di Maurizio Doro –
A casa 24 luglio
Sono ritornato al mio campo base, la mia casetta mi accoglie ancora una volta, depongo nel mio scrigno tutte le importanti ricchezze che mi sono state date e che ho desiderato da questa avventura estrema.
Ho ricevuto tutto quello che un esploratore di emozioni desiderava, bello e brutto: gli incontri con persone pure, la solitudine, la gioia, la tristezza, la commozione, gli animali, la paura, la forza, la stanchezza, l’adrenalina, l’abbandono, l’amore per la vita.
Ringrazio tutti voi che mi avete seguito e sostenuto in questo mese. E’ stato importantissimo per me saper che i miei amici mi seguivano,, fisicamente ero solo, sul fiume, mentre percorrevo la pista, in mezzo all’oceano, ma la mia anima non è mai stata avvolta e catturata dalla solitudine perché sentivo il loro aiuto vicino.
Queste sono giorno per giorno i miei pensieri e le miei momenti di questo viaggio attraverso l’oceano artico.
Whitehorse, 20 giugno 2005 ore 7.36.
Sono a Whitehorse, dopo circa 24 ore di trasferimento sono arrivato nella città che mi aveva accolto nel febbraio del 2004.Il paesaggio ora è un altro: foreste verdi e montagne sgombre da neve, il fiume ha la sua vita e i laghi sono splendenti di riflessi. Sono frastornato per le 9 ore in meno di fuso orario (ora sono le 7: 36 di mattina del 20).
All’ aeroporto ieri mi attendevano gli amici Tunde con il marito Menje, mi ha fatto grande piacere rivederli. Mi attendevano con La loro grande Jeep. Naturalmente io ero eccitato e mi hanno portato subito a vedere il fiume Yukon da alcune colline da dove potevo vedere la sua maestosità e l’eleganza di alcuni laghi incastonati tra i fitti boschi.
Questa sensazione che sto per vivere è una foto vera…tra pochi giorni ci sarò dentro anch’io.
Whitehorse, 21 giugno 2005 ore 7.30
Qui sono le 7:30. Tutti dormono e fuori piove. Mi alzo presto anche se vado a dormire tardi. La differenza di fuso mi condiziona ancora, ma sicuramente anche l’eccitazione e la gran voglia di cominciare a dare in pasto la mia pagaia al grande fiume antico, lo Yukon.
Ho preso diverse informazioni e delle mappe dettagliate per non perdere tempo prezioso cercando le vie più facili dove far scivolare la canoa e non ribaltarmi. I miei amici mi stanno dando degli aiuti importanti ed aumenta così la mia sicurezza. Sono alloggiato allo stesso B&B dello scorso anno, quando sono venuto in Canada per la gara a piedi, il Beez Kneez (l’ape). Si ricordano ancora di me e delle pastasciutte che cucinavo.
E sono pure nella stessa camera con letto a castello. C`e` un sacco di gente che va e viene.
Ho incontrato anche un biker spagnolo Carlos fermo da un paio di giorni qui. Sta pedalando da un anno e mezzo, partito da Usuaia in sud America per arrivare in Alaska e gli mancano poche settimane. Ha percorso circa 30.000 km
Qui a Whitehorse non e` molto caldo e in questi giorni il tempo non e` molto bello, piove, ma la cosa che mi impressiona e` la luce. Credevo che solo piu` a nord ci fosse una luce continua tutto il giorno, ma anche qui il sole cala molto tardi e il buio non viene mai.
Ieri sera mentre stavo controllando le mappe, mi chiamano per nome con l` accento americano, una voce forte da grande uomo, mi giro e vedo una grande persona con la giacca pesante gialla e un berretto in testa, al suo fianco 3 bambini……..Dale……era senza la lunga barba non lo avevo riconosciuto.
Mi sono alzato e ci siamo abbracciati. Ha saputo che ero arrivato in città ed e` venuto a trovarmi. Si e` fatto un sacco di km da Pelly Farm con la scusa di venire a trovare degli amici.
Non me lo aspettavo. Grandissima persona. Ci siamo dati appuntamento sul fiume tra una settimana. Mi aspetta acasa sua. Questi incontri e situazioni sono il pane per la mia esistenza e dell’ anima.
Grazie a te Dale.
Mauri
Whitehorse, 21 giugno 2005 ore 23:55
Mi sono alzato presto questa mattina anche se erano le 0:30 quando sono andato a letto, mi sto abituando alla differenza oraria (9 ore indietro). Forse aiutato anche dalla luce che e` sempre presente e anche a questa ora non serve andare in giro con la lampada ma si vede benissimo e si puo persino leggere.
E’ stata una giornata molto piovosa e fredda. Ho fatto rifornimento di cibo in un grosso supermercato, anche se ho molti pasti disidratati ho comperato latte in polvere, caffe`, cioccolata, zucchero, biscotti, carne secca, e minestre da cucinare velocemente.
Mentre camminavo incernierato nella mia giacca in goratex e la pioggia batteva sul mio cappuccio per poi bagnarmi le ginocchia e le scarpe immaginavo di essere sul fiume a pagaiare, ma pensavo anche a come non deve essere piacevole stare seduto tutto il giorno nella canoa con tutto quel bagnato e il freddo, fortunatamente mi sono portato anche una termos e mi sa che sara` sempre piena di roba calda.
Ho pensato anche agli orsi, da queste parti se ne avvistano parecchi ed ho comperato un campanello che a loro da fastidio e delle armi per scacciarli. 2 per sicurezza, sono delle bombole che spruzzano un getto molto potente di pepe fortissimo, spero di non usarle mai.
Sono andato a vedere la canoa e il materiale che usero` e questo mi ha eccitato molto, mi sento pronto.
La partenza e` fissata per domani alle 9:30, non vedo l`ora di partire.
Poi i miei amici mi hanno accompagnato in un luogo molto speciale dove e` possibile avvistare le aquile dal collare bianco.
Sono maestose e superbe incredibile ne abbiamo avvistate almeno 20 e mi dicono che sul fiume avro` sicuramente l`opportunita` di vederne molte anche a pescare salmoni.
Mancano poche ore.
Lake Laberge, 22 giugno 2005 ore 22.25
Sono partito questa mattina alle 10:30 con grande entusiasmo salutato dai miei amici che mi hanno aiutato a caricare la canoa. 10 ore di viaggio per arrivare su una minuscola spiaggetta del lago Laberge alle ore 20:30 percorrendo circa 65-70 km.
Subito dopo le prime pagaiate mi sentivo libero e mentre si allontanavano alle mie spalle le case della città già pensavo alla foresta.
La canoa è pesante e la sento mentre mi muovo, incomincio a prendere confidenza con i movimenti che devono essere molto lenti e sicuri per non ribaltarmi.
Dopo qualche ora sono nella foresta e la giornata splendida rende il verde uno smeraldo che si riflette nel fiume.
Mi preoccupa un po’ il vento contrario che mi impegna molto ma fortunatamente dura poco.
Riesco a viaggiare in alcuni tratti aiutato dalla corrente anche a 15 km all’ora mentre mediamente proseguo a 8-10.
In prossimità di resti di una vecchia costruzione di cercatori d’oro passo vicino con la mia canoa per vedere meglio alcuni uccelli, ma ignaro di sapere che è anche un luogo di nidificazione e così vengo attaccato da una specie di gabbiano bianco che grida e si avventa su di me, cerco di allontanarmi in fretta cercando di ripararmi con la pagaia, ma è una impresa un po’ complicata perché l’uccello scende in picchiata e io ondeggio sulla canoa. Un sospiro è andata. Non era cosi simpatico vedersi piombare addosso un uccello in picchiata.
Il fiume è calmo e in poche ore percorro 40 km fino a trovarmi all’imbocco del lago Laberge. Decido di viaggiare con la canoa in mezzo al lago perché è tutto calmo ma improvvisamente il cielo si fa cupo, capisco che è meglio seguire da vicino la riva ed essere sicuri in caso d’emergenza, ma le onde crescono e io pagaio a favore di vento verso la riva. Sono ancora lontano e cerco una spiaggia ma non ne vedo , solo bosco e piccole paludi, cerco di procedere un po’ in diagonale perché mi sembra di aver visto un posto un po’ più largo. Devo stare attento perché la canoa fa dei brutti salti e io sono molto teso. sarebbe un brutto problema ribaltarsi in questa acqua fredda anche se sono un ottimo nuotatore.
L’onda mi scaraventa sull’erba di una palude, fortunatamente non ci sono rocce.
Trascino all’interno la canoa, ma mi assale uno stato d’ansia perché non ho a portata di mano ne i campanelli ne le bombole al pepe contro gli orsi. Tutto indaffarato e sempre controllandomi alle spalle perché sono proprio in prossimità del bosco cerco nelle sacche stagne, qualche minuto, trovate, mi sento più tranquillo.
Attendo diverse ore poi il lago sembra calmarsi ed io mi rimetto nelle sue mani.
si calma sempre più, ora e quasi liscio senza corrente ed io viaggio a 5-6 km riscaldato dal riflesso del sole sull’acqua che è ancora altissimo nel cielo anche se sono le 20:30.
Una minuscola spiaggetta mi ospita, è proprio sufficiente per la mia tendina.
23 giugno 2005 ore 11.30
Partito verso le 9 il lago non mi sembrava molto mosso o almeno avevo l’impressione di poter guidare con una certa sicurezza la canoa. Mi sbagliavo dopo aver pagaiato per una ora e aver rischiato più volte di capovolgermi tentando di superare delle insenature rocciose che provocavano risacche e mi costringevano a stare al largo prendendomi dei gran spaventi, a favore di vento mi dirigo sbattendo su una spiaggia lunga alcune centinaia di metri e profonda 5.
Si arriva al bosco a strati: onde, sassi tondi e ghiaia, piccoli pezzi di legno, grandi tronchi bianchi e tondi levigati dal tempo e bosco.
Mi sa che dovrò aspettare il pomeriggio tardi prima di rimettermi a pagaiare.
Vivo la situazione di Robinson Crusoe, solitudine, unica compagna la spiaggia piena di detriti di legno, il suono del vento e il rumore delle onde.
Dormirò per pagaiare questa notte.
Fiume Yukon, 26 giugno 2005 ore 1.45
Ore 1:45 ora locale di mattina. Temperatura 6°C, km percorsi 102, totali 330 km.
Ho pagaiato sul fiume fino a questa ora. Che spettacolo.
c’ e’ luce da leggere benissimo, e i colori sono molto carichi e spettrali nello stesso tempo perché il silenzio assoluto li rende ancora più corposi.
Pagaio lento e spesso mi faccio trasportare e ascolto il silenzio, sembra che debba succedere qualche cosa da un momento all’altro. Poi un uccello si alza all’improvviso e fa un gran chiasso. Dopo un po’ un pesce che salta fuori dall’acqua per catturare un insetto. Fischi che provengono dal bosco. Una bolla che esce all0improvviso. Un mulinello si forma vicino alla canoa e sembra inghiottirla. Questi sono i rumori che fanno la musica del fiume, è così ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, ogni anno, da sempre…., ma ogni tanto interrotta da una pagaia di qualche amante della natura….ora la mia.
Trovo un vecchio campo di pescatori, ma creda che ogni tanto ci vengano ancora perché sembra in buono stato.
Una baracca è aperta. Dentro cianfrusaglie e un gran pannello di legno. Lo sistemo in qualche modo e mi preparo per dormire
Fiume Yukon, 26 giugno 2005 ore 19.30
Oggi sono molto stanco e provato, ho superato 2 rapide, ma una in particolar modo molto pericolosa, tra grosse pareti rocciose. Qualcuno è anche morto, mi hanno detto, il fiume impetuoso e freddo se li è portati via dopo che la loro barca si è ribaltata. Ipotermia.
Non ho fatto una gran dormita questa notte, perché ci ho pensato molto e anche questa mattina.
Nell’eventualità che mi fossi ribaltato, avevo preparato la grande sacca stagna con vestiti asciutti, sacco a pelo, fornello, cerini pentola, cibo.
Mi avvicinavo e pensavo, mi avvicinavo e pensavo, sempre con più insistenza e toccavo anche l’acqua, è proprio fredda.
Ho visto i grandi sassi, sono passato a dx pagaiando forte, sono dentro, vedo schiuma, e la canoa che si alza, io che ondeggio, pagaio forte e la tengo dritta, la canoa si alza e sbatte, non sento nulla, sono passato, e se avessi sbagliato qualche cosa? E’ stata fortuna?
E’ una situazione molto pericolosa, ma non mi aspettavo forse qualcosa del genere quando ho deciso di fare delle avventure come passione principale e specialmente questa?
Se fosse stata una passeggiata la Madre dea della Terra mi avrebbe deluso, ma non può farlo, e non lo fa, non lo farà mai.
E per questo che io l’amo e la rispetterò sempre.
Le avventure con la natura come esperienza di vita non sono come noi le vogliamo: sono reali, pericolose ed esigenti e ti mostrano esattamente quello che puoi e non puoi fare.
Ti mostrano chiaramente chi sei e cosa sei tu, e chi e cosa sono gli altri. Danno inesorabilmente un valore a te come agli altri.
Lei è l’unica che non bara. Il gioco è leale.
Molte volte a molti di noi non piace questa lealtà, ma io sono contento di aver incontrato questo mondo e modo di vita, non ho paura del giudizio della mia coscienza perché voglio imparare a vivere.
Fiume Yukon, 27 giugno 2005 ore 10.10Ieri sera ho trovato una vecchia cabin abbandonata, ma in ottimo stato. Una vera cabin da trapper. C’erano pure dei letti di legno a castello, ed io ho dormito su quello in alto per precauzione. Più che altro una tranquillità mentale. Ero veramente stanco, e ho dormito di sasso, se fosse entrato anche un orso demolendo la porta non lo avrei sentito. All’interno c’era anche una stufa che ho acceso facendo un gran fumo, e per qualche ora non sono potuto entrare neppure io per l’impossibilità di respirare. In ogni caso è stato un bene perché non c’era neanche una zanzara all’interno, probabilmente anche loro non potevano resistere con quell’odore. Ho avuto un sacco di tempo per rimettere a posto le mie cose e sistemare all’aria quelle bagnate. Mi sono scaldato l’acqua sulla stufa, così ho risparmiato lo speciale combustibile per il mio fornello che in questi giorni si è rotto e perde dal tubetto di giuntura che porta il liquido alla fiamma. Devo stare molto attento quando lo accendo.
Ho filtrato con calma l’acqua che mi servirà per questa sera e tutto domani. L’acqua è un problema molto serio, non è potabile, anche se qui c’è né in abbondanza è assolutamente sconsigliato berla. Si corrono dei grossi rischi d’infezioni, virus, microbi, batteri, ecc. Ma io utilizzo una pompa della KATADYN con dei filtri speciali che bloccano e purificano al 100% virus, e altro come la giardia e ameba pericolosissimi per il nostro organismo. E un lavoro lento perché la pompa impiega qualche minuto nel riempire una borraccia, ma lo faccio con piacere perché è per la mia salute. Poi cerco sempre un posto lontano dove mettere il mio cibo. Per gli orsi.
Solitamente è nelle sacche stagne da bici della SCI CON, non sono ancora state utilizzate in bici ma sembra proprio che d’acqua non ne entri, (i vestiti sono ancora asciuttissimi).
E una precauzione necessaria quella di mettere lontano il cibo dalla tenda o dal posto dove si dorme. Poi metterlo in alto sul ramo sporgente di un albero almeno a 4 metri. L’orso cammina annusando il terreno e ci passa sotto o nell’eventualità lui assocerà che il cibo è in alto e non ad altezza uomo che dorme. Se si cucina forte si dovrebbero cambiare i vestiti per la notte. Un indicazione che danno sempre e quella di evitare di dare loro del cibo proprio per non favorire l’associazione cibo-uomo.
La giornata è bella, il sole è alto da un pezzo e riscalda ogni cosa, così alle 11:00 mi rimetto sul seggiolino della mia canoa.
Pelly Farm, 27 giugno 2005 ore 23.30
Il mio sogno, il mio giocattolo, il mio diamante, il mio ricordo, la mia stanchezza, la mia fatica, la mia fame, i miei piedi gonfi, il mio importante incontro,…Mi trovo a Pelly Farm.
Ci sono ritornato 16 mesi dopo, la mia traversata a piedi in inverno.
Non ci pensavo molto quando sono partito in canoa. Pagaiavo piano e facevo le mie cose, oramai la canoa fa parte della mia vita in questo momento.
Il quotidiano è sulla canoa. Mentre l’acqua del fiume mi culla e mi trasporta nelle sue curve, io mi vesto, mi lavo i denti, sistemo il cibo, bevo il caffè. Ho tutto il tempo che mi serve e nel frattempo mi guardo in torno. Sono un po’ distratto oggi, e non mi accorgo che faccio km e km e capito in un labirinto d’isole e isolotti. Non riesco a identificare il luogo sulle mie mappe, mi preoccupo un po’ perché voglio andare a trovare Dale che vive in una fattoria sul fiume Pelly, un affluente del fiume Yukon, 8 km all’interno. Se supero questa deviazione non riesco a risalire contro corrente lo Yukon, è tropo potente. Cerco un riferimento riconoscibile sulla mappa, cerco, procedo lento, forse, mi sembra questa l’ansa, no questa è l’isoletta, ma dove sono? Poi appena superata un’isola più grande delle altre riconosco una parete verticale di roccia scura di basalto, una eruzione di un antico vulcano. La mappa è sotto controllo, mi dirigo tra due isolette e finalmente vedo la giunzione del fiume Pelly. Mi dirigo a destra per stare il più vicino possibile alla riva per non essere travolto dalla corrente. Il fiume ha sempre la sua maggior velocità nel centro mentre sulle rive la velocità è minore. Pagaio lento ma continuo, piegato un po’ guardo avanti nel bosco, ho grande energia e determinazione e piango dalla gioia, sto andando in un luogo, dove, il giorno che lo vidi la prima volta in inverno, ho sentito il bisogno di rivederlo in un altro periodo sotto altre vesti. A quel tempo la mia anima ha davvero ricevuto linfa ed ora sento che una strana atmosfera si sta impossessando ancora di me.
L’improvviso una pioggia torrenziale mi colpisce, ma è un piacere per me, è il suo saluto di benvenuto. Tutto in torno ha preso un colore grigio e sul fiume si alza una nebbiolina provocata dalle bolle delle gocce della pioggia che cade nel fiume per 15 minuti, poi un sole caldissimo. Dopo 45 minuti arrivo alla casa di Jem, che mi porterà con la sua barca sul fiume alla casa di Dale. Non c’è. Attendo un po’. Non vedo impronte fresche nel fango sulla riva. Probabilmente è qualche giorno che non c’è. Era una possibilità per raggiungere Pelly Farm trainato contro corrente. Ma ne ho un’altra. L’avevamo calcolata con Dale quando è venuto a trovarmi a Whitehorse. Scendere ancora sul fiume Yukon e raggiungere…… sulla sponda sinistra un accampamento di lavoratori indiani che conoscevano Dale e potevano aiutarmi.
Unico problema, arrivarci assolutamente entro il giorno 29 pomeriggio perché poi il loro turno lavorativo finisce e tornano a casa. Nessun problema sono molto in anticipo. Me la prendo con calma e vedo scendere 2 barche a motore da trasporto, ma sono ancora sulle scale di legno della casa di Jem sulla sponda alta del fiume tra la vegetazione e non posso chiamare. Scendo velocemente, ma sono troppo lontani.
Mi avvio senza fretta sulle torbide e calme acque del fiume Pelly fino ad incontrare improvvisamente la forte corrente del fiume Yukon che mi fa barcollare sulle sue onde quando si mescola. Dopo qualche isolotto e catasta di tronchi incagliati vedo in lontananza alcune case di legno ed intravedo il blu dei teli delle barche dei lavoratori. Ero sicuro che li avrei trovati. Arrivo appena in tempo che una barca con quattro indiani a bordo tra cui una donna si sta preparando per partire proprio in direzione di Pelly Farm. Alcune frasi gridate con il mio stentato inglese e mi ritrovo a caricare la mia canoa con tutto il suo carico a bordo. C’è un gran fracasso di motore e l’aria fredda mi colpisce le spalle perché mi sono girato verso chi guida. Loro sono indiani vecchi molto robusti dai capelli nerissimi, non dicono nulla, mi guardano e bevono da bottiglie di vetro trasparente, probabilmente alcol. Dopo circa 30 minuti arrivo a destinazione e riconosco le case della fattoria. E’ una delle fattorie più grandi e importanti nel mondo situata ad una latitudine così a nord che è quasi impossibile gestire i campi e gli animali (galline, mucche, cavalli).
Dale non c’è, è via con la famiglia e tornerà questa notte, ma mi accoglie una signora molto disponibile, Wenda, la sua famiglia che risiede qui dagli anni 40.
Ceno con loro, mi raccontano di com’è nato il posto circa 150 anni fa sull’onda della corsa all’oro, mi fanno vedere delle foto in bianco e nero. Il posto non è cambiato, è rimasto tale e quale, tutto è ancora li fermo arrugginito, carri, ferri, staccionate, macchine da lavoro, vecchie slitte. Sto bene qui.
Dopo cena aiuto a pulire le uova che venderanno nei prossimi giorni in città.
Dormo su un vero letto dopo diversi giorni.
Sono molto sereno.
Fiume Yukon, 29 giugno 2005
160 km percorsi. totali 580 km (circa)
Questa mattina alle 6:30 suona la sveglia, sistemo le ultime cose con calma e incomincio a caricare la roba sulla canoa che è a circa 200 m dalla casa.
Alcuni viaggi e alle 7:30 sono pronto per spingere la canoa in acqua, probabilmente forse anche loro si stanno alzando, ma preferisco non fermarmi ancora.
Un’ultima fotografia scattata nella mia mente mentre i miei occhi mettono a fuoco questo importante incontro, il sentiero, la staccionata, la grande finestra, le scale, la porta consumata, ma il mio ultimo flash è per la grande poltrona vecchia, appoggiata a una vecchia baracca marcia. Era lì semi sommersa dalla neve la prima volta che l’ho vista, quando salivo dal fiume ghiacciato, ed è ancora li quando me ne vado dallo stesso fiume in estate. Chi è seduto sopra?
Mi abbandono al fiume Pelly, 8 km e mi ritrovo nelle dense acque marron dello Yukon. Sono rinvigorito e non mi spaventa la sua maestosità, anzi mi da sicurezza, oramai ho preso il mio posto accetto il mio ruolo di debole nei suoi confronti e per quanto bravo sia sarò sempre in balia della casualità e imprevisto.
Questo però mi da grande serenità e voglia di proseguire nella mia avventura.
Un po’ pagaio, un po’ mi faccio trasportare, specialmente, quando il fiume è facilmente individuabile nella sua posizione anche sulla cartina. Allora mi abbandono e faccio un sacco di cose sulla canoa, poi oggi che sono partito presto ho un sacco di tempo, mi cambio, controllo il materiale, tengo sotto controllo il GPS alimentato con il piccolo pannello solare che l’amico Mauro mi ha prestato. Non mi fermo neppure per fare i miei bisogni. Oggi mi sono anche tagliato le unghie dei piedi, sembra che crescano più in fretta quando faccio queste avventure.
Il sole è sempre alto e oggi fa veramente caldo e mi sono messo qualche ora in mutande, ho steso i pantaloni, calze e scarpe ad asciugare sulle sacche che sono legate assieme da una fune che passa dalla prua alla poppa.
Pagaiando si è sempre un po’ bagnati, scarpe e pantaloni sono sempre umidi e poi ogni tanto qualche acquazzone mi costringe a indossare la giacca e i copri pantaloni tecnici antiacqua della Montura, che evitano di inzupparmi completamente.
Nelle ore centrali della giornata difficilmente, dove il fiume è più largo, si vedono animali, mentre è più facile in qualche ansa o laguna stretta, dove l’acqua verde è quasi ferma ed i colori si riflettono completamente come uno specchio, che sembra quasi di sporcare con il passaggio della canoa. Allora qui è un piacere passare silenziosi, ascoltando i canti dei boschi o i tuffi di qualche castoro che riemergendo salta e sbatte la coda.
Cerco di fare sempre molta attenzione perché il fondo a volte è basso e rischio di bloccarmi o ribaltare la canoa su qualche tronco, o di fare qualche incontro spiacevole.
Avanzo molto lentamente e mi guardo intorno, poi dopo aver superato una serie di tronchi vedo che la laguna si stringe e preferisco tornare indietro per sicurezza.
Ho il sole di traverso ma frontale e in lontananza vedo un pezzo scuro che galleggia e si dirige da una parte all’altra della laguna. Oramai riconosco se sono pezzi di legno che galleggiano oppure no, e questo non lo è sicuramente. Pagaio per avvicinarmi, sempre più velocemente sull’acqua calma. Ora distinguo che non è un uccello, non ha la classica forma dell’ochetta che galleggia. Sono ancora lontano per capire meglio. La mia pagaiata ha preso un buon ritmo ed è veloce, intravedo un muso ma non capisco le dimensioni, man mano che mi avvicino rallento perchè oramai sono a circa 15- 20 m.
Ho il riverbero contro, ma mi viene un dubbio, un castoro si sarebbe già immerso.
Ad un tratto l’animale fa come un tuffo e tutto il suo corpo, ma specialmente il posteriore vengono a galla….. è enorme il fondoschiena peloso, con grosse zampe che sono le ultime a sparire sotto acqua, tutto in pochissimi secondi.
Prendo un bello spavento, e freno la mia canoa, con una virata improvvisa e comincio a pagaiare verso l’uscita della laguna, nel fiume Yukon.
Un orso? Non so con certezza, ma sicuramente era molto grosso.
Pagaio il più forte possibile e mi giro spesso perchè non lo vedo riemergere.
Mi sento come intrappolato, braccato nella laguna. Dale mi aveva detto che gli orsi sono degli abili nuotatori, ma a me in questo momento non interessa verificare se è vero o no. Finalmente sono nella forte corrente del fiume, mi giro a guardare ancora, ma ora sono tranquillo.
Le ore passano e fa freddo, mi vesto in modo pesante perchè voglio viaggiare questa notte. Mi piace più del giorno, mi sento più solo vedendo il sole che se ne va anche lui. Ma la luce rimane e ci vedo benissimo.
In un altra insenatura vedo un alce, una femmina, non ha le corna classiche a pala, quelle le hanno solamente i maschi, ma loro sono sui monti non sul fiume.
La vedo da lontano per diversi minuti mentre passo davanti trasportato dal fiume. Ho il tempo di filmarla. Ci guardiamo.
Passo molte isolette, su di una rivedo 2 fotografi americani che avevo incontrato a Carmarcs. Anche loro stanno facendo un’avventura, contano di impiegare 14-16 giorni per arrivare a Dawson. Mi riconoscono e mi scattano delle foto mentre li saluto passando.
Le ore passano il tramonto mi regala dei colori stupendi mescolati tra le nuvole scure, che si specchiano nell’acqua.
Sono le 1 di mattina, fa freddo, sono tantissime ore che sono in canoa e sono proprio stanco, è ora che cerchi un isola per mettere la tenda. Cerco un posto aperto libero da alberi e a favore di vento. Trovato. Ha una grande spiaggia a punta, ha una buona visuale e il bosco è lontano. Pianto la tenda sulla sabbia bagnata vicino alla canoa e metto il cibo lontano su un tronco. Soprattutto metto pentole e campanello, non si sa mai. Se nella notte sento rumori sono pronto per partire.
Le zanzare mi stanno mangiando.
Buona notte.
Indian River, 30 giugno 2005
90 km percorsi. totali 670 km
Questa mattina me la sono presa con comodo, avevo tutto il tempo per asciugare la roba, filtrare l’acqua con la mia pompa e prepararmi da mangiare. Mi sento sicuro in questo posto. E’ una buona occasione per mandare messaggi con il computer collegato al telefono satellitare. La Telespazio mi ha dato il telefono con la possibilità di utilizzare i canali Iridium che hanno totale copertura per inviare i reportage, le foto ed i filmati, che mando ai miei amici Francesco e Matteo, i quali mi hanno insegnato ad utilizzare questa attrezzatura e mi aiutano da anni a tenere aggiornato il mio sito: www.mauriziodoro.it
Tutto questo lavoro e la lotta contro le zanzare mi fa sudare molto. Sento che sto puzzando. I primi giorni mi sentivo un po’ a disagio come sempre, poi, con il passare dei giorni, mi abituo e mi sento come un animale nel suo habitat.
La giornata trascorre bene finché, un fortissimo vento contrario, mi impegna e spaventa molto con le sue raffiche potenti, che un paio di volte hanno girato la canoa. La mia attenzione è alta, ma non voglio rischiare perché la canoa barcolla troppo sulle onde, perciò cerco di accostare anche se sono proprio tra le montagne in una zona rocciosa. Cerco un riparo e scendo aspettando (più di un’ora) che passi, intanto ne approfitto per scaldare l’acqua per la cea. Poi mangerò in canoa.
Sono in prossimità dell’incrocio con il White River e tutto l’ambiente si allarga notevolmente, quasi la mia vista non raggiunge un punto. Ci sono vortici e acque morte, ma il percorso è molto facile. Ora capisco il perché di questo nome. Credevo che avrei incontrato acqua chiara, pulita, ma invece è proprio bianca. E’ sporchissima di sabbia bianca, sembra così densa e così imbevibile. Prima di mezzanotte voglio arrivare sul lato opposto della confluenza con l’Indian River. Dalle mie mappe dovrebbe essere un buon posto per accamparsi. E’ solo nascosto da alcune isole. Faccio alcune curve sul fiume e in lontananza vedo un nuvolone scuro. Un incendio e dalle dimensioni del fumo sembra anche abbastanza grosso. In un attimo la nuvola si diffonde velocemente aiutata dal vento, sento pure l’odore del fumo. Nel 1995 c’è stato il più grosso incendio mai visto nello Yukon è durato quasi 3 mesi e ha distrutto grandissime quantità di bosco che ora si sta ricostruendo lentamente.
Mi sono distratto guardano il fumo che mi ritrovo dalla parte opposta del mio campo.
Pagaio zigzagando fra piccole isole e canali. Ma devo stare attento a non infangarmi perché il fondo è basso. Ogni tanto sento la canoa sfregare sul fondo e io tasto con la pagaia. Sudo molto. Se mi incastro sono fritto. Pagaio controcorrente per 20 minuti, poi rinuncio, sono in un bagno di sudore. Torno indietro e cerco un canale. Sono proprio in centro dei suoi 10 m e il fondo sembra abbastanza alto. Mi passa avanti un castoro con un ramo in bocca. Trovo il mio campo. Pagaio forte, per superare la corrente. L’acqua è sporchissima, sembra fango molle. Attracco tra pezzi di tronchi e schiuma.
Le zanzare mi attaccano, e mi tiro la zanzariera del cappello sul viso. Fino ad ora non ho mai usato lo spray per il corpo. Trovo un piccolo spazio nell’erba in prossimità del bosco e pianto subito la tenda. Poi metto il cibo lontano su un albero. Tutto questo lo faccio con il campanello che suona. In lontananza per la prima volta sento alcuni coyote che ululano, ma non mi spaventano.
Prima di andare in tenda faccio la pipì tutto intorno per delimitare il mio territorio. Una precauzione in più che ho sempre adottato. Sono in tenda finalmente, sono tutto sudato e pieno di punture di zanzare, sento il bisogno di cambiarmi completamente.
Dawson City, 1 luglio 2005Nella notte (non so come dire, c’è luce come di giorno) un gran acquazzone mi ha svegliato, ma la mia prima preoccupazione è stata la canoa. Ok. E’ legata bene. Lo faccio sempre. E’ la mia sicurezza e merita le mie più grandi attenzioni. Il materiale è nelle borse stagne ed è al sicuro.
La piccola tenda tecnica ad un posto con un telo solo non fa passare la pioggia, tiene. Meglio per me.
Fortunatamente quando è ora di ripartire ha smesso, e anche se è tutto bagnato mi posso preparare la colazione e salire in canoa senza problemi.
So che oramai è l’ultimo giorno di fiume Yukon e un po’ sono spiaciuto, tutto sembra sia passato in un attimo, penso alla mia situazione di viaggiatore-esploratore.
Mi guardo ancora una volta tutto intorno e a volte mi faccio trasportare di schiena.
Pagaio da una sponda all’altra quando vedo degli uccelli, poi quando sono vicino ad una specie di palude dall’erba escono una famiglia di anatroccoli con la mamma, che continuano a schiamazzare, li ho quasi avanti un po’ in fianco a pochi metri.
Poi un piccolo si separa e mi passa avanti. Subito la mamma gli corre in contro e si mette tra me e le canoa schiamazzando.
Io cerco di frenare ma la corrente mi porta contro. La mamma continua a interporsi avanti a me schiamazzando forte e battendo le ali. Il piccolo fa altrettanto, ma no cambia direzione, va sempre dritto.
Sono quasi vicino. Poi un tratto il paperotto si immerge e la mamma fa un gran casino con le ali da far schiuma e va a zig zag avanti a me.
Dov’è andato il piccolo? Riemerge dietro di me a una decina di metri.
La mamma continua ad attirare la mia attenzione e va avanti, io conosco il trucco, ma non ho alcun motivo per far del male.
Ultimo insegnamento e ultimo saluto che il Grande fiume Yukon mi regala, tra poco io sarò a Dawson e lui continuerà il suo percorso per altri 3000 km in Alaska verso l’oceano. Ciao e grazie. Forse un giorno ti rivedrò.
Sulla sponda destra le prime case colorate di giallo, rosa, blu, passando vedo grandissimi camper parcheggiati, sento musica d’altri tempi, atmosfera della corsa all’oro. Questa è Dawson City.
Attracco e comincio a scaricare tutta la mia roba. Dick, un forte uomo con i baffi, lavora qui e sa del mio arrivo, mi aiuta, carico la canoa sulla sua Jeep e mi accompagna all’hotel.
La città è piccola e le strade sono di terra, con le case di legno, come pure i marciapiedi fatti di assi, sembra di essere in un film di Sergio Leone, mancano solo gli sceriffi, i pistoleri, i cavalli e le diligenze.
Non vedo l’ora di farmi una gran doccia calda, poi andrò a mangiarmi un grossissimo hamburger.
Ciao
Dawson City, 2 luglio 2005
Oggi ho girato per la piccola città senza fretta e senza tempo, camminavo sui marciapiedi di legno ascoltando i miei passi, mi guardavo intorno ed ho fatto un sacco di incontri con gente che fa della propria vita un avventura. Per esempio chi si trasferisce da Vancouver per lavorare qui. E vi assicuro qui non c e praticamente nulla tranne una atmosfera speciale. Mi dicono che sulla Dempster Highway c e ancora l’incendio che ho visto e il vento lo porta da una parte all’altra della strada, potrebbe essere pericoloso.
Ma in queste ultime ore ha piovuto molto e questo da una mano, per spegnere il fuoco, ma non a me che domani partirò in bici. Le previsioni prevedono brutto per almeno 3, 4 giorni.
Ho comperato altro cibo. E naturalmente qui in città ho fatto scorpacciate di hamburger e pesce.
ora vado a bermi una birra.
Tombstone Mountain (1350 m s.l.m.), 3 luglio 2005
Sono partito ieri da Dawson City alle una di pomeriggio, ho atteso fino a quell’ora perchè diluviava e in un momento di poca pioggia mi sono deciso, ma poco dopo il cielo ha scaricato nuovamente fino a sera.
Dopo i primi 40 km della strada principale che porta a Whitehorse la deviazione per la famosa Dempster Highway.
Finalmente ci sono, so che dovrò farne almeno 750 di km per arrivare a Inuvik.
Qualcuno che scendeva con il camper mi ha sconsigliato di andarci in bici perchè c’è un fango molto alto e scivoloso, ma oramai io ci sono e voglio vedere con i miei occhi e poi se c’è da spingere ho fatto anche di peggio.
La pioggia scende forte e ma il mio abbigliamento tecnico Montura tiene benone e pure i piedi sono caldi, il mio amico Maurizio titolare del Calzaturificio Dro mi aiuta da anni e anche in questa occasione mi ha fornito dei materiali super, per la canoa scarpe che si asciugavano velocemente e per la bici scarponcini molto leggeri ma impermeabili e caldi.
Il fango schizza da tutte le parti e in poco tempo sono sporchissimo e le mie gambe si confondono con il colore della strada. Il bosco è lucido e in alcuni tratti c’è ancora la puzza dell’incendio che fortunatamente si è spento con questo temporale. E’ un dispiacere vedere grandissime parti di bosco bruciate che arrivano fin sulla strada, ma probabilmente è un ciclo naturale anche questo.
La strada è molto larga e è un continuo sali scendi di colline che fanno abbassare la velocità media. Su alcune di queste pedalo anche a 5-6 km orari. Mi sembra lunghissima non arrivo più, e le gocce mi cadono dalla visiera. 5 gradi di temperatura ma quasi non li sento perchè spingo sui pedali e sudo.
Finalmente dopo 112 km arrivo ad una specie di campeggio alle 11:45 dopo circa 8 ore e 45 min di pedalata.
Sono a Tombstone Mountain a 1350 m di quota dopo aver fatto circa 800 m di dislivello, qui per lo meno si può cucinare in una baracca al coperto ed accendere un fuoco.
Trovo un tedesco anche lui in bici. E andato a Inuvik e ora sta tornando.
Un po’ di caldo finalmente ed asciugo la mia roba.
Dormo su un tavolone vicino alla stufa.
Engineer Creek Campground (1050 m s.l.m.), 4 luglio 2005
Oggi è stata fortunatamente una bella giornata, partito con il cielo coperto con una piccola pioggerella subito in salita fino a 1600 m. Poi la strada con un saliscendi si abbassa leggermente fino a lasciare il bosco e ad aprirsi su infiniti prati contornati da montagne dalle dolci curve. Sembra proprio la casa dell’orso. In questi giorni dicono di aver visto alcune famiglie con i piccoli aggirarsi proprio in queste zone e sulla strada. Io preferisco trovare questi campeggi dove riesco a mettere il cibo nei contenitori metallici anti-orso, se dormissi con la tenda all’aperto non saprei dove mettere il cibo se non lontano da questa in balia degli animali. E’ già successo che hanno mangiato tutte le provviste rovinando l’avventura a qualcuno.
I saliscendi sono continui e su un paio di questi la mia velocità non supera i 4-5 km e sono costretto a scendere e a spingere, anche perchè il carico che supera i 70 kg mi fa ondeggiare e faccio troppa fatica.
E’ una zona bellissima ricca di laghetti e fiumiciattoli, tutto in torno dall’erba alle nuvole alle montagne si specchia nelle loro acque limpide.
La strada è molto bella e liscia, immaginavo il classico ondulè fatto dai camion e dalle macchine, invece è molto scorrevole ora che è quasi asciutta, bisogna stare un po’ attenti alla ghiaia sui bordi che ti fa scartare di lato o infossarti, ed a volte schizza verso di me quando passa qualche macchina a tutta velocità. Ma la maggior parte dei camper e camion che passa, quando mi vede rallenta e mi saluta.
Oggi ho incontrato i 2 giornalisti di Seattle che ho conosciuto sul fiume a Carmacks. E’ stato un piacere e ci siamo fermati per gli ultimi saluti e foto. Come è piccolo il mondo.
Quasi 8 ore 30 minuti di pedalata anche oggi e 122 km percorsi con circa 600 m di dislivello, ma sono ancora in un buon posto sicuro. Unico fastidio le zanzare che qui sembrano a tonnellate, mi hanno divorato mentre filtravo l’acqua sul fiume.
Io chiedo sempre informazioni, e qui qualcuno mi dice che sull’Oceano Artico in questo periodo c’è un forte vento che provoca onde molto alte. Mi sconsigliano di tentare di navigarlo in canoa. Un tuffo in acqua gelida da quelle parti è fatale in pochi minuti. Sicuramente non ho voglia di rischiare perchè a casa ho qualcuno che mi aspetta, ma prima voglio arrivare a Inuvik e poi vedrò cosa fare.
Anche questa notte non monto la tenda e dormo sul tavolone.
Ah, dimenticavo, questa sera ho proprio mangiato bene e abbondante, una scatola grande di sardine, 3 buste di Pasta e carne disidratata, e 2 budini di cioccolata.
Buona notte.
Domani mi aspettano 175 km. Vedremo se mi alzo presto. Ora sono le 1:16.
Eagle Plains, 5 luglio 2005
So che oggi mi aspetta una giornata lunga, anzi lunghissima, ma luce c’è ne finche ne ho voglia e non mi preoccupo.
Perciò faccio una gran colazione perchè poi durante la giornata non mangio mai nulla di troppo elaborato e appetitoso, se non frutta secca, biscotti, e barrette che ho comperato a Dawson e fanno proprio schifo. Una tazza di cioccolata con latte, riempita con frutta secca e poi 3 buste di pasta, la mia roba disidratata. Questa si che è buona. Nonostante, sento e vedo che ho perso peso e la mia faccia è segnata dalla gran fatica. Un polacco molto simpatico si è fermato anche lui in questo posto. E mentre facciamo colazione ci raccontiamo le nostre avventure. E’ un fotografo ed è qui per fare un servizio fotografico con tanto di Macchine, obiettivi e zoom professionali, io nei suoi confronti sembro uno zingaro con la mia attrezzatura, ma nonostante tutto è meravigliato dall’avventura che sto realizzando molto velocemente e dalla quantità di materiale che riesco a mandare cosi in modo autonoma e senza il supporto di un equipe. Guarda il mio satellitare e il pannello solare per la carica delle batterie. E’ straordinario, ma come fai? mi chiede. Io che non pedalo, faccio solo foto, quasi non ho il tempo di mangiare. Tu pedali, devi farti da mangiare, montare la tenda, filtrare l’acqua, fai foto, fai film, scrivi, mandi tutto con il computer e il telefono. Ma come fai? Una cosa hai dimenticato, gli dico: il dormire. Ecco dormo poco, cosi mi avanza tempo, dormirò quando arrivo a casa
in Italia.
Alle 9:30. Un saluto, anche lui prosegue per Inuvik, carico la bici e via. La strada e bella anche se ha cominciato a piovere e la temperatura non e troppo bassa solo 12 gradi. Passo tra il bosco dai pini bassi e fragili. Fortunatamente i primi 60 km è quasi tutta pianeggiante e sono cosi veloce che penso quasi di arrivare molto in fretta e prima di cena. Costeggio prati verdissimi e mi fermo spesso a guardare gli uccelli. Poi la prima salita, non finisce più, continua ad alzarsi e salire sulle colline dolci. Inesorabile mi fa scendere alcune volte perchè è molto lunga e poi sembra di arrivare e spiana un attimo e poi ancora una dolce collina. e su ai 5-6 km orari con il rapporto più agile. Ho la bici cosi carica
che una saldatura del portapacchi si e rotta. Fortunatamente mi sono accorto e ho cercato di ripararla fissandola con una corda. Sembra che tenga. Dall’alto di queste colline lo spettacolo è grandioso. Un mare, un oceano di altre colline davanti a me con la strada che si insinua tra queste e a volte le raggiunge la cima. Poi il colore nero fatto dall’ombra delle nuvole le da un tocco speciale come una pennellata dell’artista. E uscito il sole fortunatamente e mi asciuga la roba che ho intorno. E su e giù per ore, ore, le mie gambe cominciano a patire. Facevo fatica in canoa, ma avevo tantissimo tempo perchè svolgevo molti lavori mentre mi portava la corrente del fiume. Qui invece se solo stacco la mano dal manubrio per scacciare una zanzara, perdo l’onda e sento il materiale sul portapacchi che dall’ondeggio tocca il copertone e rischio di cadere. Le ore passano e poche macchine sono passate. Qualche camion e 5-6
camper, solo questa mattina. Ora sono completamente solo da un bel pezzo. Ma non mi spaventa questa situazione, ho altre compagne che mi fanno compagnia e mi ricordano che sto vivendo una grande avventura.
La stanchezza, la fame, la sporcizia, la sonnolenza, l’acido lattico nei muscoli, le ginocchia sofferenti, il mal di culo, il sudore negli occhi, il male alle mani, tutte situazioni che mi fanno compagnia, mi sono abituato, mi fanno solo male fisico, non le devo considerare, non sto lottando con loro. Non è ne più ne meno di quello che ho gia vissuto e che pensavo di trovare. La mia psiche è nel suo ambiente ed è tutto accettato. Ho il tempo di assaporare queste situazioni di dolore e dimenticarmene per pensare a tutte le mie persone care. So che tantissima gente mi è vicina. Come vorrei che tutto il mondo fosse cosi, che nessuno soffrisse. Pedalo e penso, penso e pedalo, sono le 2 di mattina, fa freddo e oramai il mio fisico è un automa, ho fatto più di 150 km e oltre 3000 m di dislivello.
Sono senza dolore, o forse sono tutto un dolore? Un vecchio camper si ferma. Due pensionati scendono e si avvicinano. La signora mi tocca e sembra volermi coccolare. Mi invitano insistentemente nel loro camper anche perche siamo assaliti dalle zanzare. Io mi sono abituato e ho la faccia gonfia, ma loro sono in maniche corte.
Mi preparano dei panini. Ne divoro 4 e bevo 2 coca cole. Abitano nella provincia Nova Scotia. Un’isola dove la particolarita’ mi hanno detto e’ l’effetto dell’alta marea che si muove di 25 m. Stanno girando da pensionati per alcuni mesi. La signora mi da ancora dei biscotti e dei panini da portar via prima di salutarci.
Torno fuori tra le zanzare e il freddo. E’ dura ricominciare alle 2:30 vedendo allontanarsi nel nulla la sagoma di un camper comodo e caldo. Sono ancora solo. No ho le mie colline da pettinare e ritagliare con le mie ruote. Luci oltre una collina, sto arrivando a Eagle Plains. Alle 4:00 di mattina sono a meta strada. Qui si trova un Motel con ristorante e un benzinaio. E’ un lusso. Alcuni camper sono parcheggiati e qualche tenda e’ piantata. Cerco un posto anche per la mia. Mi muovo molto piano, sono veramente stanco. Entro nel sacco a pelo, con il sudore sul corpo e sembra colla.
Rock River Campground, 6 luglio 2005
Quando mi alzo, sono le 8:00 circa. Non ho molta sonno anche se sono stanco. Non me ne accorgo ma sicuramente l’adrenalina che ho in corpo mi tiene in carica. Devo stare in ogni caso molto attento e controllare anche questa situazione perchè quasi non mi viene da mangiare e da bere. Ma lo faccio regolarmente e quando posso riempio
lo stomaco con tutto quello che trovo. In questo caso qui trovo da fare una colazione mega, con hamburger,
salsicce, uova becon e formaggio. E; una buonissima situazione questa. Sistemo e riordino la mia roba. Ricarico le batterie e il mio telefono satellitare che mi serve per agganciare il satellite Iridium e spedire il materiale fotografico
sul mio sito www.mauriziodoro.it. Vengo a sapere che si può fare una doccia calda. Nooo.! Che spettacolo! Mi sento così sporco come avvolto nella marmellata che mi butto sotto e ci sto molto continuando a strofinarmi e a grattarmi
fino a far riaffiorare il prurito delle punture delle zanzare da goderne quasi. Sono come nuovo e prima di ripartire mangio un’altra volta abbondantemente.
La giornata e’ splendida ed ho quasi caldo appena risalgo un’altra collina. Oramai mi sono abituato a convivere con questi sali scendi. Ma i paesaggi sono fantastici, delle vedute su praterie, verdissime con fiori viola e gialli. Dall’alto di queste colline a volte vedo un fiume dall’andamento danzante che si allontana in qualche valle laterale per poi dar posto all’orizzonte verde del bosco. Sembra di volarci sopra perchè la strada è sempre sopraelevata di
qualche metro dal materiale che ci hanno messo per rendere il fondo molto stabile. La solitudine mi accompagna, oggi non sono passati neppure i grossi camion. Posto da orsi. E’ qualche giorno che non ci penso, ma ho sempre tenuto la solita attenzione la sera quando mi fermavo riguardo il cibo. Sulla bici ho il campanello che annuncia la mia presenza e a portata di mano la bomboletta spray al pepe. Dalla strada, quasi non lo vedo perche’ spesso pedalo attento con lo
sguardo avanti a me. Ma d’istino mi giro: il suo viso e il suo sguardo incrocia il mio. Non ho paura, ma ringrazio che non sono in salita ai 4 km orari. Un orso nero, non sembra grosso, ma spingo sui pedali, quando mi giro sono lontano e lo vedo con 2 piccoli entrare nel bosco. E’ casa sua e si muove con calma. Per qualche ora il mio pensiero era li e mi guardavo molto intorno e quando la tensione mi cresceva suonavo il campanello molto forte. Passo in prossimità di un incendio l’orizzonte ora è marrone pedalo per qualche ora e mi rendo conto che era veramente grosso. L’odore e’ molto forte e vedo anche una fumarola ancora attiva. Qualche giorno fa la strada era chiusa. Neanche le zanzare resistono qui, fortunatamente per un po’ mi lasciano in pace. A loro piace aggredirmi quando mi fermo o sono in salita che vado
piano. Sono centinaia e mi lasciano solo se la mia velocità supera i 10-12 km orari. Prima di arrivare a Rock River Campground mi sorprende un forte temporale ma oramai ci siamo. So che c’e’ una baracca e potrò accendere il fuoco per asciugarmi, mangiare e dormire su un tavolone.
Ore 1:30
Campo manutenzione strada. Container lavoratori, 7 luglio 2005 Il tempo questa notte era molto brutto. Ha piovuto ininterrottamente e la temperatura si è abbassata. Questa mattina tira anche un forte vento che passa tra le zanzariere della baracca, infatti non ha
finestre da chiudere. Mi accendo il fuoco e mi preparo una colazione abbondante. Ho l’impressione che sarà una giornata veramente dura. Piove ed io sono coperto. Sono pronto per partire, e vedo arrivare un tipo in moto. Appena vede il fumo del camino e me, mette la moto sul cavalletto ed
entra. Un uomo sulla sessantina e con grande spirito. E’ tutto bagnato ed ha il casco sporco di fango, ma ha una tuta molto grossa e lui sta bene. Mi dice che la strada è tutta un fango ed è molto difficile guidare la sua 650 perchè sbanda molto. Beviamo un caffè insieme e siamo pronti per partire. Ciao buon viaggio e buon divertimento e fai attenzione ci diciamo. Comincio subito affrontando una salita molto ripida. Quasi non mi accorgo delle condizioni atmosferiche perchè sono appena
partito e sono caldo. Ma poco dopo mi rendo conto che il tempo passa e i km no. Il vento è frontale e la pioggia fredda mi bagna il viso. Sono costretto ad avanzare con il cappuccio che mi copre la faccia e la testa piegata. Se almeno non ci fosse il vento. La temperatura è 1 grado e il vento da l’impressione che sia ancora più bassa. Il mio corpo è al caldo ma le mani sono gelide anche con i guanti. Tiro le maniche della giacca fino ad allungarle e avvolgerle per ripararle dal vento e non bagnare troppo i guanti. Spingo su quasi tutte le salite perchè le raffiche sono troppo forti
e mi fanno ondeggiare. Una di queste veramente violenta, mi apre il cappuccio e mi fa volare
il cappellino sopra il foular termico. Vola lontano giu per la scarpata. Non ho la voglia di scendere a
cercarlo. Ogni tanto mi fermo a bere o a mangiare e mi metto di schiena impuntato. Penso che forse potrei tornare indietro al campo ad aspettare con un bel fuoco acceso. Ma no, quando sarò veramente esausto pianterò la tendina. La nebbia si fa fitta e su una salita in lontananza intravedo delle luci di macchine o camion. Che ci sia un incidente? Una frana? Che si siano fermati tutti per la nebbia? Qualche decina di minuti dopo, quando arrivo vedo che è un campo di lavoratori.
Senza che io dica nulla mi chiamano e fanno cenno di entrare nei loro container che sono adibiti a camere, cucine, mense, laboratori. Sono super attrezzati e la tecnologia che hanno è all’avanguardia.
All’interno trovo anche il motociclista. Si è fermato anche lui. Vuol tornare indietro e riprovare domani. Mi offrono da mangiare e roba calda da bere. 18 km in 3 ore 45. Non so quanto rimarrò qui. Forse anche per la notte. Dicono che il tempo non migliorerà fino a domani.
Tsììgehtchic, 8 luglio 2005
Sono rimasto al caldo di un laboratorio, la nebbia era troppo fitta, pioggia e freddo mi hanno convinto a rimanere. Non ho dormito granché perchè c’èra un via vai di persone e macine per i sassi e le analisi che facevano erano rumorosissime. Mi hanno dato persino i tappi.
In ogni caso ero steso sul pavimento nel mio sacco a pelo al caldo. Mac, ha finito il turno alle 6 e mi dice che mi accompagna in Jeep fuori dai campi di lavoro per una trentina di km, perchè è troppo
pericoloso con questo tempo, la visibilità è scarsa e i camionisti sul percorso sono stanchi la mattina. Non piove e la temperatura è un po’ più alta di ieri sera, 8°. Sbanda anche lui con la Jeep e procediamo piano. Qualche km dopo raggiungiamo un passo e la regione dello Yukon è finita, la Dempster prosegue in un’altra regione, Territori Del Nord Ovest. Ma non ce ne nemmeno dalla nebbia.
Mac è un giovane canadese di 22 anni e si guadagna così dei soldi per poter fare l’università.
Dopo circa 30 km mi lascia su un discesone. Ci salutiamo e lo ringrazio dandogli una maglietta.
Non mi ricordavo quasi più del carico sulla bici. Devo fare attenzione a non prendere troppa velocità. Il portapacchi si è rotto in alcuni punti ed è tenuto insieme con della corda. C’è nebbia a sprazzi, ma almeno non piove e non c’è vento, che goduria. La tendenza della strada è quella di abbassarsi ma le dolci salite ci sono ed ora dopo una settimana intensa le mie gambe le sentono ogni
volta. Dopo circa 50 km un traghetto mi porta in pochi minuti oltre il fiume Peel River. Il tempo si è messo al bello e quando arrivo al villaggio indiano di Fort McPherson c’è il sole e fa caldo.
All’unico locale, quasi una cucina, vicino al distributore, mangio delle uova e salsicce. Tutti mi guardano, ma non sono morbosi. Mi salutano e mi chiedono da dove vengo. Prima di partire do sempre un occhiata generale alla bici. Un raggio rotto! La ruota è un po’ scentrata ma la sistemo velocemente. Poi anche il mozzo della ruota anteriore è allentato e ha gioco. Ma poca roba. Niente di grave fortunatamente e questa pista veramente bella mi da una mano.
Quando la pista mi porta su qualche collina vedo l’orizzonte verde e numerosi laghetti e intravedo pure il delta del fiume Mackenzie. La giornata si è messa proprio al bello e fa veramente caldo, sono circa 18° e sudo. Mi da quasi fastidio questo caldo. Dopo 113 km finalmente arrivo sul fiume Mackenzie. Mamma mia che grande. Un’altro traghetto e sono al piccolo villaggio indiano di
Tsììgehtchic. I lavoratori del traghetto mi indicano un buon posto dove mettere la tenda. Vicino alla piccola chiesa c’è un piccolo prato che da la vista proprio sull’apertura del fiume Mackenzie.
Che vista ragazzi, poi il sole scende proprio di fronte a me e ho un tramonto meraviglioso. Alle 2 di notte il sole basso fra le nuvole le colora di sfumature che vanno dal giallo, rosso, rosa.
Riesco a difendermi dalla gente curiosa e dalle zanzare rintanandomi nella mia tendina.
Inuvik, 9 luglio 2005
Quando mi alzo questa mattina, ho una spiacevole visione. Non vedo più il mio fornellino per cucinare. L’avevo lasciato vicino ad alcuni sassi con la pentola. Era pronto per questa mattina. Questo mi dispiace perchè è necessario per me, per continuare il mio viaggio. Mi dirigo allora verso una piccola casa marrone. Un cane all’improvviso sbuca e mi abbaia, fortunatamente è legato. Il suo
abbaiare fa arrivare alla porta una signora indiana, e dopo averle spiegato la mia situazione e chiesto dell’acqua calda mi fa entrare. Insiste nel farmi la colazione a base di carne e uova. Beverly con la sigaretta in bocca mi indica le carte e vorrebbe giocare con me, si comporta come se ci conoscessimo da sempre. Mi fa vedere un po’ la piccola casa e aprendo una camera anche i 2 figli che stanno dormendo. Il marito lavora in qualche miniera lontano in un altro villaggio del nord.
Parliamo del mio viaggio, è contenta mi ascolta volentieri e mi da dei consigli.
Poi una cosa che non mi aspettavo. Mi offre casa sua a Inuvik dove vive in inverno, e mi dice che posso stare quando arrivo questa sera. Telefona al fratello e lo avverte del mio arrivo. Un gesto che mi lascia con il batticuore. La fiducia esiste ancora in alcuni luoghi. Noi la stiamo rovinando
giorno dopo giorno, nel nostro mondo. Non abbiamo più necessità degli altri (apparentemente) e ci permettiamo di trattarli male. Qui ognuno ha bisogno sempre degli altri altrimenti verrebbe tagliato fuori. Conserviamo questa genuinità il più a lungo possibile. (Ho saputo dell’attentato a Londra). Riprendo il traghetto per andare dalla parte opposta e racconto del furto ai lavoratori. Subito un giro di chiamate con le radio per avvertire il capo del villaggio. Non mi fanno scendere, sono sconcertati da questo gesto. E torno indietro al villaggio. Il capo del villaggio, un tipo più distinto e rispettato degli altri mi porge la mano e si scusa, farà il possibile per rintracciare il mio fornello. Gli dico che ne comprerò uno a Inuvik, non ho tempo per aspettare, ho molta strada da fare. Lui insiste che bisogna risolvere questo grave problema. Lui stesso mi accompagna al villaggio in macchina e ancora per radio chiama alcuni collaboratori. 30 min Una mamma accompagna il figlio grande con una bacchetta in mano. Lui è il colpevole e mi riconsegna il fornello. Tutti si scusano e io dico di non essere troppo severi. Mi aspetta una lunga strada, fortunatamente quasi tutta pianeggiante.
Passano molte macchine perchè in questi paesi ci sono molti lavoratori e pescatori. Lungo la strada mi fermo in un campo di pescatori e mi regalano del pesce che stanno affumicando in una
baracca di legno. Fortunatamente il cielo è un po’ coperto e io pedalo bene. La zona è ricca di fiumi e molte sono le persone con la canna in mano. Un rettilineo impolverato, una macchia scura lontana, non è un orso è troppo piccolo, si alza di scatto e corre via velocissimo, un lupo meraviglioso. E’ l’ultima cosa che mi offre questa pista. Ora sono veramente stanco, centinaia di salite che non mi aspettavo mi hanno demolito le gambe, e poi la pioggia e il vento, brutta stagione
anche per i canadesi. Ho pedalato molto in questi giorni vedo le prime case, le prime officine, e poi il grandissimo cartello che indica la fine della Dempster Highway un percorso molto difficile, non me lo aspettavo così impegnativo e con così tanto di dislivello. Una pista che mi ha offerto tutto quello che mi poteva dare per renderla avventurosa. Polvere, terra, ghiaia, salite, discese, sole,
pioggia, freddo, vento, incontri, animali, persone, la gioia per me biker.
Inuvik, 10 luglio 2005
Ora mi trovo nella casa di Beverly, c’è un caos dentro ma ho potuto fare una doccia caldissima e ho dormito sul divano. Che pacchia. Quando sono arrivato ieri sera, mi aspettavano perchè sapevano del mio arrivo. Mi hanno aiutato a portare la mia bici e la roba in casa e se ne sono andati.
Questa mattina andrò in centro a chiedere come è la situazione sul fiume e sull’oceano poi deciderò cosa fare
Check Point n° 15, 11 luglio 2005Nella notte (si fa sempre per dire) sentivo il vento sbattere sulla mia tenda e quando guardavo dalla piccola apertura vedevo il fiume correre increspato con le punte delle onde bianche di schiuma. Unico vantaggio quando non c’è vento è la completa assenza di zanzare. Quelle piccolissime e fastidiose moschito. Questa mattina me la prendo con comodo perchè c’è ancora vento. Dovrà pur calare prima o poi. Spero. Parto alle 11:00. Non è una bella giornata. Ma oramai sono abituato da questi 20 giorni selvaggi. Pagaio con fatica perchè il vento è contrario ed avanzo a circa 4-6 km orari. Fortunatamente riesco a pilotare bene il kayak perchè è fornito di piccolo timone posteriore che manovro con i piedi tramite pedaliere che tirano dei piccoli cavi d’acciaio. Ogni volta che faccio un movimento di pagaia alzo dell’acqua. Piccole gocce che però mi bagnano continuamente anche se uso una copertura che chiude l’apertura del kayak. Il fiume è larghissimo, e l’orizzonte mi da l’impressione di non avanzare mai o molto lentamente. Mi sento molto vulnerabile e solamente le mie mappe, la rotta che ho creato e gli strumenti che utilizzo mi danno la conferma che il mio gesto non è inutile ma avanzo verso l’Oceano Artico, verso il Polo Nord. Una piccolissima sagoma nera da qualche minuto si sta avvicinando. Ma non capisco se sono io che mi muovo verso di lei o se è lei che mi viene incontro. Non riesco a capire cosa sia. Sicuramente dalla distanza è qualcosa di molto grande. Man mano che mi avvicino, o si avvicina, non riesco a capirlo ancora, la figura nera cresce. Ora riconosco mi sembra una grossa barca, uno di quei zatteroni giganteschi. Non è come un motoscafo, non sento il rumore del motore. E’ grandissimo. Mi sembrava fermo, ma ora vedo benissimo che sta avanzando contro di me e molto velocemente più di quello che sembrava. Immediatamente abbandono il piacere della vista e dell’incontro con qualcuno, sono spaventato e mi sale una grande preoccupazione. Se un motoscafo creava onde al suo passaggio che erano una noia per il mio kayak figuriamoci questo. Con il motore che avrà per spostare quella quantità di tonnellate di ferro, chissà che onde farà. Comincio a pagaiare verso la riva e mi sembra di non arrivare mai, mentre il barcone è velocissimo. I minuti passano. Ero troppo lontano. Il mio sguardo continua a spostarsi dalla riva, allo zatterone, all’acqua. Acqua, zatterone, riva. Sta passando parallelo a me e sento il suo sordo motore molto potente. Vedo dietro di lui la massa d’acqua sollevarsi diversi m, è spaventoso, per almeno 100-150m o forse più, si solleva un’onda altissima che poi si allarga a v calando e frantumandosi sulla riva. Oramai sono vicino alla riva, mi giro e pagaio forte in direzione perpendicolare alle onde. Ne passo 3-4 poi la calma nuovamente. Il barcone è lontanissimo, ma vedo ancora chiare le onde dietro. Se fossi rimasto a guardare quel pachiderma passare, mi avrebbe scosso come un fuscello e sicuramente nessuno mi avrebbe aiutato
anche se probabilmente mi guardavano con il binocolo. Alle 16:00 mi fermo su una piccola spiaggetta. Cerco di non fermarmi mai se possibile perchè ogni volta devo scendere e mettere i piedi in acqua perchè il Kayak tocca il fondo e mi inzuppo tutto e poi mi ritocca fare la stessa cosa quando lo spingo per ripartire e rimango tutto bagnato. E poi devo ricordarmi di tirare su il timone con un sistema di corde perchè potrei rischiare di piegarlo o romperlo. Ma ora sono proprio stanco perchè ho pagaiato contro vento e ho voglia di camminare un po’ perchè mi fanno male i piedi e specialmente i talloni in quella posizione. Sulla spiaggia impronte di orso, probabilmente grizzly perchè sono veramente enormi. Ma me lo avevano detto che in questa area ci sono moltissimi grizzly. Il tempo non migliora, ma per il momento non piove. Quando riparto sono nella stessa condizione, piedi bagnati e scarponi infangati che cominciano a sporcare sempre più il fondo del kayak. Pagaio ancora qualche ora ma mi accorgo che non riesco a fare molti km. Faccio fatica ad avanzare. Alle 19:15 sono obbligato dal forte vento a cercarmi in extremis un picco posto ma sufficiente per la mia tenda. La riva fangosa fa uno scalino e per questa volta non finisco in acqua ma riempio gli scarponi di fango. Non ho neanche voglia di mangiare e butto giù solo frutta secca e
qualche barretta. Il mio kayak sbatte troppo sulla riva e lo trascino vicino alla tenda. Sono a circa 1,5 m dalla riva. Metto il cibo il cibo lontano, e per fare questo mi arrampico sulla costa e passo tra fango, rami secchi portati dalla corrente e radici di cespugli. Porto anche il dentifricio e le salviette igieniche. E meglio tenere lontano anche i profumi. Entro nella tenda con i pantaloni sporchi di fango. Ma il sacco piuma mi fa caldo per la notte.
Check Point n° 25 , 12 luglio 2005
Mi rendo conto che non posso sprecare troppe ore e devo assolutamente sfruttare il bel tempo a qualsiasi ora altrimenti rischio di perdere il rientro in Italia previsto per il 18 luglio. Dopo una gran colazione a base di pasta e frutta secca, alle 04:00 sono già sul mio kayak rosso. Piove, ma il fiume è calmo. Sono molto su di giri perchè le mie pagaiate rendono e la velocità raggiunge i 7 km orari. Bene, se il tempo tiene, come vento intendo, oggi riesco a fare molto. Spero. Intravedo tra le nuvole, colorate di rosso e giallo, il sole, questo mi conforta e spero in un miglioramento. Fa freddo, circa 4 gradi, ma senza vento mi sembra una buona temperatura. Pagaio senza guanti. Ma senza vento, sono preda di nuvole di zanzare. Sono proprio fastidiose. Continuo a pagaiare sul fiume calmo, ora senza pioggia che oramai mi ha inumidito tutti i vestiti. Le ore passano, non me ne accorgo, ma sento dalla stanchezza e dal dolore della posizione che sono tante. 8 ore, una giornata di lavoro. Ho fatto tantissime cose. Ho mangiato, mi sono vestito, ho messo dei sacchetti di celophan ai piedi perchè sono bagnati e quasi non li sento più dal freddo, ho controllato le mappe, mi sono guardato intorno, ho fatto un sacco di volte la pipi, ho fatto foto, e anche delle riprese con la mia digitale che oramai funziona con il comando di altri tasti e a furia di colpi sui fianchi. Prima o poi mi lascia in panne. Tutte queste azioni le ho fatte con la massima attenzione, badando a non fare movimenti bruschi e senza mai allentare lo sguardo sulla situazione di equilibrio, o dimenticare dove mi trovo. Una troppo sicurezza o confidenza in questo ambiente può essere fatale. Il sole a preso posto nel cielo e mi prende un po di sonno e brividi. Una vecchia baracca su una collina sembra un invito, mi chiama. Ho già trascinato sulla riva il mio importante mezzo. Vado a vedere.
Non ci posso credere. E’ aperta e all’interno tutto è predisposto per un’emergenza. Stufa, tavolo, vecchio divano. Ho bisogno di fermarmi e scaldarmi un po’. Accendo subito la piccola stufa arrugginita. Poi scendo nuovamente al kayak e mi accorgo di come fuori fa freddo e tira il vento, anche se poco. Ho sempre i brividi. Recupero 3 buste di cibo più 2 di quelle recuperate alla vecchia
cabin, ho una gran fame, la tanica dell’acqua, il termos, e il sacco piuma. Sono infangato e bagnato, ma non me ne frega niente perchè so che per qualche ora starò al caldo. Quando entro nella baracca, un caldo quasi fastidioso mi avvolge e prende il posto delle zanzare. Ma poi quando mi libero dei vestiti lo gusto tutto. Mentre la mia pentola piena d’acqua è sulla stufa, stendo il sacco piuma e tutti i vestiti, rimango in maniche corte e mutande. Gli scarponcini li metto su uno scaffale vicino.
La temperatura interna ha raggiunto i 24 gradi in un attimo e dopo aver mangiato mi butto sul divano con il sacco piuma aperto. Sono completamente nudo e mi addormento subito. Quando mi sveglio 2 ore dopo quasi sudo dal caldo, ho messo molta legna, e tutti i miei vestiti sono asciutti.
Che bello indossare vestiti caldi. Sono ancora intorpidito che già mi metto a pagaiare, ora c’e il sole
e la temperatura è di 12 gradi. Il paesaggio intorno è spaventoso e meraviglioso nel suo grandissimo
silenzio. A volte mi fermo completamente e mi accorgo di come mi fa compagnia il rumore della pagaia che entra ed esce dall’acqua, e lo sfrigolio del materiale che indosso. Stare fermi in mezzo per qualche minuto mi affascina e mi fa tantissima paura allo stesso modo. E solamente una
questione mentale perchè in questa situazione ci sono in ogni caso. Nessuno mi può aiutare. Potrei cedere e abbandonarmi in qualsiasi istante allo sconforto più grande. Questa situazione mi da adrenalina e mi obbliga a un continuo controllo di me stesso. Ora che ci sono lunghissime spiagge non so decidermi a fermarmi, ma alle 19:00 la stanchezza mi dice che è ora. Dopo aver messo la tenda un po’ in pendenza. Mi infilo nel sacco piuma asciutto, mangio qualche barretta e dormo subito. Buona notte
Check Point n° 41, 14 luglio 2005Sono partito alle 8 di mattina del 13 luglio, e ancora una volta il tempo non era buono anzi era proprio nero e pure vento. Mi ero svegliato alcune volte perchè volevo partire presto, ogni volta vedevo brutto con pioggia che batteva sulla mia tendina. Ma ora mi decido devo andare, non posso assolutamente perdere tempo. I giorni passano. Sono coperto bene e la temperatura è di 10°. So che oggi arriverò sull’Oceano Artico e questo mi mette un po’ di agitazione. Soffia vento di traverso che mi bagna solo la parte destra. Ma in testa ho la mia magica linea sull’oceano. Ora il fiume si è fatto ancora più largo ed io sto ancora più vicino alla costa, è la mia unica salvezza in caso di necessità. Spesso però devo allontanarmi perchè il fondo è basso e improvvisamente il mio kayak mi avverte con uno sfregolio e sussulto che mi fa irrigidire dallo spavento, ma oramai mi sono abituato perchè mi è già successo diverse volte. Allora testo il fondo con la pagaia e mi accorgo che è anche fangoso, non so se riuscirei a camminarci. Meglio non provarci, l’acqua è anche fredda. La costa è pianeggiante e non vedo ma so che ci sono, le centinaia di laghetti e paludi che si sono formate al disgelo, le vedo solamente quando mi fermo e risalgo a piedi la riva e allora il paesaggio diventa infinito, un deserto di tundra. La spiaggia si fa lunga e piena di grossi tronchi portati dal fiume, è uno spettacolo anche questo. Vento di traverso, pioggia a tratti, onde più o meno lunghe, pagaio di forza. Troppe 4 ore in queste condizioni e sono costretto a fermarmi su una grande spiaggia, ma ci arrivo comodamente a mezzogiorno. Subito noto delle impronte di orso, normale, continuano su tutta la spiaggia. Ha fatto la sua passeggiata. In un primo momento voglio andar via non mi sento sicuro. Ma dove? 100m, 1Km, 10Km, è la stessa cosa. Ho sempre preso le giuste scelte e precauzioni. Perchè ora cosa cambia? Ho forse paura? Di arrivare in fretta? Sta calando la mia attenzione? La comodità e la mia mansarda sono altrove, lontane, questo luogo può e mi offre solo questo. Le mie scelte non sono ancora finite. Ho ancora una grande responsabilità di me stesso e mi devo rispettare. Comincio a pensare di fermarmi qualche ora, perciò devo montare la tenda, riparare la mia roba e mettere il più lontano possibile e sottovento il cibo. Lo metto su una ripidissima costa fatta di sabbia, mi arrampico e scavo una buca. Le impronte mi seguono. Si è alzato un forte vento e ne approfitto per stendere la mia roba bagnata che si asciuga molto velocemente. Dietro un grosso tronco raccolgo della legna e accendo un bel fuoco poi mangio le ultime scorte di buste e mi riparo nella mia tenda. Non so quante ore dovrò rimanere, ma sono molto preoccupato: pensavo di arrivare a Tuktoyaktuk nel pomeriggio tardi e invece mi ritrovo ancora fermo. Non mi resta altro che dormire per provare a muovermi questa notte. Alle 20:00 riparto, la temperatura è molto bassa, 1° mi copro molto e mi infilo come al solito i sacchetti di nailon nei piedi, metto i guanti e per non bagnarli, metto anche alle mani dei sacchetti più piccoli. E’ qualche giorno che ho perso sensibilità alle mani e mi fanno male. La canoa e la bici hanno dato il loro contributo. Fa proprio freddo e anche se pagaio, non mi scaldo, ma con il passar delle ore le nuvole se ne stanno andando e un striscia di azzurro sta crescendo sull’orizzonte. Sono felice. Sono sul delta di questo grande fiume e avanti a me l’Oceano Artico. Non ho mai pensato di fare questa cosa neanche da piccolo, non era nei miei sogni. E una cosa che è nata all’improvviso dopo che sono stato in Canada l’inverno del 2004. Mi sono sentito tra gli indiani e volevo andare da loro, nella loro terra più difficile e pericolosa, il Grande Nord. Ora ci sono io e vengo accolto. Il delta del Mackenzi è come una grande mano che mi spinge verso questo grande orizzonte blu scuro. L’azzurro del cielo è sopra la mia testa e il sole ancora alto alla mia sinistra. Il vento è calato ed è diventato un soffio leggero, non più onde ma solo un tremolio sull’acqua piatta quasi olio, sembra un grande regalo dopo giorni di fatica e tensione. Alcune grandissime boe rosse e giganti tabelle arancioni indicano la rotta per l’Oceano e l’imbocco nel canale migliore del fiume. Io costeggio il più vicino possibile alla riva e faccio anche tutte le baie. Preferisco così, anche se faccio km in più. Non posso assolutamente rilassarmi ora, ho rischiato qualche volta per tagliare, ma mi sono accorto che ero troppo lontano e non avevo nessun margine di sicurezza, tutto era dato alla fortuna. Decine di minuti impiegavo da una riva all’altra e qui in oceano le condizioni cambiano in pochi minuti anche se il tempo sembra bellissimo. Poi ho anche paura delle balene, in questo periodo in questa area ce ne sono moltissime e vengono cacciate, potrebbero avvicinarsi al kayak e crearmi seri problemi. Io però non ne ho mai viste. Sono le 4 di mattina e il sole non è mai sceso sotto l’orizzonte di questo cielo senza neanche una nuvola. Una linea che separa l’azzurro dal blu scuro, una palla arancio sospesa, e un kayak che passa e dentro ci sono proprio io. Uno spettacolo unico che non ho mai visto e sognato. Mi fermo spesso, smetto di pagaiare e mi lascio trasportare, giro in tondo come in una danza. Mi pervade una inebriante sensazione di grandissima libertà. E io guardo ovunque. Devo sempre stare però molto attento a non rilassarmi e ondeggiare. Tutto è piatto e infinito intorno a me, solamente alcune colline chiamate Pingo si elevano. E sono proprio delle mezze lune disegnate, sono formate da ghiaccio interno molto vecchio, ricoperte di terra, erba e muschio una rarità della natura. Esco dall’ennesima baia ed ho il sole in fronte arancione che si riflette sull’acqua. Pagaio infreddolito verso le sagome nere di costruzioni. Ma sono già arrivato a Tuktoyaktuk? Ero talmente assente e non mi sono accorto che gli ultimi 8 km sono volati nelle baie. Le costruzioni sono sempre più vicine, sento alcuni cani abbaiare e bambini giocare. Sono le 8:00 del 14 luglio io arrivo e il villaggio si sta svegliando. Qualcuno mi viene incontro sulla riva e mi aiutano. Chiamano quelli del porto e mi caricano il kayak che fra qualche giorno riporteranno a Inuvik. Un pescatore di balene, si avvicina, è indiano e mi offre un pezzo di carne nera, è di balena affumicata: è il suo benvenuto. Si complimentano con me dopo che ho raccontato la mia grande avventura. Quasi 2000 km in 23 giorni con 2 giorni di riposo, dicono che sono andato veramente forte, ma io quasi non li ascolto, sono ancora con i miei sentimenti più profondi, e non ho solo i vestiti umidi.
Ora ho capito: qui al nord, non sono io a decidere cosa fare in questa giornata, ma è il giorno che decide cosa io dovrò fare oggi.
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