di Mario Pistoi –
Novembre 2018
Racconto di un viaggio in Asia, tra Thailandia, Myanmar e Vietnam
FUSO ORARIO (in Inverno) :
Milano 0,00 Bangkok+6,00 Yangon+5,30 Doha(Qatar)+2,00 Saigon +6,00
CAMBIO VALUTE (approssimative) :
THAILAND : Bath (THB)
Myanmar: Kyat (MMK) 1 Euro = 40 Bath
1 Euro = 1.782 Kyat 10 Euro = 400 Bath
5 Euro = 9.000 Kyat 100 Euro = 4.000 Bath
Vietnam : Dong (VND)
1 Euro = 27.000 Dong 50.000 Dong = 1,80 Euro
5 Euro = 135.000 Dong 100.000 Dong = 3.60 Euro
Qatar : Riyal (QR)
1 Riyal = 0,25 Euro 1 Euro = 4 Riyal 20 Euro = 80 Riyal
I Giorno sabato 10 Novembre 2018
Puntuale partenza da Venezia alle 16,00 e subito dopo le operazioni di decollo, aperitivo con salatini ed un bicchiere di vino rosso australiano. Buono.
Poi salmone fumè.
Molto di sotto, la Croazia, con nuvolaglia a tratti, ed il sole che comincia a tramontare.
Gli spuntini vengono serviti da una hostess coreana.
Dopo un’ora e cinquanta minuti, siamo sulla verticale di Istanbul, con visibilità perfetta.
Passando sopra Ankara, volando ad un’altitudine di 11.277 metri, ad una velocità di 883 km/ora, mi rilasso con un dissetante Cuba Libre.
Sopra i pozzi di petrolio della regione del fiume Tigri in Irak, dopo tre ore e venti di volo, riconsulto il menù scegliendo un piatto di formaggi con un po’ di pane, che termino di mangiare al traverso di Baghdad.
Sopra la Mesopotamia manca un’ora all’atterraggio a Doha, capitale del Qatar, e ci dirigiamo verso il Kuwait, passando su Basra o Bassora, in italiano, nell’estremo sud dell’Irak e nei pressi della confluenza tra il Tigri e l’Eufrate.
Mi appisolo per una ventina di minuti fino all’inizio del sentiero di discesa, mentre si intravedono le strade tutte illuminate a giorno.
Venezia – Doha durata 5 ore e 20 minuti.
II Giorno domenica 11 Novembre
Si cambia aereo.
Il Boeing 777-ER è molto grande ed i posti sono molto ampi e non tutti occupati.
Si parte alle 6,00 orario di Bangkok ed al solito nell’attraversamento dell’India si balla per le notevoli turbolenze.
Mi sdraio nella poltrona sistemata a 180 gradi e mi assicuro con le cinture di sicurezza.
Sopra la Birmania, ora chiamata Myanmar vi sono le nuvole a batuffoli di cotone e dopo sei ore arriviamo a Bangkok.
Cambio aereo al Suvarnabhumi ed in un’ora e qual’cosa sbarchiamo a Phuket che è già buio.
In lontananza si vedono in continuazione fulmini a ripetizione.
All’uscita dall’aerostazione aspetto di vedere il mio nome su un cartello attaccato ad una mano dell’autista, già prenotato e confermato dall’Italia.
Per due volte rifaccio il giro, ma non vedo nulla che mi indichi l’appuntamento.
Cominciamo bene.
Prendo un taxi dall’esoso prezzo per fare circa tre kilometri e comincio ad incazzarmi nella lobby di ricevimento del Cachet Resort Dewa Phuket, dove nulla turba la loro esistenza.
III Giorno lunedì 12 Novembre
La struttura è molto grande e molto bella.
Una grande piscina accanto alla terrazza delle colazioni ed anche queste varie ed ampie.
Non ho comunque un grande appetito e mi limito a guardare con rispetto ed invidia chi riempie i piatti fino all’orlo e riesce anche a terminarli di mangiare.
La spiaggia di Nai Yang, ed il mare sono a due passi.
Due anni fa era piena di ristorantini e bottegucce, ma ora l’hanno divisa in due parti, ed a nord il parco marino, è stato liberato da tutto, è rimasto quasi deserto ma anche pieno di porcherie, ed a sud invece hanno resistito i numerosi localini della ristorazione e dei vari frullati di frutta.
Prima, i ristoratori si facevano carico delle pulizie in generale ed ora che è pubblico il comune latita.
Questa spiaggia termina a pochi metri dalla pista di atterraggio dell’aeroporto internazionale di Phuket.
E’ davvero tranquilla, lontana dal caos e dalla vita mondana.
La sabbia è bianca e fine come borotalco, non ci sono moto d’acqua, non ci sono motoscafi con paracadute, non c’è il via vai di barche.
Poca gente e tranquillità assoluta.
Per pochi Bath ti noleggiano un ombrellone con sedie a sdraio.
Molto suggestivi sono gli aerei che atterrano passando letteralmente sopra la testa dei bagnanti.
Prendo un motorino a noleggio proprio davanti all’Hotel, lo parcheggio in una pineta dove la sosta è ammessa e mi faccio una scarpinata di tre chilometri sulla sabbia, fino a raggiungere la testata pista dell’aeroporto.
Poi altri tre chilometri per tornare indietro ed andare a pranzare.
Nel tardo pomeriggio due ore di massaggi e subito dopo temporalone fino alle 11 di sera.
IV Giorno martedì 13 Novembre
Sveglia alle 8,00 e in giro col motorino fino alle 12,00, poi bagno in piscina.
Caldo estivo con alto grado di umidità.
Dopo, altre due ore di massaggi e nuvole che vanno e che vengono.
Ieri parlavo di quella zona vicino alla pista di atterraggio che era stata ripulita e bonificata da ambulanti e strutture turistiche.
Ma subito a sud di questa zona, appena passato il casotto che vende il ticket per l’accesso alla zona del parco marino, non è ancora arrivata l’ordinanza di sgombero e nidificano ancora piccoli ed insignificanti stabilimenti balneari, ristoranti, banchetti itineranti, sale massaggi e negozietti.
E a dirla tutta ci si diverte di più.
I ristoratori, tutti, manifestano il menù con larghe foto dei piatti che offrono e chi non sa leggere o non conosce la lingua del posto può ugualmente rendersi conto di cosa scegliere.
Vi sono anche diversi piatti di pasta e spaghetti al pomodoro, alla bolognese, alla amatriciana, alla carbonara e domani proverò.
Intanto un bel massaggio alla gambe in riva al mare.
Oggi il grado elevato di umidità deve essere arrivata al 98%.
Sono tutto sudato nonostante mi sia accomodato su una sedia a sdraio all’ombra di un sicomoro e continuo a grondare sudore. Meglio che nella sauna finlandese.
V Giorno mercoledì 14 Novembre
A colazione si notano diverse coppie scoppiate ed altre assonnate od in viaggio di nozze.
La maggior parte di queste, quasi già assuefatte alla vita di coppia, oggi si tollerano appena e si rifugiano consultando e digitando l’I Phon.
Ormai allo scoperto, e sicuri che nessuno li pigli più per il culo, diverse coppie gay si intravedono tutte sorridenti e beate.
Anche diverse coppie femminili passeggiano lungo la spiaggia e dalla prima valutazione, le considero come i loro confratelli maschi.
Una, tutta tirata ed imbellettata, l’altra, mascolina, capelli corti, e pantaloni senza spacco davanti.
Io ho l’ombrellone in prima fila, vicino ad una coppia attempata e da un’ora non si sono detti una parola.
Meglio essere soli.
Ho bestemmiato dietro una pseudo massaggiatrice che avrebbe voluto tagliarmi le unghie dei piedi, i capelli e le unghie delle mani.
Le ho chiesto se voleva anche tagliarmi i coglioni e subito in thailandese dice ad una sua amica:
“Questo è italiano”.
Ogni ora, li ho contati, sopra di me atterrano almeno venti aerei ed altrettanti decollano, per il naturale ricambio.
Ecco come l’isola di Phuket in trenta anni abbia cambiato aspetto, da isola di pescatori ad ambita meta turistica.
E’ la più grande delle isole della Thailandia e si trova sul Mar delle Andamane.
Le sue più importanti risorse naturali sono l’estrazione della stagno e le foreste tropicali, con numerose e famose spiagge e tranquille baie, che fanno di Phuket la più turistica e popolare tra le isole della Thailandia.
La sua lunghezza totale da nord a sud è di 49 kilometri con una larghezza massima di 21 kilometri.
Quando nell’età del bronzo fu scoperto che fondendo rame e stagno si otteneva il prezioso e malleabile bronzo, i ricchi giacimenti di Phuket cominciarono ad essere conosciuti anche in paesi lontani.
L’economia locale trasse giovamento anche dal commercio di altri molti prodotti esportati, come spezie, avorio, nidi di rondine, legname, rattan, ambra grigia e pesce.
Verso il 1980 vi fu il crollo del prezzo dello stagno nei mercati internazionali e da allora l’economia dell’isola si basa principalmente sul crescente numero di turisti oltre che nello sfruttamento degli alberi della gomma.
Il turismo e gli investimenti stranieri ebbero una grande spinta in seguito alla crisi finanziaria del 1997, una tendenza che si sarebbe protratta per parecchi anni.
Lo tsunami del dicembre 2004 ha causato moltissime vittime, ma negli anni successivi l’economia ha ripreso a crescere, imponendo numerose strutture ricettive e con l’ampliamento dell’aeroporto locale.
Dal porto navale di Phuket partono giornalmente numerosi battelli turistici con destinazione Krabi e le migliori isole minori come Phi Phi Island, Koh Kradan. Koh Mook e tante altre.
VI Giorno giovedì 15 Novembre
Anche stamani vita da spiaggia lungo la costa del Sirinat National Park, nella sezione sud ove le strutture sono ben fornite e pulite.
Una battigia lunga e larga con due file di ombrelloni semi vuote.
Praticamente spiaggia deserta con qualche piccola imbarcazione nella rada.
All’interno, sotto i grandi alberi di conifere, banchettini con frutta, bibite e street food.
Più all’interno, vere e proprie trattorie specializzate in Thai Food.
Continuano in lontananza gli atterraggi degli aerei.
Sabbia bianchissima, fine e pulita.
Ciò, quando la gestione è in mano ai privati.
Solita umidità per cui anche stando fermi si suda.
Poi aperitivo con un trombone di mango shake.
I francesi sono come i bambini.
Non sanno parlare normalmente e debbono urlare anche se si trovano a due metri di distanza.
Qui sono in sei e sembrano essere in diciotto da quanto sbraitano.
A pranzo conosco Carolin, una ragazza tedesca, anche lei sola in vacanza.
Domani andrà a Chang Mai e trascorriamo la serata in compagnia.
VII Giorno venerdì 16 Novembre
Ceck-out veloce e restituzione del motorino, con relativa prenotazione di un taxi per l’aeroporto.
Pago i 200 bath richiesti e sono nell’aerostazione per i voli che mi porteranno a Yangon, capitale del Myanmar.
Non mi possono mandare direttamente il bagaglio di stiva a Yangon perchè ho due biglietti separati, l’uno Phuket – Bangkok Don Muang e l’altro Bangkok – Yangon.
Arriviamo a Bangkok con 40 minuti di ritardo ed anche lontanissimi dalla zona delle partenze internazionali.
In breve, quando arrivo per il nuovo chek-in, il volo è già chiuso e non c’è protezione.
Al costo di 80 Euro mi riservano il prossimo volo tra cinque ore.
Fra chek-in e controllo passaporti per l’uscita dalla Thailandia ci impiego due ore e mezzo.
Davanti a me c’è un gruppo di 45 indiani che per fortuna sono diretti in India.
Pieni di bagagli, televisori giganti e scatoloni con tutto quello che potevano comprare in Thailandia, comprese diverse borsette kitch color rosa che neanche la mì pora nonna Mimma avrebbe avuto il coraggio di portare.
Arriviamo a Yangon nella tarda serata e tutto l’aeroporto sembra essere semideserto.
Anche i negozi sono già chiusi.
Al controllo passaporti, in un minuto mi rilasciano il Visa già prenotato e pagato in Italia via Internet.
Esco dall’aerostazione ed una marea di ragazzi mi assale per offrirmi un taxi o qualunque cosa io chieda, dandomi l’impressione di essere dei procacciatori di servizi, ma proseguo per procurami una Sim Card.
Prima cambio una banconota di 50 Euro e mi danno un malloppo di 150 pezzi da 1.000 Kyat l’uno.
Non so dove mettere il pacchetto e scacciando tutti i mosconi che mi ronzano attorno riesco a prendere un taxi.
Mi chiede 10.000 Kyat per portarmi all’Hotel e sicuramente mi avrà fregato, ma la distanza è notevole.
Come primo impatto, Yangon è una metropoli molto diversa da Bangkok.
Molto buia e con pochissima gente in giro.
Poi vedremo domani.
Yangon, in precedenza nota come Rangoon, nome dato dagli inglesi durante la loro colonizzazione, è l’ex capitale del Myanmar, già Birmania.
Nel 2005 la capitale fu trasferita a Pyinmana, nella regione di Mandalay.
Nel 1989 riassunse il vecchio nome birmano Yangon, per volere della giunta militare.
La popolazione consiste in quasi 6 milioni di abitanti la cui maggior parte è di etnia Bamar, dominante nel Paese.
Le minoranze più rilevanti sono la cinese e l’indiana.
Pernottamento a Yangon al Rose Garden Hotel
Provare a contattare, per escursioni :
Grand Service Myanmar Travel & Tours (Han)
Yangon MMR 013012
tel. + 95 9 258 662 771 o altri
VIII Giorno sabato 17 Novembre
L’Asia, la patria degli appuntamenti mancati.
Alle 8,30 ho aspettato Han nella lobby del Rose Garden Hotel, come da accordi presi già in Italia.
Ma alle 9 meno 10 minuti, non vedendo nessuno mi sono fatto portare da un taxi alla Grande Pagoda Shwedagon.
E’ situata sulla collina di Singuttara, è visibile da ogni angolo della città ed è uno stupa dorato alto 98 metri, che domina Yangon.
Il nome deriva da “shwe” che significa “oro” e da “dagon” che è il nome storico dell’area in cui venne edificata.
Tutto il complesso del Tempio di Shwedagon consiste in una sorta di mini città, costituita da decine di pagode, templi e statue di Budda.
Nel tempo è stata danneggiata da una serie di terremoti ed ha subito, durante il corso dei secoli, numerosi interventi di restauro.
Ancor oggi lo stupa è tutto rivestito da impalcature di bambù per manutenzione straordinaria.
E’ probabilmente la pagoda più grande e più bella di tutta la Birmania.
Lo stupa centrale è completamente laminato in oro.
Montata sulla sommità c’è la classica struttura ad ombrello, che si osserva in tutti gli altri templi della Birmania, mentre il tutto è tempestato di pietre preziose.
Ma la vera sorpresa è costituita dalla punta dell’ombrello dove è presente un diamante autentico di ben 76 carati.
Pensate che nel corso dei secoli, la Shwedagon Pagoda si è arricchita complessivamente di 27 tonnellate di lamine d’oro.
E’ stato un punto di riferimento spirituale dei birmani ed ha rivestito un ruolo importantissimo durante le manifestazioni di protesta contro il regime militare.
Fu qui che nel 1988 Aung San Suu Kyi radunò oltre un milione di persone per opporsi al regime e fu sempre qui che nel 2007 ebbe inizio il movimento anti-regime organizzato dai monaci buddisti.
Non li ho contati i gradini per salire fino in cima alla pagoda ma mi sono sembrati migliaia.
Solito mercato, fiori, immagini sacre e nienterie religiose.
Tanti bambini sui 6 – 8 anni itineranti a vendere di tutto, anche i sacchetti di naylon.
All’inizio non avevo afferrato la loro funzione ma poi ho realizzato che servivano a metterci dentro le scarpe e portarle con sé.
In tutta l’area è tassativamente obbligatorio camminare scalzi.
Rientro in hotel verso le 11 e dal ricevimento mi dicono che mi sta cercando Han il titolare dell’Agenzia Tour Operator.
Gli telefono ed appuriamo che causa del mancato appuntamento è stata la mia ignoranza sul fuso orario birmano che è differenziato di mezz’ora da quello thailandese.
Ci troviamo subito dopo e qui conosco Cherry l’impiegata dell’Agenzia di Han che mi porterà in giro per Yangon per due giorni.
Ha con sé un tassista che con la sua macchina ci accompagna in giro e ci riviene a prendere rimanendo sempre in contatto telefonico con Cherry.
Mi porta alla stazione ferroviaria dei treni e saliamo su un vagone molto assomigliante ad un carro bestiame.
Questo treno, caratteristico e di una lentezza biblica, gira intorno alla città ritornando al solito posto in due ore e mezzo, passando per le periferie ed i sobborghi.
Insomma è un mezzo troiaio ma il divertimento è notare i vari tipi di persone che salgono e che scendono, mamme con i loro marmocchi, massaie piene di ceste con le verdure appena acquistate, impiegati che vanno in ufficio, venditori di acqua, di fiori e di panini speciali.
E’ usato dalle persone che appartengono alle classi più povere della città, persone per cui il “Circular Train Ride” rappresenta il mezzo di trasporto meno caro per arrivare in centro.
Arrivano anche i controllori.
Sono in tre e chiedono il biglietto a tutti, ma non ci sono “portoghesi” senza ticket.
Terminato il giro Cherry mi porta in un market nel mezzo dei binari della ferrovia.
Anche qui più troiaio è impensabile ma è interessante dal punto di vista quantitativo : frutta di ogni specie, peperoncini di tutti i tipi, verdure sconosciute, pesci freschi e seccati e panetti come il burro formati da frullati di pesce.
Questo mercato, mi diceva Cherry, non è per turisti, è per gente locale e si chiama DANYINGONE MARKET.
Dopo aver salutato la guida turistica rimandando tutto al giorno seguente, trascorro la serata in un locale etnico birmano pieno di gente, per una cena molto caratteristica e gradevole.
A differenza di Bangkok, ove trovi dappertutto ristoranti e sale massaggi, qui a Yangon vi sono pochissimi ritrovi e per niente sale massaggi.
La città, metropoli ed ex capitale birmana, sembra essere una cittadina sonnacchiosa con un grande lago che serve da riserva d’acqua, e piena di pagode.
Ma in giro non vedi tanta gente come a Bangkok.
E all’ombra delle pagode soliti bambini che colgono l’occasione per non andare a scuola e per guadagnarsi 2 Kyat.
Il Kyat è la valuta birmana.
Si pronunzia “CIAT” e con 1 Euro ti danno circa 1.750 Kyat.
10.000 Kyat valgono circa 5,70 Euro.
Quindi 1.000 Kyat corrispondono a poco più di mezzo Euro.
Qualsiasi tipo di taxi fermi per strada, e per qualsiasi destinazione per la durata di 15 o 20 minuti, ti chiedono preliminarmente 3.000 Kyat.
Tu gli dici “no te ne do 2.000” e loro accettano.
Poi magari gli lasci 1.000 Kyat di mancia.
Da notare che lo stipendio medio mensile di un impiegato o di un maestro elementare è di circa 150 Dollari americani.
IX Giorno domenica 18 Novembre
Alle 8,30 ci ritroviamo nella hall dell’Hotel con Cherry e mi porta subito a Chinawton ove si intrattiene il mercato rionale.
Cinesi però non ne vedo e chiedo spiegazione.
Cherry mi risponde che questa gente è il prodotto della terza generazione e quindi il giallo o è impallidito od oscurato.
Non ci ho creduto molto e le fisionomie mi assomigliano tanto agli indiani (dell’India) od ai bengalesi.
Il mercato è molto colorito e tutti sono molto disponibili alle fotografie.
Cherry richiama il taxi, mi porta sulle rive del fiume Yangon e lo attraversiamo su un grande ed affollato traghetto.
Il porto sul fiume è un’importante via di comunicazione per tutto il Myanmar.
Qua giungono le navi direttamente dall’oceano che si trova a poche decine di kilometri di distanza.
Di là ci aspettano due pedalatori e con i loro risciò ci portano in giro a vedere i villaggi dei pescatori ed un convento di monaci.
La visita ai villaggi l’ho gradita di più che non quella al convento.
Nel pomeriggio ritorniamo alla Shwedagon pagoda ma stavolta non saliamo a piedi le scala ed approfondiamo il giro turistico con taxi ed ascensori.
Tutti in Myanmar usano una crema di colore giallo-bianco che si ottiene grattando una corteccia di alcuni alberi della famiglia delle Rutaceae.
E’ tipica birmana, le donne ed occasionalmente anche gli uomini la applicano sul viso e sulle braccia.
Questa crema si chiama THANAKA ed ha lo scopo di rinfrescare, profumare e purificare la pelle.
La corteccia dei rami di questa pianta viene macinata finemente su una pietra circolare assieme ad un po’ d’acqua.
La medicina indigena del Myanmar utilizza questa pasta anche per curare acne, foruncoli e micosi.
Sembra anche che riesca ad allontanare gli insetti.
Non credo sia adatta alle emorroidi.
Il suo gradevole profumo ricorda quello del sandalo.
X Giorno lunedì 19 novembre
Mi sveglio prima della chiamata dalla lobby ed alle 6,00 sono pronto per il check-out.
Con un taxi mi porto in 30 minuti all’aeroporto di Yangon.
I taxi di Yangon hanno una particolarità migliorativa rispetto ai pari taxi delle altre capitali asiatiche.
Non hanno accesa l’aria condizionata, ma viaggiano con tutti i finestrini aperti.
Forse perchè più intelligenti di altri loro colleghi del sud-est asiatico o forse perchè le auto sono vecchie Toyota e quindi senza quel diabolico meccanismo fonte di tanti raffreddori.
In ogni caso la temperatura all’interno è gradevole.
Il check-in in aeroporto è velocissimo.
Il mio bagaglio sarà spedito direttamente a Saigon ed a Bangkok sosterò solo in transit.
Abbastanza veloce anche il controllo dei passaporti per l’accesso in Viet Nam e molto organizzato il trasporto con taxi, che in circa un’ora mi trasferisce all’ Hotel Eden Star & Spa.
Solito traffico caotico soprattutto per i numerosi motorini.
Saigon è il vecchio nome dell’attuale Ho Chi Minh City, ed è stata la Capitale del Vietnam del Sud tra il 1955 ed il 1975.
E’ famosa per il ruolo chiave che rivestì nel corso della Guerra del Vietnam ed è conosciuta anche per i suoi monumenti coloniali francesi tra cui la Cattedrale di Notre-Dame, costruita interamente con materiali importati direttamente dalla Francia, e l’Ufficio Postale Centrale del XIX Secolo.
E’ il centro abitato più popoloso del Vietnam e si trova sulla sponda occidentale del fiume Saigon ed a poche decine di kilometri dal Delta del Mekong.
La recente storia del Vietnam la conoscono tutti, ma è bene fare un breve riepilogo.
I francesi, durante la loro occupazione coloniale dell’Indocina (costituita da Vietnam, Laos e Cambogia), si ritirarono dal Vietnam dopo che vennero sconfitti dai “Viet Minh” comunisti, nella battaglia di Dien Bien Phu, nel nord del Paese, vicino al confine con la Cina.
Alla conclusione della Guerra del Vietnam, nel 1975, le forze del “Fronte di Liberazione Nazionale” del Vietnam travolsero Saigon ed il Vietnam del Sud, sostenute dagli Stati Uniti.
I comunisti vittoriosi rinominarono questa città dedicandole il nome del Padre fondatore del Vietnam socialista, Ho Chi Minh.
La caduta di Saigon fu la battaglia finale della guerra del Vietnam e diede il via alla riunificazione del Vietnam in un unico Stato Socialista guidato dal Partito Comunista del Vietnam, che avvenne il 30 Aprile 1975 quando le truppe dell’Esercito Popolare del Vietnam del Nord e dei Vietcong, superarono le ultime e deboli resistenze delle forze del Sud, dopo che il Congresso americano decise di annullare ogni ulteriore forma di sovvenzione al Vietnam del Sud.
Vietcong era la denominazione comunemente usata ed utilizzata per indicare il gruppo armato di resistenza vietnamita contro il governo filo americano del Vietnam del Sud.
Erano in pratica i combattenti militari del Fronte di Liberazione Nazionale del Vietnam ed erano formati da due componenti distinte.
“Le Unità Irregolari” costituite dai volontari dei villaggi, che si dedicavano principalmente alla raccolta di informazioni, al sabotaggio ed a mettere insieme i rifornimenti.
“Le Formazioni Regolari”, inquadrate militarmente, ben armate ed in grado di contrastare sia l’Esercito del Vietnam del Sud, che le truppe americane.
I Vietcong si dimostrarono combattenti disciplinati, aggressivi, resistenti e straordinariamente abili nella guerriglia e misero in grave difficoltà il regime del Vietnam del Sud costringendo anche gli Stati Uniti d’America ad un massiccio ed infruttuoso intervento militare per evitare il crollo del Governo collaborazionista.
Per i Vietcong il vero problema era vivere nella giungla.
Nella giungla, il primo nemico non erano “gli americani” o le truppe del Governo di Saigon, ma soprattutto la malaria, che pochissimi riuscivano ad evitare, e principalmente la mal nutrizione e le malattie quali la diarrea e la dissenteria.
Le armi ed i rifornimenti per i Vietcong arrivavano attraverso “canali clandestini”, dalla Russia e dalla Cina, passando per il territorio dei confini della Cambogia e del Laos, per mezzo del “sentiero di Ho Chi Minh”, una rete impressionante di strade sterrate ricavate nel fitto della giungla, attraverso le montagne.
Le forze Nord vietnamite iniziarono il loro attacco finale su Saigon il 19 aprile con un bombardamento di artiglieria pesante.
Nei giorni precedenti, il Vietnam del Nord, continuando a marciare verso sud, su Saigon, aveva catturato le principali città situate vicini al confine del Vietnam del Sud, quali Huè e Da Nang, con i ritiri disordinati dei sud vietnamiti e numerose fughe di profughi.
Nel frattempo falliva il tentativo di ottenere un ulteriore e rinnovato supporto americano in aiuto ai combattenti del Sud.
Nel pomeriggio del giorno successivo, truppe corazzate del Nord avevano già occupato i punti più importanti della città senza incontrare particolari resistenze ed innalzavano la loro bandiera sul Palazzo Presidenziale Sud Vietnamita, ridenominato poi “Palazzo Della Riunificazione”.
Il Governo del Sud si arrese poco dopo.
La caduta di Saigon era stata preceduta dall’evacuazione di quasi tutto il personale civile e militare americano, insieme a migliaia di civili sudvietnamiti, attuato per mezzo di decine di elicotteri.
Da quel momento si diede inizio ad un periodo di transizione che portò alla riunificazione formale nella Repubblica Socialista del Vietnam.
Era il 30 Aprile 1975.
E’ già buio ed in hotel mi dicono che mi hanno assegnato una stanza VIP, praticamente un “upgrade”, quale prestazione alberghiera di categoria superiore, concessa come incentivo.
La suite è talmente grande che mi hanno rifornito di una bicicletta per andare dal comodo letto al bagno.
Poi faccio un giro nei dintorni e per cena solita zuppa di manzo preparata in varie maniere che qui di chiamano Pho ma si legge “fo”.
XI Giorno martedì 20 Novembre
Dopo la colazione salgo al 12° piano e mi rilasso in piscina.
Non me lo rammentavo più, ma appena l’ho assaggiato mi è ritornato in mente.
In tutto il Viet Nam il caffè mantiene un abboccato di cioccolato.
Il Viet Nam è il secondo esportatore mondiale di caffè, subito dopo il Brasile.
I locali metodi di tostatura prevedono l’utilizzo del burro e cacao, per cui vengono esaltate le note di cioccolato e mandorla.
Ma non solo, si dice che le bacche del caffè vietnamita, essendo parte integrante della dieta dello “zibetto”, un piccolo mammifero simile ad una mangusta, vengano raccolte quando sono defecate da questo animale, e poi tostate.
La parte interna della bacca di caffè non viene digerita ed il passaggio nell’intestino dell’animale rende un caffè con una minore percezione del gusto amaro ed un retrogusto di cioccolato e di selvatico.
Come dire “un caffè di cacca”.
Questo tipo di caffè si chiama “Kopi Luwak” ed è il più caro al mondo.
Gli zibetti vengono catturati ed impiegati per la produzione di caffè e nel Viet Nam sono sorti allevamenti intensivi di zibetti tenuti in gabbia in batteria ed alimentati forzosamente.
Dopo di ciò non mi meraviglierei di diventare un amante di quella bevanda bionda chiamata thè.
A metà mattinata, dopo un’ora di massaggi, mi reco al mercato coperto più famoso di Saigon il “Ben Thanh Market”.
Prenoto anche un’escursione per domani nel Delta del Mekong, tour già fatto diverse volte ma sempre piacevole.
Pranzo con le solite zuppe e pomeriggio nuovamente relax in piscina.
Ordino una “pina colada” e me ne portano due perchè “Happy hour”.
Una parte dei taxisti di Saigon si è passata la parola.
Hanno inventato il giochino dei cambi di valuta fra il dollaro americano ed il Dong vietnamita per mettere le mani sul portafoglio del turista e rapinarlo di tutte le valute in suo possesso.
Dapprima ho pensato ad una coincidenza.
Poi quando il secondo tassinaro ha provato a mettermi un giornale sulle ginocchia per frugare o rubarmi il porta monete ho avuto la certezza della tentata rapina.
Il secondo era riuscito a togliere con le sue mani i dollari dal mio borsello e solo dandogli una botta sulla mano e gridando “polis” sono riuscito ad ottenere che lasciasse la presa.
Tanti taxi, quasi tutti abusivi tranne quelli della compagnia “Vinasun taxi”, stazionano nei pressi delle mete turistiche per acchiappare i “tordi” come il sottoscritto.
Poi dopo una decina di minuti fanno finta di aver la macchina guastata e si fermano in corrispondenza di altro taxi, consenziente e connivente.
Ti invita a salire in quest’ultima macchina e qui comincia la commedia, sino al termine della fiera, e ben che vada avrai pagato sicuramente più del dovuto.
Le porte del taxi rimangono chiuse all’interno e sei vuoi uscire devi sottostare alle loro pretese a meno che non insisti ed urli “polis, polis” agitandoti per farti vedere dall’esterno.
Una coppia di brasiliani mi ha raccontato che in questo modo ha dovuto pagare 20 Euro al posto di 2 Eurini.
In hotel mi hanno detto che questa è la piaga del momento.
XII Giorno mercoledì 21 Novembre
Ieri ho prenotato un tour nel Delta del Mekong e stamani è venuto a prendermi un tizio col motorino per portarmi “all’ammasso”, da dove partire per la gita.
Il Delta si trova subito a sud della ex Capitale meridionale del Viet Nam, Ho Chi Minh City, la vecchia Saigon.
E’ un grande labirinto di fiumi, paludi ed isole con mercati galleggianti, pagode khmer e villaggi circondati da risaie.
Le barche sono il principale mezzo di trasporto ed i tour della regione partono generalmente dalla vicina Saigon o da Can Tho, una vivace cittadina nel cuore del delta.
Il grande fiume Mekong, lungo 4.880 kilometri nasce in Tibet sotto le vette dell’ Himalaya ed attraversa Cina, Laos, Myanmar, Thailandia e Cambogia, per poi formare nel sud del Viet Nam un grande delta esteso quanto un sesto dell’Italia , prima di gettarsi nel mar cinese meridionale.
In questo territorio formato da detriti alluvionali che avanzano in ragione e nella misura di 18 metri all’anno, qui vivono 17 milioni di persone che producono oltre la metà del riso nazionale ed oltre anche all’industria dell’acquacoltura capace di fare una delle aree di pesca più produttive al mondo.
Oltre ai villaggi di pescatori ci sono anche delle città con famosi mercati.
Quello di Cai Be è il più grande, mentre quello di Phung Hiep è il più esotico, dove si possono trovare in vendita molte specie di serpenti destinati al consumo alimentare.
Serata con la solita brodaglia nella solita osteria ed incontro nella lobby dell’Hotel con quattro persone, conosciute, di Bolzano.
XIII Giorno giovedì 22 Novembre
A colazione mi intrattengo con i miei conoscenti , che oggi si trasferiranno nel delta per due giorni.
Attraversare la strada nel dedalo di motorini che affollano le vie di Saigon non è un’impresa facile.
E’ una massa eterogenea e compatta, che invade tutta la carreggiata e sguscia da ogni lato, aprendosi e chiudendosi intorno all’inerte pedone che tenta di aprirsi un varco.
Di solito, dopo un po’, anche il più timoroso dei turisti capisce che la migliore strategia è l’attacco.
Avanzare senza esitazione attraverso la marea di veicoli a due ruote, lentamente ma con regolarità, e soprattutto mai, mai fermarsi.
Così saranno loro a vederti e prima o poi ti scanseranno.
In verità c’è da dire che la velocità è molto contenuta.
Ed i parcheggi dei motorini ?
Tutti sui marciapiedi e se il pedone non passa, non ha importanza, che lui passi lungo la strada.
I motorini sono tanti e prioritari.
E quando si trovano liberi due metri di marciapiede ?
Sicuramente ci saranno una decina di persone sedute sui bassi sgabelli a fare colazione o merenda, o degli artigiani a fare il loro lavoro davanti alla propria bottega.
Gli scouters sono usati dal singolo ma anche dalla coppia.
E quando la coppia diventa una famiglia il motorino è usato dalla famiglia intera.
Papà e mamma seduti con in mezzo uno o due figli, tutti insieme.
In una delle nazioni più giovani al mondo, con un’età media intorno ai 30 anni, il motorino ha rappresentato il simbolo della rinascita.
Fa parte della cultura e dello stile di vita.
In Viet Nam lo scouter è vitale, è un mezzo dalle tante funzioni su cui viaggiano intere famiglie.
“Niente motorino, niente lavoro e niente motorino, niente ragazza” , mi dice una guida locale.
Per andare a lavoro ci vuole un mezzo di trasporto e se non ci si può permettere una macchina e non si vuole pedalare per ore da un capo all’altro della città, l’ovvia soluzione è il motorino.
Stessa cosa per la ragazza.
C’è poi chi si serve delle due ruote per trasportare oggetti di ogni tipo, dalle ceste di cibo, ai mobili, alle stie di oche, galline, conigli.
C’è chi usa il motorino come una poltrona sui generis per il pisolino pomeridiano, chi ci mangia, chi ci si siede per ore a parlare.
Ed i semafori e le strisce pedonali ?
Ci sono, funzionano, ma servono a poco.
Sono solo pro forma.
Non pensare che i veicoli si fermino se c’è il rosso.
Se non ti scansi, ti arrotano anche se sei sui passaggi per il pedone.
E nessuno usa la cortesia di lasciarti passare.
Così come sulla strada.
Il veicolo più grande ha ragione e quindi spesso si vedono Tir in sorpasso anche nelle curve e le povere macchinine accostarsi e fermarsi per lasciarli passare.
Il prepotente la vince sempre.
Il codice della strada non conta nulla.
XIV Giorno venerdì 23 Novembre
Stanotte mi è tornata la tosse grazie all’aria condizionata.
Mi sveglio alle 6,00 e preparo i bagagli.
Veloce colazione e veloce check-out.
Con il taxi prenotato in mezz’ora sono in aeroporto.
E qui cominciano le code.
Chi non è mai stato in Asia non si può immaginare le code che bisogna digerire in aeroporto.
Mezz’ora per controllo passaporti ed altra mezz’ora a disposizione della security.
Tutti hanno dovuto togliersi anche le scarpe.
Il Viet Nam, quest’anno mi ha un po’ deluso.
Sarà per i tassinari rapinatori o per i tours raffazzonati, ma non mi hanno accontentato.
Come hanno fatto in fretta ad acquistare tanti turisti, altrettanto in fretta ritorneranno a pescare nel Delta con l’amo come una volta, se non cambieranno sistema.
Ecco quindi che trova fondamento la voce che il troppo turismo sia deleterio.
Un’ora ed un quarto ed atterriamo a Bangkok e la mia valigia è con il manico rotto per i duri spostamenti nella stiva.
Un’altra ora di taxi per arrivare all’Asia Hotel e vado subito in farmacia dove mi danno una confezione di 10 compresse di Bisolvon.
A sera, ho un po’ di febbre e prendo anche una pastiglia di Moment Act che mi farà sudare tutta la notte.
XV Giorno sabato 24 Novembre
Nottata abbastanza tranquilla con varie sfumature di sudore.
Faccio una leggera colazione con caffè e frutta e mi sembra di stare meglio o almeno la febbre è calata.
Vado al ristorante del mio amico italiano, che non c’è e dove hanno cambiato gestione ed un piatto di spaghetti e una bella insalatona non me la toglie nessuno.
Pomeriggio di assoluto riposo e a letto presto.
XVI Giorno domenica 25 Novembre
Anche oggi giornata di riposo in piscina ed a letto dopo una nottata combattuta con il sudore e l’aria condizionata della stanza.
Ora la febbre è passata del tutto e rimane solo la tosse ed il raffreddore.
Così mi dedico a ripensare a tutte le incongruenze che noto nella vita della gente locale qui in Thailandia.
In Thailandia, la prostituzione è proibita dalle Autorità,
Però viene tollerata, per una relazione di stretta economia.
In Thailandia, il sesso a pagamento si è trasformato a livello industriale.
Forse è l’attrazione maggiore per un turismo che si espande sempre più.
Sembra che gli introiti del turismo provvedano al 25 % del prodotto nazionale lordo (sono dati ufficiali).
Molto di più che non le spiagge ed i monumenti, il sesso organizzato attira visitatori da tutto il mondo ed aiuta la nazione ad incamerare valuta pregiata.
Questa industria prospera grazie alla qualità dei servizi e all’enorme domanda che fa scavalcare gli indugi della morale.
Migliaia di giovani ragazze vengono reclutate nei villaggi rurali, anche con inganni, ma il più delle volte con il consenso dei genitori, nel nome del denaro che guadagneranno.
Non voglio e non sono in grado di approfondire l’argomento, ma vorrei perlomeno sfiorarlo. Ciascuno se ne può fare l’idea che crede.
Le giovani ragazze sono spinte dal miraggio dell’emancipazione, sia pur ottenuta con la svendita del proprio corpo.
Parlando con la gente thailandese, la traduzione del loro pensiero è che fare l’amore non è peggiore che lavorare sotto il sole per pochi Bath, e viene pagato assai meglio.
L’ambizione di queste giovani è divertirsi, lasciare la noia del villaggio, nonostante che la tradizione continui ancora ad avere un grande valore.
C’è il miraggio dei bei vestiti, della disponibilità di denaro, le comodità del modello corrente.
La prostituzione, però, in Thailandia, non esiste fuori dai circuiti turistici, almeno così mi appare, ma posso anche essere smentito.
E’ qui che viene approfondita questa industria e la ragione di questo atteggiamento risiede nel costume della società Thai.
La mercificazione, che dilaga, non viene osteggiata.
Anche se, teoricamente, i più non approvano, in realtà tutto appare accettabile e normale.
Non si può, quindi, dare tutta la colpa agli stranieri (Farang), che calano a frotte con i loro quattrini, portando alle stelle la domanda.
I thailandesi si adeguano ed il sesso non solo viene sempre più venduto, ma anche sempre più reclamizzato alla luce del sole, e questa mia considerazione non può essere smentita.
Di contro, non si possono considerare maiale, nella nostra valutazione, tutte le thailandesi.
Nello stesso modo, un norvegese che di sera passeggia alle Cascine, non potrà asserire che in Italia le donne sono tutte battone o che a Firenze siano tutti “buchi” (pederasti alla fiorentina).
E’ vero, ce ne sono tanti, ma non tutti.
Però ora che ci ripenso, ce ne sono proprio tanti !!!
Mi diceva ed asseriva una mia carissima amica cosciale, che il genere umano è un computer e come tale si comporta in base a come viene programmato.
Se le tribù dell’Amazzonia sono state programmate a non avere vergogna delle loro nudità, non credete che si meraviglino, se facciamo loro notare che il topless è meglio che lo indossino sulla Costa Azzurra, o che la “bernarda” è meglio la nascondino con la foglia di fico ?
Se gli Esquimesi sono stati abituati a defecare dentro l’igloo, senza paretine di ghiaccio che li nascondino, ed accanto all’ospite che in quel momento stà gustandosi un bel salmone alla mugnaia, come si fa a convincerlo ad andare fuori a buco ritto con sessanta gradi sotto zero ?
Per i giapponesi, poi, è una vera manna.
In Giappone ci sono gli “incentive tour”.
Il viaggio nel Siam è il premio che numerose aziende offrono per la produttività dei dipendenti.
E qui si sfogano, stì sfigati.
Diranno a Natale : lavorerò come un giapponese, ma poi a Pasqua……e si fasciano i lombi perché non scoppino prima.
Poi c’è lo sfruttamento sessuale dei bambini.
Un’altra signora, di Ancona questa volta, mi diceva che, con tutti i controlli che Istituzioni Mondiali eseguono, contro la pedofilia, questa stà limitando enormemente la sua portata.
Altro argomento da prendere con le molle !!
Ma siete sicuri che tutti siano inorriditi da questa pratica che si propaga a macchia d’olio ?
Non credete che sia lo stesso discorso della prostituzione ?
In Thailandia la pedofilia è un fenomeno ancora diffusissimo.
Gli assistenti sociali sostengono che si tratti di veri e propri racket, contro i quali il mondo intero stà costituendo un coordinamento internazionale di controllo e denunzia.
Ma fatemi il piacere !!
Non venite a rompermi i coglioni con la serietà di queste intenzioni !!
Ma credete davvero che ci sia una volontà seria di stroncare queste pratiche antiche almeno quanto l’epoca dell’antica Roma o dell’antica Gracia, da parte di quei paesi dove più è concentrata questa attività lucrosa ?
Mi raccontava un mio amico italiano che vive in Thailandia, che non ha motivo di dubitare di un episodio riferito da un suo amico australiano.
Costui, raccontava, stava passeggiando nel centro di Pattaya, quando è stato avvicinato da un bambinetto di una dozzina d’anni, con l’offerta di prestazioni sessuali particolari , in cambio di pochi Bath.
All’insistenza del cittino, che non si capacitava dell’immediato rifiuto, l’amico australiano ha creduto doveroso ed utile rivolgersi a due poliziotti, che si trovavano lì vicino.
Costoro, stupiti dall’evento denunziato, hanno congedato il ragazzino regalandogli venti Bath, ed hanno portato l’australiano al loro comando di polizia.
Qui, il poveretto, dopo essere stato strizzato, verificato e passato ai raggi ics, è stato trattenuto tutta la notte per accertamenti.
La mattina seguente, dopo altri interrogatori da parte di altre Autorità, è stato infine rilasciato, ma con l’ammonimento, solo verbale, di non ritornare più in Thailandia a creare loro altri problemi.
Meglio sorvolare !!
Mi racconta ancora il mio amico, fornendomi la sua versione, frutto di sue esperienze, sugli usi e costumi del favoloso Siam, riguardo a ciò che noi consideriamo una mercificazione del proprio corpo.
Ne è uscito fuori un trattato, che da un certo punto di vista divide notevolmente le idee incarnate nelle teste dei vari abitanti le diverse latitudini.
La prostituzione in Thailandia non esiste, per lo meno non nel senso che intendiamo noi.
Nella cultura europea, si intende comunemente per “prostituzione” la concessione di prestazioni sessuali in cambio di benefici materiali, solitamente, ma non necessariamente sotto forma di denaro.
Una sua ex collega, tanti anni fa, in una megalattica e multinazionale azienda telefonica, in Italia, usava pagare il dentista “in natura” e questa forma di pagamento la faceva rientrare, nel giudizio del microcosmo aziendale, nella categoria “prostitute”.
Nell’inconscio collettivo europeo, la prostituzione può variare entro una gamma che ha, ad un estremo, le battone da strada, ed all’altro, le signorine di buona famiglia, che sposano un vecchio bavoso, solo perché è ricco.
Nel mezzo ai due estremi, vi sono tutte le varie “hostess, accompagnatrici, massaggiatrici, mantenute, etc. etc.”, insomma tutte coloro che vanno a letto con qualcuno, per una motivazione diversa da “un’attrazione spontanea e disinteressata”.
A sottolineare questo fatto, nel matrimonio tradizionale europeo, fino a non molto tempo fa, esisteva la famosa “dote”, cioè un insieme di beni (denaro, lenzuola, supellettili varii) che rappresentando un contributo tangibile alla costruzione del benessere della nuova famiglia, precisavano che l’unione non era motivata da “interesse”.
Qui in Thailandia, continua il mio amico, la cosa funziona esattamente al contrario.
Il matrimonio tradizionale thailandese, anche oggi, prevede che la sposa venga “comprata” dal marito, il quale versa al suocero od a chi ha diritto, un compenso in denaro il cui ammontare viene pattuito in precedenza.
Forse una volta si pagava in bufali, oche, maiali, terra, ma oggi, prosegue il mio amico italo-thailandese, posso testimoniare che si tratta di vil denaro, come è capitato un paio d’anni fa, di assistere casualmente ad una di queste “contrattazioni prematrimoniali”, al termine della quale, è stata pagata in contanti la non trascurabile cifra di trecentomila Bath (7.500 Euro).
La coreografia era tipicamente Thai.
Tutti seduti in cerchio per terra, con al centro bottiglie di birra, Stravecchio Mekong, Soda, Pepsi e stuzzichini alimentari superpiccanti per stimolare la sete.
Oltre a portaceneri stracolmi, musica tradizionale, bambini vocianti e casino generale, erano presenti lo sposo, la sposa, i genitori di lei, il secondo marito della madre della sposa, uno stuolo di figli, di primo e secondo letto, nipoti, cognati, cugini e amici.
L’atmosfera era festosa e normale, niente di bieco o di sordido, solo un po’ di sovreccitazione alcoolica.
Nessuno, e tanto meno la sposa, appariva turbato o imbarazzato.
Le ragioni storiche della faccenda rientrano nel contesto che l’aspirante marito era tenuto a dimostrare, alla famiglia della sposa, che era in grado di garantirle un tenore di vita paragonabile a quello a cui era abituata, se non meglio.
Qualcosa di simile avveniva tra gli Indiani d’America.
Lo sposo comprava la moglie pagandola in cavalli per dimostrare che era un buon cacciatore ed un buon guerriero e che quindi con lui la ragazza non avrebbe patito la fame. Più cavalli venivano pagati, e più la sposa e la sua famiglia si sentivano onorati e fortunati.
A questo punto il quadro, già parecchio complicato, peggiora, per il livello delle idee europee.
Ciò che per noi “civili” è condizione necessaria per attribuire ad una donna l’appellativo di “prostituta”, e cioè il fatto di vendere i propri favori, qui in Thailandia è addirittura istituzionalizzato nel matrimonio.
Si potrebbe obiettare che la prostituzione vera e propria è un’altra cosa.
Se si tratta di matrimonio è un rituale con radici storiche etc., ma anche qui, la logica occidentale non funziona.
Per quanto possa sembrare strano, il confine tra un matrimonio ufficiale e qualsiasi altro tipo di unione, è molto, ma molto sfumato.
Da queste parti, viene considerato “matrimonio” qualsiasi tipo di convivenza che preveda rapporti sessuali, specialmente se nascono dei figli.
Moltissime coppie, anche anziane ed anche conviventi da decenni e fornite di figli e nipoti, non sono ufficialmente sposate.
Dal punto di vista dell’accettazione sociale della convivenza, non frega niente a nessuno, e neanche al Governo, neppure del matrimonio religioso.
I due conviventi non sono tacciati come concubini o peccatori pubblici, e tutti li considerano sposati.
Pochi si prendono il disturbo di ufficializzare la cosa in comune, anche perché il non farlo non comporta praticamente alcun svantaggio, nemmeno a livello di registrazione dei figli, i quali possono essere legittimamente riconosciuti da chiunque, sposato o celibe, e perfino da persone che non sono i loro genitori naturali.
Nessuno fa domande in proposito, basta che qualcuno firmi.
Da sottolineare che in tutti questi casi (semplice convivenza, matrimonio religioso, civile o entrambi i matrimoni), l’unico punto fermo, rimane il fatto che la donna “deve” essere pagata, indipendentemente con il tipo di formalità che la coppia intende espletare.
Sempre e comunque “la passera si paga”, e questo è un concetto fondamentale e molto radicato.
Ci sono due eccezioni a questo comportamento: i rapporti extraconiugali e quelli prematrimoniali.
I primi , vengono gestiti più o meno come nella Sicilia d’anteguerra, nel senso che i casi sono notevolmente e diversamente gestiti, se chi “mangia fuori dal piatto” è l’uomo o la donna.
Se è la donna, il compagno può scegliere fra diverse opzioni.
Fingere di ignorare (succede spesso), troncare il rapporto (poco frequente e sintomo di modernità), oppure adottare un comportamento stile “Corleone” (in tal caso ci scappa il morto, a volte due).
Se è il maschietto a correre la cavallina, le opzioni teoriche sono più o meno le stesse, ma quella più praticata è quella di fingere di ignorare, ma in questo caso, con molta comprensione per le “esigenze maschili” e con una punta di orgoglio per le qualità virili del partner.
Motivo di riflessione molto più attenta, sono invece i rapporti prematrimoniali, tra adolescenti, di età compresa fra i quindici ed i vent’anni.
Da un certo punto di vista, sono gli unici motivati dalla semplice attrazione fisica.
Si verificano tra compagni di scuola o di lavoro, o semplicemente tra coetanei dello stesso villaggio o di villaggi vicini.
Fin qui niente di strano, ma le stranezze iniziano quando questi rapporti vengono calati nella realtà thailandese, con particolare riferimento ad alcuni elementi culturali.
Uno di questi elementi è la totale ed incredibile ignoranza della fisiologia della procreazione e quindi di qualsiasi pratica anticoncezionale.
Quando si dice “ignoranza”, non si rende appieno l’idea.
Infatti i thailandesi non si limitano a disconoscere le pratiche anticoncezionali, ma quando glie le spieghi, non ci credono.
Ti guardano con il loro sorriso ebete , biascicando qualche parola incomprensibile.
L’unico suono che si comprende nei loro farfugliamenti è la parola “FARANG”, straniero, ed il senso generale è molto chiaro.
“Questi cazzi di Farang hanno sempre qualche stronzata da venderci. Ora vorrebbero anche insegnarci come nascono i bambini”.
Il risultato pratico di tutto ciò, è che moltissimi, se non la maggior parte di questi rapporti tra adolescenti, lasciano una conseguenza ben visibile a forma di pupo o pupa, quegli esseri che fanno “ueee, ueee”, bevono latte e si cacano addosso, oltre a prendere il morbillo, la pertosse, la varicella e la rosolia.
I genitori di questi adolescenti si guardano bene dall’ insegnare ai loro figli il sistema di evitare questi coinvolgimenti.
Se ne sbattono le palle, che è un piacere.
Mettono già nel conto, che succederà anche a loro visto che succede a tanti e la cosa viene vista come un normale inconveniente della maturazione di una persona, e poco importa se questo “inconveniente” sia a sua volta una persona.
In genere, questo rapporto prematrimoniale viene riciclato in un matrimonio vero, il che non significa che debba essere celebrato un rito religioso o civile.
Basta che lo sposo-bambino vada a vivere con la sposa-bambina, di solito a casa dei genitori di lei, e faccia il bravo ragazzo, cioè cercare un lavoro, dare una mano in casa ed altro.
Resta basilare il fatto che la famiglia del neo-padre versi il solito obolo a quella della neo-madre, dopodiché tutti vivono felici e contenti.
Questo però è un caso ideale e non frequentissimo.
Normalmente “lui” si defila ed il bambino rimane sul gobbo della ragazza (e soprattutto sul gobbone della nonna), e può anche verificarsi che la situazione rimanga invariata per tutta la vita.
Sono abbastanza frequenti i casi in cui madre e figlia abbiano subìto lo stesso “inconveniente” per cui ci sono famiglie costituite da tre donne, di tre generazioni diverse,e non perché tutti gli uomini siano prematuramente defunti, ma perché non sono mai stati presenti, se non al momento dell’orgasmo.
E’ su questo tipo di situazioni, che si inserisce il matrimonio thailandese “normale”, cioè quello di interesse, continua il mio amico.
Un uomo di mezz’età, benestante, comincia a frequentare la famiglia in cui c’è un pargoletto di troppo, e manifesta la propria disponibilità ad accollarsi morbillo, pertosse, pannolini, scuola ecc., in cambio di un po’ di passera e di qualcuno che gli prepari il “Tom Yam Kung”.
Pagando, s’intende, pagando.
Ricapitolando fino a questo punto: il matrimonio quasi non esiste, la maggior parte delle persone si è sposata in qualche modo due o tre volte ed ha figli da diversi partner.
Infine quando due si mettono insieme, non necessariamente il rapporto viene impostato come definitivo, nemmeno a livello di intenzioni.
Può essere benissimo una soluzione temporanea, magari di qualche anno, con lo scopo di superare un passaggio difficile della vita (per uno dei due) e di avere un po’ di sesso e qualche comodità (per l’altro).
Ecco quindi che, se da una parte il matrimonio stesso tende a sconfinare verso una qualche forma di prostituzione, dall’altra, vogliamo vedere come accade il contrario?
Come cioè la prostituzione tende ad avvicinarsi ad un rapporto socialmente omologato?
Dunque, cominciamo col dire che non è vero che la prostituzione non esiste al di fuori dei circuiti turistici
Le “sale di massaggi” sono sempre state una tradizione in Thailandia, e molto prima dell’arrivo degli occidentali.
Il concetto è analogo a quello dei luoghi ove le “geishe” giapponesi celebravano la “cerimonia del thè” (e non solo quella) per i Samurai provati da una lunga giornata di viaggi e di battaglie.
Effettivamente una volta non esisteva la distinzione tra le massaggiatrici “vere” (cioè quelle che sanno fare i massaggi e che spesso non brillano per sex-appeal) e quelle “con la vestaglietta numerata” (che magari come fisioterapiste lasciano un po’ a desiderare, ma sono state molto più generosamente dotate da Madre Natura).
Come le geishe ti preparavano il thè, queste ti stiravano i muscoli e se poi, nell’uno o nell’altro caso, da cosa nasceva cosa……………questa non era però scontata.
E quando avveniva, non era detto che tutto si esaurisse nel giro di un’ora o di una notte. Poteva benissimo, visto che la professione della fanciulla non era considerata disonorevole, nascere un rapporto di una settimana, un mese, un anno o una vita.
Ora effettivamente in Thailandia esistono tre “punti caldi”, uno dei quali è quel quartiere di Bangkok che si chiama Pat Pong.
Un altro è costituito da tutta la citta di Pattaya ed infine c’è una spiaggia di Phuket, che si chiama Patong Beach, che sarebbe molto bella dal punto di vista paesaggistico.
Peccato che siano stati trasformati in un bordello a cielo aperto.
In questi punti caldi è diffuso il sesso usa e getta alla maniera occidentale, che in questa piccola trattazione vorrei lasciare per ultimo, sia perché è l’ultimo arrivato in senso cronologico, sia perché è il meno importante come impatto sulla cultura locale.
Quello che invece è importantissimo è il rendersi conto che tutta la Thailandia, al di là della prostituzione in senso stretto, è una immenso serbatoio di fidanzate più o meno temporanee o più o meno durature, molte delle quali sono delle potenziali mogli (mentre altre assomigliano di più alle nostre prostitute in quanto tendono a pilotare il rapporto verso la brevità).
Comunque, mai meno di qualche ora.
“Una botta e via” è un concetto quasi sconosciuto, a parte i famosi punti caldi, ma quelli sono anche molto recenti.
C’è sempre di mezzo il drink, la cena ed eventualmente la discoteca.
Insomma per un certo tipo di europei è il paradiso, perché vanno a puttane potendosi permettere di far finta che non è vero, che hanno”rimorchiato” grazie al loro fascino e, perché no, anche ai loro soldi.
In fondo che differenza c’è con uno che “cucca” facilmente a Viareggio o a Taormina perché va in giro in Ferrari, dorme in un cinque stelle e offre champagne tutte le sere? Anche lui in un certo senso “paga”, l’unica differenza è che qui non c’è bisogno della Ferrari, basta un pickup a noleggio, e se invece dello champagne si offre Mekong va bene lo stesso (solo che costa molto meno).
Questo dal punto di vista del farang.
E da quello della ragazza?
Si considera una prostituta?
E’ considerata tale dagli altri?
Non più di tanto (mentre lo sarebbe sicuramente se indossasse un bikini in spiaggia).
Dal suo punto di vista (bisogna tener conto che la quasi totalità di queste fanciulle hanno una di quelle cose che fanno “ueee ueee”e che si sono ritrovate come conseguenza dei giochi di gioventù) lei non fa altro che cercare un rapporto più o meno temporaneo o più o meno duraturo (un giorno, una settimana, un anno o una vita) che la aiuti a vivere, il che rientra perfettamente nelle tradizioni.
Probabilmente la sua mamma al villaggio la sta aiutando a suo modo nella ricerca, e se le capita di conoscere qualche “zio” benestante e in buona salute, con una bella casa e venti “rai” di terra, magari le telefona e quella molla il bar, salta sul primo autobus e se ne torna al paesello a conoscere il marito che le ha procurato mammà.
Certo che se prima lei trova un farang al bar non c’è niente di male, anche perché, si sa, i farang sono tutti ricchi (e questa non glie la togli dalla testa neanche se li ammazzi, come il fatto che siamo sporcaccioni).
Insomma lei ci prova, e quasi tutte sono disposte a prendere in considerazione l’idea di un rapporto duraturo che magari permetta loro un trasferimento in occidente, con eventuale possibilità di far studiare il bebè in Europa o in America.
E i punti caldi?
Quelli si liquidano con poche parole.
Sono nati all’epoca della guerra del Vietnam come retrovie, dove i marines americani, ricalcando le orme dei samurai, venivano ogni tanto a ritemprarsi dalla fatiche belliche.
C’è stato, come al solito, lo zampino dello Zio Sam.
Finita la guerra, ormai le strutture c’erano e sono state date in pasto agli assatanati di tutto il mondo, come tutti sanno.
Vorrei concludere, completando un punto che ho lasciato in sospeso. Prima parlavo del fatto che la prostituzione esiste indipendentemente dal turismo e ne ho accennato le origini storiche.
Poi però ho sviluppato l’argomento solo in relazione agli occidentali.
Ma come funziona la prostituzione per i thailandesi al giorno d’oggi?
Esiste?
Nei modi e nelle forme attuali è stata importata di riflesso dall’occidente?
Risposte: funziona alla grande.
Esiste eccome.
Assomiglia ben poco ai modi e alle forme occidentali e non c’entra assolutamente niente con quanto si vede nei famosi “punti caldi”, che sono stati predisposti più che altro per gli occidentali e per i giapponesi.
Senza andare a cercare tanto lontano: Rayong, dove sono stato di recente.
E’ una sonnacchiosa città di provincia, di sera vanno quasi tutti a nanna, trovare qualcuno che parla inglese è un’impresa ardua ed i turisti sono una specie rarissima e quei pochi sono solo di passaggio.
Eppure le sale di massaggio ci sono (non sto parlando del tempio dove praticano i massaggi terapeutici tradizionali) e sono frequentate quasi esclusivamente da thailandesi. Io non ci sono mai stato, però ci sono passato davanti parecchie volte e poi ho i miei informatori.
Io ne conosco solo uno di locali, ma so che ce ne sono altri.
Comunque posso dire che quello è sempre pieno di thailandesi.
Nessuno del personale parla inglese, neanche le ragazze.
Quanto ai modi e alle forme sono garbati e simpatici, non senza una certa poesia, e comunque molto “orientali”.
Niente a che vedere con i locali “hard” di Pattaya o di Bangkok.
Niente di volgare o di osceno.
I tavoli sono al buio e c’è un palco illuminato dove le ragazze si alternano a cantare su una base registrata.
Cantano tutte piuttosto bene e sono abbigliate in modo sexy, ma non da “puttane”.
Uno se ne sta lì, ascolta la musica e guarda le ragazze, con calma.
Nel frattempo consuma la cena che generalmente è ottima.
Se una delle fanciulle ha risvegliato gli istinti selvaggi di qualcuno, questi non fa altro che aspettare che la suddetta vada a cantare un’altra canzone, dopodiché fa un cenno ad un cameriere ed acquista una (o due o tre) ghirlande di fiori che costano 300 baht cadauna.
Il cameriere provvede all’istante ad andare a mettere la ghirlanda (o le ghirlande) al collo della cantante la quale, al termine della sua performance, viene a sedersi al tavolo del generoso samurai.
Più sono le ghirlande e più la fanciulla è disponibile, in quanto lei e i gestori del locale fanno fifty fifty del prezzo pagato per le ghirlande stesse (naturalmente detratte le spese, peraltro irrisorie).
A questo punto il generoso samurai offre da bere, eventualmente da mangiare, insomma fa’un po’ di corte alla tipa e poi, se lo desidera, se la porta da qualche parte per placare le sue brame, a fronte di un ulteriore regalo, che si aggira normalmente sui 500 baht (corrispondenti 12,50 euro).
Che io sappia, non esiste quel “reclutamento” di cui tanti fanno cenno.
Non esiste neanche la figura del protettore, inteso alla nostra maniera.
Si chiama “mama san” e non è un bieco mafioso, ma un serio imprenditore.
Le ragazze vanno a chiedere lavoro spontaneamente come farebbero in un supermercato o in un lavaggio auto, e se ne possono andare quando vogliono, come da qualsiasi altro posto di lavoro.
Se commettono qualche mancanza, non vengono né picchiate né minacciate, ma “multate” attraverso una trattenuta sul loro fisso mensile (sì, perché hanno anche un fisso mensile).
Da notare che fare il “mama san” non è mai l’unico lavoro.
E’ solo un servizio in più che viene offerto come optional all’attività principale, che rimane sempre e comunque il ristorante, o il bar , o la discoteca, o quel diavolo che è.
Non ci sono rapporti visibili tra prostituzione e malavita organizzata.
La mafia si occupa di droga, armi, contrabbando, ecc.
Ad esempio un business illegale molto lucroso, e strettamente legato ad un potente racket, è costituito dal commercio clandestino di specie animali protette.
Un cucciolo di tigre dell’età di tre mesi vale al mercato nero più di cinquantamila dollari e, con un sovrapprezzo di diecimila dollari, può essere consegnato a domicilio in Europa o in America!
Concludo con una nota di colore.
Se mai ci fosse stato, e non mi risulta, un calo nella domanda interna di sesso mercenario, questo calo sarebbe stato spazzato via dalla caduta dell’Unione Sovietica.
Ma che c’entra, dirai tu?
C’entra c’entra.
Perché da quando il vecchio Gorby è stato silurato e la Santa Madre Russia è diventata quel gran casino che è oggi, a Pattaya si è verificato un fenomeno che dai ricchi thailandesi è stato salutato come la manna dal cielo: sono arrivate le russe!!!!!
E così adesso si possono togliere la soddisfazione di frullare delle donne farang, che fino a pochi anni fa erano un sogno proibito.
E questo penso che lenisca non poco anche l’incazzatura sotteranea che sicuramente dovevano avere, per il fatto che invece i maschietti farang, con le fanciulle orientali, per un motivo o per l’altro, hanno sempre avuto un discreto successo.
Ciò è buono anche per le russe, che hanno visto salire le loro quotazioni fino a diecimila baht!!! (sono 250 Euro)
Purtroppo per loro però, a differenza di quanto avviene con le thailandesi, al loro seguito è arrivato un nutrito drappello di mafia russa, e quindi credo che la maggior parte di quei diecimila baht finisca nelle tasche di qualche Don Calogero moscovita (il quale sicuramente non si limita a “multare” gli sgarri).
Ciò è molto visibile.
Infatti a Pattaya i russi vivono in una specie di circuito chiuso che ha le caratteristiche di un ghetto.
Hanno i loro bar, i loro alberghi e i loro ristoranti (con le regolamentari scritte in cirillico). Quando mettono il naso fuori, sono estremamente malvisti.
Gli albergatori, a meno che non siano russi essi stessi, quando vedono un passaporto dell’ex Unione Sovietica, dichiarano il tutto esaurito.
Tutti i russi in Thailandia sono considerati mafiosi e visti come il fumo negli occhi.
E con ragione, perché uno dei loro divertimenti principali, quando vanno di sera in qualche altro locale che non sia dei loro, è quello di ubriacarsi e poi innescare una rissa da far west, con tavoli, sedie e bottiglie che volano.
Una volta tanto parteggio per i poveri, piccoli poliziotti thailandesi i quali in questi casi, dopo che sono riusciti con fatica e con rischio (in sette o otto) ad acchiappare uno di questi giganti biondi, alti due metri e pesanti cento chili, lo mazzolano di santa ragione, prima di portarlo in caserma per spiegargli che non deve rompere i coglioni.
Spero di essere riuscito a comunicare un po’ di confusione, con questi miei ragionamenti.
Se è così, ho raggiunto il mio scopo.
In Oriente infatti c’è da preoccuparsi quando qualcosa sembra chiaro.
Alla base di questa chiarezza c’è molto probabilmente un equivoco.
Se invece un fenomeno appare incasinato, inspiegabile e contraddittorio, be’…….di solito si è sulla buona strada, se non per capire, almeno per “constatare” come funzionano le cose.
Da capire, a questo livello, c’è ben poco.
Voglio dire, se si prende in esame un fenomeno singolo, in questo caso “la prostituzione in Thailandia”.
Funziona così e basta.
Per tentare una razionalizzazione occorre ampliare moltissimo la visuale e fare un’analisi dettagliata di tutta la società thailandese, della sua storia, dei rapporti tra le sue varie componenti, nonché delle complesse interazioni con il resto del mondo.
Ci si trova poi inevitabilmente a fare le pulci a tutto il pianeta e si finisce, come spesso accade in questi casi, a parlare di aria fritta.
XVII Giorno lunedì 26 Novembre
Altra giornata dedicata al riposo ed alla convalescenza, lentamente ma in continuo progresso.
Nel tardo pomeriggio prendo il nuovo sky train che dalla stazione di Phaia Thai porta all’aeroporto Suvarnabhumi e vado a trovare la mia amica tedesca Carolin conosciuta a Phuket.
Al ritorno mi trattendo dieci minuti nella lobby dell’Hotel Asia ad ascoltare la controfigura di Elvis che da anni si esibisce con le sue canzoni indimenticabili.
XVIII Giorno martedì 27 Novembre
Stamani il cielo è un po’ coperto ma la temperatura è di poco inferiore alla normalità.
Prendo l’ultima compressa contro la tosse ed anche il raffreddore è quasi passato.
Nella piscina al dodicesimo piano dell’Asia Hotel non c’è ancora nessuno ed io approfitto per fare altre osservazioni.
L’hotel è molto scaduto negli ultimi vent’anni ed i servizi non funzionano più come dovrebbero.
Tutto il personale è irritante ed ingordo.
La colazione sembra molto varia ma è di qualità scadente.
Solo i prezzi delle stanze sono rimasti moderati.
Nelle camere c’è il bollitore dell’acqua ma mancano le bustine di thè, di Nescafè, dello zucchero.
In compenso il telecomando TV ha le batterie scariche e quando vengono sostituite, il volume rimane sempre della stessa intensità.
Devo comunque ammettere che per me la durata di una vacanza trascorsa da solo non dovrebbe durare più di una decina di giorni.
Più a lungo mi rompo i coglioni, e poi mi ammalo sempre gli ultimi giorni grazie a quell’accidenti di aria condizionata.
E questa volta non ho goduto Bangkok come avrebbe meritato ed in serata mi trasferisco al Suvarnabhumi.
XVIX Giorno mercoledì 28 Novembre
Puntuale decollo alle 01,20 e subito dopo le operazioni di sicurezza, mi sdraio e riesco a dormire per sei ore, un po’ tossicchiando ma senza raffreddore.
Faccio colazione nella lounge della Qatar a Doha e ripartiamo per Venezia dove arriviamo puntualmente alle 12,20
Lungo da leggere tutto, ma è stato interessante dato che tra pochi giorni devo recarmi proprio in Thailandia