di Virna –
Questo viaggio nasce dalla voglia di tornare in Africa e di conoscere delle realtà molto diverse dalla nostra, un giro in rete alla ricerca di itinerari un po’ insoliti ci fa arrivare al sito di scopriremo solo durante il viaggio che sono loro ad organizzare la maggior parte dei tour per i tour operator italiani specializzati in viaggi-avventura italiani e non, il nome “maschere in festa” dato ad un viaggio di 15 gg in Burkina Faso Ci colpisce e la lettura dell’itinerario attraverso riti ed etnie diverse ci incuriosisce al punto di decidere di partire. Acquistiamo quindi, via internet, il tour del Burkina mentre il volo, Milano-Casablanca-Ouagadouogou e ritorno con Royal Air Maroc lo prendiamo dall’agenzia viaggi di Torino. Dalla Transafrica ci informano che il gruppo sarà formato da altri 4 o 5 italiani. Speriamo in bene non siamo abituati a viaggiare con altra gente…….
Partiamo senza visto, cosa che un po’ mi preoccupa perché pare che se fossimo passati da Parigi non ci avrebbero fatto proseguire forse…. ma i marocchini sono più tolleranti. Arrivati a Casablanca, senza intoppi ci hanno chiesto se avevamo il visto ma….. spiegando che l’avremmo ottenuto a OUAGA all’arrivo e non hanno fatto obbiezioni. Purtroppo il tempo d’attesa, per la “coincidenza” è di circa 8 ore e le attese in aeroporto sono una palla! C’è gente che bivacca ovunque e qui lo spaccato di umanità è veramente vario. Durante l’attesa ci guardiamo intorno per vedere chi potrebbero essere i nostri compagni di viaggio. Notiamo 2 signore non più giovanissime che vengono poi raggiunte, più tardi, da altre 3, che per non annoiarsi all’aeroporto avevano deciso di andare a vedere la nuova moschea di Casablanca, hai capito le signore…….
Durante la cena la più intraprendente del gruppo ci chiede se andiamo in Burkina e scattano le presentazioni. Scopriremo ben presto che le signore sono tutte esperte d’Africa e di deserto.
Atterrati ad Ouaga chiediamo subito il visto sbrighiamo le formalità e paghiamo 30 euro, tanti problemi risolti in un attimo, certo il passaporto non ce lo restituiscono subito ma la nostra guida, Gabriele, che ci ha accolto all’aeroporto ci fa sapere che li troveremo a Bobo Dioulasso tra due giorni. Efficienza africana! Sono le 3 del mattino e non vediamo l’ora di andare a dormire. L’hotel OK Inn è vicino all’aeroporto e piuttosto confortevole.
La sveglia è alle 7.30 e la colazione alla francese abbondante e buona . Il costo dell’hotel è di 40 euro a stanza! Ad attenderci ci sono due fuoristrada, equipaggiati di tutto quello che ci servirà per il viaggio, tende e cucina da campo comprese, due autisti ed un cuoco. Giornata di trasferimento verso la zona dei Bwa x vedere l’uscita delle Maschere. Sul nostro tragitto incontriamo la prima moschea in stile sudanese, fatta cioè di fango e paglia e con i minareti a punta arrotondata “infilzati” da pezzi di legno che servono, sia per la costruzione che per la manutenzione, come scale. E’ venerdì e c’è praticamente tutto il paese radunato per la preghiera. Le Maschere, invece, fanno parte della tradizione animista ed ”escono’ alla fine della stagione secca per chiedere la pioggia. Sono di legno dipinte in bianco e nero e rappresentano, in maniera stilizzata, gli animali della savana, tipo la scimmia la farfalla, alcune, come quella dl bucero uccello portafortuna, sono alte anche 1 metro e mezzo e pesano parecchi kili. Sono portate da ragazzi “iniziati” che attraverso questo rito passano dalla fanciullezza all’età adulta, questi indossano anche un costume di rafia di vari colori. Il villaggio partecipa attivamente alla festa ballando ed incitando le maschere al ritmo dei tamburi e di uno xilofono molto artigianale chiamato balafon., che è costruito con un legno particolare e usa delle zucche come cassa di risonanza. La musica è ossessiva, le maschere danzano imitando i gesti degli animali che rappresentano aiutandosi anche con due bastoni per simulare meglio le quattro zampe. Veniamo coinvolti anche noi nella danza e tutti sembrano gradire la nostra ‘esibizione’. Notiamo le prime scarificazioni sul viso di uomini e donne che contraddistinguono la loro etnia e a volte anche la loro famiglia. Una sorta di tatuaggio un po’ più doloroso e se non si pensa a come vengono fatte si potrebbero definire “belle”. Il caldo è una costante, ci viene offerta della birra di miglio che ogni famiglia prepara per il proprio fabbisogno. Ha un odore forte e pungente è alcolica e …..non fa per noi! Notte nella savana o ‘brousse’ alla francese . Montate le tende si cena con pesce di fiume alla griglia sotto una notte stellata.
Le maschere di foglie BWA,invece, che ci aspettano in un altro villaggio sono un vero capolavoro. hanno un struttura fatta di rami che passa sopra la testa dell’iniziato fino a metà schiena e viene ricoperta da mazzetti di foglie che sono però tagliate in modo da sembrare muschio. Un lavoro incredibile considerati i pochi mezzi a loro disposizione . Il corpo è racchiuso da strisce di corteccia , a mò di mummia ed ad esso sono applicati mazzi di foglie intere. Sulla sommità del capo, fino a metà schiena , vengono, poi, applicate le piume dell’uccello kaloè , il bucero, che vengono conservate dalle famiglie in bellissimi contenitori lignei tutti lavorati. Parte della vestizione avviene nella savana ed solo per gli iniziati, parte al villaggio, sotto gli occhi di grandi e piccoli. La funzione di queste maschere è di ripulire il villaggio dalle negatività, di scoparle via attraverso le foglie che, alla fine della danza verranno riportate nella savana e lì bruciate. Alla danza partecipa tutto il villaggio. Anche qui è notiamo le scarnificazioni sul viso degli abitanti. Simbolo di appartenenza e tribù e famiglia. Il caldo è tanto, più di 40°! Ma per fortuna molto secco. Gli iniziati si lasciano ‘vestire’ senza la benchè minima insofferenza. È un lavoro lungo. Ballano quasi in trance, al suono del balafon, e quando finiscono si sdraiano sulla terra rossa come sfiniti. Notiamo che donne e bambini raccolgono le foglie cadute dalle maschere e le conservano in un mucchio, verranno portate nella savana più tardi per essere bruciate con il resto. In questo villaggio incontriamo il nostro primo feticcio “comune”, normalmente ogni famiglia ha poi il proprio feticcio privato che può trovarsi all’interno o all’sterno dell’abitazione, con il suo guardiano a cui chiediamo di spiegarci la funzione del feticcio, simbolo delle religione animista . Apro parentesi per spiegare cos’è un feticcio: “Idolo grossolano (animale, pietra, pianta e simili), venerato dai negri delle coste occidentali dell’Africa Occidentale così cita un vocabolario… Ci spiega che questo è stato costruito circa 400 anni fa e che è a disposizione di tutto il villaggio che può chiedere intercessioni per qualsiasi cosa e cui fa sacrifici di vario tipo, normalmente si usano i polli, o prima o dopo aver ottenuto quello che si è chiesto. Pare che questo feticcio sia molto potente….
A noi occidentali questa cosa può apparire un po’ strana e barbara ma è in uso ancora in molti parti del mondo.
Prossima tappa è Bobo Diulasso, seconda città del Burkina. Hotel Relax, centrale circa 50 euro a notte un po’ squallido ma c’è la settimana della cultura e in città c’è il pienone. Visitiamo la città vecchia, in realtà un villaggio nella città, dove ci sono ben 2 feticci comuni e un sala della parola dove i vecchi del villaggio si riuniscono e prendono le decisioni per la comunità. Scopriamo un sacco di riti e tradizioni che credevano dimenticati o leggenda e che invece continuano ad esistere ed ad essere parte della vita di un sacco di tribù. Anche qui ci sono le maschere, albine, fatte di rafia chiara che danzano e fanno acrobazie davanti al capo del villaggio. Il pubblico è entusiasta ma meno partecipativo di quello visto nei villaggi. Cena all’ Eau vive ristorante molto carino gestito da religiose con un ottima cucina francese. Posto rilassante con bellissimo giardino ricco di piante rigogliose. Non credevo ci fossero posti così in Burkina!
Il mattino seguente ci rechiamo al villaggio Pala x assistere al ‘Grand funeral’ una festa in onore dei defunti importanti di alcune famiglie. In altre parole quando muore un capo villaggio o una personalità importante viene sepolta normalmente poi, in un particolare giorno dell’anno, tipo la nostra festa dei morti, queste personalità vengono ricordate attraverso le danze di queste maschere. L’attesa prima dell’evento è lunga. Troviamo un buon punto d’osservazione sulle radici di un grande albero. La piazza circostante si anima e riempie all’inverosimile. la maggior parte delle donne indossa gli abiti più belliche possiede ma anche alcuni uomini non sono da meno. Si fa amicizia con chi ci sta intorno, alcuni parlano francese, siamo il polo d’attrazione della giornata e molti vengono a salutarci e a stringerci la mano .Dopo 2 ore il caldo è quasi insoppor tabile. Arrivano le maschere, richiamate dal suono del balafon. In un punto della pizza nasce un diverbio le persone iniziano a spingere c’è ci cerca di riportare la calma. Io scendo dall’albero e cerco di allontanarmi dal casino dirigendomi nella brousse dove una maschera sta danzando circondata da un piccolo gruppo di persone. Ma poi preferisco proseguire verso le nostre macchine. Per strada vengo invitata a bere un po’ di birra di miglio ma ringrazio e rifiuto. Rientriamo a Bobo un po’ delusi del non aver visto la cerimonia ma la situazione non era delle migliori. Cazzeggiato x Bobo fino a sera. Ogni anno in questo periodo c’è il festival della cultura , che dura una settimana e gruppi di tutte le etnie convergono a Bobo per esibirsi così dopo cena decidiamo di andare ad assistere ad una kermesse di musica e balli al teatro dell’amicizia e la serata si rivela molto piacevole. Il giorno dopo visitiamo il museo della musica e delle etnie. Interessanti entrambi e ben allestiti anche se composti di poche sale. I musei hanno 2 prezzi uno x i burkinabè l’altro x gli stranieri. Normalmente 500 Fcfa e 1.000 Fcfa.
Molto grande il mercato coperto di Bobo che invade anche gli spazi vicini, con frutta verdura stoffe e manufatti locali, incredibili come spesso in Africa, i colori dei vestiti delle donne e delle merci esposte. Il viaggio prosegue alla volta di Banfora, nei cui dintorni si trova un lago sacro con degli ippopotami, le formazioni rocciose di Fabedougou che danno origine a dei singolari pinnacoli e le cascate di Karfiguela. Prima di Banfora c’è un grande zuccherificio, che visitiamo. Tutt’intorno i campi sono coltivati a canna da zucchero e quindi ben irrigati e quindi di un bellissimi colore verde!
Villaggi Senoufo e Lobi
Arriviamo a Gaoua, dove visitiamo il bel musée du Poni e ci fermiamo a dormire all’Hotel Hala, basic ma decoroso con una buona cucina, di proprietà libanese.
Il viaggio che ci porterà dallo sciamano, il Feticher, comincia presto dobbiamo fare un po’ di strada sterrata attraverso i villaggi Lobi, che sono delle piccole fortificazioni. Lo sciamano abita in una casa un po’ lontana dalle altre e sormontata da una coppia di feticci in terracotta raffiguranti gli antenati. Aspettiamo un po’ prima di essere ricevuti e così ci guardiamo intorno.
Su un lato una serie disordinata di altri feticci fa da guardia alla casa della pazzia. Quando ci riceve scopriamo che per entrare in quella casa dobbiamo toglierci le scarpe e camminare sul terreno ricoperto di piume di pollo, sangue raggrumato e chissà cos’altro e non toccare i feticci. L’interno della capanna di fango e paglia è buio e il caldo, soffocante. Feticci di antenati ovunque poco spazio un’atmosfera spettrale. La poca luce filtra da un buco nel soffitto. Dopo alcune spiegazioni su come viene trattata la pazzia , malattia dello spirito e non del corpo, ci spostiamo nella casa principale dove, lasciate di nuovo le scarpe proseguiamo per un corridoio stretto e basso, in cui svolazzanno dei pipistrelli, fino alla stanza delle consultazioni. È più luminosa dell’altra ma sempre stipata di feticci, tra cui una specie di cane, compagno di caccia del feticher, ci sono molti cauri, conchiglie bianche una volta usate come monete, qui si possono interrogare gli antenati e gli spiriti positivi. Il tutto avviene attraverso l’interpretazione dei cauri,che vengono lanciati più volte, l’immersione ed il galleggiamento o meno di un bastoncino in una ciotola d’acqua, in segni rituali ed invocazioni. Il tutto dietro pagamento di una cifra che varia a seconda della richiesta fatta agli spiriti. Ci facciamo ‘predire’ il futuro , fare un paio di gri-gri, talismani/pentacoli, protettivi e dare un rimedio x una tosse causata dal malocchio. Il tutto in un’atmosfera decisamente affascinante e coinvolgente. Siamo un po’ stregati dallo sciamano che ci conduce nell’ultima stanza, quella della fecondità. altri feticci, in posizioni più specifiche, assistiamo ad un altro rituale molto interessante ed alla preparazione di una pozione per la virilità che viene bevuta, con gran disgusto, dalla nostra guida locale. Usciamo dopo più di 2 ore dalle viscere di questa strana casa con ancora un rituale da compiere, per il completamento della prescrizione. L’acquisto di 2 polli a cui bisogna poi riservare un particolare trattamento. Esperienza incredibile! Da fare perché il racconto non gli rende mai abbastanza onore. Massimo rispetto x lo sciamano che qui è anche medico e consigliere. Sarei rimasta con lui un giorno intero. Altro incontro interessante quello con il re dei Gan nel villaggio Obire Il re Kan Iya, 29° della dinastia, che risale all’anno 1000 e vanta anche 4 regine come sovrane titolari e non consorti, è stato eletto all’interno della famiglia reale. Ha 35 anni e ci riceve seduto sul suo trono, sotto un grande albero, con in mano il bastone del comando. È simpatico ed intelligente, l’etichetta vuole che non ci si rivolga a lui direttamente ma il colloquio avviene attraverso un ‘porta parola’, persona autorizzata a parlare con lui e che gli tradurrò le nostre domande in lingua Gan. Capita però che nell’enfasi del discorso lui ci parli direttamente in francese, anche se inizialmente pur capendo le domande aspettava la traduzione e rispondeva nella sua lingua., come vuole l’etichetta. Il suo palazzo ‘reale’ è formato dalle case delle sue 15 mogli, 12 ereditate dal precedente re e con le quali ha un rapporto da figlio maggiore più che da marito, dai loro granai e dalla sua casa, il tutto si affaccia su un ampio cortile dove si accende il fuoco per cucinare e dove giocano i bambini. Interessanti anche le tombe dei precedenti re al cui interno vi sono delle statue che li raffigurano e le rovine di Loropeni.
La visita alle cercatrici d’oro di etnia Lobi prima ed una miniera sempre d’oro in un villaggio dopo, ci fa capire ancora di più quanto poco valore ha la vita da queste parti. Per i Lobi il cercare l’oro è cosa sacra riservata alle donne, che non possono portarlo ma solo venderlo. Queste stanno ore sotto il sole a setacciare kili di fango rosso x ricavare pochi grammi di polvere d’oro al giorno. Buchi profondissimi scavati nella terra, senza nessuna sicurezza sono lo scenario di una specie di miniera che ormai ha quasi esaurito la sua vena ma che è ragione di vita per parecchie persone in una zona dove non c’è altro per tirare avanti. Un vero inferno.
Interessanti le visite alle abitazioni Bobo e Birifor. la prima costruita tipo fortino con i granai all’esterno e le case delle donne e del marito che si affacciano su un cortile, la maggior parte ha almeno 5 mogli, la seconda è una casa unica a cui si aggiungono stanze quando si aggiunge una moglie. Sono entrambe case buie, prive di finestre con soffitti bassi e varchi d’ingresso stretti e chiusi da porte in paglia. Ogni stanza ha un accesso al tetto tramite una scala fatta con un tronco d’albero intagliato perché nel caso dei Birifor la casa del marito è sul tetto e in entrambi i casi il tetto serve come essiccatoio e come accesso a piccoli granai.
Il Gibier national park di Nazinga è il più grande parco nazionale dell’Africa dell’ovest. Non è sicuramente da paragonare ai più famosi parchi africani ma ci sono circa 500 elefanti, gazzelle, fagoceri, gibier e un sacco di uccelli. Facciamo un giro con i nostri fuori strada , in compagnia di un Ranger che ci fa da guida raccontandoci un po’ di cose su flora e fauna del parco. Molto spartani ma confortevoli i bungalow in muratura che ci ospitano. Interessante la visita al villaggio di etnia Bambara ed all’antico cimitero dove i morti venivano inseriti in due grandi otri decorate e sepolti in direzione est ovest. Purtroppo il sito, molto antico ed esteso, non è mai stato scavato da professionisti ma solo da tombaroli il suo stato, quindi, è pessimo. Molto interessanti, sempre in questa zona, anche le pitture rupestri che rappresentano animali e situazioni di caccia. Da qualche giorno abbiamo lasciato la strada asfaltata, la pista è ben battuta ed il paesaggio sempre più desertico, il Sahel è vicino. Cammelli liberi mangiano le foglie di acacia, i Peul fanno pascolare le mandrie. Siamo molto vicini al confine con il Mali passeremo qui tre giorni, nel nord del paese, dormendo in tenda, dove incontreremo varie popolazioni , Peul, Bellà, Senufo, Tuareg, Bambara, Songhai alcune nomadi, altre stanziali. Cerchiamo di capire i loro usi e costumi , ammiriamo la bellezza delle donne Peul e delle loro acconciature e gioielli, conosciamo i capi villaggio, considerati alla stregua di re, facciamo amicizia con tanti bambini sempre sorridenti. I villaggi ,spesso poveri, hanno costruzioni diverse a seconda della tribù che li abita. Attraversiamo Aribinda, cittadina fatta di bancò, terra, paglia e un collante che può essere urina, chiara d’uovo o burro di karitè. Nel villaggio di Oursy le razze si mescolano al mercato in un incredibile caleidoscopio di colori. I villaggi dei Bellà sono costituiti da capanne fatte con un’intelaiatura di bastoni e ricoperte di stuoie, che ricordano il guscio di un armadillo sia nei colori che nella forma. All’interno poche cose, un grande letto sta nel mezzo ed ai lati alcune ceste delle calebas pentole di terracotta e pochi vestiti.
Nel villaggio di Darkoy, abitato da Tuareg stanziali assistiamo al Tendè che è una tipica danza dove le donne suonano i mortai di legno ricoperti da una pelle di pecora e battono ritmicamente le mani emettendo suoni monocorde. Gli uomini ballano una danza molto veloce ed elegante con movenze feline il tutto alla luce di un grande falò. Ci accampiamo sulla loro terra ed il giorno dopo restiamo a chiacchierare con il capo di questa piccola comunità in modo da poter conoscere meglio le loro tradizioni.
La ricerca di questi villaggi ed etnie diverse ci ha portato a percorrere piste poco battute ma sempre carrozzabili ed in luoghi senza alberghi per cui abbiamo fatto degli accampamenti, con tende e cucina da campo in mezzo alla savana ed anche sulle dune del deserto del Sahel. Ci siamo quindi svegliati col barrito dei dromedari o circondati da bambini incuriositi. Abbiamo fatto l’esperienza dei mercati di confine, a Markoy e Oursy dove ci si incontra x scambiarsi merci, informazioni e cercare moglie. La bellezza della maggior parte delle donne e la loro eleganza non ha paragoni. Le donne Peul, ad esempio, usano agghindarsi i capelli con monete d’argento, fermando in più punti le trecce con fermagli anch’essi d’argento e le chiudono con grandi anelli. Il tutto le impegna x 4 giorni , ma la pettinatura non verrà poi toccata x 2 mesi! Molto interessante anche il villaggio Songhai con le case in bancò decorate e dipinte con vari tipi di fango.
Bellissima suggestione la visita a Bani la città delle 7 moschee ed al suo ‘profeta’ colui grazie al quale questi incredibili edifici in bancò in stile sudanese sono stati costruiti. Vederli è stato come entrare in un mondo irreale come vivere la scena di un film e chiacchierare con questo “profeta” come lui stesso si definisce, di religione mussulmana che è andato ben due volte a piedi dal Burkina alla Mecca, ci ha fatto capire che, in fondo, tutte le religioni sono simili. Incredibile anche il museo di Manega, museo di bendrologia o del linguaggio dei tam tam, sperduto nella brousse che raccoglie tantissime maschere e steli funerarie dei Mossi, ormai scomparse e un sacco di informazioni sul mondo Burkinabè.
A sud ovest di Ouaga, verso il Ganha, vive l’etnia Gourunsi famosa per le sue case villaggio dipinte sia esternamente che all’interno con motivi geometrici e con animali sacri. Gli uomini si occupano della costruzione sovrapponendo strati di argilla alla struttura in legno, mentre le donne curano l’impermeabilizzazione dei muri e la realizzazione di affreschi simbolici di colore bianco, rosso e nero, per l’esterno, dentro, invece, si prediligono i toni dell’ocra. Sono dei veri capolavori! Le donne sono le artiste di queste opere che denotano sempre una certa agiatezza della famiglia che le ha costruite.
Ultima tappa del viaggio è nuovamente Ouagadougou che non è sicuramente una bella città, non ha un vero e proprio centro è molto grande, caotica ed estremamente polverosa. Si può tranquillamente visitare la zona del mercato che si sviluppa al di fuori del vecchio edificio che ospitava quello coperto bruciato anni fa e mai ricostruito. Interessante la parte relativa ai mercanti di noci di cola, che contrattano animatamente intere ceste piene di questi piccoli frutti, di gusto amaro, ma molto apprezzati e richiesti per le loro proprietà. Per mangiare è d’obbligo recarsi al ristorante dell’Eau Vive, nella zona del mercato, che anche qui come a Bobo offre un’ottima cucina in un ambiente piacevole e sereno. Sappiate che durante la cena sarete invitati a recitare una preghiera insieme alle Sorelle che gestiscono questo posto.
CONSIDERAZIONI ED INFORMAZIONI GENERALI
Il Burkina è uno dei paesi più poveri al mondo e nel visitarlo ci si rende conto di questa situazione.
Non è impossibile visitarlo da soli, ma ci vuole molto tempo, cosa che noi non avevamo. Interessante da sapere è che esistono delle guide ufficiali, che parlano francese e riconosciute dal ministero del turismo, hanno un tesserino identificativo con tanto di foto, alle quali ci si può affidare per andare nei villaggi a conoscere meglio le tradizioni delle varie etnie. Per trovarle basta chiedere negli alberghi dove li contatteranno per voi. Senza queste guide si rischia di vedere i villaggi solo dal di fuori senza poter conoscere le persone che sono invece elemento essenziale di questo viaggio.
Il piatto principale per la maggior parte della popolazione è il Tò, una polenta di farina di miglio di densità variabile. Miglio che viene ‘pilato’, macinato, di volta in volta nel mortaio dalle donne. Il tò viene accompagnato da delle salse, quando c’è la possibilità o consumato a come pane senza null’altro. La maggior parte della gente vive in capanne di stuoie o case di bancò. I loro averi si limitano a poche suppellettili indispensabili. Spesso l’unico abito che hanno è quello che indossano, le scarpe spesso sono un optional. Poche le macchine che circolano nel paese, diffuse, invece le biciclette. Poche anche le strade asfaltate ma le piste, che sono la maggior arteria di comunicazione,sono in ottimo stato e si riesce ad arrivare ovunque. Le persone sono ovunque disponibili e cordiali , molti parlano francese ed è un piacere fermarsi a parlare con loro. Nonostante sia un paese povero gli alberghi ed i buoni ristoranti sono cari, sui 40 euro una stanza decorosa e sui 10 una buona cena. Certo mangiare per strada o nelle bouvette costa molto meno, sui 4 euro ed al mercato si possono comprare dei buonissimi manghi per 50 centesimi al kilo.
Il costo complessivo di questo viaggio è stato di circa 3.000 euro a testa.
Un viaggio da fare!
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