisti. La prima tappa è presso un laboratorio di perle di mare coltivate. Anche qui, prima di essere accompagnati al reparto vendite, siamo invitati in una saletta dove ci vengono servite delle bevande e dove proiettano un filmato in cui è spiegato in italiano il sistema di far produrre una perla ad un’ostrica. E’ spiegato il motivo della diversa colorazione delle perle che è in funzione dei diversi minerali presenti nell’acqua ed il motivo per cui una perla di mare è molto più preziosa di una perla di fiume. Quest’ultima spiegazione ha dato risposta ad un interrogativo che mi ero posto a Tongli. La risposta è semplice; mentre un’ostrica d’acqua dolce produce numerosissime perle (anche una ventina) un’ostrica di mare ne produce una ed una soltanto. Nel reparto vendite sono io che insisto, per la verità non più di tanto, per regalare a mia moglie una parure composta da collana, braccialetto ed orecchini di perle bianche rosa e nere. Anche alla sosta successiva, in un laboratorio di porcellane, sono io che mi innamoro e compro un vasetto di finissima porcellana, alto si e no una ventina di centimetri. La porcellana è tanto fine che la fiammella di un fiammifero traspare attraverso il vaso.
Dopo aver salutato ed abbracciato Marino, che non è riuscito a trattenere una lacrima,ognuno di noi gli consegna una busta con la meritatissima mancetta e nel pomeriggio ci imbarchiamo su un catamarano che in un paio d’ore ci fa sbarcare ad Hong Kong.
Hong Kong di sera è un incanto, ma dobbiamo rientrare presto per cominciare a dare una sistemata definitiva ai bagagli, dato che domani sera ripartiremo per l’Italia. La guida di Hong Kong, inoltre, ci avvisa che le compagnie aeree sono molto severe sul peso in eccesso (costo € 30 per ogni chilogrammo di eccedenza), in particolare la Lufthansa. Ti pare, a me è capitata proprio la Lufthansa sulla cui severità ho avuto conferma l’anno scorso al ritorno dall’India. Beati quelli di Tarquinia ed i triestini che tornano con Airfrance mentre i veronesi, che tornano con Austrian, non hanno alcun problema di sovrappeso. In serata nasce una discussione con mia moglie per quel maledetto cappello da mondina che da venti giorni ci trasciniamo per tutta la Cina e che ora non sappiamo proprio come sistemare. La discussione ha termine quando Fiorella rompe finalmente il cappello e lo butta nel cestino. Da un’attenta analisi il nostro bagaglio è così composto: due valigioni rigidi e due trolley stracolmi, i due piumoni pressati e confezionati a mo’ di valigia, la macchina fotografica e la videocamera e infine la borsetta, per usare un eufemismo, di mia moglie.
21 marzo. La giornata è soleggiata e calda. D’altro canto Hong Kong si trova a sud del Tropico del Cancro, circa
Alle 18:00 ci ritroviamo tutti nel magazzino dell’hotel per controllare i bagagli che vanno caricati sul pullmann e via verso l’aeroporto. Ognuno di noi si reca al banco della propria compagnia per il ceck in, dandoci appuntamento a più tardi per i saluti. La guida mi accompagna perché sono il primo a partire, ricordandomi ancora una volta che la compagnia teutonica non si è mai dimostrata elastica sul peso in eccesso. Al banco c’è una cinesina gracilina, che strabuzza gli occhi quando pongo sulla pesa il primo valigione, che da solo assorbe quasi tutto il consentito. Per farla breve valige e trolley pesano complessivamente un’ottantina di chili. Quindi la cinesina insiste per pesare i piumoni che a gesti cerco di far capire che si tratta del mio bagaglio a mano. Non c’è verso di convincerla. Pesati i piumoni fa cenno a mia moglie di porre sulla bilancia il borsone trasportato a mo’ di borsetta. Sempre a gesti cerco di farle capire che dentro la borsetta ci sono i trucchi, mimo il gesto di mettermi il rossetto ed il mascara. Devo esserle apparso davvero buffo; scoppia in una fragorosa risata e appone su tutti i miei bagagli l’OK all’imbarco. Come mi ha detto bene!
Il gruppo si sta riunendo, all’appello mancano solo i consuoceri di Tarquinia che stanno effettuando il ceck in con Airfrance. Passa parecchio tempo quando torna la guida che ci comunica di andarcene. I nostri amici hanno incontrato dei problemi. Giuseppe ha dovuto pagare 1.500 euro di supplemento peso, mentre Antonio, il consuocero, sta riaprendo tutte le valige per buttare tutto ciò di pesante che ha poco valore.
E’ giunta l’ora di imbarcarci. Domani a mezzogiorno saremo a casa.
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