di Marco Santamaria –
Granada è la tappa più importante del nostro viaggio di 15 giorni in Andalusia. Siamo partiti da Valencia dove abbiamo noleggiato una Fiat Punto per fare dapprima una breve puntata ad ovest per visitare l’originale paese de El Rocio adiacente l’area del Parque Nacional de Donana e poi dirigerci verso Cordoba con brevi tappe a Carmona, Ecija e Medina Az-Zahra, una città di piacere costruita nel X secolo da Abd al-Rahman III e completata da Almansur. Con ancora negli occhi lo spettacolo della Mezquita siamo ripartiti da Cordoba per visitare tre piccole perle dell’Andalusia: Jaen, Baeza ed Ubeda dove si trovano i migliori esempi di architettura rinascimentale dell’intera Spagna. E finalmente, dopo una breve sosta a Guadix per vedere L’Alcazaba e il Barrio Troglodita, arriviamo in serata a Granada.
Quasi tutti i racconti di viaggio che avevo letto, tra cui “Dieci giorni in Andalucia… dieci motivi per tornare” e “Giro romantico in Andalusia” oltre a raccontare la bellezza del luogo sottolineavano la difficoltà per chi viaggia in auto di raggiungere alcune aree del centro storico e il costo elevato dei parcheggi.
L’hotel che avevamo prenotato si trova proprio in un vicolo a ridosso del centro storico, ma per nostra fortuna il navigatore dello smartphone, prima di collassare a causa della batteria scarica, riesce a guidarci all’imbocco della stradina che porta alla graziosa sistemazione scelta e troviamo anche uno spazio per parcheggiare liberamente. Che a Granada saremo assistiti dalla fortuna lo capiamo in serata quando, camminando lungo la Calle Navas, attratti dall’odore di pesce fritto, ci infiliamo in un piccolo e affollatissimo locale, “Los Diamantes”, che scopriremo essere una delle mete più apprezzate dagli appassionati delle tapas fritte in pastella.
Poche centinaia di metri più avanti sentiamo della musica provenire dal palazzo del municipio, entriamo e nel grande patio centrale fervono i preparativi per la tradizionale sfilata della Tarasca. Le note del flamenco riempiono l’aria e lo sguardo è catturato dalle ballerine che si alternano su un piccolo palco. A terra sono poggiate le statue dei Re cristiani e dei sovrani musulmani che insieme a gigantes e cabezudos accompagneranno il giorno successivo la sfilata della Tarasca. Della protagonista della parata, però, nessuna traccia: il suo vestito cambia ogni anno e rimane un segreto assoluto fino al momento in cui la Tarasca non esce in processione in piedi su un grande drago alato.
Quest’evento ha origine da una leggenda ambientata nella città di Tarascon, in Provenza, dove un drago con la testa da leone e le orecchie da cavallo terrorizzava la popolazione e distruggeva le coltivazioni fino a quando non venne ingentilito a suon di preghiere da Santa Marta che riuscì ad addomesticarlo e cavalcarlo. La popolazione non si fido’ della ‘’conversione’’ della bestia e, preso coraggio, durante la notta la attaccò e la uccise senza che il mostro opponesse la minima resistenza.
La mattina seguente visitiamo la Cattedrale di Granada e con una lunga passeggiata raggiungiamo il Monastero di San Geronimo, quindi la Plaza de Santa Ana e saliamo fino al Mirador de San Nicolas che domina la città, proprio di fronte al complesso dell’Alhambra. Da qui ancora un paio di chilometri a piedi lungo il Cammino del Sacromonte per giungere all’omonima abbazia.
Quando il sole arriva allo zenith è il momento di incamminarci verso l’Alhambra percorrendo il pendio di Gomerez che termina con la Porta de las granadas (la porta dei melograni) dove la città si trasforma in bosco popolato di penombre, di gorgheggi e di mormorii di acque. Proseguendo nella salita incontriamo la Fontana di Carlo V i cui disegni simboleggiano i fiumi che rendono fertile Granada, quindi attraversiamo la Porta della Giustizia per giungere nell’ampia piazza degli Aljibes su un cui lato si trova la Porta del Vino, così chiamata perché in quel luogo lo si vendeva, esente da tasse, a coloro che vivevano nell’Alhambra. Ci troviamo ormai all’interno della Medina e con pochi passi giungiamo all’Alzacaba, erede dei vecchi castelli mori, la cui torre più importante, quella della Vendetta, malgrado sia stata dimezzata in altezza da un terremoto del XVI secolo, possiede tanto sapore simbolico quanto la Giralda per i sivigliani: qui si gode il più completo panorama della città e dei dintorni; sulla sua terrazza si alzò per la prima volta la Croce della Riconquista; da qui l’antica campana regola le irrigazioni della pianura e dà l’allarme in caso di pericolo e di rivolta.
Le perle dell’Alhambra sono i palazzi nazari che, da fuori, appaiono come un gruppo di casupole disordinate con fortificazioni e una mescolanza di pittoresco e confuso tipica di questi monumenti arabi: sembra impossibile che dei palazzi di leggendaria bellezza si nascondano dietro a delle apparenze così umili. Una serie di cortili fiancheggiati dalla Torre de las Gallinas, una galleria a nove archi e un piccolo stagno conducono al primo dei palazzi: il Mexuar. Era il luogo destinato alla vita burocratica e giudiziaria del re: affinché un semplice cittadino esponesse le sue lagnanze sugli abusi dei funzionari era sufficiente accoglierlo in questo ambiente. Ma per suscitare meraviglia con fasto e magnificenza negli emissari di altri monarchi era necessario il secondo palazzo: Il Serrallo (il serraglio) dove si svolgeva l’attività diplomatica del regno granadino amico o nemico, a turno, dei mori del nord Africa o dei cristiani. La facciata del palazzo offre uno degli aspetti più delicati dell’Alhambra, le ceramiche, gli intagli e gli stucchi trasformano in splendore la miseria dei muri di argilla, lo stupendo cornicione è una delle opere capitali dell’arte in legno musulmana di tutti i tempi.
Superata la facciata si entra nel Cortile de los Arrayanes (dei mirti), che può essere considerato il modello delle corti di Granada: ha due lati stretti e ricchi, gli altri due corti e semplici e al centro una vasca piena d’acqua che nel cortile figura come un immenso stagno. Superata la Sala della Barca si raggiunge il Salone degli Ambasciatori che fu il centro della vita politica e commerciale dell’ultimo periodo della dominazione musulmana della città. Questa sala, che vide disgregarsi un regno, ha perso il fascino dei tempi perduti quando le sue pareti erano ricoperte di ricami in gesso splendenti d’oro e colori sfumati; adesso sono bianche come ossa calcificate nel deserto. Ma in alto è ancora visibile, seppure abbastanza annerito, lo splendido soffitto poggiato sopra una trave con ornamenti a nodi, ricco di lavori ad intreccio con un’incredibile profusione di disegni. Attraverso un corridoio con piccole colonne terminanti con una varietà di capitelli, alcuni di origine bizantina altri di tipo granadino, si giunge al “Peinador de la Reina” (la toeletta del Regina) costruito per l’imperatrice Isabella, la sposa di Carlo V, impreziosito dai magnifici affreschi del periodo rinascimentale italiano che decorano le pareti.
Non può mancare il più intimo, misterioso e romanzesco dei palazzi: l’harem. Quante vendette e passioni, quanti delitti e odi per investigare su dei contrasti d’amore, quante danze lascive, quali voluttuosi passatempi e quale lusso raffinatissimo vengono attribuiti a queste segrete camere! Benché la fantasia sia quasi l’unico ingrediente ad alimentare tali descrizioni non sono pochi i turisti che sperano di trovare nelle sale una lieve impronta di odalische, schiave e favorite.
Al centro della sala degli Ajimeces (delle bifore) si apre la loggetta di Lindaraja, prezioso e delicato gioiello da dove la sultana, seduta su dei cuscini posti sul pavimento, osservava il vasto e suggestivo panorama che da quel luogo si dominava: questo angolo ha più contatto con l’arte dell’oreficeria e dell’avorio che con l’architettura. Le sue pareti sembrano cesellate e smaltate come un gioiello di valore.
Dal lato opposto si accede alla Sala de Las dos hermanas (delle due sorelle), appartamento in cui le tecniche della ceramica e dei lavori in gesso raggiungono il loro apogeo. E’ la meglio conservata del palazzo reale antico e il suo nome deriva dalle due enormi lastre di pietra che si vedono nel pavimento, ai fianchi della piccola fontana centrale. L’ammirazione si tramuta in stupore quando si contempla la prodigiosa e bella cupola con ornamenti a nodi che copre questa sala. L’effetto indimenticabile è dovuto alla sua grazia singolare, per l’indovinata combinazione di volumi intensamente illuminati che le conferiscono un aspetto leggero ed aereo, come se fosse sospesa nello spazio. L’intaglio del gesso ricorda i lavori in filigrana, le piastrelle arabe dei sostegni sono un prodigio di esattezza, e alcuni loro smalti offrono delle sfumature inedite.
Tornando di nuovo all’aperto si giunge nel luogo forse più riprodotto della città di Granada: il Cortile dei Leoni che è per la città ciò che Piazza San Marco è per Venezia, l’atrio della chiesa di Notre Dame per Parigi e Piazza San Pietro per Roma. Le sue arcate, le sue colonne e i suoi lavori in gesso sono serviti da modello per padiglioni di esposizione, gallerie di fotografi, sale di spettacoli. Il chiostro è attorniato, come nei chiostri monacali, da portici e presenta due padiglioni agli estremi, entrambi con una piccola fontana nel mezzo. Ad est del cortile si trova la Sala dei Re che fu adibita a tempio quando divenne inagibile la moschea reale e, più avanti, si entra nella sala degli Abencerrajes nota soprattutto per le leggende tragiche che la riguardano. Mentre in basso le macchie di ossido di ferro presenti nella fontana ricordano l’eccidio compiuto da Abul Hasan che, per assicurare il trono al figlio della sua nuova moglie Zoraya, fece decapitare tutti quelli avuti dalla prima consorte, alzando gli occhi lo spettacolo della cupola aerea e delicata come lo zendale delle odalische cancella i pensieri lugubri e restituisce al luogo tutto il suo fascino.
Altre sorprese riservano le sale dedicate ai bagni reali, adiacenti al giardino di Lindaraja. Appena entrati nel recinto si accede ad una sala policromata come dovevano essere tutte quelle dei palazzi nel loro splendore. I colori oro, azzurro, verde ghiaccio e rosso, sono la base di questa policromia e sono prese a modello per tutte le imitazioni moderne dell’Alhambra. Al centro della sala zampilla una piccola fontana sul pavimento ornata di piastrelle arabe del XVI secolo; la parte restante dei bagni è divisa in tre ambienti inondati di luce che penetra dai lucernari a forma di stelle che sono nei soffitti.
Fuori dalla costruzione propriamente detta Alhambra, ma intimamente ed ufficialmente unita ad essa, si trova il Generalife, villa di piacere e residenza estiva dei re Mori di Granada. Qui sorgeva il palazzo Dar-al-Arusa, anche detto ‘’Casa della fidanzata” ormai ridotto in rovina. Per giungere al Generalife si percorre il malinconico viale dei cipressi, meraviglioso con iris e roseti ai piedi dei cipressi secolari alla fine del quale si apre il viale “de las Adelfas” con oleandri e tigli che d’estate lo ricoprono di fiori bianchi e rossi.
Il Cortile della Sultana conserva, da tempi remoti, soltanto il secolare cipresso che la tradizione afferma essere servito da nascondiglio ai re gelosi. Molte logge che offrono una successione continua di bei panorami, da una di queste scende una curiosa scala formata da brevi rampe intervallate da ripiani in cui una piccola fontana fa zampillare un getto d’acqua. I parapetti dei lati hanno dei canali nella parte superiore attraverso le quali precipita l’acqua che, cadendo con impeto, trasforma la scala in una vistosa cascata.
Tanta bellezza è naturalmente meta di milioni di visitatori ogni anno. La buona organizzazione del sito fa in modo che gli ingressi siano contingentati così da non provocare un eccessivo affollamento delle sale e dei giardini. Se avete intenzione di recarvi a Granada ricordate di prenotare i biglietti di ingresso all’Alhambra con qualche settimana di anticipo sulla data del vostro viaggio.
Potete vedere alcune immagini dell’Andalusia e di Granada nella photogallery “Andalusia, ponte tra Europa ed Africa”.
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