di Simona Martinotti –
Milano, 11/8/96, ORE 9,30
Dopo aver controllato l’efficenza delle toilettes dei treni tedeschi c’è perfino la carta igienica!), eccoci finalmente partire alla volta della Krukkolandia!
L’entusiasmo proprio non ci manca, anche se un primo intoppo ci voleva. Infatti…scopriamo non senza un certo disappunto che la nostra brava Luigina (l’addetta dell’agenzia di viaggi) ci ha prenotato i posti su due file diverse, SGRUNT SGRUNT, ma ora tutto è stato accomodato. Ma anche le nostre cose si sono “accomodate” sui tavolini di fronte al sedile:
1. pacchetto di panini di Alfio
2. pacchetto di panini di Simo
3. pacchetto di biscottini di Simo
4. due confezioni di the succhiabile
5. marsupio di Simo
6. marsupio di Alfio
7. walkman
8. guida turistica di Monaco di Baviera
9. taccuino di viaggio
Non sembriamo esattamente dei globe-trotters, ma va bene così, a noi piace essere comodi!
I nostri vicini sono per ora mozzarelle senza sale.
Ore 12,45
La situazione si è notevolmente surriscaldata: ora i nostri eroi (noi) sono circondati su tutti i fronti (visto che siamo in Trentino) da un manipolo di “montanari in gonnella” che, visto il tempo pessimo,hanno optato per una cordata in treno.
Altre tre ciliegine USA sulla torta (Sacher) sono: una “american girl” very fine (non [fain]) che da tre ore se ne sta a piedi all’aria sui braccioli altrui, mostrando a tutti lo smalto sulle dita e masticando la cicca a spron battuto, un mozzarellone al pepe nero che sembra avere qualche problema di pronuncia nella sua stessa lingua e poi, chicca fra tutte…un rasta biondo che ogni tanto si fa una sfilata.
A proposito…volevamo farci anche noi due sfilatini, ma abbiamo dovuto optare per qualche semplice panino al prosciutto e qualche sorso di the. Siamo però sempre in tempo a rifornirci di birra al vagone ristorante, visto che quella sembra l’unica bevanda contemplata su questo treno.
Ore 13,45
Là dove osano le aquile…
Il trenino sbuffa quasi al culmine della salita e noi stiamo attraversando le nuvole tra pini e cascatelle. L’altoparlante annuncia la stazione di Brennero e fine corsa del treno (?!)… Speriamo bene. Il tempo è sempre uno schifo (lo è stato per tutta la mattinata).
Nell’esatto momento in cui il treno siè fermato al confine la radio del nostro walkman ha cominciato a trasmettere una serie di canzoni bavaro-tirolesi. E’ un segno del destino! (o la trasmissione pirata di qualche nostalgico Schuetzen).
12/8/96, ore 13,20
Ieri abbiamo girato tutta Innsbruck in un pomeriggio e fotografato ogni casa dipinta o colorata che vedevamo. Siamo così diventati due veri “austriaci felici”, tanto che di sera abbiamo cenato in una Biergarten all’aperto molto tirolese, se non fosse stato per i pescatori di Amburgo che la organizzavano e per un tipo strano di imbonitore che lanciava da un camion trote surgelate sul pubblico che rideva da vero “austriaco felice”.
Stamattina, dopo aver speso tutti i nostri scellini, averne cambiati altri, averli rispesi, ecc., abbiamo preso il treno per Monaco. Un controllore con la faccia da Ispettorederrick con la barba ci ha fatto pagare £. 6.000 non si sa bene perché (deve essere una specie di “pizzo” austriaco o di fondo pro Tirolo libero).
Dopo cinque minuti una grossa famiglia di obesi austriaci ci ha fatto alzare assieme a due merluzzi teutonici perché noi non avevamo la prenotazione e loro si (molto infantili questi tirolesi). Così siamo finiti in uno scompartimento occupato solo (chissà perché) da un biondo nibelungo con capelli al gomito, chiodo nero con borchie e tatuaggione da avambraccio. Ora il metallaro è sceso ad una stazione che non so neanche pronunciare (né tantomeno scrivere) e noi ce ne stiamo coi piedi sui sedili a mangiar panini (ci vedesse la signorina Rottenmeier!).
Siamo entrati in Germania, Germany, Allemanie, Deutschland…
II. “B” Come… Baviera
A proposito di Baviera, sto cercando di riconoscere fra tutti questi magnifici cascinali quello del Dottor Bayer! Chi è??? Nessuno si ricorda il telefilm del baffuto veterinario e della sua “arca”? Forse è più facile trovare al nostro arrivo in stazione l’ispettore Derrick.
14/8/96
Siamo sul treno per Regensburg e speriamo che la città non tenga fede al suo nome (Regensburg = Città della pioggia?). Sto scrivendo malissimo perché su questo treno regionale sembra di essere sul Tagadà a San Giuseppe.
Breve resoconto sui due giorni trascorsi a Monaco:
appena arrivati, carichi con le nostre solite some, abbiamo cercato ospitalità presso un taxista turco che ci ha fatto subito ridiscendere dalla sua “Mercedes Benz 18.750 cc.”…No, non perché eravamo degli emigranti italiani (e da un turco trapiantato in Germania ci si può aspettare di tutto), ma perché il nostro albergo era proprio vicino alla stazione.
Dopo aver preso atto che l’hotel era veramente tecnologico (tipo alveare giapponese per impiegati amministrativi Honda), il nostro spirito duramente provato (nonché il nostro corpo) ha trovato un poco di sollievo salendo in ascensore con l’accompagnamento musicale di Indiana Jones che ci ha fatto pensare…”coraggio e via! verso nuove avventure.
La giornata è poi trascorsa velocissimamente, girando, osservando, passeggiando, comprando e soprattutto clickando e aprendo e chiudendo l’ombrello ogni dieci minuti.
La bella giornata, anche se un poco rattristata dalla pioggia, è finita magnificamente nella famosissima Hofbrauhaus, ex-sede della antichissima casa birraia reale, dove abbiamo asssaggiato salsicciotti d’ogni tipo, bevuto un bel po’ di birra (la più piccola era da un litro) e soprattutto abbiamo vissuto l’atmosfera pazzesca della più turistica delle birrerie di Monaco!
Alle ore 19,30 molti tedeschi (che avevano già collezionato diversi boccaloni fin dal pomeriggio) cominciavano a fare la hola accompagnando l’orchestrina che suonava l’equivalente bavarese della monferrina. Nostri compagni di panca erano una coppia di fiorentini allibiti quanto noi e tre vecchie babbione inglesi del tipo: “molto pittoresco”, che trincavano il loro litro di birra storpiando alla Stanlio & Ollio le canzoni che venivano urlate nel locale. Nella panca accantosedeva un trio di autentici e veraci ubriachi da Biergarten (per dare l’idea uno era vestito con Lederhosen consumati, giacca di loden, cappello con piuma, pettorina con Edelweiss e due baffoni incorporati al faccione viola). Abbiamo cercato di tenere la contabilità dei litri di bionda che si suseguivano sul loro tavolo ma abbiamo smesso perchè cominciavamo a sentirci ubriachi al posto loro. Non potevamo non fotografarli, ma purtroppo non siamo riusciti a fare una istantanea delle facce della famigliola italiana che si é incautamente avventurata al loro tavolo e ne é rimasta inglobata. La madre tricolore cercava disperatamente di rivolgersi a noi, preoccupata dei pugni che il baffone picchiava di tanto in tanto sul tavolo e dei bacini che le mandava l’altro. Dopo i doverosi saluti e un “profumatissimo” baciamano (solo a Simo naturalmente!) da parte del Bavarese, non ci era rimasto che uscire, visto che la Biergarten la avevamo vissuta intensamente.
2° baciamano della serata: quello di un membro del duo che con fisarmonica suonava e ballava vestito da ungherese sulla Marienplatz dopo aver prelevato Simo dalla folla e averla fatta volteggiare a ritmo di valzer.
Girando la città abbiamo visto che una ordinaria manutenzione è il lavaggio delle fontane: si toglie l’acqua, la si lava con l’acqua, si rimette l’acqua: un laaavorone inutile! e non ci sono nemmeno le monetine da recuperare che lo giustificano!
L’ultima sera abbiamo lasciato l’hotel (a proposito di hotel, la chiave della nostra stanza non è una chiave ma una specie di biglietto del tram: e come sul tram non si riesce ad obliterare, così noi non riuscivamo ad aprire la porta) alla volta di Schwabing, il quartiere più caratteristico, il quartiere più tradizionale, il quartiere più…boh!?
All’inizio siamo rimasti un po’ delusi perchè ci aspettavamo qualcosa di più tipico di alti palazzoni e di superristoranti. Poi abbiamo capito che dovevamo lasciare la superstrada e immetterci nelle viette laterali. Allora la delusione ha lasciato spazio allo stupore: un enorme limone con una fluente capigliatura campeggiava sulla facciata di un palazzo liberty: “Il limone coi capelli” era il nome del locale. Poco più in là un gruppo eterogeneo (un ragazzo con Lederhosen, uno con hot-shorts di vernice nera, una ragazza in abito da sera Mortisia- style, ecc.) segnalavano la presenza di qualcosa di anomalo (e quindi di molto interessante!). Lustspielhaus è il nome sul portone che ci attira come piccole, curiose, ansiose ed entusiaste calamite italiane.
III. “C” Come… Cabaret (O “Kabarett” come si dice qui) Eccoci catapultati improvvisamente indietro di almeno sessant’anni ed entrambi ci sentiamo come Lisa Minnelli. Davanti a noi la stessa popolazione eterogenea è ammassata attorno ad una cinquantina di tavolini in una atmosfera retrò, tra piccole abat-jour, candelabri, pareti damascate e naturalmente boccali di birra. La scarsa illumina- zione ed il velo di fumo che aleggiava, attribuivano al palco un alone di misticità.
Esattamente alle ore 20,30 (come da programma, si sa che i tedeschi sono puenktlich), appaiono da dietro il sipario di pesante velluto rosso i “Geschwister Pfister”! I dialoghi erano un attimino difficili da interpretare (?!), ma la musica e le urla del pubblico erano tal- mente coinvolgenti che ci illudevamo di capire. Lo spettacolo era interattivo, cioè il pubblico provocava e partecipava attivamente, tanto che la prima parte dello show si è poi conclusa con uno spinello che è passato dal palcoscenico ai tavolini degli spettatori più ri- cettivi. Noi, presi dall’entusiasmo (e anche per non fare brutta fi- gura) ridevamo “simpaticamente”, cioè adeguandoci agli ululati del tavolo accanto, non a caso il famoso spinello si era fermato proprio lì. Il buon vecchio Wedekind sarebbe stato soddisfatto dal risultato. Dopo aver consumato la nostra cenetta all’ombra di due boccali, siamo usciti al quinto bis, non scorgendo un minimo cenno di conclusione all’improvvisazione sopra e sotto il palco.
Spariti nella brumosa notte monacense sopra un taxi con coprisedili di orso polare, ci sentiamo ormai pronti come giovani iniziati ad accogliere e penetrare il grande segreto delle rombanti macchine teu- toniche. Esse sono di un tenue color creme, lunghe circa dodici metri e trenta centimetri e si contraddistinguono dall’innocua scritta TAXI sul lucido e biondo tettuccio. Gli interni sono in pelle “umana” e tappetini persiani bukara. I taxisti hanno occhi cerulei, guance con cuperose (o meglio birrose) e una pancia che arriva al volante e fun- ge quindi da servosterzo.
Queste macchine germaniche (che qui chiamano Mercedes) hanno sul cofa- no un simbolino che in relatà è un mirino. Ecco la vera funzione di questi transatlantici da asfalto: svolgono allo stesso tempo due ser- vizi alla società: trasporto a pagamento, ma soprattutto selezione della razza: i semafori pedonali rimangono verdi esattamente per tre secondi e mezzo. Gli individui più lenti, meno scattanti, meno prepa- rati fisicamente, soccombono alla furia purificatrice dei Mercedes in agguato. Coloro che sopravvivono verrano finiti dalle biciclette che sfrecciano sui marciapiedi esclusivamente sulla loro corsia preferen- ziale (in questo caso vengono giustiziati anche tantissimi pedoni distratti che, pur sul marciapiede, sconfinano sulla striscia cicli- stica).
Abbiamo vagato anche per l’Englischer Garten che la nostra guida (Edi- zioni Economiche I Gabbiani) presenta come il più grande parco citta- dino del mondo. Abbiamo coperto chilometri di prato vedendo nell’or- dine: un musulmano inginocchiato verso La Mecca, uno scoiattolo che ci ha fatto la lingua prima di salire su un albero, un tempietto gre- co, una torre cinese a pagoda con relativa Biergarten. A questo pun- to, sfiniti, imploravamo un tandem con possibilmente motore da 125 cc. e pertanto lasciavamo il parco ed i suoi prati per l’asfalto della Monaco che finora avevamo conosciuto, non senza prima accorgerci da una mappa del tipo “voi siete qui” che ci stavamo perdendo un lago con barchette ed una pista di sci di fondo (il tutto incorporato nel parco).
IV. “D” Come… bel Danubio blu (a noi e’ sembrato verde)
Il giorno 14/8 (vedi cap. “B”) la città di Regensburg, come volevasi dimostrare, ha poi mantenuto fede al suo nome (sig!). Si aggiravano per la città due esseri somiglianti vagamente a dei marziani plasti- ficati: quattro occhi sbirciavano alternativamente nelle macchine fotografiche, superando una spessa coltre di k-way, foulard, ombrelli e zainetti. L’acqua non arrivava solo da sopra, infatti una delle bellezze della città è proprio il Danubio, la cui vista in un altro momento avrebbe potuto dare una desiderabile senzazione di freschezza, ma quel giorno proprio non ce n’era bisogno!
La cittadina, piuttosto austera (sede vescovile da centinaia d’anni) non offriva, a parte un bellissimo duomo gotico, molte attrattive architettoniche, ma Alfio ha saputo cogliere gli aspetti migliori di tutto ciò che gli si presentava innanzi(*). E così, dopo avermi tra- scinata nello stesso pomeriggio in due diverse birrerie al fine di provare tutte le marche di birra più famose in vendita in Germania di fregare i sottobicchieri), è riuscito a trovare interessante un negozio di foto che, come si suol dire, “tirava nella schiena” dei passanti vecchie macchine fotografiche in disuso da decenni. All’uscita del negozio, raggianti, avevamo in mano una specie di scatoletta grigia con due buchi e una serie di rullini, tra i quali uno da sole 8 pose (per la scatoletta grigia con due buchi, ovvia- mente).
(*)Veramente anch’io mi sono un po’ lasciata prendere ed ho consumato con vero piacere un bel piatto di frittelle di mela con gelato e pan- na, la cui bontà sapeva ben compensare il gusto di strutto che nel frattempo mi colava in gola.
Avvertimento per chi frequenta gli alberghi tedeschi: alle ore 8 (dico otto!) si scatena per i corridoi dell’hotel un gruppo di attivissime Putzfrauen (non è un insulto, significa solamente donna delle pulizie) che non si ferma dinanzi a niente e nessuno. Dopo un colpo sulla porta ti entrano in camera pretendendo di fare pulizia. Sorpresi da questaintrusione improvvisa Simo è corsa in bagno ed io mi sono tuffato sotto le coperte invocando un “Moment, Moment, bitte!!” Astuti come volpi abbiamo scoperto che l’unica barriera possibile è il cartello “DO NOT DISTURB” che finora avavamo visto solo nei films di Cary Grant o nei cartoni di Cip e Ciop.
Lasciata Regensburg abbiamo conquistato Norimberga. Abbiamo piacevol- mente scoperto che il nostro albergo è all’interno delle mura storiche e quindi fa parte di quell’immenso plastico che è la parte antica del- la città (e la meglio ricostruita).
Ci sentiamo due playmobil medioevali in cerca di un pasto finalmente non a base di maiale per una catarsi corporea: ovviamente non ci siamo riusciti. Abbiamo cenato a base di medaglioni di suino inpanati con contorno di funghi innaffiati da spumosa birra della Franconia nei suggestivi sotterranei di una torre gotica davanti al gotico Duomo. Per addolcire l’austero ambiente medioevale ci siamo concessi l’enne- simo “Apfelstruedel con panna e gelato alla vaniglia cosparso di zuc- chero a velo e polvere di cacao”.
In questo locale molto teutonico ci siamo subito sentiti a casa nostra perché al di là della grata di ferro battuto un genovese ed una emi- liana ci hanno dato consigli culinari sulla cucina francone. Una passeggiata in compagnia di questi italici beoni nella suggestiva Norimberga by night ha concluso la nostra permanenza nella città. Alla ricerca di un soggetto interessante per inaugurare la nuova sca- tola fotografica, abbiamo trovato dei modelli perfetti anche se diffi- cili da riprendere: un gruppo di punk con le teste variopinte accampa- ti, bevendo e ruttando, in un magnifico contrasto sotto i ricami di pietra del portale del Duomo. Venti minuti di camping hanno ridotto i gradini del Duomo ad una discarica abusiva.
La mattina della partenza abbiamo consumato una abbondantissima cola- zione “abbuffè” all’ombra della Koenigstor. Come Silvan, al pronuncia- re SIM-SALA-BIN siamo riusciti a trafugare due uova sode nonché una vistosa banana sotto i vigili occhi di una coppia di ex kapò.
V. “E” come evviva…! Finalmente a Rothenburg!
19/08/96
Siamo seduti su un prato a picchiopendio cosparso di fiori bianchi e di api che ci scambiano per enormi fiorelloni italici. Davanti ai no- stri occhi dal bosco spuntano le mura e le torri di Rothenburg. Stiamo ascoltando col walkman una cassetta intitolata Edelweiss e ci sentiamo tanto come Heidi e Peter (manca solo l’altalena attaccata alla nuvola).
Finalmente il tempo è stupendo e siamo a piedi nudi nell’erba alta (speriamo bene). In pancia abbiamo un tagliere di quattordici tipi di salami, pane imburrato, il tutto pucciato nella bionda birra locale: i brufoli si stanno appropriando ormai delle nostre facce, ma non im- porta, dobbiamo sperimentare empiricamente la genuinità di questi prodotti.
Rothenburg ci ha accolto in maniera meravigliosa: uno spendido sole ha cominciato a fare la sua comparsa già dal viaggio di trasferimento in treno. Qui, su un vagone pieno zeppo di umanità abbiamo socializ- zato con un immigrato algerino (che ci ha chiesto di poter sfruttare il nostro biglietto valido per cinque persone) e con un cuoco tedesco che girava il treno con la sua lattina di birra in cerca di una Toi- letten.
Giunti alla stazione abbiamo lasciato la strana coppia e con un taxi ci siamo diretti all’hotel. Su quest’ultimo avevamo qualche riserva, visto che era l’unico che eravamo riusciti a prenotare ad un prezzo nettamente inferiore agli altri. Le abbiamo subito superate quando, scesi dal taxi con gli zaini e vestiti quasi da hippies, siamo stati accolti da un addetto in livrea rossa, non molto pratico di qual’è la presa corretta per trasportare i nostri sacconi.
L’hotel Roter Hahn (Gallo Rosso) ci ha riservato una stanza con perfi- no frigobar e cassaforte, a trenta metri dal municipio e dall’orologio con carillon riproducente la “Grande Bevuta”.
A proposito dell’orologio, ogni ora i giapponesi corrono ad orde da ogni lato della città per FOTOGRAFARE la stessa scena del carillon, dove la spettacolarità sta proprio nel MOVIMENTO e nella MUSICA.
20/08/96 ore 12,25
Siamo sul treno diretti a Friburgo, ultima tappa del viaggio e proroga di due giorni sul tabellino di marcia. Abbiamo da poco lasciato Ro- thenburg, una città che non è possibile descrivere (e pertanto non scriverò niente). Di Rothenburg si possono guardare solo le immagini per capire di che cosa si tratta: torri medioevali e spesse mura di pietra incorniciano casette e palazzi di marzapane con travi di cioc- colato e tetti di zucchero colorato.
Dovunque c’è una atmosfera da paese dei balocchi, con carri trainati da cavalli che accompagnano in un giro turistico delle città e auto- mobili ridotte al minimo indispensabile: quasi esclusivamente taxi (riecco le Mercedes).
Le vetrine espongono torte e dolci stratosferici da cartellone pubbli- citario oppure migliaia di bambole (Puppen) e marionette di tutti i tipi e dimensioni con prezzi da leasing.
Per le vie della città sembra che il tempo si sia fermato, con gente che passeggia tranquillamente col passo del turista e agli angoli del- le vie cori e musicisti classici con flauti e chitarre che ne costi- tuiscono la colonna sonora.
Qui gli adulti tornano bambini respirando un’aria quasi di irrealtà, mentre i bambini diventano adulti: ieri una giapponesina di tre anni girava per un negozio ripetendo “credit card, credit card!”. Il negozio più mistico e metafisico che abbiamo visto è uno di giocat- toli e di articoli natalizi, per un totale di tre piani più altri tre nella succursale dall’altra parte della strada: occorre una piantina per trovare l’uscita.
Stelle, luci, musica di sottofondo, alberi di trenta piani di celenta- niana memoria ti proiettano in pieno clima natalizio a ferragosto. Altra curiosità: c’è un negozio di giocattoli solo ed esclusivamente d’orsi: ve ne si trovano di ogni dimensione e sotto qualsiasi forma.
Lasciando l’hotel abbiamo scoperto che il nostro Roter Hahn era la ca- sa del borgomastro protagonista della celebre “Grande Bevuta”. Che emozione aver dormito e soggiornato nelle stanze dove il borgomastro si inciuccava!
Stiamo viaggiando su un treno con wc da pubblicità Ideal Standard, tutto azzurro e con un soffione d’aria per asciugare le mani. Sui se- dili c’è Ihr Fahrplan, cioè il piano di volo con tutte le fermate e le relative coincidenze del nostro IR2560. Stiamo controllando dal Fahr- plan gli orari di arrivo e partenza in ogni stazione, come Furio e Magda in “Bianco, rosso e verdone”: non sgarrano di trenta secondi questi tedeschi mangiakrauti!
Alla partenza del treno supersonico dagli altoparlanti si sente una voce che dice: “Il mio nome è…, sono il capotreno…,” con tutte le notizie relative al volo. Pazzesco!
Sul sedile accanto al mio uno strano tipo di ometto con la faccia da Gruendland sta leggendo il libro “Morte di un maiale” (che caso stra- no!).
VI. “F” Come… Friburgo
22/08/96
Stiamo scrivendo con una biro tedesca trovata nella Foresta Nera (è stata smarrita, perché in Germania non buttano i rifiuti nei boschi). Siamo sul treno che ci riporta a casa, il mitico ICE: un treno che sembra un aereo, con finestrini a specchio, moquette, giornali a bor- do. Abbiamo cercato le istruzioni per poter usare i comandi dei sedi- li ed ora abbiamo inserito lo spinotto delle cuffie nel bracciolo e, cosa strana, abbiamo a disposizione otto programmi di radio tedesche. Dopo un po’ di musica classica ci siamo rotti ed ora stiamo ascoltan- do Rosanna Fratello con “Ciribiribin che bel faccin”.
Abbiamo uno scompartimento tutto nostro che abbiamo difeso dai merluz- zoni con ventiquattrore saliti a Friburgo.
Racconto del soggiorno nella Foresta Nera:
Siamo arrivati a Friburgo alla cieca: senza prenotazione nell’albergo e senza informazioni sulla città.
All’Ufficio Turistico una Heidi bionda ci ha proposto un’offerta spe- ciale fruibile presso un hotel in posizione centrale.
Si trattava del fantomatico “PARK HOTEL POST”.
Una coloratissima hall arredata in maniera ricercata ha accolto noi ed i nostri coloratissimi zaini arredati in maniera “ostello della gioventù”. Abbiamo notato una leggera smorfia di disappunto sul volto della receptionist nel vederci varcare la soglia con tanto di bermu- doni, sandali e capelli sconvolti dal viaggio.
Stavamo già addocchiando i cioccolatini Milka a disposizione della clientela sul bancone, quando la Fraulein ci ha offerto per cortesia un succo d’arancia e noi per cortesia abbiamo subito accettato. [Piccolo intermezzo pubblicitario: tra i boschi e i laghetti svizzeri attraversiamo un paesino che si chiama Lietikon, come la caramella da mangiare “se afete male a fostri pieti, fostri pieti farano ankora male, ma fostra cola sarà molto felice”]
Giunti in stanza verifichiamo subito che il comfort è estremo: vasca abitabile, scrivania con carta intestata, frigobar e, oltre al tv co- lor, due radio e soprattutto tre telefoni (3 telefoni 3).
Subito abbiamo provato l’efficienza telefonandoci dalla camera al ba- gno.
Alla mattina, a colazione, ci presentiamo con salopette e pantaloni a zampa d’elefante più zainetto di plastica per trafugare i panini per il pranzo. Gli altri clienti colleghi erano in abito da sera.
Ore 13
Fra due ore e mezza circa (da noi gli orari dei treni cominciano a diventare più variabili) il nostro viaggio di ritorno in Italia sarà terminato. Stiamo viaggiando ora su un treno IC delle Ferrovie Ita- liane, uno di quelli belli, da esportazione: sedili macchiati, riscal- damento che non funziona, serratura della toilette rotta e quanto di meglio si può avere sulle linee italiane. Si, anche qui c’è la musica anche se non si può sentire in cuffia: l’omino dello scompartimento accanto sta cantando il suo amore per la bella che lo aspetta forse a Pozzuoli, visto che la sua pronuncia non è propriamente nordica.
Friburgo ci è piaciuta molto, con le sue case dipinte e i rigagnoli d’acqua pulitissima che scorrono a fianco di ogni marciapiede (malgra- do tutti i bimbi della zona ci sguazzino a piedi nudi anche quando piove).
Dopo l’ennesimo Duomo gotico e l’ennesimo Rathaus con fiorellini in- corporati, ci siamo dedicati a collezionare immagini dei Musikanten di passaggio e nell’ordine:
2 hippies con Alpenhorn
1 duo con violoncello e contrabbasso
1 gruppo multietnico con bongo, chitarra classica, violoncello e voce solista
1 country-man con chitarra e cane sosia
1 quartetto di Dalai Lama in vacanza
e infine gli immancabili peruviani.
Dopo dieci giorni di ricerche instancabili, quando ormai la speranza sembrava vana, finalmente in un negozio per bambini Simo riesce a tro- vare un vestito da Heidi della sua misura a prezzo abbordabile.
Entusiasta, chiede alla Frau se può tenerselo addosso e così, con i pantaloni gialli a zampa d’elefante nella busta tirolese se ne va or- gogliona per Friburgo facendo consumare ad Alfio un altro rullino di foto.
Abbiamo pranzato nel ristorante che più ci ispirava su un naviglio friburghese, con una coppia di tedeschi ottantenni che ci parlavano in spagnolo ricirdando il loro viaggio da millemiglia in Italia di tren- tanni prima.
Stamattina siamo usciti dall’albergo in salopette e pantaloni da clown con i ringraziamenti della direzione (probabilmente perché ce ne sta- vamo andando).
Abbiamo appena superato la frontiera. Siamo entrati in Italia! il Pae- se del sole, dei mandolini, degli spaghetti, della pizza.
Nel nostro scompartimento siamo ora in quattro: due pseudo globe- trotters e due maschere di carnevale: noi siamo i globetrotters.
Le due maschere sono ovviamente assieme: una bella di notte con oc- chiali e guanti bianchi da Wanda Osiris, collane ed orecchini di perle finte penzule (un Albin: vedi il “Vizietto”) con cerone a mo’ di stuc- co veneziano. Sembra sia amica più o meno intima della persona che le sta di fronte: un monsignore con tanto di fusciacca porpora e tunica sbottonata sul collo che sembra Aldo Fabrizi con gli occhiali. Il monsignore parla di sé in terza persona.
Il tragitto Chiasso-Monza lo impiega intrattenendo la sua gentile partner su cibi, vini e giudicando i suoi colleghi (“confratelli” li chiama lui) in base a ciò che mangiano. Si è poi lamentato di una stanza in cui è stato ospite dove non poteva dormire perché aveva i piedoni freddi (povra gioia) ed ha preso in rassegna i vari monasteri e ordini come se si trattasse di una serie di hotel nella guida del Touring.
E’ poi sceso a Monza con l’accompagnatrice lamentandosi delle ferrovie italiane e facendo citazioni in latinorum.
Ora siamo diretti a Vercelli attraverso la famigliare periferia di Mi- lano. Masticando un’Ovomaltina che sa tanto di Svizzera, ci rattri- stiamo un po’ perché la vacanza è
“G” Come… gia’ finita (sigh!!)
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