di Mario Pistoi –
ASIA 2018 con Qatar Airways
diario giornaliero di una vacanza
(in giro per Laos e Thailand)
FUSO ORARIO (in Inverno) :
Milano 0,00 Bangkok + 6,00
Qatar + 2,00
Laos + 6,00
CAMBIO VALUTE (approssimative) :
THAILAND : Bath (THB)
Laos : KIP (Lak) 1 Euro = 40 Bath
1 Euro = 10.000 Lak 10 Euro = 400 Bath
5 Euro = 50.000 Lak 100 Euro = 4.000 Bath
10 Euro = 100.000 Lak
50 Euro = 500.000 Lak
100 Euro = 1.000.000 Lak
10 Euro = 400 Bath
100 Euro = 4.000 Bath
1 Bath = 0,025 Euro
20 Bath = 0,5 Euro
1.000 Bath = 25 Euro
Qatar : Riyal (QR)
1 Riyal = 0,25 Euro 1 Euro = 4 Riyal 20 Euro = 80 Riyal
150 Riyal = 37,50 Euro 400 Riyal = 100 Euro 50 Euro = 200 Riyal
Nel ricordo di “GIANNA“
I Giorno mercoledì 14 febbraio 2018:
In mattinata partiamo da Bolzano ed alle 14,00 effettuiamo il check-in all’aeroporto di Venezia.
Stamani il vice-caposcalo della Qatar Airways (una donna) si dev’esser alzata con gli “zibidei” girati.
Abbiamo richiesto di spedire i nostri bagagli direttamente a Luang Trabang nel Laos, ma è stata irremovibile e quando le abbiamo detto che il suo rifiuto ci avrebbe provocato una serie di disagi si è eclissata.
Il volo della Qatar Airways comprende la tratta Venezia / Doha / Bangkok aeroporto di Suvarnabhumi e dopo tre ore, il nostro volo prosegue, sempre dallo stesso aeroporto, ma con la Bangkok Airways, su Luang Trabang, nel Laos.
La Bangkok Airways è una compagnia aerea partner della Qatar e quindi non ci sarebbero stati dei problemi ad indirizzare direttamente i nostri bagagli nel Laos.
Nonostante gli impiegati della Compagnia Aerea a Venezia abbiano compreso le nostre richieste, la capo-scalo ha dapprima guardato le prenotazioni e poi ci ha rifiutato la spedizione diretta poiché in tre ore di sosta avremmo avuto il tempo di effettuare un nuovo check-in a Bangkok.
Ma ciò avrebbe comportato che appena arrivati a Bangkok dovremo fare dogana ed entrare in Thailandia (invece di rimanere in “transit”).
Dopodichè, ritirare i bagagli, e con questi uscire dall’aerostazione per subito rientrare ad effettuare il nuovo check-in per il Laos.
Nuovamente rifare dogana per uscire dalla Thailandia e fra una cosa ed un’altra non sarebbe avanzato tanto tempo, in quanto l’aerostazione è molto grande e le distanze sono notevoli fra i vari sportelli, per cui ci saremmo tanto rotto i coglioni e ogni dieci metri percorsi in più con tutte le valigie e con il fiatone, avremmo invocato la vice caposcalo, augurandole che qualcuno vada a ristroncarselo il più vicino possibile al suo deretano.
Ora siamo nella Lounge dell’aeroporto veneziano ben ristrutturata ed allargata rispetto all’anno passato
Decollo alle ore 16,00 e sulla verticale di Sarajevo inizia la merenda-cena.
Sono le 17,00 ora italiana, e “lo spuntino” comincia con salmone fumè e termina con panna cotta.
Champagnino per lubrificare.
L’aereo non è del tutto pieno e così mi scelgo il posto più comodo.
Alle 19,30 ora italiana, 21,30 ora del Qatar, siamo al traverso fra Teheran e Bagdad.
Volo tranquillo ed arrivo previsto a Doha fra un’ora e 45 minuti.
E infatti, dopo un sentiero di discesa un po’ mosso, causa turbolenze dovute all’attraversamento di vari strati nuvolosi, si atterra alle 23,10 ora di Doha, 21,10 ora italiana e 03,10 ora di Bangkok ( 5 ore e dieci di volo con vento a favore).
II Giorno giovedì 15 febbraio 2018:
Dopo una sosta nella Lounge della Qatar Airways per un cappuccino, si riparte alle 01,15 ora di Doha e dopo sei ore esatte si atterra a Bangkok.
Volo con altre diverse turbolenze, specialmente nell’attraversamento dell’India, ma comunque tutti sdraiati a dormire sotto quella meravigliosa coperta color amaranto, molto gradita e che la compagnia aerea ci fornisce.
Qui a Bangkok sono le ore 12,00 corrispondenti alle ore 06,00 italiane.
Al Suvarnabhumi di Bangkok facciamo tutte quelle noiose e faticose procedure causate da quell’impunita capo-scalo di Venezia.
Dopo un volo di un’ora e mezzo con un aereo grande, della Bangkok Airways, ma tutto scricchiolante, con intramezzo di diversi spuntini, atterriamo fra le montagne laotiane a Luang Prabang nel Nord del Paese.
Il Laos si trova nel sud-est asiatico e fino al 1954 faceva parte dell’Indocina francese, assieme alla Cambogia ed al Viet Nam.
Ha una superficie pari a quella italiana senza le due grandi isole, ma con una popolazione di soli 7 milioni di abitanti.
Il Laos è stato da sempre foraggiato dalle grandi potenze mondiali, sia occidentali che orientali, prima dai francesi, poi dagli americani, e per finire ai vietnamiti, ai cinesi ed ai russi.
Insomma coccolato da tutti, forse come Stato cuscinetto fra potenze comuniste e quelle dell’ovest.
Il Pathet Lao, movimento politico laotiano di ispirazione comunista, nato nel 1950 con l’intento di liberare l’allora Indocina, sotto protettorato francese, è tutt’ora la denominazione ufficiale dello Stato Laotiano.
Dopo il 1954, con la disfatta dei francesi a Dien Bien Phu, furono gli USA che si presero carico di finanziare il Governo Reale Laotiano, nell’ombra, naturalmente, dopo che la Conferenza di Ginevra ne aveva dichiarata la neutralità.
Nell’aprile del 1975 dopo la caduta di Phnom Penh in Cambogia e di Saigon in Vietnam, nelle mani delle forze comuniste, il Pathet Lao costrinse i dirigenti politici ed i generali della destra a lasciare il Paese.
Tutte le città furono “liberate” pacificamente l’una dopo l’altra ed il Pathet Lao entrò trionfalmente a Vientiane, la Capitale, nell’agosto dello stesso anno.
Centinaia di ufficiali di grado elevato e di funzionari pubblici accettarono di essere internati in remoti campi, per un periodo di “rieducazione politica”, la stessa praticata nel Vietnam riunificato, convinti di rimanere al massimo per qualche mese.
Ma il Pathet Lao aveva altri progetti e tenne rinchiusi nei campi di rieducazione centinaia di queste persone, per diversi anni.
I laotiani furono costretti a partecipare ad interminabili “seminari”, indottrinati sulla visione del mondo del Pathet Lao.
L’inflazione aumentò vertiginosamente e fu introdotto il controllo dei prezzi.
Alla fine, più del 10 % della popolazione, compresi l’imprenditoria, l’aristocrazia e gli intellettuali fuggirono all’estero.
La conseguenza di questo esodo fu drammatico.
Lo sviluppo economico del Laos subì un grave rallentamento almeno per una ventina di anni ed il nuovo governo comunista dovette affrontare enormi problemi quando anche gli americani interruppero i finanziamenti nelle città del Mekong.
Un maldestro tentativo di pianificare la produzione agricola peggiorò ulteriormente la situazione.
Nel 1979 apparve chiaro che era necessario cambiare politica.
La popolazione potè finalmente lasciare le cooperative e coltivare le proprie terre.
Furono consentite le imprese private.
Ma anche ciò non fu sufficiente a rilanciare l’economia.
Alla fine il Partito si convinse ad aprire il Paese al libero mercato ed agli aiuti ed investimenti da parte di stranieri.
Il regime si stava lentamente aprendo alla democrazia ed all’inizio degli anni ’90 l’economia cominciò a riprendersi.
Oggi il turismo è un’industria in rapida crescita, ma la corruzione, che ancora esiste, rimane un problema rilevante e le leggi sono spesso disattese poiché la magistratura è sotto il controllo del Partito, ma fino al 1975 il Laos fu sconvolto dalla guerra civile che avrebbe insanguinato il Paese.
Il conflitto cominciò ad infuriare nel 1960 ed in breve si fuse con “la guerra del Vietnam”.
I nord vietnamiti iniziarono la costruzione del “sentiero di Ho Chi Minh”, che in buona parte attraversava la regione montuosa del Laos, per infiltrare rifornimenti alle truppe impegnate nella guerriglia nel Vietnam del Sud.
Il “sentiero” era un drammatico dedalo di camminamenti e gallerie sotterranee in cui per anni si svolgeva una vita “parallela” con la costruzione di strade, ospedali, officine, alloggi.
Tra il 1961 ed il 1973 il governo degli Stati Uniti combattè in Laos una guerra segreta, mai dichiarata e mai votata dal Congresso americano.
I lanci di bombe aeree divennero sempre più drammatici, ma gli americani negarono sempre di averli eseguiti ed i vietnamiti del nord, da parte loro, rifiutarono sempre di riconoscere l’esistenza di questo “sentiero”.
Ma questa è un’altra storia.
Il Laos mantenne dopo il 1975 una relativa tranquillità sociale e non rimase coinvolto nei drammatici conflitti che insanguinarono la vicina Cambogia.
Fonte invece di continua preoccupazione furono per il Governo le ripetute azioni di guerriglia messe in atto dai ribelli “hmong”, che ebbero supporto dai reduci della CIA americana e dai superstiti, in esilio, della famiglia reale.
Ad oggi la “rivolta hmong” non si è ancora definitivamente conclusa, nonostante gli accordi di pace siglati con il governo centrale.
Questi “ribelli” si annidano nelle montagne del nord-ovest del Laos e sono una costola dell’Etnia Hmong, da sempre irriducibile nemica del Pathet Lao.
Durante la guerra civile laotiana, la “Piana delle Giare”, un territorio collinoso situato nel nord-est del Laos e comprendente una serie di circa 90 Siti Archeologici, risalenti all’età del ferro, cioè circa nel 150 a.C., fu per diversi anni contesa fra le forze del Pathet Lao, spalleggiate dal Nord Vietnam e Unione Sovietica, e dall’altra dall’Esercito Reale Laotiano, finanziato dagli USA.
In tali Siti Archeologici vi erano e vi sono tutt’ora centinaia di giare in pietra arenaria con un’altezza variabile fra i 50 cm. ed i 3 m.
Le giare vennero avvistate nel 1909 ma gli scavi cominciarono solo nel 1931 e portarono alla luce resti umani ed offerte funerarie.
Sono urne cinerarie e non contenitori per alimenti o bevande, come attestato dai diversi archeologi che hanno preso parte ai ritrovamenti.
Al centro della Piana è stata esplorata una grotta naturale che fu usata come crematorio grazie a dei fori nella parte superiore, che funzionavano da camino.
Nel 1992 i Siti sono stati inseriti tra le candidature alla lista dei Patrimoni dell’Umanità.
Nel periodo in cui fu occupata dai cosiddetti ribelli del Pathet Lao, l’aviazione statunitense sottopose il territorio ad intensi bombardamenti tra il 1964 ed il 1973 per un totale di 580.000 raid aerei.
Circa il 30 % delle bombe lanciate non scoppiò nell’impatto e molte si trovano tutt’ora sul terreno e ancora causano gravissime menomazioni fisiche, in special modo a contadini o bambini che ritrovano questi congegni mortali, nei campi o in mezzo alla foresta.
Molti di tali ordigni sono le micidiali “bombe a grappolo”, che erano state da poco introdotte sul mercato.
Ad oggi solamente 7 su 90 Siti, dove si trovano le giare, sono stati bonificati dalle bombe ed aperti alle visite turistiche.
Gli Stati Uniti intrapresero la più grande campagna di bombardamenti aerea e le sue inaudite dimensioni, costrinsero nel 1964 le forze del Pathet Lao ad asserragliarsi nelle grotte di Vieng Xay, una fittissima rete di 486 cunicoli naturali che dettero rifugio a circa 23.000 ribelli.
Nei nove anni successivi, le grotte sarebbero diventate la base principale del Pathet Lao, fornite di tutto quanto necessario, compresa l’attrezzatura ospedaliera.
Fine del piccolo intermezzo di Storia.
Le operazioni di dogana e rilascio dei visti per l’ingresso nel Paese, con presentazione di due fotografie già preparate, sono veloci, come in una batteria di montaggio.
Sono in sei i militari che eseguono queste formalità, ciascuno con la propria mansione, ed il turista scivola da uno all’altro fino all’ultimo che gli riconsegna il passaporto timbrato.
La città di Luang Prabang, antica capitale del Laos, è racchiusa da una cerchia di montagne presso la confluenza di due fiumi, il Nam Khan ed il Mekong.
La città è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO e nel centro storico non possono circolare autocarri ed autobus, per cui nelle strade si incontrano soprattutto pedoni, ciclisti e monaci.
Benchè vi sia una folta presenza di visitatori stranieri, la città non è una destinazione per chi ama la vita notturna e dopo mezzanotte cala il silenzio.
I templi color oro e rosso violaceo sono circondati da palme silenziose, mentre numerosi monaci dalle tuniche arancioni sembrano fluttuare lungo le vie alberate.
Nel 1887 numerose milizie fuggite dalla Cina meridionale dettero vita ad eserciti mercenari ed a gruppi di banditi ed una di queste bande, l’Esercito delle Bandiere Nere, devastò Luang Prabang, distruggendo e saccheggiando ogni monastero della città.
In seguito a questo attacco, il regno di Luang Prabang decise di accettare la protezione dei francesi, che consentirono il mantenimento della monarchia.
La città divenne ben presto uno dei luoghi preferiti dai colonialisti francesi fino agli ultimi anni di vita dell’Indocina francese.
Nel corso delle guerre d’Indocina, dopo la disfatta dei francesi a Dien Bien Phu,
la città rimase una roccaforte monarchica riuscendo ad evitare i bombardamenti americani che distrussero tutte le altre città del Laos settentrionale.
Negli anni ’80 subito dopo la vittoria dei Nord Vietnamiti e quindi dopo la Riunificazione del Vietnam, vi fu un massiccio esodo di imprenditori, aristocratici ed intellettuali provocato dalla “collettivazione dell’economia”.
Luang Prabang, come tutto il Laos, divenne l’ombra di se stessa, priva di risorse economiche, fino al 1989 quando il governo legalizzò nuovamente l’impresa privata.
Vennero riaperti negozi che erano chiusi da anni e ville fatiscenti furono trasformate in alberghi e guesthouse.
Nel 1995 l’UNESCO ha inserito la città nei siti considerati Patrimonio dell’Umanità, accelerando questo processo di rinascita.
Ad oggi, la popolarità internazionale della città ha raggiunto livelli tali per cui in alcuni quartieri il numero delle guesthouse, dei ristoranti e delle boutique è addirittura superiore a quello delle abitazioni.
Dall’aeroporto, un taxi a tariffa fissa (5 USD) ci porta al Resort Le Vang Bua Villa.
La miseria del popolo è palpabile, ma c’è tanta buona volontà in tutti.
E’ già sera e ci facciamo portare in centro al Night Market dove si accentrano migliaia di turisti al di più molto giovani.
Qui c’è una strada dove numerose bancarelle cuociono tutti i cibi al momento ed è strapiena di turisti affamati che per 1 USD si possono riempire il piatto fino all’orlo, con quattro o cinque pietanze diverse.
La moneta corrente è il Kip o il dollaro americano ed indifferentemente si può pagare con l’una o con l’altra.
Il cambio medio corrisponde a 10.000 Kip per 1 Euro.
Centinaia di altri banchi vendono tutte quelle cose che interessano il turista, come foulard in seta, arazzi, coperte ricamate, capi di abbigliamento, calzature, argenterie, borse, ceramiche, lampade in bambù, e molto altro ancora, ma la maggior parte “made in China”.
Anche qui un fiume di gente.
Alle 21,00 io crollo ed un taxi comune, per 3 USD mi porta al Resort facendo un lungo giro.
Charly e Renata torneranno a piedi attraversando il Nam Khan sul “Bamboo Bridge” un ponte di bamboo instabile e stretto, dove ci passano solamente i pedoni.
III Giorno venerdì 16 febbraio 2018:
Mi sveglio alle 8,00 dopo aver ascoltato cantare i galli nel cortile della Guesthouse vicino alla piscina, e dopo colazione, alle 10,00 viene a prenderci un tuk tuk per la gita sul Mekong.
Ci porta al molo dove saliamo su un barcone assieme ad una ventina di persone.
In un’ora, percorrendo il Mekong, sbarchiamo accanto ad un villaggio nel quale troviamo una “farm” molto modesta ed artigianale, ove producono whisky con la distillazione del riso.
Ci sono tutt’intorno dei venditori con prodotti artigianali per turisti, ma io sono strasicuro, fatti direttamente in China.
Compriamo 2 bottiglie di whisky con attorcigliati dentro dei serpentelli e dei ragni.
Naturalmente nessuno ha il coraggio di assaggiare il liquore, ma per un regalo fra il macabro e lo scherzoso è l’ideale.
Riprendiamo la navigazione facendo lo slalom fra i diversi banchi di sabbia lungo il Mekong, fino a raggiungere le due grotte di Pak Ou, scavate nella parete calcarea ed entrambe costellate di statue del Buddha di ogni genere e dimensioni.
Altri barconi si avvicinano al nostro e tanta gente faticosamente si avvia su per la montagna fino alla seconda grotta. Io mi fermo a quella inferiore che dista pochi gradini dal fiume.
Charly e Renata si arrampicano fino a raggiungere la seconda, più grande e profonda 50 metri.
Le staff del barcone è molto efficiente e gentile, senza essere servile.
Con la temperatura di 32 gradi ci offre continuamente bevande rinfrescanti, sino all’apparecchiamento per il pranzo e devo dire che il menù laotiano è molto gradevole anche per i nostri palati.
Nel primo pomeriggio ritorniamo al molo di partenza e da qui in albergo ove riposiamo in piscina.
Poi più tardi nuovamente al Night Market dalla solita donnina che oltre a trovarci posto a sedere (è sempre strapieno nonostante siano numerosi i tavoli) ci prepara due zuppierone di spaghettini di riso in brodo di pollo, veramente eccezionali.
Qui abbiamo anche conosciuto un ottimo spuntino locale, il khai paen, un’alga del Mekong, che ricorda un’alga di mare, tagliata in pezzi quadrati, fritta velocemente in olio aromatizzato, guarnita con semi di sesamo e servita con una salsa simile alla marmellata, dal gusto dolce e piccante, preparata con peperoncini e pelle di bufalo essiccata.
I ragazzi prendono anche un grande pesce di fiume arrosto (il pesce non il fiume) e quattro pezzi di pollo cotti alla brace. Dicono che sia molto buono.
Nel Night Market vi sono le solite cose pacchiane e ripetibili per turisti, ma è molto luminoso e gradevole per passeggiare.
Abbiamo comprato del sale misto con delle spezie e nulla di più.
IV Giorno sabato 17 febbraio 2018:
Al mattino verso le 6,00 assistiamo alla processione dei monaci lungo la strada del nostro Resort, per raccogliere le offerte di cibo.
Tutte le mattine, all’alba, monaci scalzi con delle tuniche arancioni camminano per le vie della città, mentre persone caritatevoli depongono piccole porzioni di riso glutinoso nelle ciotole usate per chiedere l’elemosina.
Si tratta di una pratica svolta nel silenzio e nella meditazione, attraverso la quale i monaci dimostrano i loro voti di umiltà e di povertà , mentre i buddisti laici possono conseguire meriti spirituali compiendo inginocchiati una donazione rispettosa-
Noi eravamo gli unici turisti ad assistere a questa esperienza, forse perchè defilati rispetto al centro città, ma purtroppo ne consegue che, nella “down town” , i “ricchi europei” stanno diventando più numerosi delle persone che eseguono questa usanza, ed i più, sempre invadenti e senza alcun rispetto, sembrano incapaci di non puntare le loro macchine fotografiche davanti al volto dei monaci, senza mantenere una certa distanza.
Alle 10,30 un van privato, prenotato il giorno prima, ci porta a Vang Vieng, in cinque ore, inclusa una sosta pranzo, su e giù, attraverso montagne, valli, dirupi, pinnacoli in pietra calcarea, con dei panorami mozza fiato, coprendo una distanza di 185 kilometri e toccando villaggi rurali ad etnia mista khamu e hmong, dove iniziano i trekking fra le tribù di montagna.
A questi, però noi rinunziamo.
Intorno, attraversiamo alcune tra le alture più spettacolari del Laos.
A Kasi, una cinquantina di kilometri prima di arrivare a Vang Vieng, facciamo una sosta per il pranzo, al centro di una fertile vallata costellata di asciutte risaie.
La zona circostante è disseminata di piccoli villaggi e da alcune grandi grotte calcaree, ma ci dicono che in pochi si fermano perchè mancano le infrastrutture turistiche.
Arriviamo alle 15,30 ed in hotel, il Plaza Hotel, niente di speciale, ci danno le stanze con i bagni aventi il rosone della doccia al centro del soffitto, quindi allagamento sicuro.
Siamo vicino al centro e subito vi facciamo una bella passeggiata, prendendo anche due motorini a noleggio per girare domani.
La principale caratteristica ed attrattiva di Van Vieng è costituita dal suggestivo paesaggio che la contorna.
Gallerie e grotte inesplorate, pareti calcaree nei dintorni, sono un paradiso per gli speleologi.
Il Nam Song, il fiume che costeggia la città fa da richiamo ai numerosi appassionati di kayak e di turisti che solcano le acque del fiume su grandi camere d’aria colorate.
Il tubing, come viene chiamato questo sport, è diventato così popolare che Vang Vieng è diventata una tappa imperdibile per tutti i viaggiatori zaino in spalla in giro per il sud-est asiatico.
Tuttavia, ultimamente, la bellezza naturale della zona è stata sempre più oscurata da una Vang Vieng festaiola, e quindi i dintorni assomigliano ora più a parchi divertimento-rav all’aperto, con abuso di alcool o droghe.
Alla mattina si alzano in volo palloni aerostatici e piccoli alianti a motore, per il sollazzo dei turisti.
Questa tranquilla località è però anche il posto più pericoloso per i villeggianti che visitano il Laos. Ogni anno diversi visitatori perdono la vita a causa di incidenti sul fiume, problemi legati alla droga o nel corso di escursioni speleologiche.
Il termine “happy” (felice) ha assunto una connotazione completamente diversa da quella consueta, qui nel Laos.
Nei TV Bar di Vang Vieng la parola happy prima di “skake” o “pizza” o di qualunque altra cosa, non sta ad indicare l’aggiunta di succo di ananas.
In realtà, dopo questa ordinazione, il cuoco lascia cadere nel frullato o sulla pizza una generosa dose di “marijuana”.
Qualche volta al posto della marijuana vengono utilizzati funghi, yaba, metanfetamine oppure oppio, che però essendo più costosi vanno ordinati in modo più diretto.
Per molti turisti si tratta di cose risapute, ma sappiamo di viaggiatori che ignari di questa usanza, si sono ritrovati completamente su di giri dopo aver mangiato e bevuto, senza neppure sapere il perchè.
V Giorno domenica 18 febbraio 2018:
Col motorino, attraverso strade polverose ed accidentate, andiamo verso la grotta di Tham Sang che all’inizio del diciannovesimo secolo era utilizzata come rifugio contro i predoni cinesi dello Yunnan.
Detta anche “dell’elefante” è una piccola cavità che contiene alcune immagini del Buddha ed “un’impronta” del suo piede.
Si può vedere inoltre la stalattite dalla vaga forma di elefante, che ha dato nome a questa grotta.
Attraversiamo poi piccole distese di risaie, tutte asciutte, fino ad arrivare nella “Blu Lagune”, piena di gente, grandi e piccoli, ove in una grande pozza d’acqua i più coraggiosi si tuffano dall’alto degli alberi, alcuni alti fino a nove o dieci metri.
Più su nella foresta, dopo una salita abbastanza faticosa vi sono 12 postazioni di “zipline”, per il “volo sulla giungla”, ponti di corda e carrucole che trasportano i turisti legati ad una imbragatura attraverso la foresta ad altezze che superano i cinquanta metri da terra.
Con i motorini ci siamo tutti e tre riempiti di polvere e rinunziamo ad andare avanti per raggiungere altre grotte.
A sera riconsegniamo i motorini al noleggiatore, che ieri avrebbe voluto avere in cauzione e deposito il passaporto, e gli abbiamo invece consegnata solo la nostra patente.
Dopo poco riempiamo la nostra doccia di mota e fango rosso.
I vestiti, tutti, scioccolati dalla polvere, e da lavare.
Prenotiamo poi l’altro van privato che domani ci dovrà portare a Vientiane per 70 USD e per altri 160 kilometri.
Il nostro albergo è strapieno di cinesi.
A tutte le ore di giorno e di notte fanno casino, urlano, sbattono porte, scatarocciano come è loro abitudine, quando camminano non si scansano, ti investono imperterriti e sono di una maleducazione planetaria.
Però loro sono più di un miliardo e noi siamo in minoranza.
Finchè siamo nei loro territori bisogna subire questo loro comportamento.
Quando verranno in Europa poi…..uguale.
Il nostro albergo a Vang Vieng, il Plaza Hotel, nome altisonante, è grande, è un casermone. Il gestore dice che è nuovo ma io non ci credo.
La struttura è stata parzialmente rifatta ed adeguata ad albergo.
Ha le caratteristiche inconfondibili degli edifici di regime, comunista in questo caso.
Probabilmente prima era una prigione, notando il grande cavedio protetto da griglie sul quale si affacciano le camere.
La manutenzione è assente.
Alcuni scarichi dei bagni sono intasati, le pareti sono sottilissime.
Se uno starnutisce, quello accanto, dall’altra parte si bagna.
Ogni rumore è amplificato.
Porte che non chiudono se non sbattendole.
Salone deprimente per la prima colazione, nello stesso luogo ove c’è il ricevimento degli ospiti.
Nella cucina, accanto alla sala del breakfast, alcune donne lavano le stoviglie per terra dentro a dei grandi catini.
Non hanno un lavello o una lavastoviglie industriale.
L’hotel non ha né bar, ne ristorante, però è catalogato come 4 stelle.
Insomma un edificio raffazzonato, che ricorda molto quelli della DDR in Germania, regime comunista, prima dell’abbattimento del muro di Berlino nel 1989.
Del resto il Laos dipende tutt’ora dalla Cina e dal Vietnam, regimi comunisti.
Ma tutti sono molto contenti e beati.
Lo staff invece è efficientissimo.
Si prodiga in tutte le maniere.
Il Capo cerca di porre rimedio a tutto, ci chiede se siamo soddisfatti, correndo di qua e di là e tutti sono gentilissimi.
Ma questa non è una corsa.
Ed è una lotta contro i mulini a vento.
Colazione che più misera non si può.
Il un Paese ove la frutta è una risorsa naturale nell’economia nazionale, ci sono due piccoli piattini, uno con dei pezzettini di cocomero e l’altro con dell’ananas.
Naturalmente sempre vuoti per l’arrivo delle orde di Khengis Khan.
La colazione comprende anche il caffè ed il succo d’arancia ma anche queste brocche sono sempre vuote.
Devi gridarlo in cucina ed allora assieme a due uova al tegamino te li portano al tavolo.
Quindi tanta buona volontà, ma sempre residenza di regime.
La piscina, non molto grande e situata in posizione infelice, all’ingresso dell’albergo, è sporca e sempre piena di foglie.
Mi ripeto, il rosone della doccia al centro del bagno.
Allagamento ogni volta che si usa.
Architetto cretino e non temo smentite.
L’unica recensione decente che possiamo fare su Booking riguardo questo hotel, per agevolare il gestore e lo staff, è non farla.
VI Giorno lunedì 19 febbraio 2018:
Partiamo alle 9,00 dopo una nottata movimentata dagli urli dei cinesi che, prima verso le 1,00 rientrano nelle camere, e poi alle 5,00 si svegliano e si alzano, per poi spazzolare tutta la colazione.
Col van e con l’autista, che secondo me non conosce l’inglese, ma nemmeno il lao, lasciamo Vang Vieng e attraversiamo colline e pianure per 160 kilometri che percorriamo in tre ore e mezzo.
Dopo un centinaio di kilometri percorsi, vicino alla cittadina Phon Hong c’è la deviazione per Ang Nam Ngum (che però noi non prendiamo), un grande bacino artificiale creato dalla diga costruita sul Nam Ngum nel 1971.
Quando venne allagata tutta la zona, le alture più elevate diventarono delle isole boscose ed in seguito alla conquista di Vientiane da parte del Pathet Lao nel 1975, circa tremila tra prostitute, piccoli criminali e tossicodipendenti furono allontanati dalla Capitale e deportati su due di queste isole, gli uomini da una parte e le donne dall’altra.
Attualmente l’impianto idroelettrico di Nam Ngum produce tutta l’energia utilizzata nella zona di Vientiane, oltre ad una quota che viene venduta alla Thailandia.
Strade brutte, sconnesse e con lunghi tratti “at work”.
Una sessantina di kilometri prima di Vientiane, la strada diventa rettilinea per lunghi tratti, siamo in pianura e così fino alla Capitale, passando attraverso le periferie animate da gente operosa e da diverse fabbriche e capannoni per attività artigianali.
L’autista non conosce il nostro albergo, l’S Park Design Hotel, e non sa neppure chiedere informazioni ai tassisti che incontriamo, fermi sulla strada.
Probabilmente è un vietnamita ed allora si affida a noi che con il telefonino munito di GPS gli indichiamo la strada.
Ed eccoci finalmente all’ S Park Design Hotel, non lontano dall’aeroporto di Vientiane, né dal centro storico-commerciale della città.
Vientiane, ora Capitale del Laos, è situata su un’ansa del fiume Mekong, nel centro del Paese, al confine con la Thailandia, e nel mezzo di una fertile pianura alluvionale.
Nell’antichità dovette subire numerose invasioni da parte di birmani, siamesi e cinesi e la successiva disgregazione del Regno segnarono le sorti della città che ebbe un momento di gloria verso la metà del 1500.
Durante l’inizio del 1800, Vientiane, nel tentativo di rivendicare la sua indipendenza, patì diverse sconfitte sino ad essere rasa al suolo e la maggior parte dei suoi abitanti furono deportati nell’Isaan, ora regione della Thailandia, fino a quel momento appartenente al Laos e relativamente poco popolata.
L’unico importante edificio che rimase in piedi fu il Wat Si Saket, con le oltre 2.000 statue del Buddha, ed ancor oggi, tenuto abbastanza male, avrebbe bisogno di una rinfrescatina e di alcuni interventi di restauro.
Alla fine del 1800 Vientiane fu proclamata Capitale del Protettorato francese e si diede avvio ad una vera e propria ricostruzione.
Nel 1928 contava appena 9.000 abitanti, (ora solo la città ne conta 200.000), molti dei quali amministratori vietnamiti, arrivati con i francesi, e fu solo dopo la seconda guerra mondiale che Vientiane conobbe un incremento sensibile ed una crescita dovuta soprattutto ai dollari americani della “Guerra Fredda”, che vide arrivare una serie di “consulenti” prima francesi e poi statunitensi.
Vientiane era diventata una città brulicante di attività di ogni tipo.
I pochi bar erano frequentati da un folto ed eterogeneo gruppo di spie e giornalisti, circondati da una miriade di donne.
Naturalmente le cose cambiarono con l’arrivo al potere del Pathet Lao nel 1975.
I locali notturni pieni di spie furono i primi a sparire e Vientiane precipitò in una sorta di limbo, segnato dalle riforme avviate dal regime comunista, come la collettivizzazione delle terre e da una serie di misure repressive nei confronti del buddismo, almeno nei primi tempi.
L’eredità più evidente di questo periodo storico è costituita da alcuni brutti edifici in stile sovietico.
La situazione cominciò a migliorare a partire dal 1989 poco prima che fossero riaperte le frontiere al turismo e recentemente Vientiane ha visto un notevole sviluppo per quanto riguarda l’edilizia urbana e la rete stradale, in gran parte finanziate dalla Cina, che avrà, molto probabilmente, l’influenza più significativa nel futuro della città.
Nel 1992 il Paese ha riaperto le frontiere al turismo e nel 1994, grazie ad un finanziamento australiano, è stato costruito sul Mekong il “primo ponte dell’amicizia Thai-Lao” che unisce il Laos alla Thailandia nelle vicinanze di Vientiane.
Si trova a circa 20 kilometri a sud-est di Vientiane ed attraversa il fiume, che per lunghi tratti segna il confine tra Laos e Thailandia, in corrispondenza della città thailandese di Nong Khai.
Il ponte è percorso anche dall’unico breve tratto ferroviario del Laos che è lungo 3,5 kilometri.
Il Mekong River nasce nell’altipiano del Tibet ad un’altitudine di 5.224 metri ed attraversa Cina, Birmania, Thailandia, Laos, Cambogia e Vietnam, sfociando dal delta vietnamita, nel Mar Cinese Meridionale.
Il fiume percorre in totale 4.880 kilometri di cui 1.898 nel Laos.
Comunque, nonostante l’amicizia e le varie collaborazioni intrattenute fra il Laos e la Thailandia, forse anche a causa della notevole inflazione del KIP, la valuta laotiana, in Thailandia nessuna banca, accetta per il cambio, la moneta del Laos.
Il Laos passò sotto il governo della Francia nel 1893 e Vientiane divenne la Capitale del Protettorato Francese del riunificato Laos, sei anni dopo, quando fu istituita la colonia dell’Indocina Francese.
La permanenza dei francesi si protrasse fino al 1953 e diede luogo ad un’apprezzabile architettura coloniale, tutt’ora ben conservata.
Dopo l’ottenimento dell’indipendenza dai francesi nel 1949, Vientiane rimase la Capitale e fu preservata dai bombardamenti che distrussero il Laos orientale durante la guerra civile laotiana, grazie all’appoggio che il governo reale diede alle forze statunitensi nel combattere “i ribelli” del Pathet Lao e gli infiltrati nord-vietnamiti.
Dopo la sconfitta degli americani nella guerra del Vietnam, le forze comuniste del Pathet Lao si impossessarono nel 1975 di Vientiane e venne istituita la Repubblica Democratica Popolare del Laos ad indirizzo marxista – cinese e la forma di governo, ufficialmente, è “Una Repubblica Socialista Monopartitica con Riforme di Mercato”.
La città è una Capitale, in tutti i sensi, e si nota subito.
Ampi vialoni e traffico notevole ma non caotico.
Tanti mercati soprattutto lungo le sponde rialzate del Mekong, ma al contrario di Luang Prabang e di Vang Vieng, i venditori mi sembrano più arroganti e maleducati.
Insomma manca il sorriso ed anche qui i troppi turisti hanno incancrenito le trattative ed hanno abituato la gente locale ad approfittarsene.
Siamo rimasti fermi per quarant’anni ed ora bisogna recuperare.
Questo è il “laopensiero” dei piccoli odierni imprenditori di Vientiane.
Nella serata, prima di cena, mi faccio fare un massaggio ai piedi-gambe da una massaggiatrice veramente carina.
E’ però un maschietto e quando mando per WhatsUp la fotografia, mentre era intenta al suo lavoro, ai miei numerosi “followers”, chiedendo “indovinate ?” nessuno centra la risposta.
Cena buonissima, grazie all’indicazione del cugino Matteo di Milano / Siena, che nel sud est asiatico transita abitualmente come Membro del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Scienze e Tecnologie Molecolari, tenendo delle conferenze sulla difesa alle armi chimiche.
VII Giorno martedì 20 febbraio 2018:
In mattinata davanti all’Hotel contattiamo un conducente di tuk tuk, quei motorini a tre ruote che fanno un rumore pestilenziale, e che nel cassone, riparato da un tettuccio, portano fino a quattro persone sedute sulle panche.
Per portarci in giro tutta la giornata, sette od otto ore, a visitare i più importanti siti della città, ci chiede 70 dollari americani.
Lo mandiamo affanculo, e subito le sue pretese scendono a 20 Dollari.
OK gli diciamo, ma non con te. Imparassero mai !!
Abbiamo cambiato autista ed il primo ci sta ancora correndo dietro e non capirà mai il perchè.
Ci accompagna al “Wat Si Saket” del quale si era già parlato prima.
E’ uno dei più “antichi” templi di Vientiane ( rammento che la città era stata rasa al suolo agli inizi del 1800, tranne questo monumento) ed è anche uno dei più suggestivi.
Fu costruito nel 1818 ma dopo essere stato devastato durante la guerra contro il Siam, è stato ricostruito dieci anni più tardi.
E’ molto frequentato dagli abitanti della città perchè custodisce il “lak meuang”, il pilastro fallico considerato dimora dello spirito della città ed una statua del Buddha che si dice ascolti le richieste di aiuti dei fedeli.
Le mura del Tempio presentano numerose nicchie (dicono 6.840 per l’esattezza), che ospitano le immagini del Buddha di varie dimensioni e materiali.
Al centro del cortile si erge la sala ove avvenivano le consacrazioni dei Monaci.
Le mura sono decorate di affreschi purtroppo un po’ deteriorati.
Proseguiamo ed il nostro accompagnatore ci porta in prossimità del “Patuxai” od Arco di Trionfo, eretto tra il 1962 ed il 1968 per festeggiare la lotta nazionale per l’indipendenza dalla Francia.
Il monumento si trova al centro di un parco ombreggiato da file di palme ed ornato da numerose fontane.
Alcuni hanno voluto ravvisare una qualche somiglianza con l’Arco di Trionfo di Parigi, ma il suo stile è decisamente laotiano.
Il monumento è di poco più alto del “cugino” di Parigi, e molto imponente se visto da lontano lungo i vialoni che lo intersecano.
E’ un luogo ove si passeggia tranquillamente assieme a centinaia di altre persone, turisti e del luogo, nonché ammirare la città dall’alto.
I ragazzi salgono fino in cima, ma io li aspetto sorbendo un gelato.
Da qui ci portiamo al “Tempio Pha That Louang”.
Si trova a due kilometri ad est da Patuxai, in fondo al vialone ed è il Tempio più fotografato di Ventiane, costituendo anche un simbolo nazionale.
E’ stato restaurato più volte dal XVI secolo ed ha uno “Stupa” dal tetto dorato.
Sul cortile davanti ci sono una decina di ragazzi e ragazze vestite con il kimono bianco da Judoka e con cinture di varie colori secondo il loro grado di istruzione sportiva.
Mi avvicino e chiedo il permesso di farmi fotografare assieme e tutti, sorridenti partecipano all’evento.
Il nostro autista ci porta a visitare il COPE.
Questo centro, poco conosciuto, racconta un pezzo importante di storia del Laos.
E’ il centro più rilevante del Paese per la fornitura di protesi, ed ospita un centro visitatori che racconta il problema ancora attualissimo degli UXO, gli ordigni inesplosi, qui in bella mostra, che nel Laos causano feriti e vittime ancora ogni giorno.
Qui scopriamo che il Laos, ahimè, è stato il Paese più bombardato della storia dell’umanità, da quando gli americani, al tempo della guerra vietnamita, condussero una guerra “segreta” nei confronti del vicino Laos.
Salone pieno di vari ordigni usati, fra cui le terribili “bombe a grappolo”.
Passiamo al “Talat Sao” il mercato diurno più famoso di Vientiane, con botteghe disposte su due piani.
Al piano terreno sono esposti tessuti, orologi, materiali elettrici ed al piano superiore, generi di abbigliamento e gioiellerie.
Solite trattative nell’eventuale contrattazione per concludere, quando ti chiedono inizialmente un prezzo di 3 o 4 volte superiore.
Comunque gran parte paccottiglia che interessa solo i residenti e generi d’importazione soprattutto cinese.
Siamo un po’ stanchi e ci sediamo all’esterno di un bar – gelateria molto frequentato.
Facciamo conoscenza con il proprietario, italiano, piemontese.
Da vent’anni gestisce il locale e prima risiedeva il Thailandia.
Nessuna nostalgia della patria.
Serata lungo il Mekong.
Di giorno è spoglio e poco animato, ma di sera il “lungo Mekong” si trasforma e sembra che tutta Vientiane si trasferisca qui.
Prima del tramonto i suoi abitanti arrivano per allenarsi e correre lungo il fiume, per dedicarsi all’aerobica od ai balli di gruppo.
Durante la stagione secca il fiume si ritrae e lascia riemergere una gran parte di sabbia.
Passeggiare sulle sue ampie sponde è pura magia.
Nel grande parco di fronte al “lungo fiume” ogni giorno vengono montate e smontate le inconfondibili bancarelle-tende rosse del grande “night market” che la sera richiama locali e turisti per lo shopping serale o semplicemente per incontrarsi e fare una passeggiata, come facciamo noi prima di organizzarci la serata.
A questo punto io sono cotto e ritorno in hotel.
I ragazzi si fanno accompagnare a provare la tipica sauna alle erbe laotiana, l’”Herbal Sauna”, in un luogo un po’ defilato rispetto al centro città.
E’ un luogo decantato e consigliato da alcuni siti internet ed anche dalla Lonely Planet, ma arrivati, mi riferiranno poi che posti più troiai e sporchi più di questo non l’hanno ancora mai visto, a meno che i “raccomandatari” non si riferissero ad un altro luogo, li accanto, ma che purtroppo era chiuso.
Io davanti all’hotel scelgo un massaggio normalissimo mentre Charly e Renata si accontentano del solito pescione in centro città..
VIII Giorno mercoledì 21 febbraio 2018:
Subito dopo colazione rimaniamo due ore in piscina in attesa del check-out alle 12,00.
La mia maglietta, nuova e stirata ed appena indossata, l’ho subito macchiata sbrodolandomi addosso uno spuntino di pomodori, cipolle e cetrioli.
Arriva il van che ci accompagnerà all’aeroporto, qui vicino, a due kilometri di distanza.
Ci viene a salutare personalmente il manager della struttura alberghiera, presentando le sue scuse a Charly e Renata per l’inconveniente dell’altra notte.
Nella loro stanza sentivano un rumore insopportabile forse proveniente da un locale accanto alla camera.
Chiamati gli impiegati del ricevimento che a loro volta hanno fatto intervenire dei tecnici, costoro non sono al momento stati capaci di eliminare questo noioso fastidio.
Il manager, rintracciato poco dopo, e venuto a conoscenza del problema, ha loro concesso di traslocare nella sua stanza privata, sino al giorno dopo, quando hanno ricevuto una nuova collocazione.
Stamani, alla nostra partenza, rinnovando le sue scuse, ci ha voluto offrire il taxi per l’aeroporto oltre ad altri piccoli ammennicoli alimentari consumati e che erano disposti nei frigoriferi delle camere.
Poca roba, tutto sommato, ma che ci ha fatto piacere ricevere questo riconoscimento pubblico.
Aeroporto di Vientiane in grande rifacimento.
Le infrastrutture sono solamente quelle indispensabili e le altre sono tutte in lavorazione ed allestimento.
Persino il bar e la vendita di generi alimentari sono costituiti da scaffali in equilibrio precario.
Però hanno anche capito subito “da che parte piscia la pecora” ed i prezzi dei souvenirs e dei viveri di prima necessità sono aumentati di cinque volte quello che costano fuori aerostazione.
Meno di un’ora dura il volo della AirAsia, Vientiane / Bangkok aeroporto di Don Muang e qui altre due ore di sosta tra dogana, ritiro bagagli e nuovo check-in per Krabi.
Poi ancora meno di un’ora per arrivare al mare.
Già in aeroporto a Krabi, in Thailandia, vediamo un altro mondo.
Veloce taxi per coprire 25 kilometri e siamo ad Ao Nang, la zona marina più conosciuta e vissuta di Krabi, dove ceniamo sulla spiaggia.
IX Giorno giovedì 22 febbraio 2018:
Krabi è il capoluogo della provincia ed il maggior snodo dei trasporti per le isole e le spiagge più famose della regione.
La città si trova ad una quindicina di kilometri dal mare e si estende sulla sponda ovest dell’estuario del fiume Krabi, con affioramenti calcarei all’orizzonte, mangrovie e scogliere.
Le spiagge più vicine sono quelle di Ao Nang e Railay e da qui sono disponibili, come anche dal porto passeggeri di Krabi, diverse escursioni in giornata a delle piacevolissime isole come Koh Phi Phi, Koh Lanta , Ko Ya Noi od altre più piccole ma non per questo meno interessanti o meno praticate, come Koh Tup, Koh Poda o Chicken Island (isola del pollo), queste ultime a meno di mezz’ora di barca.
Noi siamo ad Ao Nang, località sul mare molto trafficata ed in forte espansione.
Vanta una serie innumerevole di negozi che vendono articoli da spiaggia oltre a diversi centri sub che propongono snorkeling, escursioni e le classiche offerte turistiche, nonchè una serie interminabile di ristoranti grandi e piccoli, per di più gestiti da islamici.
C’ero stato l’ultima volta quattro o cinque anni fa e l’ho già ritrovata irriconoscibile, non so dire se in meglio od in peggio, comunque ingrandita enormemente.
La spiaggia non è bellissima forse a causa del continuo attracco dei barconi, ma è notevolmente gradevole la lunga passeggiata che la contorna, rialzata dal mare.
La nostra dimora è il Pakasai Resort.
La struttura, ottima, si trova a soli cinque minuti a piedi dalla spiaggia di Ao Nang ed è immersa in un immenso giardino tropicale.
La grande piscina è situata sul tetto del ristorante ed è a sfioro sulla spiaggia.
Dopo una settimana di Laos, ci voleva una residenza alla thailandese, anche se ieri sera Charly ha dovuto chiamare gli addetti alla manutenzione, per un’invasione di formichine sul muro, dentro la stanza.
Siccome non si ricordava la traduzione, in inglese, di formichine, ha allarmato la reception con “small animals” e così sono venuti di corsa in due con degli stracci in mano.
Avranno pensato ad un’invasione di scoiattoli o volpi selvatiche, per cui si erano muniti di adeguati attrezzi.
Colazione di quelle che noi chiamiamo intelligenti e dopo aver soggiornato in piscina, ceniamo sulla collina, in un nuovo ristorante pieno di gente fino all’orlo.
Abbiamo aspettato un’ora che si servissero, ma ne valeva la pena.
Serata a letto per me e per i ragazzi passeggiata lungo mare.
Ho notato tanti francesi in giro e tanti ragazzini che rompono i coglioni soprattutto in piscina.
Sono i cinesi europei.
Strilli, berci, urla ed i genitori che se ne fregano, tanto anche fra sé parlano ugualmente ad altissima voce.
Alcuni ragazzini, sempre francesi, anche maleducati.
X Giorno venerdì 23 febbraio 2018:
Tutto il giorno rimaniamo in piscina e la sera ceniamo in un ristorante italiano.
Breve scroscio di pioggia nel pomeriggio, ma temperatura sempre molto gradevole.
XI Giorno sabato 24 febbraio 2018:
Anche oggi tutta la giornata trascorsa in piscina a riposare e leggere.
Nel pomeriggio una lunga passeggiata e naturalmente massaggi per tutti.
A sera ristorante su una terrazza sulla spiaggia e Charly e Renata prendono un motorino per domani.
XII Giorno domenica 25 febbraio 2018:
Nottata un po’ agitata, culminata con la notizia del decesso del cugino Marino di Milano.
I ragazzi, dopo colazione vanno in giro con il motorino ed io rimango in piscina.
XIII Giorno lunedì 26 febbraio 2018:
All’aeroporto di Krabi partenza per Bangkok Don Muang, ma un attimo prima che aprano il “gate” mi è sembrato che l’altoparlante dell’aeroporto gracchiasse storpiato il mio nome, assieme a quello di altri due passeggeri, questi americani.
Anche Charly è sull’avviso e chiediamo informazioni.
Ci dicono di andare agli sportelli del check-in.
Sballottati da un ufficio all’altro capitiamo finalmente in una stanza, un po’ defilata, dove si trovano tre valigie fra cui la mia.
Aprire, tirare fuori il computer, che nonostante gli avvisi avevo lasciato dentro, richiudere e passarla di nuovo ai raggi ics, e poi via all’imbarco.
Un’ora e sbarchiamo nuovamente a Bangkok Don Muang, che straripa di gente.
Nella fila per prendere il taxi per il centro città abbiamo il numero 112 e stanno servendo il numero 6 quindi con una previsione di due ore di attesa.
Accettiamo di conseguenza il taglieggiamento degli addetti all’interno dell’aerostazione che per 950 Bath (25 Euro) ci portano in hotel, quando il “taxi meter” conteggerebbe solo 400 Bath.
Arrivati all’Easting Gran Satorn Hotel, ci sistemiamo nelle nostre stanze e subito dopo ci rechiamo al campo pratica del golf, che avevo conosciuto nel dicembre scorso.
Lì ci divertiamo per un paio di ore e poi a letto.
XIV Giorno martedì 27 febbraio 2018:
Un temporale si è abbattuto questa notte su Bangkok ma stamani la città è già tutta asciutta, con una temperatura di 30 gradi.
A metà mattina un altro acquazzone mitiga la calura, ma immediatamente dopo ritorna l’afa più forte di prima.
Al contrario, dentro l’hotel, ma soprattutto sullo sky train, la metropolitana sopra elevata, persiste il gelo.
(ste’ testoline di vitello, non si rendono conto dei danni che procurano).
Così o giacca a vento o polmonite.
Dall’Italia giungono notizie allarmanti.
Neve dappertutto e temperature polari.
A Castiglioni si parla di una temperatura di – 12,4 gradi, con grave preoccupazione per gli ulivi e con la previsione di ulteriore peggioramento.
I 34 gradi di Bangkok ce li teniamo stretti.
Serata a trovare e salutare i miei vecchi amici del dicembre passato e cena con grande pescione alla griglia al grande mercato di Taksin.
XV Giorno mercoledì 28 febbraio 2018:
La giornata la dedico al riposo nella piscina dell’hotel Easting Gran Satorn, mentre i ragazzi vanno in giro per Bangkok.
XVI Giorno giovedì 1° marzo 2018:
Ci alziamo prima dell’alba ed il taxi prenotato la sera prima ci stà già aspettando.
In meno di mezz’ora (di solito ci vuole più di un’ora) siamo all’aeroporto Suvarnabhumi, con traffico quasi inesistente.
Veloce colazione nella nuova Lounge della Qatar Airways, appena inaugurata, ed imbarco sull’airbus A380-800
Qui festeggiamo il compleanno di Charly nel bar dell’aereo.
L’airbus A 380-800 è un aereo quadrimotore turboventola Rolls – Royce a doppio ponte ed è in grado di trasportare 525 persone nella tipica configurazione a tre classi.
Al suo interno è disponibile un bar-negozio usufruito dai passeggeri di first class e businnes.
Poi, volo tranquillo ed in 7 ore e 20 minuti siamo a Doha.
Doha, capitale del Qatar, è distesa su una baia a forma di emiciclo contornata da un lungo mare (corniche).
Una volta Doha era solo un pittoresco porto di pesca delle perle ed intorno alla città vecchia, tra i grattacieli che vengono innalzati ad un ritmo frenetico, si trova ancora qualche vecchia casa dalle mura spesse.
La città si è estesa dal 1960 in poi, anche sul deserto circostante, nel settore nord della baia.
Ovunque, a cominciare dall’aeroporto, è ricamato sui cuscini, foto formato gigante sui grattacieli, negli hotel di lusso, sulle vetrine dei negozi.
E’ la foto in bianco e nero dell’Emiro Tamim al Thani.
E’ ovunque in Qatar e se ci dimentichiamo dove siamo, si pensa ad un’abile strategia di marketin.
Se chiedi “chi è ?”, rispondono “ è il nostro leader, e noi lo sosteniamo”.
L’Arabia Saudita, l’Egitto, il Bahrain e gli Emirati Arabi hanno adottato una specie di “embargo” nei confronti del Qatar, con interruzione dei rapporti diplomatici ed isolamento commerciale, deciso il 5 Giugno 2017 dal futuro re dell’Arabia Saudita ed aspirante Signore di tutto il Golfo.
Sono stati aboliti tutti i voli aerei tra questi Stati ed il Qatar.
Il piccolo e ricchissimo Qatar è ora rimasto solo nella penisola araba, ma a quanto pare va tutto bene.
“Il blocco” paradossalmente ha creato un’apertura, guardando altrove ed a nuovi mercati, oltre a facilitare gli ingressi.
Infatti dall’Agosto 2017 sono stati aboliti i “visti” d’ingresso per 80 paesi fra cui l’Italia.
Quello che manca sarà rimpiazzato ed il sentimento, è scritto in inglese “Qatar deserves the best”, il Qatar si merita il meglio.
E’ scritto sui muri dei numerosi cantieri e davanti alle transenne oltre le quali sorgeranno nuovi grattacieli, 9 stadi, e tre linee metropolitane.
E tutto ciò vedrà la luce per la Coppa del Mondo nel 2022 e dimostra che il Qatar, con grande patriottismo e senso di orgoglio, si trasforma in sostegno per il proprio leader.
La crisi dei Paesi del Golfo, è scoppiata dopo l’accusa al Qatar di sostegno al terrorismo e di essere troppo vicina all’Iran Sciita, rivale di Riad.
Ma alcuni osservatori internazionali spiegano che la crisi è meramente politica e che non ha niente a che fare con la lotta al terrorismo.
Ad oggi, a Doha sono molto ottimisti sul ruolo di mediazione del Kuwait per risolvere la crisi.
Il lungo mare del centro è caratterizzato da numerosi parchi e dalla passeggiata della “Corniche”.
Passeggiamo dentro il “Souq Waqif”, nel mercato tradizionale pieno di oggetti di artigianato e spezie, su cui si affacciano i tavoli all’aperto di bar, ristoranti e tanti negozi che vendono gli immancabili souvenirs ai turisti.
Lungo il porto sono ormeggiate decine di antiche navi di legno, un tempo utilizzate per la pesca.
Oggi sono le uniche attrazioni veramente antiche di questa città moderna.
Al porto trattiamo il prezzo di un giro di un’ora nella baia, assieme ad una decina di immigrati asiatici.
Bel giro, ma con musica orientale sparata a tutto volume.
Ceniamo al Souq e ci godiamo il passeggio di turisti ed autoctoni.
Dopo cena ritorniamo in hotel e prenotiamo il taxi per domattina presto.
Hotel Saraya Corniche a Doha.
La posizione è ottima, vicino alla Corniche , al porto vecchio ed al Souq, il mercato centrale.
Arredamento bello-pacchiano, ma molta umidità nella biancheria.
Il panorama guarda il muro distante quattro metri di un altro edificio.
Ma siamo stanchi, abbiamo sonno e non abbiamo tempo di guardare il panorama.
Insomma : sono arrivati gli europei che vogliono spendere poco e noi gli diamo stì troiai di camere.
XVII Giorno venerdì 2 marzo 2018:
Altra sveglia prima dell’alba con il Muezzin che sbaita a “tutto foco” dall’altoparlante.
Poi in un quarto d’ora siamo all’aeroporto di Doha, ove andiamo a fare colazione nella Lounge della Qatar.
Due piattate di minestrone di verdure alla 5,30 di mattina ?
Io l’ho provato e non era male.
Ci imbarchiamo ed altra colazione in aereo.
“Ma si può aspettare ?” chiediamo.
“Quanto vuoi” la risposta.
“Bene, allora 3 ore prima dell’atterraggio a Venezia, portami ……..etc. etc.
La Qatar è stata nominata nel 2014 la migliore Compagnia Aerea al mondo.
Le hostess sono di tutti i continenti e di tutte le razze e colori.
“Qatarine” non se ne vedono.
La Qatar Airways impone alle hostess estrema gentilezza e cortesia, nonché appena assunte, di firmare un contratto in cui si impegnano a non sposarsi nei successivi cinque anni, pena il licenziamento.
Anche la gravidanza può essere uno dei motivi della risoluzione del rapporto di lavoro.
Il Direttore della Compagnia Aerea, alle critiche, risponde che se sei una persona adulta, in grado di intendere e di volere, e se ti hanno già legato l’ombellico, ti diamo un documento che mostra i princìpi e le regole da rispettare.
Se accetti queste condizioni, poi non ti dovresti lamentare.
E per tutto il volo peraltro molto tranquillo, fra una dormitina ed una lettura, con un occhio sempre al GPS del televisore, coccolati dalle hostess, dopo sei ore atterriamo bucando le nubi fino a 100 metri di altezza da terra, con una leggera pioggerellina che fuori l’aerostazione in breve si trasforma in nevischio che ci accompagna sulla strada del ritorno a Bolzano, fino a Mezzocorona.