di Giuseppe Romanato –
Quando decisi di visitare la Scozia percorrendo l’intera strada costiera delle Highlands, la regione scozzese più settentrionale, cioè l’estremo limite del Regno Unito, mi aspettavo di incontrare lungo il mio cammino un sacco di castelli. E, infatti, di castelli ce ne sono tanti.
Ne ho visti di tutti i tipi: arroccati su una scogliera o in riva ad un lago; in rovina o appena risistemati; abbondati o ancora abitati, oppure trasformati in alberghi di lusso; cupi e spazzati dal vento gelido dell’Atlantico oppure sorridenti e fatati; alcuni ingentiliti da giardini verdi e pieni di fiori, altri austeri e solitari fra le rocce. Però, alla fine, non ricorderò i castelli. Ricorderò i fari. Che, se vogliamo, sono dei castelli anch’essi, ma di tutt’altro genere e destinati a tutt’altro scopo.
In Scozia ci sono 215 fari. La maggior parte progettati da una sola famiglia. Con un cognome importante: Stevenson. E con un capostipite con un nome altrettanto noto: Robert. Robert Stevenson. Non Robert Luis, che fu suo nipote, e diventerà uno dei maggiori scrittori ottocenteschi, l’indimenticato autore de “L’isola del tesoro” e de “Lo strano caso del dottor Jeckyll di Mr Hide”. A suo modo una pecora nera, dato fu il solo membro della famiglia la cui vita non fu dedicata ai fari. Per natura avventuriero e romantico, malato di tubercolosi, visse per i suoi due amori, che non hanno nulla da spartire con i fari: la letteratura e una donna di nome Fannie, che inseguì fino a San Francisco, sposò e portò nei posti più strampalati, compresa una miniera di argento, fino a morire presso le isole Samoa, letteralmente agli antipodi rispetto alla Scozia. Ma viaggiando lungo le strade strette delle Highlands, fra scrosci di pioggia e folate di vento, lo Stevenson che ti abbaglia di continuo, letteralmente, con la luce dei suoi fari è il nonno dello scrittore, Robert Stevenson.
Oggi ci sono i radar, il GPS, carte nautiche dettagliatissime. I fari sono tutti meccanizzati e elettrificati; non c’è ormai più il guardiano del faro e molti di essi sono stati trasformati in alberghi di lusso. Ma tre secoli fa solo i fari potevano salvare da rovinosi naufragi. Soprattutto lassù, in Scozia, le cui coste sono fatte di scogliere impervie, di rocce affilate che affiorano e scompaiono fra le onde nelle burrasche dell’Atlantico o del Mar del nord, due mari scuri, spazzati da venti gelidi, bui per buona parte dell’anno e mai tranquilli. Navigare in queste acque non era un affare per deboli di cuore. Avvicinarsi a queste coste, riuscire ad entrare nell’insenatura del porto di Edimburgo era rischioso come sottoporsi alla roulette russa. I disastri e i morti erano continui: in una sola notte di tempesta, una delle più terribili della storia della navigazione, nel 1789, naufragarono 70 imbarcazioni e in uno degli incidenti più tristemente celebri, il 26 dicembre 1803, morirono più di cento marinai imbarcati in una nave da guerra della flotta imperiale.
C’era un disperato bisogno di luci che orientassero la navigazione e avvertissero dei pericoli. E’ proprio dalla sciagura avvenuta nel giorno di Santo Stefano del 1803 che ebbe inizio la fortuna dell’allora giovane e sconosciuto Robert Stevenson: sua maestà accettò infatti di finanziare il suo primo avveniristico progetto, quello del faro di Bell Rock, previsto proprio sulle rocce sulle quali si era appena infranta la nave britannica.
La sua costruzione nel mare aperto, molto al largo, fu una epopea, che meriterebbe da sola un articolo: sorge, incredibilmente, su uno spuntone di roccia a 11 miglia di distanza dalla costa e la costruzione durò cinque anni dal 1807 al 1811. Oggi questo prodotto della genialità umana, ancora perfettamente funzionante così come fu costruito due secoli fa, è giustamente considerato una delle sette meraviglie del mondo industriale. E con il faro di Bell Rock inizia la storia della famiglia Stevenson, i più famosi costruttori di fari della storia. Nella sola Scozia, ma ve ne sono anche all’estero, 90 fari su 215 furono costruiti da questa famiglia. Ancora oggi, fuori da molti di essi, una lapide ricorda il loro capostipite: Robert Stevenson, ingegnere, imprenditore e scienziato. Il più famoso costruttore di fari della storia.
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