di Claudio Montalti –
Racconto di viaggio nel Nord est del Brasile, a Natal, tra spiagge, luoghi comuni falsi e problemi veri.
È sembrato strano a molti, non a me, che non abbia mai scritto nulla sul Brasile, di quella piccola fetta che visitai nel ‘99 tra Genipabu (Rio Grande do Norte) e Recife (Pernambuco).
Eppure, da che ho cominciato a scrivere, ogni mia meta ha ottenuto un piccolo o grande omaggio o resoconto a partire da quei pensieri con cui imbrattavo sul momento pezzi di carta, abitudine nata in Australia, cui solo recentemente ho imposto l’ordine di un notes. Ne scrivo ora, dietro i gentili inviti di amici viaggiatori che volevano conoscere la mia campana.
Più che mai vale la regola che quanto scriverò ha un valore del tutto soggettivo. Infatti, non farò uno sperticato elogio del Brasile, la costante di tutti coloro che parlano del paradiso del futebol, del cacao, delle telenovelas, della samba, del carnevao e, dulcis in fundo, del sedere femminile (di cui non ricordo il nome idiomatico) vero re dell’iconografia brasiliana. Le conosco bene quelle parole. Pronunciate dal mio migliore amico, hanno rallegrato quasi ogni giorno precedente la mia partenza. L’impatto è stato subito durissimo.
Natal è la capitale del Rio Grande do Norte, meglio conosciuto come Nor Este, una relativamente “piccola” città costiera del Brasile visto che non conta nemmeno un milione di abitanti. Mi ha subito colpito mentre “amiche” di un compagno di volo ci portavano all’alloggio da lui prenotato a Ponta Negra, una gran bella baia interrotta a sud da una duna altissima e a nord da due-tre giganteschi resort che farebbero inorridire qualsiasi persona.
Sono rimasto scioccato nel vedere sfilare dal finestrino insegne grandi e luminose di supermercati, ipermercati, discount, centri commerciali, macchine luccicanti e nuove, capannelli di giovani e meno giovani tutti vestiti a puntino, il sorriso stampato sui volti abbronzati e i cellulari incollati all’orecchio. La realtà in cui ero atterrato non era quella di una meta curiosa ed esotica, diversa e intrigante, colorata e calda di gente di sorrisi, ma quella di una qualsiasi grande città: stesse luci, stessa attesa un po’ pompata della notte, stessa ostentazione dell’apparire, del successo, del “nuovo”, delle tecnologie.
Mi sono fatto sempre più piccolo e triste, io che nemmeno avevo il telefonino e che nel piccolo zaino portavo stipate tutte cose che non intendevo riportare a casa perché intendevo regalarle per fare posto agli oggetti curiosi che avrei eventualmente acquistato. Ho poi riso di me mentre, pieno d’imbarazzo, cercavo una scusa plausibile per congedare le due ragazze.
Il drink se lo erano meritato tutto, il resto richiedeva doti che né io e né l’occasionale compagno sembravamo possedere. Riuscito nella piccola bugia, sono andato a dormire sicuro che il sole e un po’ di riposo avrebbero fatto svanire quei brividi che mi percorrevano la schiena, brividi di quello stesso freddo che mi coglie ogni volta che, ad esempio, arrivo a Milano: freddo incomunicabilità…
Mi sono risvegliato rinfrancato. La baia risplendeva nel sole già violento delle sei del mattino, e Natal era lontana mentre camminavo felice lungo la lunghissima spiaggia quasi deserta di Ponta Negra, ma la mia curiosità, voglia di conoscere, domandare, vedere, approfondire, immergermi nella realtà senza alcuna barriera fisica o mentale si è presto scontrata con la realtà che il Brasile della costa di Natal non è diversa da quella di una qualsiasi laboriosa città europea. Ma sto generalizzando…
Nello specifico sono stato costantemente respinto. Sono stato respinto dalla prima ragazza che ho voluto conoscere perché mi aveva colpito il suo starsene lontana, lontanissima dalla zona degli affollati baretti sulla spiaggia, dove la metà erano turisti maschi e l’altra metà ragazze molto disponibili. Mi avevano colpito il suo costume bianco sulla pelle intensamente dorata, i grandi occhiali neri e il cappello di paglia rotondo con la fascia verde sotto cui spuntavano corti ciocche di capelli biondi.
Sembrava una diva del cinema e proprio questo le ho detto mentre abbassava gli occhiali rivelando occhi smeraldo che più belli non potevano essere, che mi avevano lasciato senza fiato. Non è nemmeno di qui, pensavo, ed avevo indovinato perché era di Sanpao. Sono stato respinto da quell’apparizione di sogno semplicemente perché il portoghese non assomiglia allo spagnolo come avevo ottimisticamente e baldanzosamente pensato. Oh no, affatto! Il rifiuto è divenuto poi totale un paio di sere dopo, incontrandola per caso. Non potevo farle nessuna buona impressione coi miei jeans stracciati, maglietta e reef shoes, oppure semplicemente non le piacevo, dovevo considerare pure questo.
Più grave è stato essere respinto dalla famiglia che gestiva la pousada in cui avevo finito per alloggiare. Nessuno mi ha regalato quei piccoli consigli o dritte che avevo chiesto gentilmente, ma che potevo sicuramente pretendere in quanto cliente. I clienti erano tutti brasiliani. Che bello, mi ero detto la prima mattina che ero sceso a colazione, una disposizione d’animo che si è sempre frantumata sulla poca disponibilità e curiosità verso chi era diverso da loro, gente di Recife, Rio de Janeiro, San Paolo, gente di città per la quale avrei dovuto forse fare il buffone per attirarne l’interesse.
Il top l’ho raggiunto nell’essere respinto nella più innocua richiesta di ottenere un passaggio lo stesso giorno che una coppia ospite della pousada si recava a Pipa, una località a 80 km sud di Ponta Negra. Non mi era sembrata vera la fortuna, e infatti ho immediatamente subito la cocente delusione di una scusa artefatta per rifiutarmi quello che, ne sono strasicuro, chiunque al mondo mi avrebbe concesso e che io – pur essendo del tutto contrario a raccogliere autostoppisti ove sono presenti i mezzi pubblici – avrei spontaneamente offerto a chiunque in quelle condizioni. Devono avermi preso per opportunista, quello che improvvisa, o anche peggio… Per la cronaca, la coppia in questione non ha manifestato il minimo imbarazzo quando – loro dopo un’ora d’auto e io tre di autobus – ci siamo visti sulla praia di Pipa. A proposito, Pipa è stupenda e vale proprio la pena passarci un paio di giorni.
Anche a causa di tutti questi sbarramenti, cui va aggiunto il non trascurabile fatto che i primi cinque giorni del mio viaggio sono coincisi col gran finale del carnevao, dopo il quale non era rimasto che una specie di infinita e deprimemente atmosfera da day after, non ho avuto sinceramente modo di conoscere al meglio il lato umano del Brasile. Ho invece conosciuto bene il Brasile della costa del Nor Este, fantastica e in gran parte percorribile direttamente sulla spiaggia grazie alle Dune Buggy, auto diffusissime in questa parte di mondo. A nord di Natal si trova il luna park del bianco mondo delle dune mobili di Genipabu. Proprio quell’escursione a nord mi ha spinto verso deliziosi paesini di pescatori, divenuti la meta preferita del turismo povero brasiliano. Ho subito ceduto alla tentazione di vederli più da vicino. Ho raggiunto Pitangui in autobus, con tanta pazienza nonostante si trovi una decina di chilometri più a nord di Genipabu. Quel tratto di costa era praticamente disabitato…
Mi è bastato fare due passi, nel “paese” come nella praia, per stabilire che quello era il posto giusto per una breve vacanza. Oh, sì! Come il milanese va a Riccione e il romano a Forte dei Marmi, così il brasiliano in grana va a Ponta Negra o Boa Viagem o Salvador, mentre tutti gli altri, carichi della sola amaca e dei soldi faticosamente risparmiati raggiungono per le loro vacanze località informali e ancora grezze come Pitangui.
Le amache affollavano ogni porticato di giorno come di notte avrebbero riempito l’unico stanzone che si apriva dietro la porta. Mentre tornavo lentamente alla fermata dell’autobus, fuori da ogni casa andavano preparandosi i barbecue che avrebbero foraggiato la festa del carnevao, il gran finale dal sabato al martedì grasso. Ogni strada sterrata andava affollandosi. La festa stava entrando nel suo top, ma non potevo rimanere. Le combinazioni degli autobus erano piuttosto laboriose, e infatti sarei giunto alla mia pousada a sera ben avanzata.
Mi è dispiaciuto vedere quel che poteva essere per me il carnevale mentre l’autobus del ritorno sfrecciava accanto al serpentone infinito e fermo di auto e pullman che scendevano alla spiaggia, ed ad una discreta folla che aveva deciso di avviarsi a piedi dopo avere parcheggiato l’auto dove era capitato sul lato della strada contribuendo al gran caos. E non mi ha sollevato il morale la notizia di un grave incidente avvenuto quella stessa sera: un pullman e diverse auto avevano preso fuoco e non avevano lasciato scampo a decine di persone a bordo, forse intontite dal sonno o dall’alcool o da entrambi.
Del dopo carnevale ho già accennato. Comprensibile che la gente sia fosse spenta… devono tutti recuperare da follie fisicamente, mentalmente e anche economicamente provanti, dei giorni più frenetici e pazzi dell’anno, un ferragosto dieci volte più spinto, chiassoso, spontaneo e animato di quello che conosciamo. Non ci voleva un genio a capirlo.
Un episodio basterà invece a sintetizzare il mio pensiero e l’aspetto macroscopico che chiunque atterri in Brasile non può non notare, come non può non notarlo chi atterra nelle mete più turistiche di Cuba o della Thailandia tanto per citare le altre due gemme del “macho” nostrano. Una sera attendevo l’autobus che dal lungomare di Natal mi avrebbe riportato a Ponta Negra quando una bambina di 10-11 anni si è avvicinata tenendo per mano un’altra bambina che era la metà di lei. Fissandomi negli occhi mi ha chiesto qualcosa che non ho capito, ma il gesto della mano era stato più che eloquente. Nonostante l’abbronzatura, sono arrossito fino alla punta delle orecchie mentre lei se la godeva un mondo. “Un solo real signore.”
Non è facile mettermi in imbarazzo, credetemi, eppure non sapevo proprio come uscire da quella situazione, aggravata dal fatto di essere solo ad attendere l’autobus. Forse lei sapeva già cosa avrei fatto perché la vita le ha presto insegnato a riconoscere quelli come me, gli uomini innocui, perché le tariffe non possono proprio essere così miserevoli, ma lo stesso l’episodio è emblematico.
Il real gliel’ho regalato con un sorriso reso ancora più timido da incomprensibili ma sicuramente taglienti parole. In ogni caso, un “grazie” non avrebbe cambiato la sostanza delle cose. Mi vergognavo nel rappresentare ciò che, in effetti, è il turista occidentale, il portatore di un certo tipo di affari, quello che sostituisce le camere da letto ai luoghi, le ragazze (e i ragazzi) in vendita alla gente capace di catturare l’interesse, quel turismo che ha insegnato a quella bambina ad essere acuta e perspicace invece che bambina.
Avevano un bel dire, certi pseudo uomini, “Ti vengono a cercare loro”, per giustificare nottate a 20 o 30 US$ trascorse con ragazzine spesso minorenni. Ma non era solo questo a farmi provare vergognare per chi non ne era capace di provarne. È la mentalità di una parte consistente dei turisti occidentali che fa ribrezzo. Il discorso è più ampio e complesso, ma un breve aneddoto può essere utile a sviscerarlo un po’.
Ero in spiaggia, per una volta immerso tra i turisti, a godermi una birra e la musica nel volgere del tramonto, quando non posso fare a meno di notare una certa agitazione. Pochi passi più in là, una giovane donna francese sbraita e si sbraccia. Guardo la scena con curiosità finché non capisco. In francese sta tentando di dire qualcosa ad uno dei tanti figli derelitti del Brasile – in quel caso un raccoglitore di lattine, ma vi erano centinaia di uomini e donne, bambini e vecchi ormai deformi per i troppi anni, che andavano incessantemente avanti e indietro al fine di racimolare i pochi spiccioli indispensabili per comprare la cena, o le medicine – che di sicuro abitava in una qualche baraccopoli nei paraggi di Ponta Negra. Non l’ho mai vista ma doveva esserci perché vicino ad ogni città c’è sempre una favelas. L’uomo finalmente pare capire e s’illumina tutto. In pochi minuti raccoglie attorno a sé l’intera squadra di familiari o amici, alcuni di loro lontani diverse centinaia di metri. Si mettono tutti in posa per una foto, il motivo di tutta l’agitazione. Fin qui tutto bene. Per nulla bene è la scena che segue quando, tutta pimpante e sprizzando “munificità” da ogni poro, la donna elargisce un intero real (nda: il costo di una birra al bar) all’uomo che aveva fermato per primo. La sua espressione, e poi quella di tutti i suoi compagni, è chiara come il sole. Si sentono presi in giro, loro che erano stati attirati dalla promessa di un facile guadagno, loro che non potevano permettersi alcun rifiuto, loro che dovevano sfruttare ogni circostanza pur di mettere insieme la cena. Provo una gran pena per loro. Sembravano burattini cui per l’ennesima volta sono stati dolorosamente tranciati i fili. Quell’unica moneta urlava vendetta. Non stava né in cielo né in terra.
Ho fissato con odio la donna che, voltate le spalle, stava sventolando la sua fotocamera, orgogliosa di avere la foto “di colore” da mostrare a casa. So bene dove le metterei quel real, anzi so bene dove le metterei pure l’intera macchina fotografica. Non so voi, ma ci sono violenze quotidiane che hanno un sapore peggiore della peggiore violenza proprio perché sono atti commessi da gente che si definisce ed è convintissima d’essere “normale”, che magari partecipa a marce della pace, e alle giornate dell’ambiente.
Per favore, se avete più di 40 anni e non potete fare a meno di resistere alla avance delle minorenni, se siete uomini o donne di qualsiasi età e proprio non resistete alle pulsioni di uno scatto o altro a gente più sfortunata di voi, se questo è per voi il significato del viaggiare e volete davvero sentirvi in parte sollevati e giustificati nel commettere atti che hanno il comune denominatore di ingiustificabili e inaccettabili perversioni, almeno date loro molto di più di quel che è per voi il “giusto” prezzo, il prezzo stabilito dal mercato. Anche se è momentaneamente e gravemente assente, non smettete mai, nemmeno per un attimo, di pensare che la dignità di una persona, di qualsiasi persona, non ha prezzo. Ricordatelo perché è proprio grazie a queste azioni che il terrorismo e il fondamentalismo fanno presa sulla povera gente. Ma ricordatelo soprattutto perché, Dio non voglia, ma prima o poi potreste ritrovarvi voi nella stessa situazione…
Puoi trovare altri racconti e informazioni sui libri pubblicati da Claudio Montalti nel suo sito https://claudiomontalti.net/
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